Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 18 gennaio 2018, n. 10424

Presidente: Fumo - Estensore: Ramacci

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 14 luglio 2016, ha confermato la decisione con la quale, in data 5 marzo 2014, il Tribunale di Udine, aveva riconosciuto Giorgio D.F. responsabile del reato di cui agli artt. 81 c.p. e 2, comma 1-bis, l. n. 638 del 1983, perché, quale legale rappresentante della DE.BI., con sede legale in Gemona del Friuli, ometteva il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti per i mesi di dicembre 2010, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto e settembre 2011 per un importo pari ad euro 16.722,53 (in Udine, dal dicembre 2010 al settembre 2011. Recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale).

La Corte di appello dichiarava altresì inammissibile l'appello incidentale del Procuratore Generale di Trieste.

2. Avverso tale pronuncia Giorgio D.F. propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. Giuseppe Tiso, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione.

Osserva il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto valida la comunicazione e contestuale diffida di adempimento da parte dell'INPS, da lui, invece, mai ricevuta, perché la raccomandata che la conteneva risultava consegnata ad una persona non meglio identificata, la quale sembrerebbe aver firmato l'avviso di ricevimento con il nominativo "D.F.", senza che vi fosse certezza del fatto che si trattasse di un familiare.

Con un secondo motivo di ricorso lamenta, poi, che la Corte di appello avrebbe negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche senza alcuna valutazione dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p.

3. Il ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione penale.

Il Presidente titolare della predetta Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, allegandovi una missiva dell'INPS, in cui si rappresentavano alcune difficoltà interpretative emerse a seguito della depenalizzazione - operata dall'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 - del reato di omesso versamento dei contributi previdenziali per un importo non superiore a 10.000 euro annui. In particolare, in tale missiva, si rappresentava che alcune decisioni di questa Corte, ai fini del calcolo del superamento della soglia di punibilità (fissata sulla base della somma sopra indicata), considerano l'importo maturato nell'anno di competenza, diversamente dalle modalità di calcolo seguite dall'INPS che, invece, si riferisce all'importo effettivamente omesso, tenendo conto cioè del fatto che la scadenza del termine utile per il datore di lavoro è fissata, dalla legge, al 16 del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi.

Il Primo Presidente, pur in assenza di un contrasto giurisprudenziale, con decreto dell'11 dicembre 2017, ha fissato per la data odierna la trattazione del ricorso in udienza pubblica, ritenendo che la questione prospettata, avente ad oggetto l'individuazione dell'arco temporale entro cui effettuare il calcolo dell'importo del versamento omesso, incide su aspetti attinenti a risorse finanziarie pubbliche di primario rilievo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente:

"Se, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, debba essere individuato con riferimento alle mensilità di pagamento delle retribuzioni, ovvero a quelle di scadenza del relativo versamento contributivo".

2. Per una esaustivo inquadramento della problematica sottoposta a queste Sezioni Unite, appare utile prendere le mosse da una - sia pur sintetica - ricognizione dell'assetto normativo.

2.1. L'art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 1983, n. 638, nella sua attuale formulazione, conseguente alle modifiche apportate dall'art. 3, comma 6, d.lgs. 5 gennaio 2016, n. 8, stabilisce che l'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032, mentre, se l'importo è inferiore, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.

Il datore di lavoro non è tuttavia passibile di sanzione penale, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione.

L'art. 8 d.lgs. n. 8 del 2016 stabilisce l'applicazione delle disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto (6 febbraio 2016), sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili, nel qual caso il giudice dell'esecuzione provvede alla revoca della sentenza o del decreto penale.

Il successivo art. 9 disciplina le modalità di trasmissione all'autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data.

2.2. Prima dell'intervento modificativo, l'omesso versamento era penalmente sanzionato senza alcuna considerazione degli importi.

Non era dunque contemplata la c.d. soglia di punibilità.

