Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 24 novembre 2017, n. 28154

Presidente: Di Palma - Estensore: Acierno

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 2292/2014 la Corte d'appello di Venezia ha respinto l'impugnazione proposta dal Ministero degli Affari esteri avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Treviso, su domanda della cittadina italiana S.K., aveva annullato il provvedimento emesso dall'Ambasciata italiana a Rabat di diniego di rilascio di visto per ricongiungimento familiare richiesto dalla medesima in favore della minore E.S.L., affidatale in Marocco in regime di kafalah mediante accordo omologato dal Giudice notarile di Rabat.

Richiamando la pronuncia delle Sezioni unite n. 21108/2013, la Corte territoriale ha rilevato che, ai sensi del d.lgs. 30/2007, interpretato alla luce delle norme costituzionali e internazionali, non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore extracomunitario, affidato a cittadino italiano con provvedimento di kafalah, non essendo nella specie in contestazione che S.K. si prenda cura della minore a lei affidata.

Per la cassazione di suddetta pronuncia ricorre il Ministero degli Affari esteri, sulla base di un unico motivo. Non svolge difese l'intimata.

L'Amministrazione ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. 30/2007, perché la Corte territoriale non ha riconosciuto rilevanza alla natura convenzionale dell'atto di kafalah in questione, contrariamente al principio espresso dalle Sezioni unite con la pronuncia n. 21108/2013, che nega che la kafalah "convenzionale", sia pure omologata, possa essere presupposto per il ricongiungimento familiare; ha mancato, altresì, di verificare le condizioni materiali dell'affidamento ai sensi dell'art. 3, lett. a), d.lgs. cit., che richiede una situazione di convivenza o vivenza a carico del minore rispetto al cittadino italiano oppure l'esistenza di gravi patologie che impongono che il cittadino assista il minore personalmente.

La disciplina di riferimento del diritto al ricongiungimento dei familiari dei cittadini italiani residenti in Italia è contenuta nel d.lgs. 30 del 2007, sia per l'effetto dell'art. 23 di tale testo normativo («le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana»), sia per effetto dell'art. 28, secondo comma, del d.lgs. n. 286 del 1998, che fa salva l'applicabilità residuale del d.lgs. n. 286 del 1998 ove più favorevole.

Nel caso di specie è stato accertato che la cittadina italiana S.K. ha ricevuto in affidamento la minore E.S.L. con un provvedimento di kafalah "convenzionale", omologato dal Tribunale notarile di Rabat, in Marocco. Si tratta di un istituto di diritto islamico a protezione dei minori che si trovano in stato di abbandono, consistente in un affido in virtù del quale un soggetto chiamato kafil s'impegna a curare, educare e mantenere un makful, cioè il minore affidato, come se fosse proprio figlio, sino al raggiungimento della maggiore età, senza tuttavia che il makful entri giuridicamente a far parte della famiglia del kafil. Possono distinguersi due tipologie di kafalah: la prima di carattere pubblicistico, conferita con provvedimento giudiziario all'esito di un procedimento che accerta e dichiara lo stato di abbandono del makful e l'idoneità del kafil; la seconda di carattere negoziale o convenzionale, che consiste in un atto notarile tra affidante e affidatario, sottoposto ad omologazione dell'autorità giudiziaria. Negli ordinamenti islamici - stante il divieto di adozione e il precetto che fa obbligo di aiutare i bisognosi e gli orfani - la kafalah costituisce l'unico strumento a protezione dei minori che si trovano in uno stato di abbandono (Cass. n. 19734 del 17 luglio 2008).

Tale istituto è riconosciuto da fonti di diritto internazionale, in particolare dall'art. 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3, lett. e), e 33 della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore, sottoscritta ma non ancora ratificata e resa esecutiva in Italia. Non può, tuttavia, ritenersi che l'Italia non sia tenuta all'applicazione di quest'ultima convenzione in ragione della mancata ratifica, giacché al suo recepimento il nostro Paese è tenuto in virtù della decisione del Consiglio dell'Unione europea n. 2008/431/CE del 5 giugno 2008, al cui art. 3 si dispone che gli Stati membri di cui all'art. 1, paragrafo 1 (fra cui è compresa l'Italia) che non hanno ancora ratificato la convenzione prendano le disposizioni necessarie affinché gli strumenti di ratifica o di adesione siano depositati simultaneamente presso il Ministero degli Affari esteri del Regno dei Paesi Passi, se possibile anteriormente al 5 giugno 2010 (Cass. n. 1843 del 2 febbraio 2015).

Sull'istituto della kafalah, quale presupposto giuridico del diritto al ricongiungimento familiare ai sensi della normativa in materia di libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari, si sono espresse le Sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 21108 del 16 settembre 2013, statuendo che «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario, affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano, ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito».

Da ultimo questa Corte, con la pronuncia n. 1843 del 2 febbraio 2015, ha statuito che non solo la kafalah "pubblicistica", ma anche la kafalah "negoziale" può costituire presupposto giuridico del diritto al ricongiungimento familiare, in applicazione dell'art. 3, comma 2, d.lgs. 30/2007, che tra gli aventi diritto all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale include «ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente». È stata così data un'interpretazione più ampia e più favorevole al minore, dal momento che la valutazione circa la possibilità di consentirgli l'ingresso in Italia ed il ricongiungimento con l'affidatario non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della kafalah negoziale, dovendo essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore (Cass. n. 1843 del 2 febbraio 2015, Rv. 634369-01).

Non può essere pertanto condivisa le tesi esposta dall'Amministrazione ricorrente, avendo la Corte d'appello accertato il rapporto di cura tra S.K. e la minore, affidatale in virtù di una kafalah che, seppur di origine convenzionale, è stata valutata positivamente da un'autorità pubblica, la quale ha omologato una decisione familiare risultata oggettivamente conforme all'interesse della minore medesima. Un'interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dei principi affermati dalle norme sovranazionali impone, invero, di considerare quale criterio-guida il preminente interesse del minore, come sancito dall'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 24 novembre 1989 e dall'art. 24 della Carta dei diritti dell'UE, che al secondo comma stabilisce che «in tutti i procedimenti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

Non può, dunque, negarsi che anche una minore straniera affidata a un cittadino italiano in virtù di un provvedimento di kafalah di origine negoziale, omologato da un'autorità pubblica, possa rientrare - come accertato dal giudice del merito - nella nozione di "altri familiari" di cui all'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. 30/2007.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Non occorre provvedere in ordine alle spese processuali, in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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