Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 4 ottobre 2017, n. 53330

Presidente: Mazzei - Estensore: Boni

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 3 agosto 2017 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Potenza dichiarava inammissibile l'istanza, proposta dal condannato Gioacchino V., volta ad ottenere l'ammissione alla detenzione domiciliare, in quanto lo stesso stava espiando pena detentiva per delitti ostativi ex art. 4-bis ord. pen.

1.1. Avverso tale ordinanza in data 4 agosto 2017 ha proposto ricorso personalmente l'interessato, il quale ha dedotto che le ragioni della domanda erano state fraintese, poiché la detenzione domiciliare era stata richiesta per le proprie condizioni di salute incompatibili con la detenzione carceraria, fondata sui dati clinici, dei quali non si era fatto alcun cenno nel provvedimento d'inammissibilità.

Inoltre, ha negato che l'art. 58-ter ord. pen. pretenda, quale condizione imprescindibile per l'accesso alla misura richiesta, la collaborazione con la giustizia, che può soltanto agevolare, ma non impedire in caso di mancata prestazione, l'accesso ai benefici penitenziari, come riconosciuto in numerosi provvedimenti dei magistrati di sorveglianza anche di altri distretti.

1.2. Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. L'interessato ha assunto l'iniziativa impugnatoria in proprio, avendo manoscritto e firmato personalmente il ricorso per cassazione all'odierno esame, proposto in data 4 agosto per contestare la legittimità di provvedimento emesso il giorno 3 agosto del corrente anno.

1.1. Preliminare alla disamina della fondatezza o meno dell'atto d'impugnazione è la verifica circa la sua ammissibilità a fronte del recentissimo intervento di modifica delle disposizioni contenute nel codice di rito sulle modalità di proposizione del ricorso per cassazione.

1.2. La l. n. 103 del 23 giugno 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, con l'art. 1, commi 54 e 63, nell'ambito delle modifiche apportate al sistema delle impugnazioni penali, è intervenuta sulle disposizioni rispettivamente degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, c.p.p.: quanto alla prima norma, al testo vigente ha premesso "Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'art. 613, comma 1", quanto alla seconda, ha eliminato le parole iniziali "salvo che la parte non vi provvede personalmente", mantenendo inalterata la previsione per la quale il ricorso, le memorie ed i motivi nuovi devono essere sottoscritti da difensori abilitati all'esercizio del patrocinio presso la Corte di cassazione.

Sul piano testuale l'intervento novellatore assume un significato chiaro ed inequivoco, perché esclude senza eccezioni di sorta la facoltà per la parte che è imputata di proporre il ricorso senza il ministero di un difensore abilitato. Recependo indicazioni contenute in precedenti progetti di riforma, nella consapevolezza che il contenuto di elevato tecnicismo giuridico, richiedente il possesso di nozioni approfondite ed abilità espressiva nella formulazione dei motivi in coerenza col novero limitato delle censure proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p. per far valere specifici vizi di legittimità del provvedimento impugnato, mal si attaglia ad un atto redatto dalla parte senza l'assistenza di un professionista legale abilitato, persegue la finalità di disincentivare il numero di ricorsi indirizzati alla Suprema Corte e di impedire iniziative impugnatorie dilatorie e pretestuose. Statisticamente sono le impugnazioni personalmente proposte che sortiscono il maggior numero di dichiarazioni di inammissibilità per carenze deduttive e per l'improprio contenuto del ricorso. Tramite il perseguito obiettivo di contenere la sopravvenienza dei procedimenti e di impedire quelli più di frequente dichiarati inammissibili, si è inteso creare le condizioni materiali per garantire un più efficace e rapido sindacato di legittimità e per concentrare l'impegno della Corte Suprema nell'assolvimento ai propri compiti istituzionali di organo giudiziario, deputato alla nomofilachia.

I lavori preparatori alla riforma svelano anche l'ulteriore intenzione del legislatore di impedire la prassi elusiva della disposizione, nonché le conseguenze in termini di sempre più incrementato carico di lavoro della Corte di cassazione, che ammette i soli patrocinatori iscritti all'albo speciale dei cassazionisti a redigere il ricorso per cassazione, nei casi in cui l'imputato si avvalga di difensore non abilitato, ma sottoscriva personalmente l'atto d'impugnazione.

Gli obiettivi di semplificazione dell'intero sistema delle impugnazioni, di decongestione delle pendenze innanzi alla Corte di cassazione, di valorizzazione della sua funzione nomofilattica, quali principi ispiratori della l. n. 103 del 2017, anche laddove ha conferito delega al Governo per introdurre ulteriori modifiche alla disciplina dei mezzi d'impugnazione, sono stati segnalati da tutti i commentatori e riscontrati anche dalle Sezioni unite nella pronuncia n. 8825 del 27 ottobre 2016, Galtelli, rv. 268822, che, in riferimento all'allora disegno di legge, hanno interpretato il requisito della specificità dei motivi di appello in termini che poi hanno trovato positivo riconoscimento con la riformulazione dell'art. 581 c.p.p., disposta con la riforma.

