Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione III-ter
Sentenza 6 dicembre 2017, n. 12039

Presidente: Lo Presti - Estensore: Masaracchia

FATTO E DIRITTO

1. L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - A.G.Com., con delibera n. 2/09/CSP, del 21 gennaio 2009, ha inflitto alla RAI - Radiotelevisione Italiana s.p.a., in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ed esercente l'emittente televisiva "Rai Due", la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 51.646,00 "per la violazione dell'articolo 4, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177" (nella formulazione all'epoca vigente).

Come si legge nella motivazione dell'atto, la sanzione è stata irrogata "per aver trasmesso nel corso del programma 'Anno Zero' andato in onda il 1° maggio 2008 brani della manifestazione di Beppe Grillo tenutasi il 25 aprile 2008 a Torino nei quali lo stesso Beppe Grillo ha utilizzato nei confronti del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Professor Umberto Veronesi espressioni offensive e perciò lesive dell'onorabilità e della dignità della persona, che risultano integrare gli estremi della violazione dell'articolo 4, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, sub specie di lesione di diritti fondamentali della persona".

Non ritenendo legittima la misura afflittiva, la RAI - Radiotelevisione Italiana s.p.a. l'ha impugnata dinnanzi a questo TAR, insieme ad alcuni atti endoprocedimentali, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi in diritto:

- violazione dell'art. 23 Cost. e del principio di legalità, nonché degli artt. 4, comma 1, lett. b, e 51 del d.lgs. n. 177 del 2005 e dell'art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2001; incompetenza ed eccesso di potere: ciò, in quanto l'A.G.Com., in base al tenore letterale delle norme invocate, non sarebbe titolare del potere di sanzionare la violazione dell'altrui reputazione che si ritenga compiuta nel corso di una trasmissione radiotelevisiva;

- (in subordine) illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lett. b, e 51 del d.lgs. n. 177 del 2005, per contrasto con l'art. 23 Cost.;

- violazione dell'art. 6, comma 1, dell'Allegato A alla delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, n. 136/06/CONS, del 15 marzo 2006 (recante "Regolamento in materia di procedure sanzionatorie"), come modificata dalla delibera n. 173/07/CONS, per mancato rispetto del termine di 150 giorni ivi prescritto per l'adozione del provvedimento finale;

- (in subordine) difetto di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere per contraddittorietà: ciò, con specifico riguardo alla ripetuta proroga del termine, disposta dalla stessa Autorità in corso di procedimento, "per far valere esigenze istruttorie che nulla avevano a che fare con l'istruzione";

- (in ulteriore subordine) difetto di legittimazione passiva della RAI, in quanto la responsabilità ad essa accollata, "ove fosse accertata, potrebbe essere ascritta solo a persone fisiche, in ragione del loro dolo o della loro colpa, non all'emittente radiotelevisiva";

- (in ulteriore subordine) violazione dell'art. 6, comma 2, della l. n. 689 del 1981 ed insussistenza dei presupposti della responsabilità solidale della RAI: ciò, in particolare, alla luce del fatto che la trasmissione è andata in onda "in diretta" con esclusione, quindi, della possibilità, per l'azienda, di un intervento immediato;

- (in ulteriore subordine) violazione dell'art. 23 Cost. e dell'art. 18, comma 4, della l. n. 689 del 1981: qui viene contestato, in particolare, il capo del provvedimento impugnato laddove si impone all'emittente di trasmettere all'Autorità la prova dell'avvenuto pagamento della sanzione;

- (in estremo subordine) violazione dell'art. 51, comma 2, lett. e, del d.lgs. n. 177 del 2005 e dell'art. 11 della l. n. 689 del 1981, per illegittimità dell'applicazione della sanzione nella misura massima consentita dalla legge.

2. Si è costituita in giudizio l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del proprio Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando documenti e concludendo - previa analisi delle censure di parte ricorrente, di cui alla memoria difensiva depositata il 13 marzo 2017 - per il rigetto del gravame.

In vista della pubblica discussione, la ricorrente ha depositato una memoria difensiva in data 8 novembre 2017, ribadendo le proprie censure.

Alla pubblica udienza del 24 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso non è fondato.

