Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione II-ter
Sentenza 9 febbraio 2018, n. 1598

Presidente: Morabito - Estensore: Rotondo

FATTO E DIRITTO

Con il ricorso in esame, la società Alleanza Assicurazioni impugna l'ordinanza ingiunzione prot. 0151339/17 del 4 agosto 2017 con la quale IVASS le ha ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di complessivi euro 323.363,70.

La sanzione è stata irrogata a fronte di n. 57 atti di contestazione per n. 63 posizioni assicurative per la seguente violazione: art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

L'Ivass ha contestato all'impresa di avere erogato la prestazione ai beneficiari in ritardo rispetto al termine di 30 giorni stabilito dalle condizioni contrattuali e, a conclusione del contraddittorio procedimentale, ha applicato - in ragione della addotta gravità delle violazioni e previa valutazione dei ritardi effettuata sulla scorta di una griglia individuata dall'Istituto sulla base del principio di proporzionalità - la complessiva sanzione prevista dall'art. 319, comma 1, del citato decreto.

Nel gravarsi avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente deduce violazione degli artt. 183, 319 e 326 del d.lgs. n. 209 del 2005, eccesso di potere, violazione degli artt. 8 e 11 della l. n. 689 del 1981, violazione dell'art. 13 del regolamento Ivass n. 1 del 2013, violazione del principio di proporzionalità, dell'unicità della condotta e del cumulo.

Si è costituta in giudizio Ivass che, con articolata memoria difensiva depositata il 15 gennaio 2018, confuta le argomentazioni attoree e chiede il rigetto del gravame.

Parte ricorrente ha replicato alle controdeduzioni con memoria del 23 gennaio 2018 in cui richiama il documento n. 4 allegato al ricorso recante i tempi di conclusione dei procedimenti di liquidazione.

All'udienza del 31 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato.

Parte ricorrente, nell'articolare i rubricati vizi-motivi di gravame, ha spiegato le seguenti censure:

1) le clausole contrattuali non prevedono affatto l'obbligo di liquidazione entro un generico termine di "30 giorni", bensì dispongono che la prestazione debba essere erogata entro il termine di trenta giorni dalla data di ricevimento da parte della Compagnia della documentazione necessaria, "ovverossia di tutta la documentazione che le condizioni contrattuali stesse o la normativa in vigore al momento dell'elaborazione della richiesta, dispongono che debba essere acquisita affinché la Compagnia possa dare seguito alla richiesta medesima".

Rispetto a tali prescrizioni contrattuali, la Compagnia si sarebbe comportata con diligenza, correttezza e trasparenza, secondo i canoni indicati nell'art. 183 del codice delle Assicurazioni (in prosieguo, anche codice), avendo esplicitato "molto chiaramente nella documentazione contrattuale che, per ottenere la prestazione, gli assicurati (o i beneficiari) avrebbero dovuto inviare alla Compagnia una serie di documenti e fornire una serie di informazioni ... così che era certamente noto agli assicurati che la liquidazione della prestazione era subordinata al ricevimento da parte di Alleanza Assicurazioni di tutte le informazioni e documenti menzionati nel contratto, da fornirsi unitamente alla domanda di liquidazione oppure a seguito di richiesta della Compagnia".

Pertanto, conclude sul punto la ricorrente, la Compagnia non avrebbe assunto "alcun obbligo di eseguire la prestazione entro 30 giorni dal ricevimento della relativa richiesta, in mancanza di uno o più documenti richiesti (sulla base del contratto o della normativa vigente)"; sicché, nessun ritardo sarebbe ad essa imputabile e le relative sanzioni sarebbero illegittime per avere omesso di considerare, Ivass, la circostanza "che non fosse pervenuta alla Compagnia tutta la documentazione necessaria alla erogazione della prestazione";