1.3. Prima dell'intervento novellatore che ha inciso sugli artt. 571 e 613 del codice di rito non si era mai dubitato dell'applicabilità della disciplina generale sulle impugnazioni, comprese le disposizioni di cui all'art. 571 c.p.p. e quelle che regolano il procedimento camerale nel giudizio di legittimità, anche ai ricorsi proposti per contestare provvedimenti adottati nella fase dell'esecuzione penale e nei procedimenti incidentali sulla libertà personale. Per i primi l'art. 666 c.p.p., comma 6, mantenuto invariato anche dopo la riforma, prescrive "Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione", mentre l'art. 311 c.p.p. prevede che la Corte di cassazione decida, osservando le forme previste dall'art. 127 c.p.p.

La medesima affermazione di principio, che prevede uniformità di disciplina quanto ai soggetti legittimati ed alle modalità di proposizione del ricorso per cassazione, anche quando esperito per contestare provvedimenti giudiziali diversi dalla sentenza, mantiene immutata la sua validità anche dopo la riforma, nel cui ambito il ruolo assegnato all'art. 613 c.p.p. è però mutato. Da norma ricognitiva, dettata per il giudizio di legittimità, della facoltà riconosciuta più in generale all'imputato all'art. 571 c.p.p. di impugnare personalmente il provvedimento sfavorevole (Sez. un., n. 19 del 21 giugno 2000, Adragna, rv. 21636; Sez. un., n. 34535 del 27 giugno 2001, Petrantoni, rv. 219613; sez. 4, n. 121 del 14 dicembre 2015, dep. 7 gennaio 2016, De Nicola, rv. 265461; sez. 4, n. 3630 del 14 gennaio 2016, Romano, rv. 265597) è divenuta disposizione derogatoria rispetto a quest'ultima, perché impone l'obbligo di sottoscrizione del ricorso, delle memorie e dei motivi nuovi soltanto da parte del difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione ed equipara l'imputato alle altre parti private nell'esenzione dalla facoltà di ricorrere personalmente e nella necessità di conferire apposito mandato a legale abilitato.

E poiché nella sua formulazione non contiene previsioni differenti, dedicate ai procedimenti penali diversi da quello ordinario di cognizione, deve riconoscersi la sua applicabilità al ricorso per cassazione anche se proposto dall'interessato detenuto in espiazione di pena ed in merito ai benefici penitenziari. Al riguardo, nonostante l'urgenza di approntare in tempi ristretti l'atto d'impugnazione per proporlo tempestivamente nel rispetto del termine perentorio, la cui inosservanza è sanzionata a pena d'inammissibilità, e l'intuibile difficoltà di provvedervi per chi sia ristretto in carcere e debba subire limitazioni alla libertà di movimento e comunicazione con l'esterno, non si ravvisano argomenti, né testuali, né sistematici, per poter riconoscere una regolamentazione diversa da quella prevista in via generalizzata dal nuovo testo dell'art. 613 c.p.p.

1.4. La conclusione raggiunta, ad avviso del Collegio, non solleva problemi di armonizzazione con i precetti costituzionali, né con quelli convenzionali.

1.4.1. La ratio ispiratrice della norma, individuabile nella razionalizzazione dell'intervento decisorio nella fase di legittimità e nella sua concentrazione ai casi che più propriamente richiedano l'interpretazione nomofilattica della legge, cui è preposta la sola Corte di cassazione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario, non è condizionata dalla natura del procedimento penale, poiché il rimedio è identico ed i poteri cognitivi della Corte non mutano, - salva qualche limitazione al catalogo dei motivi, talvolta circoscritti alla sola violazione di legge, oggetto di previsione espressa e testuale, contenuta nella legislazione speciale, ad esempio sulle misure di prevenzione, oppure nell'art. 569 c.p.p. per il ricorso immediato per cassazione -, a prescindere dalla materia penale oggetto della pronuncia impugnata. Il legislatore, non irragionevolmente rispetto al fine perseguito, ha scelto di realizzarlo mediante l'introduzione di criteri di limitazione della legittimazione ad impugnare per cassazione in funzione dei requisiti soggettivi di preparazione, conoscenza giuridica ed esperienza professionale.

1.4.2. Né si ravvisano profili di contrasto con il diritto di difesa e di azione in giudizio di cui all'art. 24 Cost.: il diritto di accesso ai rimedi giurisdizionali non è assoluto, né incomprimibile, ma può essere differenziato per le fasi del processo e per le sue varie tipologie (Sez. un., n. 31461 del 27 giugno 2006, Passamani, non massimata sul punto; sez. 2, n. 40715 del 16 luglio 2013, Stara, rv. 257072) sino anche a subire restrizioni in considerazione delle caratteristiche specifiche delle impugnazioni e di esigenze di razionalità ed efficienza del sistema processuale e di contenimento entro limiti ragionevoli della durata del processo, per la cui regolamentazione e per la conformazione dei singoli istituti il legislatore fruisce di ampia discrezionalità col solo vincolo della non manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (C. cost. n. 50/2010; n. 2217/2008 [recte: 221/2008 - n.d.r.]; n. 379/2005; ord. n. 7/1997). Sulla base dei medesimi principi la giurisprudenza di questa Corte esclude sia ammessa l'autodifesa nel processo penale (sez. 5, n. 49551 del 3 ottobre 2016, Mucci, rv. 268744; sez. 5, n. 32143 del 3 aprile 2013, Querci, rv. 256085; sez. 1, n. 7786 del 29 gennaio 2008, Stara, rv. 239237).

