Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione II
Sentenza 27 febbraio 2018, n. 270

Presidente: Testori - Estensore: Limongelli

FATTO E DIRITTO

1. Con istanza del 23 giugno 2015, le signore Edda M. e Lucia N., proprietarie di un terreno agricolo nel Comune di Pinerolo in zona "agro-industriale ED6.1", dov'era un tempo insediata un'azienda florovivaistica dismessa da circa un decennio, chiedevano all'amministrazione comunale il rilascio del permesso di costruire "in deroga al vigente PRGC" di cui all'art. 5, comma 9, del d.l. c.d. "Sviluppo" n. 70 del 2011 (convertito in l. n. 106 del 2011) e alla circolare applicativa della Regione Piemonte n. 7/UOL, per la realizzazione di cinque villette residenziali per un totale di 20 unità abitative, con rimozione delle serre florovivaistiche e contestuale modificazione della destinazione d'uso da "aree per attività produttiva di tipologia agro-industriale" a "residenziale", con utilizzo della prevista premialità del 10% di aumento della SUL.

2. Il Comune istruiva l'istanza in conferenza dei servizi, richiedendo plurime integrazioni documentali e pervenendo, in una prima fase, alla predisposizione da parte degli uffici tecnici di una bozza di deliberazione consiliare favorevole all'accoglimento della domanda.

3. Tuttavia, forse anche in conseguenza del mutamento intervenuto nella rappresentanza politica dell'amministrazione a seguito delle elezioni amministrative del giugno 2016, la bozza di delibera era oggetto di un successivo riesame e di riscrittura da parte degli uffici tecnici e perveniva infine all'esame del consiglio comunale nella seduta del 20 dicembre 2016, in occasione della quale il consiglio comunale, con deliberazione n. 71/2016, esprimeva parere negativo all'accoglimento dell'istanza, con articolata motivazione.

In particolare, il consiglio:

- non riteneva sussistente il presupposto del "degrado" dell'area oggetto del progetto di riqualificazione, argomentando dal fatto che le serre, oltre a non essere percepibili dalla strada pubblica, non presentavano evidenti segni di degrado, e che, per contro, il progetto presentato dalle interessate avrebbe comportato la sostituzione di un'ampia area a verde con alcuni fabbricati residenziali;

- non riteneva che il progetto fosse coerente con le linee politiche della (nuova) amministrazione, dirette a perseguire una riduzione del consumo del suolo, con particolare riferimento alle aree agricole; evidenziava, al riguardo, che il mutamento di destinazione d'uso da "attività produttive agro-industriali" a "residenziale", sebbene potesse essere considerato un completamento del tessuto edilizio circostante, non avrebbe aumentato le percentuali di verde nella zona, né il progetto edificatorio conteneva indicazioni esaustive su come sarebbe stata migliorata la qualità del tessuto edilizio;

- rilevava che l'intervento edilizio sarebbe stato realizzato in un'area a vocazione agricola residuale, ricadendo pertanto parzialmente nelle cause di esclusione indicate nella circolare regionale 7/UOL, la quale prevede che resti esclusa l'applicabilità del "permesso in deroga" ex d.l. 70 del 2011 nelle aree libere e in quelle a destinazione agricola;

- rilevava che il permesso in deroga alle norme di PRGC costituisce una eccezione ai principi, e come tale è assentibile solo per i casi in cui risulti evidente il beneficio derivante alla collettività dall'intervento edilizio, presupposto non ritenuto esistente nel caso di specie;

- osservava che nel caso di specie l'intervento edilizio di riqualificazione non sarebbe stato realizzato sullo stesso terreno sul quale esistono attualmente le serre, ma su un'area adiacente, sulla quale non esistono fabbricati, in contrasto con quanto precisato nella nota assessorile della Regione Piemonte in data 16 ottobre 2014, dov'è precisato che "i nuovi edifici e i servizi relativi debbano insistere sulle aree oggetto di riqualificazione";

- infine, rilevava che il progetto non superava la presenza di funzioni eterogenee e di tessuti edilizi disorganici, in quanto sul fronte prospiciente di via Carutti non sarebbero state eliminate tutte le serre presenti.