Per tale ragione, il reato veniva qualificato dalla giurisprudenza di questa Corte come omissivo istantaneo, rispetto al quale il momento consumativo coincideva con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, fissato dall'art. 18, comma 1, d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 19 novembre 1998, n. 422, al giorno 16 del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (Sez. 3, n. 26732 del 5 marzo 2015, Bongiorno, Rv. 264031; Sez. 3, n. 10974 del 21 febbraio 2012, Norelli, Rv. 252367; Sez. 3, n. 615 del 14 dicembre 2010, dep. 2011, Ciampi, Rv. 249164; Sez. 3, n. 20251 del 16 aprile 2009, Casciaro, Rv. 243628; Sez. 3, n. 29275 del 25 giugno 2003, Braiuca, Rv. 226161).

La natura del reato così individuata dalla menzionata giurisprudenza determinava, quale conseguenza, che ad ogni mensilità per la quale si verificava l'omissione del versamento dei contributi corrispondesse un singolo reato, con significativi effetti anche rispetto al calcolo dei termini di prescrizione.

Avuto quindi riguardo ad ogni mensilità, detti termini andavano calcolati, per ciascun reato, secondo un uniforme orientamento giurisprudenziale, partendo dal giorno 16 del mese successivo a quello al quale si riferivano i contributi, computando anche l'ulteriore termine di sospensione di cui all'art. 2, comma 1-quater, del d.l. n. 463 del 1983, il quale stabilisce che, durante il termine di cui al comma 1-bis (tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione, concessi al datore di lavoro per provvedere al versamento e beneficiare della causa di non punibilità), il corso della prescrizione rimane sospeso.

3. Tanto chiarito per quel che riguarda la giurisprudenza di legittimità sotto la vigenza della precedente normativa, occorre ora passare ad analizzare gli orientamenti messi a punto da questa Corte dopo la modifica legislativa del 2016.

3.1. Della diversa situazione determinata dalle modifiche normative ha invero subito preso atto la giurisprudenza (Sez. 3, n. 37232 dell'11 maggio 2016, Lanzoni, Rv. 268308; Sez. 3, n. 35589 dell'11 maggio 2016, Di Cataldo, Rv. 268115), traendone le necessarie conseguenze.

In particolare, nella sentenza Lanzoni si è precisato che, nello stabilire la soglia di punibilità, il legislatore ne ha configurato il superamento, collegato al periodo temporale dell'anno, quale specifico elemento caratterizzante il disvalore di offensività, che consente anche di individuare il momento consumativo del reato, da ritenere perfezionato nel momento e nel mese in cui l'importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell'anno considerato, abbia superato i 10.000 euro, escludendo peraltro, proprio in ragione della connessione con il dato temporale dell'anno, che eventuali successive omissioni nell'arco del medesimo periodo e fino al mese finale di dicembre possano dare luogo ad ulteriori reati.

Richiamando, dunque, analoghe situazioni configurabili in relazione ad altre ipotesi delittuose (segnatamente, la corruzione e l'usura), la sentenza individua una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno rappresentano momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell'ultima mensilità, indicata nel giorno 16 del mese di gennaio dell'anno successivo.

Nella individuazione del momento consumativo del reato, secondo la nuova configurazione, la sentenza Lanzoni prospetta diverse ipotesi di superamento della soglia di punibilità, la prima delle quali caratterizzata dallo sforamento di detta soglia, a partire dal mese di gennaio, senza che facciano seguito altre omissioni; la seconda da più omissioni ricorrenti nel medesimo anno e la terza riferita all'intero arco temporale annuale, tenendo però conto del fatto che, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, va considerata la data del 16 gennaio dell'anno successivo.

Negli stessi termini si esprime la coeva sentenza Di Cataldo, che qualifica il reato come avente struttura unitaria, rispetto alla quale la condotta omissiva può configurarsi anche attraverso una pluralità (eventuale) di omissioni, che possono di per sé anche non costituire reato, con la conseguenza che la consumazione può essere, secondo i casi, tanto istantanea quanto di durata e, in quest'ultimo caso, ad effetto prolungato, sebbene nel solco del periodo annuale di riferimento, sino al termine del quale può realizzarsi o protrarsi il momento consumativo del reato.

