Corte di cassazione
Sezione I civile
Ordinanza 5 dicembre 2017, n. 29111

Presidente: Ambrosio - Relatore: Falabella

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 17 febbraio 2006 Carlo e Marisa P. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Bassano del Grappa la Banca Popolare di Marostica soc. coop. a r.l. esponendo: che il loro padre Giuseppe, deceduto il 23 aprile 1999, aveva intrattenuto per circa trent'anni rapporti con la banca convenuta; che avevano accertato, dopo la morte del genitore, che le ingenti somme dello stesso erano state investite in obbligazioni emesse da paesi dell'est europeo (Russia e Ucraina), ossia in valori mobiliari ad altissimo rischio speculativo; che la banca non era stata in grado di documentare il consenso di Giuseppe P. a tali operazioni; che il Tribunale di Bassano del Grappa, a definizione di una causa instaurata nei confronti della banca convenuta, aveva dichiarato la nullità, per difetto di prova scritta, dei contratti di acquisto e che su tale capo la sentenza era passata in giudicato; che in corso di causa era stato accertato che la provvista per l'acquisto delle obbligazioni russe ed ucraine era stata ottenuta con la vendita di obbligazioni del Medio Credito Lombardo del valore nominale di complessive Lire 8.966.000.000; che i contratti di vendita di tali obbligazioni dovevano ritenersi inesistenti o nulli per mancanza di forma scritta, o per difetto di consenso, o per conflitto di interessi; che avevano perciò diritto di percepire, a titolo di risarcimento, per effetto della declaratoria di nullità dei contratti in esame, una somma ragguagliata alla differenza tra il prezzo di vendita e l'importo che sarebbe stato riscosso alla scadenza naturale delle obbligazioni. Domandavano pertanto di condannarsi la banca convenuta al pagamento in loro favore della somma di Euro 357.961,37, oltre ad eventuali commissioni, agli interessi legali dalla domanda e al risarcimento del danno.

La Banca Popolare di Marostica si costituiva in giudizio contestando la domanda e rilevando che ogni questione sollevata dalle attrici doveva ritenersi coperta dal giudicato in relazione alla declaratoria di nullità degli investimenti in obbligazioni russe ed ucraine; rilevava poi che solo il contratto quadro doveva essere concluso per iscritto e chiedeva, in via subordinata, la restituzione delle somme versate alle attrici in occasione della vendita delle obbligazioni del Medio Credito Lombardo.

Il Tribunale rigettava le domande attrici.

2. Interposto gravame, la Corte di appello di Venezia, in data 7 gennaio 2013, pronunciava sentenza con cui respingeva l'impugnazione. Riteneva il giudice distrettuale che ove, come nel caso di specie, si eseguano operazioni finanziarie a catena (e cioè disinvestimenti ed investimenti in successione) ci si trovi di fronte a un unico rapporto che tale va considerato ai fini della nullità negoziale. In conseguenza, essendo intervenuta una sentenza, passata in giudicato, che aveva dichiarato la nullità dell'ultima operazione di investimento, non era più possibile porre in discussione la validità dei rapporti intermedi privi, per quanto osservato, di una loro autonomia. In particolare - secondo il giudice distrettuale - assumeva rilievo la circostanza per cui la sentenza passata in giudicato, coprendo il dedotto e il deducibile, precludeva le domande risarcitorie che traessero origine dalle singole operazioni: in presenza di un contratto complessivo unitario non erano quindi consentite azioni risarcitorie frazionate per ogni singola operazione, per cui, formatosi un giudicato sull'ultima, null'altro poteva essere richiesto alla presunta parte danneggiante.

3. La sentenza della Corte veneta è oggetto di un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. La Banca Popolare di Marostica ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Come appena accennato, i motivi di impugnazione sono quattro. Possono riassumersi come segue.

1.1. Il primo denuncia la nullità della sentenza in quanto priva di uno dei requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo. È infatti lamentato che il provvedimento impugnato mancherebbe dei motivi di diritto su cui esso si fonda, giacché la Corte di merito aveva ricondotto gli atti di investimento e disinvestimento posti in essere da Giuseppe P. nel quadro del collegamento negoziale e del contratto complesso, senza che risultasse chiaro quale dei due istituti giuridici il giudice del gravame avesse inteso applicare alla fattispecie.

1.2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 1322 c.c., con particolare riguardo alla differenza tra negozio misto e negozio complesso. In particolare, la Corte distrettuale aveva attribuito al collegamento negoziale un carattere proprio del contratto misto (fusione delle cause in modo che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e non aveva indicato chiaramente quale forma avesse caratterizzato la struttura negoziale delle operazioni di investimento e disinvestimento, attingendo ora alle connotazioni proprie del collegamento negoziale, ora alla caratterizzazione tipologica del contratto complesso.