Anzitutto, non colgono nel segno le censure che la ricorrente (primo motivo) ha argomentato ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, lett. b, e 51, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 177 del 2005 (nella formulazione vigente ratione temporis), giungendo a dubitare della competenza, in capo all'A.G.Com., del potere di sanzionare la violazione dell'altrui reputazione che si ritenga compiuta nel corso di una trasmissione radiotelevisiva. La complessiva ratio dell'art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 177 del 2005 è quella di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona nell'ambito della trasmissione di programmi radiotelevisivi, tra i quali sicuramente rientra il diritto al rispetto della dignità e della reputazione altrui (come, peraltro, è confermato dall'art. 3 del d.lgs. n. 177 del 2005, a norma del quale la libertà di espressione costituisce bensì un principio fondamentale del sistema radiotelevisivo, ma pur sempre "nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona..."). Allo stesso fine è diretta la competenza dell'A.G.Com. in punto di vigilanza e sanzioni, prevista dal seguente art. 51 del d.lgs. n. 177 del 2005 (in specie, per quanto qui interessa, alla lettera i del comma 1) il quale, nel fondare detta competenza sanzionatoria, richiama bensì i "divieti" di cui all'art. 4, comma 1, lett. b, ma non certo al fine di escludere che l'Autorità possa intervenire quando non siano rispettati gli obblighi di comportamento che, in via generale ed in positivo, la legge impone a tutela degli utenti del servizio radiotelevisivo. Del resto, l'art. 10 del d.lgs. n. 177 del 2005 stabilisce, al comma 1, che "L'Autorità, nell'esercizio dei compiti ad essa affidati dalla legge, assicura il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni, anche radiotelevisive", così confermando il potere, in capo ad essa, di intervenire a presidio degli obblighi di comportamento che, in via generale, già l'art. 4, comma 1, lett. b, ha precisato, ivi incluso l'obbligo di rispettare l'altrui dignità e reputazione. Tali obblighi di comportamento, quindi, in quanto espressamente imposti dalla norma generale che individua le situazioni soggettive da proteggere, acquisiscono il valore di precetti rispetto ai quali la disposizione primaria commina le relative sanzioni, con ciò sancendosi appieno la competenza dell'A.G.Com. ad agire d'ufficio pure per l'ipotesi oggi sub iudice.

Né può sostenersi che, in tal modo, risulterebbe violato il principio di legalità di cui all'art. 23 Cost., in quanto è evidente (come appena detto) che il potere sanzionatorio in capo all'Autorità è sufficientemente previsto e circoscritto dalla norma primaria attraverso le richiamate disposizioni del d.lgs. n. 177 del 2005 - disposizioni la cui applicazione, peraltro, risulta adeguatamente giustificata nell'ambito del procedimento amministrativo de quo mediante il richiamo, fatto nel dispositivo e nella motivazione dell'atto impugnato, proprio all'art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 177 del 2005 - con conseguente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata (al secondo motivo) dalla ricorrente.

3.1. Non sono poi fondate le censure, di natura formale, mediante le quali la ricorrente ha contestato le modalità con le quali, nella specie, sono stati esercitati i poteri istruttori che la legge riconosce all'Autorità (terzo e quarto motivo).

Non si apprezza, anzitutto, alcuna violazione dell'art. 6, comma 1, dell'Allegato A alla delibera n. 136/06/CONS, per asserito mancato rispetto del termine di 150 giorni ivi prescritto per l'adozione del provvedimento finale. Se pure è vero che l'adozione del provvedimento sanzionatorio è sopraggiunta (in data 21 gennaio 2009) in un momento in cui era già scaduto il termine di 150 giorni dalla notifica della contestazione (avvenuta il 28 maggio 2008), è pur vero però che, nella specie, l'Autorità aveva disposto (per due volte) la sospensione di quel termine ai sensi del comma 3 dell'art. 6 cit., essendo risultato necessario svolgere ulteriori approfondimenti istruttori. Tale necessità, peraltro, derivava - come chiarito nella motivazione del provvedimento finale - dalle controdeduzioni che la RAI aveva formulato nell'ambito della memoria difensiva depositata in corso di procedimento (nella quale, peraltro, la stessa RAI aveva insistito affinché l'Autorità procedente acquisisse ulteriori informazioni ed elementi di valutazione, anche presso i soggetti che risultavano coinvolti nei fatti). Non può pertanto sostenersi che le sospensioni del termine di conclusione del procedimento siano state disposte "per far valere esigenze che nulla avevano a che fare con l'istruzione", anche in considerazione del fatto che spetta insindacabilmente all'Autorità procedente il governo e la gestione della fase istruttoria del procedimento sanzionatorio, dovendo essa calibrarne la complessiva durata con le esigenze di un'istruttoria completa ed adeguata (fermo, pur sempre, il consueto limite della manifesta irrazionalità o sproporzionalità delle sue determinazioni, nella specie però - per quanto già osservato - sicuramente non travalicato). Per gli stessi motivi non è dato rinvenire alcuna contraddittorietà nelle scelte istruttorie compiute dall'amministrazione la quale anzi, a fronte delle richieste provenienti dalla parte incolpata, le ha dovutamente ed opportunamente valutate al fine di adottare un provvedimento finale che risultasse sorretto da una istruttoria completa ed esaustiva. Il fatto, poi, che la richiesta di audizione di terze persone, avanzata dalla RAI in corso di procedimento, non sia stata accolta, non toglie nulla alla completezza dell'istruttoria, avuto riguardo alla motivazione del provvedimento finale (nel quale si è rilevata la non necessità di procedere a quella audizione, posto che la responsabilità ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 177 del 2005 si rinveniva già, direttamente, in capo all'azienda e non alle persone fisiche indicate dalla RAI).