Successive pronunce hanno aderito alla soluzione interpretativa offerta dalle sentenze Lanzoni e Di Cataldo, riproducendo, talvolta testualmente, i contenuti della prima (ex plurimis, Sez. 3, n. 55762 del 21 settembre 2017, Di Sipio; Sez. fer., n. 39882 del 29 agosto 2017, Tumino; Sez. 3, n. 47902 del 18 luglio 2017, Abrate; Sez. 3, n. 41621 del 7 luglio 2017, Rizzo; Sez. 3, n. 14475 del 7 dicembre 2016, dep. 2017, Mauro, Rv. 269329; Sez. 7, n. 6545 del 4 novembre 2016, dep. 2017, Adamo, Rv. 269059; Sez. 3, n. 649 del 20 ottobre 2016, dep. 2017, Messina, Rv. 268813; Sez. 3, n. 42070 del 5 luglio 2016, Ruggeri).

3.2. Altre sentenze fanno, invece, espresso riferimento all'anno "solare" (Sez. 3, n. 28046 del 29 novembre 2016, Lazzeri; Sez. 3, n. 20217 del 26 ottobre 2016, Pelli; Sez. 3, n. 14211 del 31 maggio 2016, Lorusso; Sez. 3, n. 14206 del 31 maggio 2016, Vona; Sez. 3, n. 52858 del 22 marzo 2016, Giosuè; Sez. 3, n. 46896 del 9 marzo 2016, Verratti; Sez. 3, n. 41457 del 25 febbraio 2016, Bordon; Sez. 3, n. 53722 del 23 febbraio 2016, Guastelluccia, Rv. 268546), precisando, in un caso, che, utilizzando il termine "annui", il legislatore ha voluto riferirsi all'anno solare globalmente inteso ed alle singole omissioni di versamento commesse in quello stesso anno (Sez. 3, n. 53722 del 23 febbraio 2016, Guastelluccia) e, in altra pronuncia, rimasta tuttavia isolata, applicando la prescrizione considerando quali singoli delitti le condotte di omesso versamento riferite ad ogni mensilità dell'anno.

Va peraltro rilevato che, dal tenore delle richiamate decisioni, il richiamo all'anno "solare" è chiaramente riferito non ad un periodo di 365 giorni, bensì a quello compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre, quindi all'anno "civile" (come - più correttamente - avrebbe dovuto essere indicato).

3.3. Altre pronunce, infine, nel considerare la soglia di punibilità, richiamano l'anno senza ulteriori specificazioni (Sez. 3, n. 14729 del 9 febbraio 2016, Ratti, Rv. 266633; Sez. 3, n. 6545 del 4 novembre 2016, Adamo; Sez. 3, n. 14210 del 31 maggio 2016, Ramunno).

Le ricordate decisioni, inoltre, sono concordi nel ritenere che, ai fini del calcolo del superamento della soglia di punibilità, non rileva la prescrizione, eventualmente già dichiarata, delle omissioni mensili relative all'annualità in contestazione, in considerazione del fatto che la soglia è attualmente riferita al periodo annuale ed è perciò indipendente da fatti estintivi diversi da quello, invece rilevante, del pagamento.

3.4. Inoltre, riguardo ai fatti pregressi, il problema della individuazione della norma più favorevole è stato risolto, dalla citata sentenza Lanzoni, nel senso che, in caso di mancato superamento della soglia di punibilità, va applicata la nuova previsione normativa in base all'art. 2, comma 4, c.p., mentre, se la soglia è superata, l'individuazione delle disposizioni più favorevoli impone il confronto tra vecchia e nuova disciplina, con particolare riferimento al momento consumativo determinante al fine di individuare la decorrenza del termine di prescrizione, tenendo conto, in entrambe le fattispecie, del periodo di sospensione di tre mesi di cui all'art. 2, comma 1-quater, del d.l. n. 463 del 1983, non interessato dagli interventi modificativi (nello stesso senso, Sez. 3, n. 30201 del 10 maggio 2017, Boselli, Rv. 270228; Sez. 3, n. 42070 del 5 luglio 2016, Ruggeri; Sez. 3, n. 14206 del 31 maggio 2016, Adamo; Sez. 3, n. 14210 del 31 maggio 2016, Ramunno).