1.3. Il terzo mezzo lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e la mancata corretta qualificazione dell'ordine di negoziazione alla stregua delle disposizioni di cui agli artt. 1362 ss. c.c. Osservano le ricorrenti che i singoli ordini di acquisto e di vendita posti in essere da Giuseppe P. risultavano indipendenti gli uni dagli altri e presentavano semmai un collegamento negoziale con il contratto quadro. Ricordano le istanti che dalla consulenza disposta nella causa riguardante l'accertamento della nullità dell'acquisto dei titoli dell'est europeo non era emersa quella concatenazione tra investimenti e disinvestimenti finanziari che era stata rimarcata dalla sentenza impugnata. Sulla base della norma di cui all'art. 1362 c.c., che impone di verificare l'intenzione dei contraenti, non poteva dunque affermarsi che il padre delle ricorrenti avesse voluto le operazioni come avvinte teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, in modo che le vicende dell'una dovessero riflettersi sulle altre.

1.4. Il quarto motivo, infine, denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e dell'art. 324 c.p.c. Dopo aver ricordato che l'oggetto del processo si estende all'intero rapporto di cui è parte o su cui si fonda la singola pretesa dedotta in giudizio, le ricorrenti rilevano che nella fattispecie le singole operazioni non potessero essere ricondotte a unità negoziale, posto che ogni singolo atto di investimento e disinvestimento risultava essere autonomo, avendo riguardo alla causa, alla struttura e alla collocazione temporale. D'altro canto, aggiungono le istanti, «il giudicato copre l'azione qual è stata concretamente esercitata sul fondamento di fatti costitutivi allegati e di tutti quei fatti che, perché convergenti nel costituire un unico diritto o il medesimo effetto giuridico, debbono intendersi implicitamente inclusi nella medesima causa petendi».

2. I quattro motivi vanno esaminati congiuntamente, presentando plurimi profili di connessione, e vanno accolti nei termini che seguono.

2.1. Deve preliminarmente disattendersi l'eccezione di inammissibilità proposta dalla banca controricorrente, la quale ha dedotto che le istanti non avrebbero provveduto alla specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui è fondato il ricorso. Va osservato, al riguardo, che la mancata specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui quali i singoli motivi si fondino può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l'esame di quell'atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (Cass., Sez. un., 5 luglio 2013, n. 16887): nella fattispecie l'indicata condizione non ricorre. Peraltro, le ricorrenti hanno puntualmente dato atto, in calce al loro atto di impugnazione, del contenuto dei fascicoli di causa della precorsa fase di merito che sono stati depositati presso la cancelleria della Corte, a norma dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., provvedendo a riprodurre, nel ricorso stesso, l'elenco numerato dei documenti ivi contenuti.

2.2. Prendendo ora in esame le censure sollevate dalle ricorrenti, occorre muovere dal rilievo per cui la Corte di appello ha inteso valorizzare lo «strettissimo nesso teleologico» esistente, a suo avviso, tra i diversi contratti di investimento e disinvestimento: ha osservato, al riguardo, che ciascun negozio «era interdipendente da quello precedente di cui era destinato a subire le ripercussioni e rifletteva analoghi effetti su quello successivo». Per definire giuridicamente tale situazione la Corte distrettuale fa alternativamente riferimento agli istituti del contratto complesso e del collegamento negoziale.

Si tratta di qualificazioni che vengono adottate avendo riguardo alla successione temporale e alla concatenazione effettuale che sarebbe possibile stabilire tra le singole operazioni di vendita e di acquisto di prodotti finanziari da parte di un unico investitore nell'ipotesi in cui costui prima ceda una parte dei titoli in proprio possesso e poi, avvalendosi della provvista acquisita attraverso tale disinvestimento, acquisti altri prodotti finanziari.

Come è noto, la qualificazione del contratto consta di due fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda, nell'inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza giuridica (tra le tante: Cass. 16 giugno 1997, n. 5387; Cass. 25 gennaio 2001, n. 1054; Cass. 3 novembre 2004, n. 21064, Cass. 12 gennaio 2006, n. 420). Mentre le operazioni ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione dell'attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss c.c.), la seconda, concernente l'inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell'applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. 12 gennaio 2006, n. 420 cit.; cfr. pure, in tema, le altre sentenze citate in precedenza).

