Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 26 settembre 2017, n. 54496

Presidente: Cortese - Estensore: Minchella

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 14 marzo 2016 il Tribunale di Taranto condannava A. Angelo alla pena di Euro 150,00 di ammenda per non avere osservato un'ordinanza di sgombero di un appartamento abusivamente modificato. Rilevava il giudice che era emerso che nell'anno 2009 il Comune di Carosino aveva intimato all'A. la sospensione di alcuni lavori che egli stava realizzando su di un immobile in cui dimorava e di proprietà del Comune medesimo; poi il 26 gennaio 2010 veniva intimato allo stesso di demolire le opere abusivamente realizzate, le quali venivano dichiarate acquisite al patrimonio comunale; il 23 luglio 2010 veniva intimato al medesimo lo sgombero delle parti di immobile abusivamente realizzate, poiché ormai di proprietà comunale ed ulteriore provvedimento di sgombero era stato ribadito il 16 marzo 2011. Si respingeva la tesi difensiva della assenza di destinazione a pubblico servizio del bene immobile poiché l'ordinanza sindacale non era sorta per una deviazione dalle finalità pubbliche, ma dalla inottemperanza alla sospensione dei lavori, alla demolizione di opere e allo sgombero.

Avverso detta sentenza propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore, deducendo erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione: si sostiene che l'immobile non era destinato a servizio pubblico, per cui per esso non era possibile un potere autoritativo e il giudice avrebbe dovuto disapplicare l'ordine comunale; che l'immobile era patrimonio disponibile e doveva essere tutelato con le norme civilistiche e non con una autotutela autoritaria; che il giudice non aveva fornito adeguata risposta alle censure difensive, limitandosi a prendere atto della acquisizione del bene al patrimonio pubblico senza verificare se esso fosse del patrimonio disponibile; che comunque il reato era prescritto.

Il P.G. ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

In presenza di norme penali che sanzionano l'inottemperanza a un ordine della pubblica amministrazione, il giudice penale deve verificare la legittimità del provvedimento amministrativo presupposto del reato, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello formale, con riferimento a tutti e tre i vizi tipici che possono determinare l'illegittimità degli atti amministrativi, e cioè violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere. L'art. 650 c.p. è una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile soltanto quando il fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero allorché il provvedimento dell'autorità rimasto inosservato sia munito di un proprio, specifico meccanismo di tutela (Sez. 1, n. 1711 del 14 febbraio 2000; Sez. 1, n. 2653 del 3 marzo 2000).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 650 c.p. è necessario che: a) l'inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato, in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga in essere una certa condotta; e ciò per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, o di igiene o di giustizia; b) l'inosservanza attenga ad un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna previsione normativa che comporti una specifica ed autonoma sanzione; c) il provvedimento emesso per ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine pubblico, di igiene sia adottato nell'interesse della collettività e non di parti private. Il giudice deve, inoltre, valutare se il provvedimento corrisponde effettivamente alla funzione legale tipica assegnatagli dall'ordinamento e se, per la sua formulazione, sia - in rapporto alla particolare situazione che si intende tutelare - eseguibile nei tempi e nelle modalità descritte.

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, sia pur con ampio e puntuale riferimento alle circostanze di fatto acquisite, ha trascurato di verificare le finalità precipue del provvedimento posto a base dell'imputazione.

Nella fattispecie, il Comune di Carosino, accertato che il ricorrente stava realizzando lavori abusivi nell'immobile di proprietà comunale da quello abitato, intimava la sospensione dei lavori in data 4 settembre 2009, provvedendo poi il 26 gennaio 2010 ad ordinare la demolizione delle opere abusivamente realizzate e disponendo l'acquisizione delle superfici al patrimonio comunale in caso di inottemperanza; indi il 23 luglio 2010, verificata l'inottemperanza e assumendo l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ordinava lo sgombero dell'immobile al ricorrente, ulteriormente ordinato il 16 marzo 2011.

Nessun dubbio che l'immobile non era stato sgomberato, giacché lo stesso ricorrente assume detta situazione alla base delle sue argomentazioni: ma correttamente il ricorrente ha evidenziato che non risultava chiaro cosa tutelasse il provvedimento de quo del sindaco, poiché non vi era un richiamo a ragioni di sicurezza pubblica o di igiene o di giustizia o di ordine pubblico, ma soltanto una acquisizione per irregolarità nei lavori.

Di conseguenza, il provvedimento era stato utilizzato per la tutela di un bene del Comune acquisito al patrimonio dell'ente e quindi per un interesse prettamente di tipo civilistico, rispetto al quale l'emissione del provvedimento era incongrua: non vi era alcun accenno a esigenze di igiene legate alla abitabilità dei nuovi spazi realizzati né ad eventuali ragioni di sicurezza pubblica collegate ad un possibile cedimento strutturale dell'immobile dell'imputato e quindi alla necessità di eseguire lavori che interessavano non solo quell'edificio, ma, ancora prima, la incolumità pubblica.

Va ribadito che l'ordinanza della tipologia in esame deve avere come requisito di legittimità formale una motivazione che dia conto dei presupposti concreti previsti dalla legge: necessità di immediata e tempestiva tutela di interessi pubblici, come la salute o la sicurezza, che, in ragione della situazione di emergenza, non potrebbero essere protetti in modo altrettanto adeguato, ricorrendo alla via ordinaria (Sez. 1, n. 39830 del 20 ottobre 2010; Sez. 1, n. 15881 del 16 ottobre 2007).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto ha omesso di valutare il tenore dell'ordine impartito dal Comune, che all'evidenza non tutelava ragioni di igiene né di sicurezza pubblica. Sulla base di questi elementi è evidente che non sussistevano i presupposti di adozione dell'ordine di sgombero, mancando qualsiasi obiettiva indicazione delle ragioni poste a tutela della collettività e non di singoli soggetti interessati quali appunto il patrimonio disponibile dell'ente comunale.

Difettando questo elemento, non si può ritenere sussistente il reato contestato al ricorrente.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Depositata il 4 dicembre 2017.

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