3.5. La questione del computo delle mensilità ai fini del superamento della soglia di punibilità, che le decisioni in precedenza ricordate hanno esaminato in via incidentale, è stata presa in esame in maniera specifica in altra sentenza (Sez. 3, n. 22140 dell'11 gennaio 2017, Mor, Rv. 269778), nella quale si assume che l'anno di riferimento è quello nel quale il debito è sorto, secondo un principio di competenza e non di cassa, dovendosi aver riguardo alla entità complessiva delle omissioni, tenendo conto del momento in cui le relative obbligazioni, poi rimaste inadempiute, sono sorte e prescindendo dal termine di scadenza per il versamento, che rileva solamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato.

Alla sentenza Mor si è successivamente adeguata altra decisione (Sez. 3, n. 56432 del 18 luglio 2017, Franzini), che, richiamandone i contenuti, unitamente a quelli delle sentenze Lanzoni e Di Cataldo, si riferisce espressamente all'anno solare (evidentemente inteso, come negli altri casi ricordati in precedenza, come anno civile); essa, dovendo considerare un'omissione contributiva relativa al periodo compreso tra il dicembre 2011 e l'ottobre 2012, per un ammontare complessivo pari a 32.098 euro, ai fini del computo degli importi per il superamento della soglia di punibilità, ha escluso il mese di dicembre, disponendo, in relazione a quella mensilità, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» ed ordinando la trasmissione degli atti all'INPS, ai sensi dell'art. 9 d.lgs. n. 8 del 2016.

4. Alla luce della richiamata giurisprudenza, risulta evidente la rilevanza della questione prospettata, poiché dalla individuazione del criterio di imputazione temporale derivano conseguenze diverse, che determinano l'inclusione o l'esclusione di determinate mensilità nel computo dell'anno di interesse per il superamento della soglia di punibilità.

Invero, dal complessivo esame delle decisioni fin qui esaminate, risulta pressoché unanime, sebbene talvolta solo implicitamente espresso, il richiamo alle modalità di individuazione dell'arco temporale dell'anno rilevante per l'accertamento dell'eventuale superamento della soglia di punibilità, con riferimento alle mensilità di erogazione della retribuzione.

Tale scelta interpretativa, come ricordato in premessa, non risulta tuttavia coincidente con quella recepita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (con le note n. 6995 del 6 aprile 2016 e n. 9099 del 3 maggio 2016) e dall'Istituto previdenziale (circolare n. 121 del 5 luglio 2016) e sulla base della quale quest'ultimo ha emanato proprie disposizioni, riorganizzando i processi amministrativi di gestione e commissionando appositi programmi informatici, computando, ai fini del calcolo della soglia di punibilità dei 10.000 euro annui, come specificato nella comunicazione diretta a questa Corte, il periodo compreso tra il mese di dicembre dell'annualità considerata - con versamento da effettuare entro il 16 gennaio successivo - ed il mese di novembre della stessa annualità, con versamento entro il successivo 16 dicembre, sebbene, in seguito, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro (con nota del 25 settembre 2017, diretta agli ispettorati interregionali e territoriali), modificando le precedenti indicazioni operative, abbia tenuto conto di quanto evidenziato nel frattempo dalla giurisprudenza di legittimità.

È appena il caso di rilevare, riguardo ai contenuti delle disposizioni impartite dai soggetti appena indicati, e, segnatamente, per ciò che concerne la Circolare n. 121 del 5 luglio 2016 (allegata alla richiamata comunicazione), il carattere assolutamente non vincolante degli stessi, trattandosi di atti interni con finalità di mero ausilio interpretativo (si vedano, sul tema, con riferimento alla materia tributaria, Sez. un. civ., n. 23031 del 2 novembre 2007, Rv. 599750 e, alla disciplina urbanistica, Sez. 3, n. 42675 del 18 febbraio 2015, De Simone, Rv. 265493; Sez. 3, n. 25170 del 13 giugno 2012, La Mura, Rv. 252771; Sez. 3, n. 6619 del 7 febbraio 2012, Zampano, Rv. 252541; Sez. 3, n. 36093 del 3 giugno 2004, Salerno, Rv. 229131).

Tuttavia, l'obiettiva incertezza determinata dal mutato assetto normativo richiede una ulteriore valutazione della questione, specificamente affrontata, come si è detto, soltanto con la sentenza Mor.