3.2. Né può sostenersi che il procedimento sanzionatorio avrebbe dovuto essere condotto "nei confronti delle persone fisiche ritenute responsabili" (così il quinto motivo) e non dell'azienda esercente l'emittente che ha mandato in onda il programma ritenuto lesivo. La condotta perseguita (e, quindi, punita) dall'A.G.Com. è, invero, stata quella della "trasmissione di programmi" lesivi dei diritti fondamentali delle persone, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 177 del 2005, ossia una condotta fenomenologicamente imputabile proprio all'azienda odierna ricorrente, e non certo ai suoi funzionari o collaboratori singolarmente considerati.

La stessa invocazione delle norme del "Codice etico" - di cui al motivo in esame, laddove la ricorrente ha soffermato l'attenzione sui "destinatari" di tale codice - è fuori luogo, sia perché, come detto, la sanzione è stata irrogata per una violazione che la legge ascrive al comportamento dell'emittente complessivamente considerata, sia perché quello stesso "Codice etico" (si tratta del "Codice etico del gruppo RAI", già in vigore ai tempi dei fatti di causa), a ben vedere, si dirige a conformare i comportamenti non solo dei "dirigenti, funzionari, dipendenti, collaboratori, etc., dell'Azienda" (come si esprime la ricorrente), ma anche, più in radice, della RAI - Radiotelevisione Italiana s.p.a. unitariamente intesa, quale concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, come è reso evidente da alcune sue norme di apertura (si vd. ad es., per quanto qui più specificamente interessa, l'art. 1, comma 2, di detto codice, a norma del quale "RAI deve garantire un'offerta televisiva, radiofonica, audiovisiva e multimediale realizzata nel rispetto di una programmazione di qualità, rispettosa dell'identità valoriale e ideale del Paese e dell'Unione Europea, della sensibilità dei telespettatori e della tutela dei minori, rispettosa della figura femminile e della dignità umana...", impegnando poi di conseguenza tutti gli operatori interni dell'azienda indicati all'art. 3, e fermo restando che, come precisa il medesimo art. 3, ai commi 3 e 4, "Il presente Codice Etico è stato redatto per l'intero Gruppo RAI ed è, pertanto, vincolante, senza alcuna eccezione, per tutte le Società appartenenti al Gruppo", con la precisazione che "Per Gruppo RAI si intende RAI - Radiotelevisione Italiana Spa e qualsiasi altra società da essa direttamente o indirettamente controllata").

La responsabilità dell'azienda ricorrente, poi, non può essere esclusa semplicemente osservando (sesto motivo) che la trasmissione de qua è andata in onda in diretta e, di conseguenza, richiamando quell'orientamento - sviluppatosi nell'ambito della giurisprudenza penale di legittimità (cfr. Cass., sez. V pen., sent. n. 3597 del 2007) - secondo il quale, in simili evenienze, sarebbe inesigibile un intervento immediato atto ad evitare la diffusione dei contenuti lesivi. Nel caso di specie, manca in radice il presupposto di partenza di un simile ragionamento: ed infatti, le dichiarazioni ritenute diffamatorie non sono affatto state pronunciate "in diretta", nel corso cioè dello svolgimento della trasmissione da parte di soggetti ivi intervenuti in qualità di persone intervistate, ma sono state profferite nel corso di un comizio che si era tenuto qualche giorno prima e, come tali (e, quindi, in quanto registrate), sono state mandate in onda, pur se nell'ambito o a corredo di un dibattito (un talk show) che si svolgeva in presa diretta. Del tutto fuori luogo, quindi, risultano le affermazioni della ricorrente secondo cui, nel caso di "notizie date in diretta e provenienti da una fonte che non sia stata filtrata", non sarebbe possibile esercitare una qualsivoglia forma di controllo da parte dell'azienda: al contrario, nel caso di specie, la ricorrente ben avrebbe potuto esercitare i dovuti controlli, trattandosi di dichiarazioni registrate e preventivamente selezionate ai fini della loro messa in onda e, quindi, facilmente verificabili ex ante, nell'ambito del proprio ordinario rapporto editoriale, di natura privatistica, che la legava al conduttore ovvero al responsabile della trasmissione. In altre parole, non può affatto sostenersi che la società ricorrente fosse sprovvista della concreta possibilità di un intervento tempestivo, atto a rimuovere i contenuti lesivi della trasmissione, prima che questi fossero messi in onda. Non vi è spazio, pertanto, per invocare, in favore della ricorrente, il disposto dell'art. 6, comma 2, della l. n. 689 del 1981 (a norma del quale "Se la violazione è commessa da persona capace di intendere e di volere ma soggetta all'altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell'autorità o incaricata della direzione o della vigilanza è obbligata in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto"), sia perché, in base a tale norma, la RAI sarebbe comunque chiamata in solido con l'autore della violazione, sia perché, per quanto finora detto, la stessa RAI, in quanto investita della responsabilità editoriale, ben si trovava in condizione di poter impedire il fatto.

