Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Sezione II
Sentenza 30 marzo 2020, n. 454

Presidente: Adamo - Estensore: Ieva

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso depositato come in rito, il ricorrente chiedeva accertarsi l'illegittimità del silenzio sull'istanza di rilascio del permesso di costruire, corredato da uno schema di convenzione, relativo al progetto di variante di un edificio destinato a struttura per la vendita e servizi, con realizzazione di un edificio non oil bar-shop e con ampliamento di un impianto di distribuzione di carburanti.

2. Accadeva infatti che gli uffici del Comune di Bisceglie adottassero gli atti infra-procedimentali previsti, gli uffici degli altri enti coinvolti nel procedimento rilasciassero i pareri e nulla-osta previsti; mentre, rimesso l'affare dal responsabile del procedimento al Consiglio comunale per i deliberati di precipua competenza, quest'ultimo rimanesse inerte.

3. Indi, il ricorrente censurava il silenzio, evidenziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost.; degli artt. 1, 2, 3 e ss. e 29 della l. 7 agosto 1990, n. 241; degli artt. 5, 20 e 28-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; dell'art. 42 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267; del Regolamento della Regione Puglia n. 7 del 28 aprile 2009 sull'insediamento di medie e grandi strutture di vendita; della legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24 recante il "Codice del commercio" e del Piano comunale del commercio approvato con delibera di Consiglio comunale n. 47/2010.

Veniva altresì contestata la violazione e falsa applicazione dei principi di affidamento, di correttezza, di efficienza, imparzialità e di buon andamento e di legalità dell'azione amministrativa, del giusto procedimento e l'eccesso di potere per omesso esercizio della funzione amministrativa, per difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti, irrazionalità, arbitrarietà ed ingiustizia manifesta e per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.

4. Il Comune rimaneva silente anche nel ricorso, non costituendosi.

5. Il ricorso è fondato.

L'art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241 ha posto chiaramente il principio secondo cui, ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo, mediante l'adozione di un provvedimento espresso.

Il provvedimento espresso costituisce la forma normale di esercizio del potere.

L'art. 20 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ha previsto che, nel caso in cui sia inoltrata alla P.A. un'istanza per il rilascio del permesso di costruire, il relativo procedimento debba concludersi nel termine di novanta giorni o, nei casi particolarmente complessi, nel termine raddoppiato di centottanta giorni.

Nel caso di specie, al più, omettendo di pronunciarsi entro il termine di centottanta giorni dall'inoltro di tutta la documentazione integrativa (e, cioè, dal 27 novembre 2018), il Comune ha violato la surriferita disposizione ed i principi che impongono, per ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di buona amministrazione, l'adozione di un provvedimento espresso.

Seppure l'art. 20 del d.P.R. citato annetta all'inutile decorso del tempo (peraltro non predeterminato, ma variabile a seconda della complessità dell'intervento edilizio) per la conclusione del procedimento la formazione del provvedimento per silenzio-assenso, come ha chiarito la più recente giurisprudenza (T.A.R. Puglia, sez. II, 20 maggio 2019, n. 725; T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 26 aprile 2019, n. 5308), non viene sempre meno l'interesse ad ottenere un provvedimento espresso.

Difatti, tutte le volte in cui sussista un interesse pregnante al rilascio del provvedimento espresso, vuoi per la tipologia e le caratteristiche dell'intervento edilizio da realizzarsi, che renda in se stessa opinabile la formazione del provvedimento tacito, vuoi quando la normativa di settore introduca oneri accessori, che cioè postulano la stipulazione di convenzioni collegate, il permesso di costruire deve intendersi che debba essere sempre rilasciato in forma espressa.

La formazione del silenzio-assenso (art. 5 della l. 12 luglio 2011, n. 106) sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) richiede comunque che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi sia oggettivi, di accoglibilità, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell'intervento edilizio, alcun titolo tacito può in realtà validamente formarsi (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4273; 5 settembre 2016, n. 3805).

Né può formarsi un titolo tacito quando l'immobile ricada in una zona sottoposta a vincoli paesaggistici e idrogeologici (T.A.R. Puglia, sez. III, 7 gennaio 2019, n. 11; T.A.R. Campania, sez. VII, 10 gennaio 2019, n. 139; C.d.S., sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4516), o, secondo una parte della giurisprudenza, non vi sia piena prova della conformità dell'intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia (T.A.R. Lazio, sez. II, 3 ottobre 2018, n. 9707; T.A.R. Campania, sez. II, 14 marzo 2018, n. 1630).

È stato inoltre precisato che detta forma di silenzio, che origina un titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento, pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull'esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce solo un'alternativa modalità (presuntivamente) semplificata e di tipo "rimediale" per il conseguimento dell'autorizzazione anelata, laddove l'amministrazione comunale rimanga inerte (T.A.R. Puglia, sez. III, 14 gennaio 2016, n. 37).