5. Ciò posto, deve osservarsi che la formulazione della norma, a causa del generico riferimento all'importo «superiore a euro 10.000 annui», rende del tutto plausibile, in astratto, il ricorso ad entrambe le soluzioni interpretative prospettate.

Nondimeno, l'art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, così come la legge-delega n. 67 del 2014, si riferiscono, menzionando la soglia di punibilità dei 10.000 euro annui, alle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e, cioè, a quelle somme che il datore di lavoro trattiene per versarle all'INPS in loro vece e delle quali non può disporre, in quanto di pertinenza dei dipendenti, prima, e dell'Istituto previdenziale, poi.

Significativa, a tale proposito, è la natura dei contributi come individuata dalla giurisprudenza (Sez. un., n. 27641 del 28 maggio 2003, Silvestri, Rv. 224609). È stato infatti chiarito che l'intenzione del legislatore è sostanzialmente quella di reprimere, non tanto il fatto omissivo del mancato versamento dei contributi, quanto, piuttosto, il più grave fatto commissivo dell'indebita appropriazione, da parte del datore di lavoro, di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti, con la conseguenza che l'obbligo di versare le ritenute nasce solo al momento della effettiva corresponsione della retribuzione, sulla quale le ritenute stesse debbono essere operate, non rilevando, peraltro, le vicende finanziarie dell'azienda (Sez. 3, n. 26712 del 14 aprile 2015, Vismara, Rv. 264306; Sez. 3, n. 19574 del 21 novembre 2013, dep. 2014, Assirelli, Rv. 259741; Sez. 3, n. 29616 del 14 giugno 2011, Vescovi, Rv. 250529; Sez. 3, n. 38269 del 25 settembre 2007, Tafuro, Rv. 237827).

Vanno poi considerati altri aspetti di un certo rilievo, quali, ad esempio, le modalità di inoltro, per via telematica, delle denunce mensili contenenti i dati retributivi e le informazioni utili al calcolo dei contributi, attualmente effettuata utilizzando il sistema UNIEMENS, che ha progressivamente sostituito le modalità di invio delle informazioni precedentemente contenute nei modelli DM10.

La procedura prevede un controllo di congruità delle dichiarazioni, con possibilità di correzione o rettifica, ricorso a successivi processi di regolarizzazione ed ulteriori attività di verifica che possono dar luogo ad eventuali variazioni contributive, sia a credito che a debito.

Ne consegue che anche sulla base di tali adempimenti può compiutamente definirsi l'ammontare del debito contributivo, attraverso un sistema, per così dire, fluido, che in alcuni casi consente l'esatta individuazione degli importi dovuti solo all'esito di determinati calcoli.

Dunque, se è vero, come si sostiene nella sentenza Mor, che il debito previdenziale sorge a seguito della corresponsione delle retribuzioni, al termine di ogni mensilità, è altrettanto vero che la condotta del mancato versamento assume rilievo solo con lo spirare del termine di scadenza indicato dalla legge, sicché appare più coerente riferirsi, riguardo alla soglia di punibilità, alla somma degli importi non versati alle date di scadenza comprese nell'anno e che vanno, quindi, dal 16 gennaio (per le retribuzioni del precedente mese dicembre) al 16 dicembre (per le retribuzioni corrisposte nel mese di novembre).

Tale ultima soluzione, peraltro, appare maggiormente in linea con il contenuto letterale della norma in esame e con le finalità della stessa e consente al datore di lavoro una più agevole individuazione delle eventuali conseguenze penali della sua condotta.

6. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

"In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell'anno precedente e nel novembre dell'anno in corso)".

7. Alla luce della soluzione adottata, resta ferma l'individuazione del momento consumativo del reato nei termini già efficacemente indicati dalla sentenza Lanzoni con le modalità in precedenza descritte, tenendo quindi conto della natura della violazione quale reato unitario a consumazione prolungata, sebbene, in caso di superamento della soglia dei 10.000 euro, il termine di prescrizione andrà calcolato con riferimento al periodo appena indicato.

Va inoltre considerata, per i fatti pregressi, la necessità di individuare la norma più favorevole in concreto tra vecchia e nuova disciplina, tenendo conto delle differenze in precedenza specificate.