2) le regole ermeneutiche in tema di sanzioni amministrative, così come desumibile dall'art. 1 della l. n. 689/1981 e dall'art. 25 della Costituzione, "impongono che l'irrogazione di sanzioni pecuniarie possa avvenire solamente a fronte di violazione di specifici obblighi chiaramente predeterminati". Sennonché, il precetto di cui Ivass vorrebbe sanzionare la violazione (art. 183 citato) "è privo di quelle caratteristiche di determinatezza che consentono di ritenere rispettato il principio di tassatività della fattispecie contenuta nella riserva assoluta di legge in materia penale ... pacificamente applicabile anche alle sanzioni amministrative", da cui la violazione anche del principio di legalità;

3) il riferimento di Ivass all'art. 183, primo comma, lett. a), del codice è erroneo in quanto l'unica norma che sarebbe applicabile nella fattispecie è quella successiva di cui all'art. 183, primo comma, lett. d), nella parte in cui impone alle imprese di "adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati": ciò che la Compagnia avrebbe fatto adottando una serie di misure a favore degli assicurati mediante l'approntamento di una serie di tutele procedimentali;

4) in via subordinata, l'ordinanza sarebbe infine illegittima sotto il profilo: a) della (in)determinatezza della sanzione, che risulterebbe assolutamente abnorme; b) della sua incoerenza rispetto al sistema sanzionatorio, siccome basata sul presupposto di una pluralità delle violazioni, in luogo della unicità della condotta che ha provocato gli asseriti ritardi, ciò che avrebbe dovuto ricondurre la fattispecie alla unicità dell'illecito contestato; c) della erronea interpretazione della ratio sottesa all'art. 183, funzionale non già a perseguire la singola violazione di una disposizione contrattuale bensì, piuttosto, "un comportamento generale" della Compagnia, sicché l'estensione della portata sanzionatoria dell'art. 183, propugnata da Ivass, renderebbe la disposizione normativa, in combinato disposto con l'art. 319 dello stesso codice, costituzionalmente illegittima; d) della violazione del principio di proporzionalità, laddove sono state irrogate sanzioni di importo di gran lunga superiore alla somma netta oggetto di liquidazione.

Prima di procedere allo scrutinio delle censure, il Collegio reputa opportuno ricordare il testo normativo delle disposizioni recate dal codice (approvato con d.lgs. n. 209/2005).

Recita l'art. 183: "1. Nell'offerta e nell'esecuzione dei contratti le imprese e gli intermediari devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati; b) acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in modo che siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da identificare ed evitare conflitti di interesse ove ciò sia ragionevolmente possibile e, in situazioni di conflitto, agire in modo da consentire agli assicurati la necessaria trasparenza sui possibili effetti sfavorevoli e comunque gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino loro pregiudizio; d) realizzare una gestione finanziaria indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati. 2. L'IVASS adotta, con regolamento, specifiche disposizioni relative alla determinazione delle regole di comportamento da osservare nei rapporti con i contraenti, in modo che l'attività si svolga con correttezza e con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze dei singoli. 3. L'IVASS tiene conto, nel regolamento, delle differenti esigenze di protezione dei contraenti e degli assicurati, nonché della natura dei rischi e delle obbligazioni assunte dall'impresa, individua le categorie di soggetti che non necessitano in tutto o in parte della protezione riservata alla clientela non qualificata e determina modalità, limiti e condizioni di applicazione delle medesime disposizioni nell'offerta e nell'esecuzione dei contratti di assicurazione dei rami danni, tenendo in considerazione le particolari caratteristiche delle varie tipologie di rischio".

Stabilisce il successivo art. 319, comma 1: "1. L'inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 183 o delle relative norme di attuazione quando la commercializzazione riguarda prodotti assicurativi di cui all'articolo 2, comma 1, ad eccezione del ramo VI, o all'articolo 2, comma 3, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemila ad euro ventimila".

