Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 11 febbraio 2020, n. 5929

Presidente ed Estensore: Calvanese

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino disponeva la consegna di Alfio P., richiesta dalle autorità giudiziarie tedesche con mandato di arresto europeo al fine del suo perseguimento penale per i reati di associazione dedita al narcotraffico, traffico di stupefacenti e violazione della legge sulle armi.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.

2.1. Violazione di legge (artt. 6 e 18, lett. p, l. n. 69 del 2005) e vizio di motivazione.

La Corte di appello ha erroneamente ed in modo apparente ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, in quanto non ha fatto espressa e corretta elencazione delle fonti di prova, che l'art. 6 della l. n. 69 del 2005 prevede siano indicati con la relazione sui fatti.

In particolare, la sentenza impugnata ha dato per dimostrata la circostanza che il ricorrente sia l'"Alfredo" figurante in alcune conversazioni intercettate, ma non ha spiegato affatto da quali elementi risulti tale accertamento.

La Corte di appello ha poi erroneamente applicato l'art. 18, lett. p), della stessa legge, ritenendo necessario ai fini del rifiuto la necessità della pendenza di un procedimento penale nei confronti del consegnando per il fatto commesso in tutto o in parte in Italia (che invece riguarda la diversa ipotesi di cui alla lett. o dell'art. 18) e affidandosi soltanto al parere della Procura generale sul "non interesse" a procedere (che è immotivato e contrasta con l'esercizio obbligatorio dell'azione penale).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

2. È fondata la censura con la quale il ricorrente lamenta la carenza del controllo effettuato dalla Corte di appello sulle "ragioni" che hanno giustificato l'emissione del provvedimento cautelare, che sta alla base del m.a.e.

Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, deve essere rifiutata la consegna richiesta sulla base di un m.a.e. processuale se nella documentazione trasmessa dallo Stato di emissione (anche a seguito di richiesta dall'autorità giudiziaria italiana) non vi siano indicazioni sulle specifiche fonti di prova relative all'attività criminosa e al coinvolgimento della persona richiesta (tra tante, Sez. 6, n. 30439 del 17 luglio 2008, Frunza, Rv. 243591).

È infatti necessario che lo Stato di emissione "specifichi" nel mandato le fonti di prova, attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (Sez. 6, n. 15935 del 15 aprile 2015, Jovanovic, Rv. 263086), al fine di consentire alla autorità giudiziaria italiana di verificare se il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (Sez. un., n. 4614 del 30 gennaio 2007, Ramoci, Rv. 235348).

Ebbene, come ha rilevato il ricorrente, la Corte di appello si è limitata a riportare per sintesi i gravi indizi risultanti dal titolo cautelare tedesco, che peraltro non spiegava affatto come le autorità giudiziarie tedesche siano pervenute all'identificazione del ricorrente come la persona che aveva partecipato agli episodi delittuosi di traffico di stupefacente provvisoriamente contestati (si assume invero senza alcuna spiegazione che l'"Alfredo" citato nei colloqui intercettati in ambientale sia senza dubbio il P.).

La situazione indicata determina, pertanto, un vizio della sentenza impugnata che ne impone l'annullamento affinché si provveda a colmare la lacuna decisionale sopra indicata.

3. A diverse conclusioni deve pervenirsi per l'altro motivo.

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto sulla portata del motivo di rifiuto obbligatorio di cui all'art. 18, comma 1, lett. p), secondo cui quando la richiesta di consegna riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, tale motivo è ravvisabile solo quando sussiste non un potenziale interesse dell'ordinamento interno ad affermare la giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione (Sez. 6, n. 27992 del 13 giugno 2018, H., Rv. 27354401).

Va viepiù aggiunto che le situazioni descritte dalla citata norma ora figurano nel novello art. 18-bis, lett. b) (introdotto dall'art. 6 l. 4 ottobre 2019, n. 117) che ha trasformato in facoltativo il motivo di rifiuto ad esse collegato.

Il legislatore in tal modo ha reso ancor più evidente che dalla circostanza del collegamento del reato oggetto del mandato di arresto europeo con il territorio nazionale (che potrebbe essere giustificato anche dal verificarsi in Italia di un solo "frammento" della condotta) non deriva un automatico rifiuto della consegna, posto che va verificato concretamente caso per caso l'interesse dello Stato italiano ad affermare la propria giurisdizione.

Interesse che, nella specie, è stato ritenuto dalla Corte di appello non sussistente, stante la mancanza in Italia di indagini sul medesimo fatto.

4. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata in relazione ai profili sopra censurati, per un nuovo giudizio che, nella piena libertà del relativo apprezzamento discrezionale, dovrà uniformarsi ai principii di diritto stabiliti da questa Suprema Corte.

La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui all'art. 22, comma 5, della l. n. 69 del 2005.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della l. n. 69 del 2005.

Depositata il 14 febbraio 2020.

P. Gallo

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