E per quanto il sistema processuale penale all'art. 569 c.p.p. ed all'art. 111 Cost., comma 7, preveda il sindacato di legittimità sui provvedimenti che incidono sulla libertà personale e su tutte le sentenze emesse nei gradi di merito da giudici ordinari o speciali, tanto non equivale a riconoscere limitazioni all'adozione di scelte di politica legislativa, che deflazionino le sopravvenienze dei procedimenti e rendano più efficiente il giudizio di legittimità mediante una più restrittiva disciplina dei soggetti legittimati.

1.4.3. Non si ravvisano difficoltà nemmeno sul piano della compatibilità convenzionale della nuova formulazione dell'art. 613 c.p.p. L'art. 6, § 3, lett. c), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali ed anche il Patto internazionale relativo ai diritti civili o politici, all'art. 14, comma 3, lett. d), stabiliscono il diritto dell'accusato di "difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta", riconoscendogli dunque anche la possibilità di autodifesa esclusiva senza l'assistenza di alcun difensore. Nell'interpretazione offerta, sia dalla Corte costituzionale (sent. n. 188 del 1980), che dalla Corte di cassazione (sez. 1, n. 7786/2008 citata; sez. 3, n. 19964 del 29 marzo 2007, Stara, rv. 236734; sez. 5, n. 2333 del 15 dicembre 1988, dep. 15 febbraio 1989, Grecchi, rv. 180523), le richiamate previsioni non assumono un significato cogente, ma piuttosto programmatico e di principio nell'assenza di precetti dettagliati che impongano modalità specifiche per il suo esercizio da osservarsi da parte della legislazione interna. Secondo la Consulta, "la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)" e che nei giudizi dinanzi ai giudici di ultima istanza "nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e 722/60)".

Sulle medesime posizioni si registrano pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale ha interpretato la disposizione dell'art. 6, § 3, lett. c), della Convenzione come norma di principio, che rimette agli Stati contraenti la scelta degli strumenti e delle modalità per consentire il diritto di autodifesa in modo tale da armonizzarsi con i caratteri propri del giusto processo (Corte EDU, sez. 3, 27 aprile 2006, Sannino c. Italia, § 48).

Né si può prospettare la violazione dell'art. 2 del protocollo n. 7 della Convenzione EDU sotto il profilo della violazione della garanzia del doppio grado di giurisdizione: la giurisprudenza della predetta Corte sovranazionale riconosce agli Stati membri un ampio margine di determinare in via discrezionale le modalità di esercizio del diritto in questione (Corte EDU, sez. 4, 20 ottobre 2015, Di Silvio c. Italia, § 50), sempre che gli istituti previsti siano in grado di garantire concretezza ed effettività del rimedio.

Al riguardo la condizione di detenuto ristretto in carcere non è in assoluto di ostacolo al mantenimento ed alla presa di contatto con un difensore cassazionista, che possa rappresentarlo e redigere per suo conto il ricorso in modo certamente più appropriato e consapevole di quanto potrebbe fare lo stesso diretto interessato. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: "La riforma degli artt. 571 c.p.p., comma 1, e dell'art. 613 c.p.p., apportata dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, l'art. 1, commi 54 e 63, entrata in vigore il 3 agosto 2017, laddove non consente all'imputato di proporre personalmente il ricorso per cassazione senza il patrocinio di un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, ha valore generale e si applica a tutti i procedimenti penali, anche a quelli di esecuzione e nei confronti di tutti gli interessati, anche ai condannati ristretti in espiazione di pena detentiva".

1.5. La considerazione del caso specifico in base ai principi suesposti induce a ritenere inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a), il ricorso del V., perché proposto personalmente da soggetto non legittimato avverso un provvedimento già emesso nel vigore della nuova disciplina dettata dall'art. 613 c.p.p. Tale rilievo, per effetto della modifica apportata all'art. 610 c.p.p., con l'inserimento del nuovo comma 5-bis, operato dalla l. n. 103/2017, abilita altresì questa Corte a pronunciare l'inammissibilità de plano.

Segue di diritto la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto dell'entrata in vigore della nuova disciplina il giorno antecedente la redazione del ricorso e della novità della questione relativa alla legittimazione a ricorrere per cassazione, si ritiene di non dover gravare il ricorrente della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, prevista dall'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 23 novembre 2017.

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