4. Alla delibera consiliare faceva seguito la nota del 16 gennaio 2017 con cui il dirigente del SUE comunicava alle interessate il preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 241 del 1990 e s.m.i.

5. Le interessate presentavano osservazioni nel termine assegnato, che erano però confutate dallo stesso dirigente del SUE con il successivo provvedimento del 9 marzo 2017, con cui l'istanza era definitivamente respinta.

6. Con ricorso notificato il 6-11 maggio 2017 e ritualmente depositato, le proponenti hanno impugnato i provvedimenti da ultimo citati (delibera consiliare, preavviso di diniego e diniego del permesso di costruire in deroga), e ne hanno chiesto l'annullamento, previa sospensione, sulla base di plurimi vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.

7. Il Comune di Pinerolo si è costituito in giudizio depositando documentazione e memoria difensiva, eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione della deliberazione consiliare n. 71 del 20 dicembre 2017 (che le stesse ricorrenti hanno dichiarato di avere conosciuto in data 10 gennaio 2017), e in subordine, nel merito, contestando la fondatezza del ricorso con articolate deduzioni.

8. Con ordinanza n. 242/2017 del 15 giugno 2017, la Sezione ha respinto la domanda cautelare, non ritenendo ad un primo esame la sussistenza di profili di fumus boni iuris.

9. Con successiva ordinanza n. 3896/2017 del 15 settembre 2017, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha accolto l'appello cautelare delle ricorrenti "ai soli fini della sollecita fissazione dell'udienza dinanzi al TAR", ritenendo che "le questioni poste con l'appello necessitano di approfondimento nella sede propria del merito".

10. È stata quindi fissata l'udienza di merito dinanzi a questo TAR, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie conclusive (la sola difesa del Comune) e di replica (entrambe).

11. All'udienza pubblica del 31 gennaio 2018, dopo la discussione orale dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta dal collegio per la decisione.

Ciò posto, il collegio osserva quanto segue.

12. L'eccezione preliminare formulata dalla difesa dell'amministrazione è infondata. Nello speciale procedimento amministrativo finalizzato al rilascio di un permesso di costruire in deroga al PRGC, così come delineato dal combinato disposto degli artt. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011 e 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, il parere del consiglio comunale è atto meramente endoprocedimentale, e come tale impugnabile unitamente al provvedimento conclusivo, costituito dalla determinazione dirigenziale di rilascio o - come nel caso di specie - di diniego del permesso di costruire; e benché si tratti di un parere obbligatorio e vincolante, e quindi idoneo, ove negativo, a determinare un arresto procedimentale e quindi una lesione immediata della sfera giuridica dell'interessato, ciò, tuttavia, può comportare esclusivamente la facoltà per quest'ultimo di impugnarlo direttamente senza attendere il provvedimento conclusivo, ma non certamente l'obbligo di farlo a pena di decadenza, al punto di precludergli la successiva impugnazione congiunta del diniego conclusivo e del presupposto parere consiliare, secondo principi generali. Tanto più che nel caso di specie al parere del consiglio comunale ha fatto seguito un'ulteriore fase procedimentale con la comunicazione alle proponenti del preavviso di diniego da parte del responsabile del procedimento, l'acquisizione delle osservazioni presentate da queste ultime, e infine, il diniego conclusivo del dirigente del Settore Urbanistica contenente una articolata confutazione delle deduzioni delle interessate.

L'eccezione va quindi respinta.