Parte ricorrente sostiene (primo ordine di censure che il Collegio reputa di dover trattare) che l'irrogazione delle sanzioni amministrative possa avvenire soltanto a fronte della violazione di specifici obblighi chiaramente predeterminati, giusta applicazione dell'art. 1 l. n. 689 del 1981 e del pedissequo principio di legalità.

Nella fattispecie, afferma la società istante, l'art. 183, comma 1, lett. a), sarebbe privo di quelle caratteristiche di determinatezza sicché, in assenza di una regolamentazione di dettaglio delle fattispecie inveranti comportamenti disciplinarmente tipizzati, evocata dallo stesso art. 183, mancherebbero i presupposti stessi per far luogo alla disposizione in commento, la cui applicazione si risolverebbe pertanto in una illegittima duplicazione di sanzioni aggiungendosi sine causa agli interessi legali (sulle somme liquidate) già liquidati dalla Compagnia in favore degli assicurati.

La censura non è persuasiva.

L'art. 1 della l. 689 del 1981 è titolato Principio di Legalità. Il Legislatore, nei soli due commi che lo costituiscono, è riuscito a delineare le regole fondamentali sia dell'illecito amministrativo depenalizzato che di quello ad esso assimilato dalla stessa legge depenalizzatrice (v. art. 12 della legge).

Orbene, l'art. 1 citato, ratificando il principio secondo il quale "nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commessa violazione", consacra la cosiddetta riserva di legge, ormai dalla dottrina dominante definita di rango costituzionale.

Dalla sua lettura è dato cogliere, come tra l'altro in tutta la sezione prima del capo primo della legge depenalizzatrice, l'ispirazione penalistica tenuta dal legislatore nella sua stesura (id est, principio di legalità fissato dall'art. 1 c.p.). Sussiste, pertanto, una evidente simmetria tra i due articoli sopraccitati e l'art. 25 della Costituzione (il primo comma dell'art. 1 della l. 689/1981, ricalca fedelmente il secondo comma dell'art. 25 della Carta costituzionale.

Rilevato ciò, non è possibile tuttavia non evidenziare il fatto che l'art. 1 della legge depenalizzatrice riposi anche sulle garanzie assicurate dai due successivi articoli della Costituzione, gli art. 23 e 97, nei quali è prevista una forma di riserva di legge rispettivamente riferita alle prestazioni personali o patrimoniali ed alle sanzioni disciplinari.

Il principio della riserva di legge sancisce il criterio secondo il quale l'illecito amministrativo può essere sanzionato esclusivamente ad opera di una legge formale cioè individuabile solo tra fonti normative primarie, come sono le leggi statali e, regionali nonché i decreti legislativi ed i decreti legge in quanto fonti aventi forza di legge, prevedendo quindi l'esclusione di irrogazioni sanzionatorie derivanti da fonti subprimarie o regolamentari.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che l'art. 183, comma 1, lett. a), del codice contempli una regola di condotta sufficientemente delineata, chiara e comprensibile laddove impone alle imprese di assicurazioni di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati". Si tratta, infatti, di clausole generali cui si devono uniformare gli operatori del settore, che corrispondono ad altrettanti canoni positivizzati anche in altri rami dell'ordinamento giuridico (diritto civile), il cui contenuto può anche essere eterointegrato mediante rinvio a norme extragiuridiche o accordi tra le parti.

Ciò è coerente con il principio di legalità espresso dall'art. 1 della legge depenalizzatrice che fissa, i fatti, i seguenti tre punti fermi: l'esigenza di una esplicita previsione di legge (la riserva di legge di cui sopra) con divieto assoluto dell'applicazione dell'analogia; l'anteriorità dalla previsione legislativa rispetto alla condotta sanzionabile; l'irretroattività e la non ultrattività della disposizione censuratrice, senza richiedere una specifica tipizzazione dell'illecito così come previsto nell'ambito penale.