È quindi pienamente ammissibile, in questa sede, la verifica circa la correttezza delle affermazioni formulate dalla Corte di appello circa la riconducibilità dell'insieme delle operazioni di disinvestimento (prima) e di investimento (poi) alle figure giuridiche del contratto complesso e del collegamento negoziale.

Ebbene, la sussunzione delle operazioni in esame - per come definite in ragione delle individuate correlazioni - all'interno delle suddette figure non appare conforme al diritto.

I contratti complessi sono contrassegnati dall'esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un'intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico (Cass. 12 luglio 2005, n. 14611; Cass. 28 marzo 2006, n. 7074). Affermare che i diversi negozi fossero legati da un nesso finalistico non è quindi sufficiente per affermare che i medesimi costituissero elementi di un contratto complesso, essendo a tal fine necessaria la combinazione di diversi schemi negoziali che, fondendosi in un'unica causa, diano vita a un contratto nuovo e distinto da quelli che qui vengono in questione; ciò è stato constatato, ad esempio, nella fornitura di un completo sistema computerizzato, comprensivo di software e hardware, con garanzia, per un determinato tempo, di compatibilità e funzionalità: ipotesi nella quale è stato individuato un contratto atipico e complesso, a causa mista, costituito dal concorso del contratto di vendita - del sistema - e di appalto, con riferimento alla prestazione di assistenza tecnica necessaria alla garanzia (fattispecie presa in esame da Cass. 22 marzo 1999, n. 2661, che ha qualificato per l'appunto il contratto concluso dalle parti come complesso).

D'altro canto, la nozione di contratto complesso, che è impiegata per descrivere un fenomeno di giustapposizione, nel contenuto precettivo di un negozio giuridico, di più elementi, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, rientra nel contenuto di un distinto negozio giuridico tipico o atipico, non può non risultare impropriamente richiamata a proposito dei negozi con cui sono disposte operazioni finanziarie di investimento o disinvestimento: infatti, queste ultime presentano, invariabilmente, sul piano causale, le medesime connotazioni (in cui normalmente è attribuita preminenza alla causa mandati).

Ma non sarebbe nemmeno corretto sostenere che, a prescindere dal profilo della - insussistente - combinazione degli schemi negoziali, sia dato comunque di individuare, nella fattispecie, un contratto unico, in cui refluiscano le singole operazioni di disinvestimento e investimento. Una tale conclusione contrasta con un dato che costituisce frutto dell'elaborazione giuridica e che, in ultima analisi, è consegnato dall'esperienza: quello per cui in ciascuna di tali operazioni può individuarsi un distinto atto di natura negoziale (in argomento, nella prospettiva della risolubilità per inadempimento dei negozi di investimento: Cass. 23 maggio 2017, n. 12937; Cass. 9 agosto 2016, n. 16820; Cass. 27 aprile 2016, n. 8394; Cass. 6 novembre 2014, n. 23717, non massimata).

Neppure il riferimento al collegamento negoziale può reputarsi soddisfacente. Infatti, affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass. 16 marzo 2006, n. 5851; Cass. 17 maggio 2010, n. 11974). La fattispecie dei contratti collegati postula, dunque, che, in concreto, le parti abbiano inteso preordinare, fin dall'origine, le singole operazioni finanziarie a un risultato diverso e ulteriore rispetto a quello cui i diversi negozi di investimento (e disinvestimento) erano tipicamente diretti: evenienza di cui la Corte di appello non dà conto, in quanto tace del tutto circa una ipotetica volontà della banca in tal senso.

Le operazioni di investimento e quelle di disinvestimento integrano quindi distinti negozi che, benché posti in essere in tempi più o meno ravvicinati e benché qualificati da una relazione di interdipendenza sul piano della descrizione empirica (avendo, cioè, riguardo al fatto che con i proventi della vendita di alcuni titoli si è operato l'acquisto degli altri), sono da considerare come autonomi dal punto di vista giuridico.

Non si vede, in conseguenza, per quale ragione l'azione risarcitoria promossa con riferimento all'acquisto dei titoli dell'est europeo precluda quella basata sulla nullità dei precedenti negozi di disinvestimento cui Giuseppe P. non avrebbe dato il proprio consenso.

Si tratta, infatti, di diritti di credito differenti, correlati a distinti fatti costitutivi e riconducibili, infine, come si è visto, a rapporti giuridici diversi, che traggono origine da autonomi negozi.

3. La sentenza va quindi cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Venezia, la quale dovrà conformarsi ai principi esposti.

Il giudice di rinvio regolerà pure le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

F. Bartolini, L. Alibrandi, P. Corso (curr.)

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