Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 13 maggio 2019, n. 3102

Presidente: Santoro - Estensore: Caputo

FATTO E DIRITTO

1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 00041/2015, di reiezione del ricorso proposto da Agenzia Riscossioni Esattoria S.r.l. (d'ora in poi Agenzia) avverso la sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 (diecimila) euro, comminatale dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d'ora in poi Autorità) per pratiche commerciali scorrette.

L'Autorità ordinava altresì alla società, a sua cura e spese, la pubblicazione in estratto della delibera ai sensi dell'art. 27, comma 8, del codice del consumo, per una sola volta, sul quotidiano "Il Resto del Carlino".

2. La sanzione è stata adottata sul rilievo che, al fine di recuperare i crediti relativi a sanzioni amministrative inevase, l'Agenzia ha inviato ai destinatari preavvisi di esecuzione forzata, redatti secondo modalità che, per aspetti grafici e lessicali, risultavano idonei, a prescindere dalla fondatezza della rispettiva posizione debitoria, ad ingenerare in essi il convincimento del necessario immediato pagamento dell'importo richiesto.

3. Nei motivi d'impugnazione la ricorrente ha dedotto l'incompetenza dell'Autorità Garante della concorrenza all'adozione della sanzione impugnata, riferentesi ad attività - quale quella del recupero degli importi relativi a sanzioni amministrative non onerate - che esulerebbero dal perimetro delle condotte "commerciali" disciplinate dagli artt. 18-27 del codice del consumo.

In aggiunta l'Agenzia lamentava l'irragionevolezza della sanzione non preceduta da alcuna istruttoria in fatto né dall'accertamento dell'effettiva sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito contestatole.

4. Qualificata l'attività esercitata dall'Agenzia, "società di diritto privato, di mero recupero di crediti" - e non di riscossione di entrate erariali -, il Tar ha respinto il ricorso sul rilievo che la ricorrente "non è legittimata a richiamare, nelle missive indirizzate ai vari destinatari, l'art. 14 della legge n. 890/82, norma che, come rilevato dall'AGCM, evoca un potere di notifica riservato alla sola amministrazione finanziaria".

Con riguardo alle censure subordinate, i giudici di prime cure hanno ritenuto non affatto irrazionale, sia nell'an che nel quantum, la sanzione in ragione dell'avvenuto accertamento dei fatti contestati.

5. Appella la sentenza l'Agenzia. Resiste l'Autorità.

6. Alla pubblica udienza dell'11 aprile 2019 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

7. Con il primo e secondo motivo d'appello, l'Agenzia lamenta gli errori di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nell'omettere di considerare il tipo d'attività svolta, non oggettivamente riconducibile ad alcuna pratica commerciale cui inferire in senso tecnico i requisiti (negativi) d'ingannevolezza ed aggressività.

In sintesi, l'appellante contesta in apicibus la competenza dell'Autorità la quale, al pari dei giudici di prime cure, non avrebbe affatto considerato che il creditore nel cui interesse la società agisce è un ente pubblico o un esercente un pubblico servizio; e che l'attività è svolta ai sensi dell'art. 115 del t.u.l.p.s., in forza dell'autorizzazione rilasciatale dalla Questura, ove sono specificati tutti gli obblighi connessi al rilascio dell'autorizzazione.

8. Il motivo è fondato.

8.1. In disparte la qualificazione delle lettere denominate "preavviso di esecuzione" oggetto della sanzione impugnata, il trasgressore del precetto pubblicistico è il destinatario del preavviso, non assimilabile (né astrattamente omologabile) al "consumatore".

Vale a dire che l'autore di un illecito amministrativo, il quale dopo la contestazione della trasgressione, non abbia pagato la sanzione pecuniaria, non riveste affatto la qualifica di consumatore stricto sensu intesa di cui all'art. 3 del cod. cons.

8.2. D'altra parte, oggettivamente, la riscossione di entrate pubblicistiche, ancorché non erariali, regist[r]a in diritto positivo un proprio e specifico statuto normativo.

In senso paradigmatico, l'art. 35 del d.l. 50/2017, che sostituisce l'art. 2 del d.l. 193/2016, dispone che "A decorrere dal 1° luglio 2017, le amministrazioni locali di cui all'articolo 1, comma 3, possono deliberare di affidare al soggetto preposto alla riscossione nazionale le attività di riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate tributarie o patrimoniali proprie e, fermo restando quanto previsto dall'articolo 17, commi 3-bis e 3-ter, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, delle società da esse partecipate".

"Possono deliberare" sta a significare che gli enti locali (recte: i rispettivi consigli comunali) hanno la facoltà di optare per modalità di riscossione alternative alla riscossione erariale, quale quella svolta, per l'appunto, su mandato dalla società appellante.

8.3. Anch'essa, inerendo all'esercizio dell'attività di riscossione di entrate patrimoniali facenti capo all'ente pubblico, costituisce pur sempre esplicazione del potere pubblicistico sebbene si attui con l'esercizio dell'azione stragiudiziale diretta e concreta di recupero del credito non assolto, anziché nella via ordinaria di esazione mediante l'iscrizione a ruolo del credito.

8.4. Pertanto l'applicazione in subjecta materia del codice del consumo - in disparte l'ontologica non omologia, ai sensi dell'art. 18 cod. cons., dell'Agenzia al professionista e, in simmetria, dei debitori destinatari delle lettere ai consumatori - si tradurrebbe in un irrazionale esempio di eterogenesi dei fini: si penalizzerebbe l'agente deputato alla riscossione di crediti relativi a sanzioni amministrative non assolte dai contravventori, proprio in un settore dove è più forte l'esigenza di rendere dissuasiva (e quindi effettiva) la sanzione.

8.5. Sicché la valutazione del regolare e corretto esercizio dell'attività in questione è rimessa - non già all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, bensì - all'esame degli organi specificamente preposti al rilascio del titolo autorizzativo ed controllo di conformità della condotta ad esso.

9. La fondatezza dei primi due motivi esaminati assorbe l'esame dei residui motivi d'appello.

10. Conclusivamente l'appello deve essere accolto, e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza, deve essere accolto il ricorso di prime cure, ed annullata la sanzione impugnata.

11. Le spese di lite del doppio grado di giudizio per la metà, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, e per la residua metà sono compensate in ragione dell'assenza di specifici precedenti giurisprudenziali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza, accoglie il ricorso di prime cure.

Condanna l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio in favore di Agenzia Riscossioni Esattoria S.r.l. che si liquidano in complessivi 3.500,00 (tremilacinquecento) euro, oltre diritti ed accessori di legge.

Compensa fra le parti l'altra metà delle spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Alibrandi (cur.)

Codice penale

La Tribuna, 2024

L. Bolognini, E. Pelino (dirr.)

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A. Di Majo

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