Non è dubbio che l'Autorità di Vigilanza possa anche adottare (art. 183, comma 2, del codice) disposizioni specifiche per la disciplina delle regole di comportamento che le imprese devono osservare nei rapporti con l'utenza, questo laddove l'istituto dovesse ritenere necessario o opportuno calibrare più analiticamente le regole comportamentali e tanto (art. 183, comma 3, del codice) tenuto conto "delle differenti esigenze di protezione dei contraenti e degli assicurati, nonché della natura dei rischi e delle obbligazioni assunte dall'impresa" individuando nel regolamento "le categorie di soggetti che non necessitano in tutto o in parte della protezione riservata alla clientela non qualificata" e determinando "modalità, limiti e condizioni di applicazione delle medesime disposizioni nell'offerta e nell'esecuzione dei contratti di assicurazione dei rami danni, tenendo in considerazione le particolari caratteristiche delle varie tipologie di rischio".

Sennonché, il Collegio ritiene che, nella particolare fattispecie in esame, siffatte circostanze non ricorressero a cagione di uno circostanziato, chiaro ed inequivoco obbligo contrattuale assunto dalla Compagnia nella fase esecutiva del rapporto, meglio articolato nell'art. 15 della polizza assicurativa sottoscritta tra le parti, con il quale la società istante si è data la regola di condotta del caso specifico, attualizzando e concretizzando nel singolo rapporto i generali canoni di "diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati".

In altri termini, la previsione di un preciso standard di condotta (conclusione del procedimento entro trenta giorni) costituisce, ad avviso del collegio, regola eterointegrativa dei canoni indicati nell'art. 183 del codice, senza necessità di integrazioni regolamentari volte a specificarne ulteriormente la condotta.

Parte ricorrente sostiene, altresì, che l'ordinanza impugnata darebbe corpo ad una inammissibile duplicazione di sanzioni, affiancandosi a quella privatistica consistente nell'applicazione degli interessi legali sulle somme liquidate in ritardo.

Anche questa censura non è persuasiva.

Gli interessi legali calcolato ed applicati dalla Compagnia rappresentano il giusto ristoro per il ritardo nella liquidazione della prestazione pecuniaria e trovano fonte nella natura privatistica del rapporto negoziale, nei sensi e termini regolati dal codice civile.

La sanzione amministrativa per cui si discetta trova fonte, invece, nella necessità per l'ordinamento di settore di approntare rimedi a tutela dell'interesse generale e pubblicistico sotteso alla delicata materia su cui vigila la competente Autorità, di cui è espressione anche la tutela dei consumatori. La necessità di fornire una adeguata protezione degli assicurati costituisce, infatti, obiettivo primario della vigilanza (nazionale ed europea) che si persegue assicurando il controllo sulla sana e prudente gestione delle aziende, funzionale alla stabilità del sistema e dei mercati.

Ne consegue che, l'osservanza degli impegni assunti contrattualmente da parte della Compagnia per un verso costituisce un doveroso adempimento negoziale, rilevante inter partes ai sensi dell'art. 1218 c.c., in relazione agli artt. 1175, 1176 e 1375 stesso codice, per i quali operano i noti rimedi risarcitori; per l'altro, un dovere comportamentale di natura pubblicistica dal contenuto prescrittivo ben preciso e determinato, il cui mancato rispetto invera i presupposti dell'art. 183, primo comma, del d.lgs. n. 209 del 2005.

Fattispecie, dunque, ontologicamente e funzionalmente differenti, sorrette da ratio diverse, accumunate dal solo presupposto di una medesima regola di condotta sufficientemente chiara, precisa e determinata la cui violazione genera rimedi ordinamentali non sovrapponibili siccome posti a tutela di interessi di natura e consistenza diversi.