8. Venendo all'esame dei motivi di ricorso, va osservato preliminarmente che la Corte di appello, prendendo atto delle modifiche normative, ha effettuato una valutazione del superamento della soglia di punibilità rispetto alle mensilità indicate nel capo di imputazione (dal dicembre 2010 al settembre 2011, per contributi non versati pari ad euro 16.722,53) che, alla luce della soluzione interpretativa appena adottata, appare corretta - sebbene detta soglia venga genericamente individuata dai giudici dell'appello come «importo di 10.000 euro per anno solare» - in quanto il mese di dicembre 2010, rispetto al quale il termine per il versamento spirava il 16 gennaio 2011, andava comunque considerato nel computo complessivo.

Risulta però mantenuto il vincolo della continuazione riconosciuto dal primo giudice con riferimento ai versamenti omessi per ciascuna mensilità, secondo la disciplina allora vigente; conseguentemente la pena finale è stata determinata apportando alla pena-base individuata, oltre all'aumento per la ritenuta recidiva, anche quello previsto dall'art. 81 c.p., quantificando tuttavia quest'ultimo in maniera unitaria (la pena-base di un mese di reclusione ed euro 150 di multa è stata aumentata ad un mese e venti giorni di reclusione ed euro 250 di multa per la continuazione, ulteriormente aumentata a tre mesi e quindici giorni di reclusione ed euro 400 di multa per la continuazione tra i reati).

Ciò ha comportato, quale conseguenza, la conferma, da parte della Corte territoriale, di una pena divenuta illegale a seguito delle intervenute modifiche normative che hanno inciso sulle modalità di determinazione della stessa, circostanza, questa, rilevabile d'ufficio pur in assenza di specifiche doglianze sul punto nei motivi di impugnazione, dei quali va peraltro rilevata la inammissibilità (cfr. Sez. un., n. 46653 del 26 giugno 2015, Della Fazia, Rv. 265111; Sez. un., n. 47766 del 26 giugno 2015, Butera, Rv. 265106; Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264205).

9. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, relativo alla comunicazione dell'avviso di accertamento da parte dell'INPS, va innanzi tutto rilevato che lo stesso è formulato in maniera perplessa, con conseguente difetto di specificità, tale dovendosi considerare l'affermazione secondo la quale l'avviso di ricevimento della raccomandata con la quale l'Istituto previdenziale ha effettuato la prevista comunicazione e contestuale diffida di adempimento, sarebbe stata ricevuta da persona che, in quanto indicata con il solo cognome, avrebbe potuto essere un «familiare», ovvero un «terzo (un ospite, un minore inconsapevole, un collaboratore domestico che firma con il nome del titolare)».

La doglianza, comunque, è manifestamente infondata e concerne una questione ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza.

Le Sezioni unite (Sez. un., n. 1855 del 24 novembre 2011, dep. 2012, Sodde, Rv. 251268), nell'equiparare il decreto di citazione a giudizio alla notifica dell'avviso di accertamento della violazione, quando ne contenga gli elementi essenziali, hanno ricordato come già in precedenza alcune pronunce avessero specificato che la comunicazione è da ritenersi a forma libera (Sez. 3, n. 30566 del 19 luglio 2011, Arena, Rv. 251261; Sez. 3, n. 26054 del 14 febbraio 2007, Vincis, Rv. 237202; Sez. 3, n. 9518 del 22 febbraio 2005, Jochner, Rv. 230985), tanto da poter ritenere valida anche la spedizione a mezzo raccomandata.

Successivamente si è ricordato (Sez. 3, n. 19457 dell'8 aprile 2014, Giacovelli, Rv. 259724; Sez. 3, n. 12567, del 19 febbraio 2013, Milletarì) come si fosse, in precedenza, anche stabilito che la presenza della corretta indicazione del destinatario della contestazione di accertamento della violazione degli obblighi contributivi e dell'indirizzo ove effettuare il recapito sulla lettera raccomandata, mediante la quale viene eseguita la comunicazione, porta ad escludere che possa assumere rilievo l'impossibilità di risalire all'identità dell'effettivo consegnatario in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi che consentano di ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata alla sua conoscenza senza sua colpa (Sez. 3, n. 2859 del 17 ottobre 2013, dep. 2014, Aprea, Rv. 258373; Sez. 3, n. 30241 del 14 luglio 2011, Romano).