13. Nel merito, peraltro, il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti.

13.1. Con il primo motivo, le ricorrenti hanno dedotto l'intervenuta formazione del silenzio-assenso sulla propria istanza del 23 giugno 2015, ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo decorsi quasi ventuno mesi tra la data di presentazione della domanda e il provvedimento conclusivo di diniego, più del triplo di quello massimo di 180 giorni previsto dalla norma citata; né il predetto termine sarebbe stato interrotto dalle plurime richieste di integrazione documentale dell'amministrazione, dal momento che ciò sarebbe potuto avvenire una volta soltanto nel corso dell'intero procedimento amministrativo; secondo le ricorrenti, l'istituto del silenzio-assenso sarebbe inapplicabile soltanto nei casi in cui il sito oggetto del progetto edificatorio sia assoggettato a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, nel caso di specie insussistenti.

La censura, osserva il collegio, non può essere condivisa.

Secondo noti principi, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula, non soltanto l'avvenuta presentazione dell'istanza e il decorso del termine di conclusione del procedimento normativamente previsto, ma pure che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti previsti per il suo accoglimento, e, in particolare, che essa sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti (da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 3 gennaio 2018, n. 12).

Da tale principio consegue che l'operatività dell'istituto del silenzio-assenso nella materia edilizia deve ritenersi confinata all'ipotesi in cui la richiesta del privato abbia ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire "ordinario", in relazione al quale l'amministrazione si limita a verificare la conformità del progetto edilizio alla normativa di settore e alla strumentazione urbanistica vigente, attraverso un'attività sostanzialmente vincolata nei propri contenuti, avendo l'amministrazione già esaurito la propria discrezionalità in sede pianificatoria, all'atto di redigere lo strumento urbanistico.

Per contro, l'istituto del silenzio-assenso di cui all'art. 20 del Testo Unico dell'Edilizia non è applicabile alla diversa fattispecie della richiesta di rilascio di un permesso di costruire "in deroga al vigente PRGC" di cui all'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011, dal momento che in tal caso l'amministrazione, lungi dal limitarsi a verificare la mera conformità del progetto edilizio allo strumento urbanistico vigente, è tenuta a valutare, innovativamente e con amplissima discrezionalità, se sussistano i presupposti di interesse pubblico per modificare lo strumento urbanistico vigente; il che, tra l'altro, giustifica e impone l'intervento in seno al procedimento amministrativo dell'organo consiliare, al quale soltanto competono le scelte di carattere pianificatorio e programmatorio in seno all'amministrazione comunale.

Pertanto, nel caso di istanze di privati preordinate al rilascio di un permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico di cui all'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011 (convertito in l. n. 106 del 2011), l'istituto del silenzio-assenso non è applicabile perché, se così non fosse, verrebbe pretermessa la necessaria valutazione degli interessi pubblici coinvolti nella pianificazione urbanistica (in tal senso, su fattispecie analoghe, C.d.S., sez. IV, 26 luglio 2017, n. 3680; TAR Pescara, sez. I, 11 dicembre 2017, n. 352).

Né ha pregio l'argomento sviluppato - per la prima volta, peraltro - dalla difesa di parte ricorrente nella memoria conclusiva depositata in prossimità dell'udienza di merito, secondo cui a seguito della l. n. 125 del 2015 (cosiddetta Legge "Madia") non vi sarebbe più una diretta correlazione tra silenzio-assenso e carattere vincolato dei provvedimenti amministrativi in materia edilizia, dal momento che la novella legislativa avrebbe esteso l'applicabilità dell'istituto a tutti i provvedimenti di carattere tecnico discrezionale, salvo il caso in cui sussistano vincoli a tutela di interessi pubblici sensibili, nel caso di specie insussistenti. L'argomento, osserva il collegio, è infondato dal momento che la novella legislativa di cui alla l. n. 125 del 2015, pur avendo ampliato l'applicabilità dell'istituto della SCIA e del silenzio-assenso in materia edilizia, ha disciplinato unicamente il procedimento generale di rilascio dei titoli edilizi "ordinari", riferiti a progetti conformi alla strumentazione urbanistica vigente, laddove nel caso dei permessi di costruire "in deroga" alla vigente strumentazione urbanistica l'amministrazione è chiamata a svolgere valutazioni innovative di carattere latamente politico in ordine all'opportunità, o meno, di modificare la pianificazione urbanistica nella prospettiva di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente e di riqualificare aree urbane degradate: valutazioni connotate da amplissima discrezionalità e che nessuna norma consente di pretermettere sul solo presupposto del tempo trascorso dalla data di presentazione dell'istanza del privato.