Parte ricorrente ha censurato, altresì, l'ordinanza di Ivass sul presupposto che, a suo dire, non si sarebbe consumato alcun superamento dei termini nella liquidazione delle prestazioni. A tal fine, essa, per supportare la propria tesi, ha prodotto il documento n. 4 allegato al ricorso in cui indica, servendosi di un quadro sinottico, per ogni posizione la data di ricezione dell'ultimo documento e quella di liquidazione della prestazione all'assicurato o beneficiario. Nel documento si legge, in corrispondenza delle singole posizioni, che per alcune pratiche non ci sarebbe stato alcun ritardo, per altre il ritardo sarebbe stato minimo, da cui la censura in ricorso per violazione del principio di proporzionalità in ragione dell'illogico rapporto tra misura sanzionatoria applicata e ritardo contestato.

Anche queste censure non sono convincenti.

In primo luogo, il Collegio osserva che il documento n. 4 cui fa riferimento la Compagnia prende in esame soltanto 14 posizioni assicurative, nel mentre la questione controversa riguarda ben 63 posizioni e 57 atti di contestazione.

Ragion per cui, residuano ben 49 posizioni assicurative per le quali nessun elemento è stato allegato dalla ricorrente a comprova di un eventuale deficit istruttoria, per le quali, pertanto, deve darsi per acclarato il contestato ritardo quale fonte di responsabilità.

Tuttavia, anche per quanto riguarda le 14 posizioni enucleate dalla società istante il Collegio ritiene i rilievi censori non suscettivi di positivo apprezzamento.

Ivass ha confutato le risultanze tabellari, indicate solo sommariamente dalla Compagnia (v. allegato 4 al ricorso), evidenziandone l'apoditticità; rilievo quest'ultimo che ha trovato riscontro in atti del giudizio, laddove il quadro sinottico offerto dalla ricorrente non è suffragato da alcun elemento di fatto offerto a comprova di quanto nello stesso tautologicamente riportato ed ancor prima esposto in sede procedimentale; nel mentre, esse risultanze sono state confutate da Ivass con riguardo ad ognuna delle 14 posizioni. L'Istituto ha chiarito come le date indicate nel citato documento n. 4 risultassero, in realtà, o non dichiarate o non documentate in sede istruttoria: omissioni non confutate dalla ricorrente.

Nella memoria di replica, la società istante ha sostenuto, per vero, di avere fornito per le posizioni sub n. 43 le informazioni necessarie con lettera del 31 ottobre 2016 (il cui testo è stato riprodotto all'interno della memoria medesima).

La tesi non è persuasiva.

Nella citata lettera del 31 ottobre, indirizzata ad Ivass, la società ha riconosciuto il ritardo nell'invio delle comunicazioni da parte della Struttura liquidativa dichiarando che è dipeso da un mero ritardo operativo nella gestione della pratica.

Ne consegue, che le censure in esame s'appalesano in parte generiche, ovvero non assistite da un minimo principio di prova, in parte infondate.

Parte ricorrente ha anche sostenuto che trovano applicazione al procedimento disciplinare de quo le medesime garanzie operanti in sede di giudizio penale circa la possibilità di integrare, nel giudizio amministrativo, la documentazione omessa in sede procedimentale.

Il Collegio non condivide l'assunto attoreo.

Ivass lamenta la mancata produzione in sede procedimentali di taluni documenti che parte ricorrente ha prodotto successivamente e che a suo dire avrebbero potuto sortire un diverso esito procedimentale.

Ebbene, ferme le considerazioni appena sopra svolte nel merito della documentazione medesima, il Collegio osserva che l'omessa produzione nel procedimento amministrativo di documenti presenti nella sfera di disponibilità dell'incolpato si traduce per un verso, in un vulnus al principio di (reciproca) leale collaborazione; per l'altro, in una condotta le cui conseguenze non possono che essere imputate a chi dell'omissione, consapevole ed ingiustificata, si è reso colpevole.

Sotto questo profilo, il provvedimento non può che essere scrutinato sulla base delle obiettive risultanze istruttorie.