Richiamando quindi altre decisioni dello stesso tenore (Sez. 3, n. 3144 dell'11 dicembre 2013, dep. 2014, Nardone; Sez. 3, n. 47113 del 19 novembre 2013, Strano; Sez. 3, n. 47111 del 19 novembre 2013, La Russa; Sez. 3, n. 18100 del 28 febbraio 2012, Caminiti) e riconoscendo anche il mancato ritiro e la «compiuta giacenza» come possibile oggetto di valutazione per quanto riguarda la prova dell'avvenuta comunicazione dell'accertamento dell'omesso versamento, la sentenza Giacovelli concludeva affermando il principio secondo il quale la esatta indicazione del destinatario e dell'indirizzo di recapito sulla raccomandata con la quale viene inviata la contestazione della violazione degli obblighi contributivi consente di escludere ogni rilievo all'impossibilità di risalire all'identità dell'effettivo consegnatario in assenza di concreti e specifici dati obiettivi, tali da far ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata a sua conoscenza senza sua colpa, poiché deve presumersi che il soggetto che sottoscrive l'avviso di ricevimento sia comunque persona abilitata alla ricezione per conto del destinatario del plico, che viene peraltro consegnato dall'ufficiale postale secondo precise formalità.

Successivamente altra pronuncia (Sez. 3, n. 45451 del 18 luglio 2014, Cardaci, Rv. 260747), superando una difforme opinione, rimasta isolata (Sez. 3, n. 43308 del 15 luglio 2014, Parello, Rv. 260746, la quale escludeva la validità della "compiuta giacenza"), ha posto in evidenza come la spedizione della comunicazione ad un valido indirizzo dimostri l'ottemperanza, da parte dell'ente previdenziale, all'onere informativo cui è tenuto, richiamando anche quanto affermato, nel corso del tempo, dalle Sezioni civili di questa Corte (Sez. un., n. 321 del 12 giugno 1999, Rv. 527332; Sez. 2, n. 1288 del 10 dicembre 2013, dep. 2014; Sez. lav., n. 6527 del 24 aprile 2003, Rv. 562463).

Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 43250 del 20 luglio 2016, D'Alonzo, Rv. 267938; Sez. 3, n. 28761 del 9 giugno 2015, Bassetti, Rv. 264452; Sez. 3, n. 52026 del 21 ottobre 2014, Volpe Pasini, Rv. 261287; Sez. 3, n. 45923 del 9 ottobre 2014, Bertelli, Rv. 260990).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato atto, con motivazione congrua, come dalla documentazione prodotta risultasse che l'avviso di accertamento era stato recapitato a mezzo raccomandata all'indirizzo di abitazione del ricorrente e la cartolina di ricevimento era stata sottoscritta con il cognome "D.F.".

Tali evenienze, accertate nel giudizio di merito, evidenziano la piena validità della comunicazione, inviata secondo quanto affermato nelle richiamate pronunce.

10. Quanto al secondo motivo di ricorso, la questione concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche non risulta essere stata prospettata nei motivi di appello.

Non potendo essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione, il motivo di ricorso è inammissibile.

11. L'inammissibilità del ricorso, tempestivamente presentato, non preclude tuttavia, come si è premesso, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena effettuata in violazione del principio di legalità, che si giustifica anche per evidenti esigenze di economia processuale e massima speditezza.

Detto annullamento (che è limitato alla sola necessità di rideterminare la pena) va disposto con rinvio in quanto tale rideterminazione non può essere effettuata in questa sede mediante la mera eliminazione dell'aumento applicato per la continuazione, dovendosi provvedere, alla luce del vigente assetto normativo, alla rimodulazione del complessivo trattamento sanzionatorio, tenendo conto del momento in cui risulta superata la soglia di punibilità e dell'incidenza, nel giudizio di gravità della condotta, dei mancati versamenti afferenti alle mensilità successive.

Nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente irrevocabilità dell'accertamento del reato e della responsabilità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Trieste; dichiara nel resto inammissibile il ricorso.

Depositata il 7 marzo 2018.

R. Garofoli

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