D'altra parte, il parere del consiglio comunale previsto dall'art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2011 (norma richiamata dall'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011) non è soggetto a termini predeterminati, considerata l'ampiezza delle valutazioni di merito affidate all'organo consiliare, così come non è soggetto a termini predeterminati il procedimento di adozione e di approvazione dello strumento urbanistico generale e delle sue successive varianti.

Sul punto la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi nella sentenza n. 286 del 27 febbraio 2017, osservando che "né l'art. 5 del d.l. n. 70/2011 né l'art. 14 del d.P.R. n. 380/2001 stabiliscono il termine entro cui il consiglio comunale deve provvedere a rendere il parere di sua competenza, il quale costituisce non l'atto conclusivo ma un atto interno, benché essenziale, del procedimento amministrativo delineato dalle predette due norme (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 29 gennaio 2016, n. 91). Considerata la peculiarità e l'oggettiva complessità delle valutazioni demandate al consiglio comunale nella fattispecie procedimentale di cui si discute, valutazioni che assumono un carattere pianificatorio nella misura in cui possono determinare deroghe più o meno estese alla vigente strumentazione urbanistica, ritiene il collegio che non sia ragionevolmente applicabile a tale fase procedimentale né il termine speciale di 90 giorni previsto dal d.P.R. n. 380/2001 per il rilascio del permesso di costruire, né quello residuale di 30 giorni previsto dalla disciplina generale del procedimento amministrativo (art. 2 l. 241/90)".

In tale contesto, eventuali ritardi o inerzie ingiustificate dell'amministrazione restano azionabili dall'interessato attraverso lo strumento processuale di cui all'art. 117 c.p.a., che consente al giudice di valutare la fattispecie sottoposta al suo esame secondo canoni di equità e di proporzionalità, tenendo conto da un lato della complessità delle valutazioni demandate all'organo consiliare e dall'altro dei doveri di correttezza e di buona amministrazione che incombono sulla parte pubblica, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione.

Nel caso di specie, il parere sfavorevole del consiglio comunale è stato formulato a distanza di circa un anno e mezzo dalla presentazione dell'istanza delle proponenti: termine durante il quale non sembra al collegio che l'amministrazione abbia mantenuto un atteggiamento inerte, tenuto conto delle ripetute richieste di integrazioni documentali intervenute in conferenza dei servizi, della complessità delle valutazioni demandate al consiglio, e, infine, del mutamento intercorso nella rappresentanza politica dell'amministrazione a seguito delle elezioni amministrative del giugno 2016.

Alla luce di tali considerazioni, la censura in esame va quindi disattesa.

13.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto l'illegittimità della delibera consiliare per aver qualificato l'intervento come "nuova costruzione" invece che come "ristrutturazione edilizia", sul presupposto che l'intervento comporterebbe un incremento di volumetria, incompatibile con la nozione di ristrutturazione; in realtà, secondo le ricorrenti, tale condizione sarebbe soddisfatta, come peraltro riconosciuto dallo stesso Ufficio tecnico comunale nella prima bozza di deliberazione (mai sottoposta all'esame del consiglio) nella quale si affermava che l'intervento porterebbe "ad una riduzione della superficie coperta"; secondo le ricorrenti la delibera impugnata non spiegherebbe come sia possibile che da una minore superficie coperta possa derivare un aumento di volumetria.

La censura, osserva il collegio, non è di agevole comprensione perché fa riferimento, senza chiarirne adeguatamente i presupposti, ad un passaggio della deliberazione consiliare (pag. 7, ultimi due capoversi) in cui l'amministrazione replica ad alcune argomentazioni contenute in un "parere legale", non meglio precisato, prodotto dalle proponenti in sede procedimentale ma non allegato agli atti del giudizio né richiamato nel ricorso, e del quale, pertanto, non è possibile ricostruire il contenuto.