In altri termini, se è possibile per l'incolpato addurre nuovi elementi di prova alla luce di fatti o atti sopravvenuti al procedimento o successivamente scoperti e comunque meglio supportare o argomentare sui mezzi di prova, non è altrettanto consentito, in ossequio ai principi sopra indicati e tenuto conto delle caratteristiche di concentrazione del procedimento disciplinare, integrare in via postuma il procedimento medesimo con l'esibizione produzione di documenti di cui l'incolpato aveva consapevolmente deciso di non avvalersi.

La circostanza, se ammessa, si tradurrebbe in una inammissibile riapertura, nel giudizio amministrativo, dell'istruttoria procedimentale assistita da connotati di discrezionalità tecnica, con l'effetto di degradare il processo ad una sua mera appendice.

La società istante ha, infine, dedotto in via subordinata violazione del principio di determinatezza della sanzione, proporzionalità e unicità di condotta (c.d. cumulo).

In ordine al principio di determinatezza, il Collegio richiama quanto sopra illustrato a motivo di rigetto del primo ordine di censure.

Per quanto riguarda il vulnus asseritamente arrecato al principio di proporzionalità, il Collegio ritiene che sia immune da vizi di logicità e ragionevolezza la parametrazione della sanzione al numero dei giorni di ritardo, secondo una griglia predeterminata dall'Istituto tra un minimo ed un massimo per ogni scaglione, in grado di misurare in termini di oggettività e certezza la gravità dell'illecito rispetto all'entità temporale del ritardo nell'adempimento dell'obbligo.

Lo scopo della sanzione della sanzione, meglio della vigilanza, è infatti quello di assicurare una adeguata protezione degli assicurati: il bene primario perseguito, attraverso questa finalità di tutela, è la stabilità del sistema, la sua credibilità per la tenuta dei mercati finanziari.

Ne consegue che, come rilevato anche dall'attenta difesa resistente, la correttezza dei comportamenti dell'impresa verso i propri clienti non è posta in rapporto proporzionale con la misura del ritardo e/o il rilievo economico delle prestazioni dovute agli assicurati, né in rapporto di causalità con gli interessi legali corrisposti dalla Compagnia sulle prestazioni economiche erogate in ritardo; sicché, la parametrazione delle sanzioni operata da Ivass, secondo il criterio logico, oggettivo e predeterminato sopra indicato (concretatosi in un ammontare pari circa a un quarto del massimo edittale: art. 319, comma 1, del codice) rientra nell'ambito di un congruente, dunque insindacabile giudizio di proporzionalità avuto riguardo allo scopo pubblicistico perseguito dalla norma rispetto alla gravità delle violazioni contestate.

Quanto alla dedotta violazione del cumulo delle sanzioni (Ivass avrebbe dovuto considerare le plurime condotte come un unico comportamento generale, con applicazione di una sola sanzione), il Collegio osserva che la fattispecie che ha dato origine all'ordinanza ingiuntiva è connotata dalla presenza di singoli episodi violativi, ciascuno temporalmente identificabile e sganciato dall'altro, tra loro di differente contenuto, caratteristiche, parti ed entità patrimoniale, in grado di disvelare un'azione caratterizzata da elementi di spiccata autonomia fattuale e giuridica; episodi, dunque, separatamente e autonomamente rilevanti ex art. 183 del codice, in quanto riferiti a singoli fatti o atti di inosservanza della fonte normativa (art. 319, comma 1, del codice) dotati ognuno di una propria identità strutturale e capacità offensiva.

Le argomentazioni appena sopra sviluppate, a rigetto delle cesure dedotte in via subordinata dall'impresa, rendono manifestamente infondata l'eccepita questione di costituzionalità degli artt. 183 e 319 c.p.a. nei sensi propugnati dalla ricorrente.

In conclusione, il ricorso in esame, per quanto sin qui argomentato, è infondato e va, pertanto, respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società Alleanza Assicurazioni al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.