3.3. Non è fondato, poi, il settimo motivo, riguardante la pretesa (veicolata nell'impugnato provvedimento) dell'Autorità di vedersi inviata la quietanza dell'avvenuto pagamento della sanzione.

Inconferente, al riguardo, è l'invocazione dell'art. 18, comma 4, della l. n. 689 del 1981, norma quest'ultima che si limita solo a prescrivere all'ufficio che abbia ricevuto quel pagamento di darne comunicazione all'autorità che ha emesso l'ordinanza-ingiunzione: tale norma, quindi, fonda semmai un obbligo in capo all'ufficio che ha ricevuto il pagamento, ma nulla letteralmente dice e/o dispone con riguardo al rapporto che intercorre tra l'autorità che ha emesso la sanzione ed il suo destinatario. Al contrario, che quest'ultimo possa essere onerato del descritto incombente discende dal suo dovere di leale collaborazione con l'autorità che la sanzione ha inflitto (con ciò, non risultando in insanabile contrasto con l'invocato principio di legalità), trattandosi di un onere non particolarmente gravoso - rispetto al quale, peraltro, appare fortemente mitigato l'interesse ad agire della ricorrente.

3.4. La motivazione dell'atto sanzionatorio, con la quale si è dato conto dell'applicazione del massimo edittale, è infine anch'essa immune dalle censure di parte ricorrente (di cui all'ottavo motivo). In proposito l'Autorità ha rilevato che la trasmissione in esame era "stata già oggetto di un atto di richiamo", circostanza che "accentuava i doveri di diligente controllo dell'emittente rispetto ad essa: conseguentemente, lo spessore della colpa ascrivibile all'azienda deve ritenersi particolarmente grave", anche in considerazione "della molteplicità delle offese riscontrate nello spettacolo"; peraltro, "il fatto di aver trasmesso dei brani registrati rappresenta una circostanza aggravante, in quanto depone per la preordinazione dell'evento lesivo".

Ritiene il Collegio che siffatta valutazione - anche alla luce di quanto più sopra già osservato, in ordine alla sussistenza di una responsabilità diretta dell'emittente - resista alle censure qui in esame, non essendo rinvenibile, nella specie, un esercizio illogico e/o sproporzionato della discrezionalità di cui l'A.G.Com. è titolare nella fissazione in concreto della sanzione tra il minimo e il massimo edittale, secondo i criteri indicati dall'art. 11 della l. n. 689 del 1981. In tale quadro di riferimento, peraltro, di particolare rilievo è la valutazione della dimensione economica e dell'importanza dell'azienda, trattandosi di un parametro che - come a più riprese affermato dalla giurisprudenza di questo TAR - risponde a due diverse finalità: da un lato, esso è volto a garantire l'effettiva efficacia deterrente della sanzione pecuniaria; dall'altro lato, esso concorre a delineare la gravità della condotta nella considerazione che la dimensione economica del destinatario della sanzione e la sua posizione nel mercato (nel caso di specie, si tratta della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo) aggravano la valenza lesiva della condotta (cfr. di recente, in tal senso, TAR Lazio, Roma, sez. I, sentt. nn. 8779 e 8905 del 2017).

4. Il ricorso, pertanto, è integralmente da respingere.

La natura della presente controversia suggerisce al Collegio un giudizio di compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione terza-ter, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Tramontano (cur.)

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