In ogni caso, nei termini in cui è stata formulata, la censura è quasi paradossale: le ricorrenti pretenderebbero di derubricare a "ristrutturazione edilizia" - anche se non è ben chiaro a quali fini - la sostituzione di alcune serre con cinque villette residenziali per circa 20 unità abitative, con modifica non solo della destinazione d'uso, ma pure del vigente PRGC, con aumento esponenziale del carico urbanistico.

Peraltro, come giustamente osservato e documentato dalla difesa del Comune, l'intervento non porterebbe affatto ad una riduzione della superficie coperta, che anzi aumenterebbe dagli attuali mq 1.266,75 a mq 1.338,99, con conseguente aumento della volumetria (doc. 4 pag. 6 Comune), e lo stesso inciso contenuto nella prima bozza di deliberazione consiliare, secondo cui l'intervento avrebbe comportato "una riduzione della superficie coperta sull'area, nonostante la premialità richiesta", non intendeva escludere che l'intervento comportasse un aumento dei parametri edilizi complessivi rispetto a quelli esistenti, ma solo significare che l'intervento avrebbe sviluppato una SUL complessiva inferiore a quella astrattamente realizzabile con la premialità del 10%.

La censura va quindi disattesa.

13.3. Con il terzo motivo, le ricorrenti hanno dedotto vizi di eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di motivazione e sviamento di potere: la decisione del consiglio comunale di ribaltare completamente le articolate considerazioni formulate dagli uffici tecnici dell'amministrazione nella prima bozza di delibera consiliare, favorevole all'istanza, non sarebbe stata in alcun modo motivata e sarebbe dipesa unicamente dalla volontà politica del nuovo assessore e dei consiglieri di maggioranza di disapplicare la l. n. 106 del 2011 nel Comune di Pinerolo; la nuova delibera consiliare sarebbe dipesa unicamente dall'indirizzo politico-ideologico della nuova amministrazione, pregiudizialmente contrario all'intervento edilizio.

Anche tale censura, osserva il collegio, non può essere condivisa.

La giurisprudenza è concorde nell'affermare che il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del consiglio comunale (TAR Napoli, sez. VII, 22 giugno 2016, n. 3180; TAR Catania, sez. II, 15 dicembre 2015, n. 2890); in tale procedimento il consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo, che assume peraltro rilievo pubblicistico nella misura in cui è volto a razionalizzare o a riqualificare aree urbane degradate (TAR Torino, sez. II, 29 gennaio 2016, n. 91); la decisione che ne scaturisce è espressione di discrezionalità molto lata sulla quale il sindacato del giudice deve mantenersi esterno e limitato a vizi sintomatici manifesti, quali l'illogicità o il travisamento del fatto, e non sostitutivo di valutazioni ontologicamente opinabili (TAR Pescara, sez. I, 11 dicembre 2017, n. 351).

Nel caso di specie, la deliberazione consiliare impugnata è stata affidata ad una motivazione articolata e diffusa, che non appare intaccata da percepibili profili di illogicità, irragionevolezza o travisamento del fatto; e se pure è vero che la prima bozza di deliberazione predisposta dagli uffici tecnici comunali era favorevole all'istanza, ciò non toglie tuttavia, che essa non vincolava le valutazioni di merito di esclusiva competenza dell'organo consiliare in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico all'intervento edilizio. Il consiglio comunale ha ritenuto che nel caso di specie non vi fossero sufficienti presupposti di interesse pubblico per autorizzare un intervento edilizio implicante una modifica del vigente PRGC, e tale valutazione è stata supportata da una motivazione sufficientemente analitica e argomentata, sia in ordine alle ragioni per le quali non è stata ritenuta sussistente una situazione di "degrado" dell'area tale da giustificare la realizzazione di un intervento di riqualificazione, sia in ordine alla incompatibilità del progetto edificatorio delle proponenti con le linee programmatiche della nuova amministrazione insediatasi a seguito delle elezioni del giugno 2016, dirette a perseguire una riduzione del consumo del suolo, con particolare riferimento alle aree agricole (laddove il progetto presentato dalle interessate avrebbe comportato la sostituzione di un'ampia area a verde con alcuni fabbricati residenziali, senza fornire adeguate indicazioni su come sarebbe migliorata la qualità del tessuto edilizio nell'area interessata).