Epperò, trattasi pur sempre di un'alternativa posta nell'interesse del destinatario, ossia del soggetto passivo che "attende" il provvedimento. La natura rimediale (e derogatoria) del silenzio-assenso va qualificata in senso per così dire "protettivo" dell'interesse del richiedente all'irrinunciabilità dell'atto esplicito e formale, preordinato ad evitare l'avvio di un'attività a gravoso impatto territoriale ed economico, peraltro non facilmente reversibile.

Tanto, tra l'altro - come evidenziato dal ricorrente - al fine di avere un maggior grado di stabilità e certezza del rapporto, rilevante nella prospettiva del privato, in relazione all'impegno economico-finanziario per l'edificazione, di avere contezza del termine finale dei lavori e della certezza del titolo edilizio, per l'avvio delle pratiche bancarie e finanziarie propedeutiche all'inizio delle opere, per il trasferimento del bene o del permesso, per la sottoscrizione del preliminare di acquisto delle porzioni di fabbricato, etc. (T.A.R. Lazio, sez. II, 1° agosto 2019, n. 10227; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 7 novembre 2019, n. 1936).

Dirimente, nel caso di specie, è poi la considerazione secondo cui, l'istanza di permesso di costruire è accompagnata da uno schema di convenzione, specificamente richiesto dagli uffici del Comune, al quale è, peraltro, assegnata la scelta di affidare o meno in concessione le c.d. aree a standard e di accettare la cessione del locale a piano terra (o, in suo luogo, la valorizzazione pecuniaria).

Tant'è che la co-essenzialità, nella fattispecie concreta, di simili decisioni amministrative, che vanno rese per loro intrinseca natura in forma espressa, rispetto al permesso di costruire, a cui sono collegate in modo indifettabile, preclude la formazione del titolo edilizio per silenzio-assenso.

A riprova, l'art. 28-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ha sì previsto, quale altro strumento di semplificazione, il rilascio del permesso di costruire convenzionato, ma ha al contempo imposto che la convenzione debba essere approvata, per l'appunto, con apposita delibera (espressa) dal consiglio comunale, come disposto pure dall'art. 42 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u. degli enti locali).

In ultima analisi, nel caso di specie, essendo numerosi i profili non definiti e non definibili per silenzio-assenso, che indi esigono l'adozione di una decisione amministrativa in forma espressa, nessun titolo edilizio può essersi validamente formato in forma inespressa.

Va pur rammentato che il diritto di proprietà privata assume una pregnante rilevanza sia costituzionale (art. 42, comma 2°, della Costituzione), sia per il diritto europeo (art. 1 del primo Protocollo addizionale alla C.E.D.U.; art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). Ma, non è un diritto incondizionato.

La proprietà, specie quella edilizia, ha, per contenuto precipuo, la facoltà di poter godere e disporre in modo pieno ed esclusivo il bene che ne è oggetto, però entro i limiti (negativi) e con l'osservanza degli obblighi (positivi) previsti dall'ordinamento giuridico (art. 832 del codice civile). Limitazioni queste ultime del diritto di proprietà che - pur tuttavia - devono esser precisamente note e documentabili dalla pubblica amministrazione, qualora richiestane, specie quando si voglia farne l'uso edilizio e vi siano profili discrezionali nel potere da esercitare.

Pertanto, nella fattispecie concreta, rimane il dovere dell'Amministrazione comunale di assumere il deliberato che le compete, sulla scorta dell'istruttoria già compiuta, esercitando, senza ulteriore ritardo, i poteri discrezionali previsti.

6. In conclusione, assorbita ogni altra questione, il ricorso è fondato e merita accoglimento, con declaratoria dell'obbligo di provvedere, entro trenta giorni (art. 117, comma 2, del codice del processo amministrativo) dalla comunicazione a cura della Segreteria, o, se antecedente, dalla notificazione, a istanza della parte interessata, della presente sentenza.

7. In ipotesi di ulteriore inerzia (art. 117, comma 3, del codice del processo amministrativo), nomina fin d'ora Commissario ad acta il Prefetto di Barletta-Andria-Trani, con facoltà di delega, il quale provvederà entro il termine dei successivi sessanta giorni.

8. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. Il contributo unificato, in applicazione dell'art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va rifuso.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara l'obbligo del Comune di Bisceglie di concludere, entro il termine di trenta giorni, il procedimento.

Nomina commissario ad acta, per l'ulteriore inerzia del Comune di Bisceglie, il Prefetto di Barletta-Andria-Trani, con facoltà di delega.

Condanna il Comune di Bisceglie al pagamento in favore del ricorrente alle spese di giudizio, che si liquidano in euro 2.000,00, oltre accessori di legge. C.U. rifuso.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.