Si tratta, osserva il collegio, di valutazioni ampiamente discrezionali, non illogiche né irragionevoli, anche perché coerenti con le linee di indirizzo programmatico formulate dalla nuova amministrazione insediatasi a giugno 2016, soprattutto in relazione all'obiettivo di contenimento dell'uso del suolo: valutazioni che, in quanto tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, afferendo alle scelte di merito dell'amministrazione in materia di gestione del territorio.

13.4. Con il quarto motivo, le ricorrenti hanno contestato, nel merito, i singoli capi della motivazione contenuta nella delibera consiliare; le censure proposte possono essere così sintetizzate:

- la presenza di serre non utilizzate da oltre 10 anni costituirebbe un elemento dissonante rispetto al contesto urbano circostante, ormai tutto residenziale, il che sarebbe sufficiente ad integrare il presupposto del "degrado funzionale" di cui all'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011;

- il consumo di suolo sull'area in questione sarebbe già avvenuto, come dimostrerebbe l'esistenza delle serre; l'intervento progettato avrebbe rilievo pubblicistico nella misura in cui concorrerebbe a razionalizzare il contesto urbano e a riqualificare aree degradate; il consiglio comunale avrebbe dovuto limitarsi a valutare se il progetto delle ricorrenti risponda o meno alla finalità di legge di rendere la destinazione dell'area di proprietà delle ricorrenti coerente con quella del contesto urbano circostante, che è residenziale, alla luce dei dati oggettivi indicati puntualmente nella prima bozza di delibera consiliare;

- l'offerta, contenuta nel progetto, di cessione gratuita al Comune di un'area di 700 mq, previa realizzazione di 23 piazzole di sosta, sarebbe stata svalutata immotivatamente nella delibera consiliare impugnata;

- non sarebbe stato spiegato per quale motivo, secondo il consiglio comunale, il progetto non avrebbe migliorato la qualità del tessuto edilizio;

- il riferimento al comunicato assessorile (regionale) del 16 ottobre 2014 sarebbe del tutto erroneo, dal momento che questo non impone che il nuovo intervento edilizio venga realizzato sull'area di sedime degli edifici preesistenti (le serre, nel caso di specie), ma solo che venga realizzato sull'area di proprietà del privato proponente;

- manifestamente illogico e contraddittorio sarebbe il capo di motivazione in cui si afferma che l'intervento non consentirebbe di superare la presenza di funzioni eterogenee e di tessuti edilizi disorganici in quanto sul fronte prospiciente di Via Carrutti non verrebbero eliminate tutte le serre presenti; in tal modo si imputa al privato di non trasformare tutto il contesto, il che non è richiesto dalla legge ed è in contrasto con altra affermazione in cui si imputa alle ricorrenti di voler ridurre, anziché ampliare, l'attività florovivaistica.

Osserva il collegio che l'articolata censura appena esposta non può essere condivisa:

- la presenza, all'interno di un contesto urbanizzato, di un'area a verde con alcune serre dismesse, non pare elemento sufficiente per ritenere sussistente il presupposto cui all'art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2001, e cioè l'esistenza di un'"area urbana degradata", tanto più alla luce delle linee politiche espresse dalla nuova amministrazione comunale, preordinate alla conservazione delle aree a verde e alla riduzione dello sfruttamento edilizio del suolo (così a pag. 4 della delibera consiliare impugnata: "La riduzione del consumo di suolo privilegerà la tutela delle aree di maggior valore (agricolo, ambientale, paesaggistico), ma sarà comunque un processo ragionato che intende garantire in primis la permanenza sul territorio di attività produttive anche qualora esse volessero ampliarsi per esigenze diverse"); in tale contesto programmatico, il mantenimento di un'area a verde all'interno di un contesto edificato non pare costituire un elemento "dissonante", sintomo di "degrado funzionale" dell'area;

- il richiamo contenuto nella delibera consiliare alla circolare regionale 9 maggio 2012, n. 7/UOL appare pertinente, dal momento che essa esclude l'applicazione dell'art. 5, comma 9, del d.l. 70 del 2011 e dell'art. 14 del TUE con riferimento alle "aree libere... a destinazione agricola", tenuto conto che l'area in questione è appunto inserita in zona agricola nel vigente PRGC del Comune di Pinerolo;

- l'utilità pubblica ritraibile dall'offerta di realizzazione nell'area in questione di 23 piazzole di sosta è stata ritenuta recessiva rispetto al complessivo impatto urbanistico dell'intervento, con motivazione che non appare né illogica né irragionevole ("l'ampliamento di standard, comunque dovuto, non giustifica l'impatto urbanistico che l'intervento proposto comporterebbe", cfr. delibera consiliare, pag. 5);

- sarebbe stato onere delle ricorrenti provare in sede procedimentale per quale motivo l'intervento edilizio avrebbe migliorato la qualità del tessuto edilizio; ciò che si evince dall'esame degli atti processuali è che, se il progetto proposto dalle ricorrenti dovesse trovare attuazione, un'area attualmente "a verde" verrebbe ad essere edificata; non è affatto evidente quale miglioramento ne riceverebbe il tessuto edilizio, in un contesto in cui sembrano difettare i presupposti di un "degrado" obiettivamente percepibile; ciò che appare è che le ricorrenti, dismessa (o convertita, non è ben chiaro) l'attività florovivaistica, vorrebbero realizzare sull'area una speculazione edilizia; se è chiaro l'interesse privato alla realizzazione del progetto, non è invece percepibile l'interesse pubblico allo stesso, tanto più alla luce delle linee programmatiche della nuova amministrazione comunale, dichiaratamente dirette a perseguire il contenimento dell'uso del suolo e la salvaguardia delle aree a verde;

- la nota assessorile del 16 ottobre 2014 è stata applicata correttamente nella parte in cui esclude che il permesso di costruire in deroga possa essere rilasciato in relazione ad aree libere: è questo il senso del richiamo contenuto nel provvedimento impugnato;

- infine, l'ultimo punto della motivazione della delibera consiliare (l'intervento non determinerebbe un'effettiva riqualificazione del tessuto edilizio, dal momento che l'eliminazione delle serre sarebbe solo parziale), appare obiettivamente il meno convincente nel contesto del provvedimento impugnato, ma tutto sommato il meno rilevante, tenuto conto del carattere dirimente - e autosufficiente - dei precedenti capi di motivazione.

13.5. Infine, con il quinto motivo, le ricorrenti hanno dedotto l'illegittimità del diniego conclusivo del permesso di costruire per illegittimità derivata, sia alla luce dell'illegittimità della presupposta delibera consiliare, sia per l'illegittimità del preavviso di diniego, il quale, dopo aver preannunciato il diniego, avrebbe richiesto nuovamente, dopo 19 mesi dall'inizio del procedimento, la produzione di ulteriori documenti.

Anche tale censura non può essere condivisa, sotto entrambi i profili dedotti:

- quanto al primo, non sussiste il vizio di illegittimità derivata, dal momento che il provvedimento presupposto è legittimo, per le ragioni anzidette;

- quanto al secondo, è sufficiente osservare che il preavviso di diniego non ha richiesto nuovamente la produzione di documenti già richiesti, ma si è limitato a constatare che tali documenti, sebbene richiesti, non erano stati ancora prodotti nonostante il lungo tempo trascorso.

14. In definitiva, alla luce di tali considerazioni, il ricorso va conclusivamente respinto.

15. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a rifondere al Comune di Pinerolo le spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione è stata confermata da Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 28 gennaio 2022, n. 616.