Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 24 novembre 2020, n. 3007

Presidente: De Gregorio - Estensore: Borrelli

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata, il 3 giugno 2019, dalla Corte di Assise di appello di Milano, quale Giudice del rinvio dopo l'annullamento della prima sezione penale di questa Corte, ed ha ribaltato la pronunzia della Corte di Assise di Brescia del 27 settembre 2008 che aveva assolto Salvatore Marino, tratto a giudizio per rispondere - in concorso con il cugino Vito Marino e con Dino Grusovin - dell'omicidio volontario di Angelo Cottarelli, del figlio diciassettenne Luca Cottarelli e della compagna del primo e madre del giovane, Marzenna Topor, nonché dei connessi reati di detenzione e porto di due armi comuni da sparo.

1.1. Più precisamente, secondo l'editto accusatorio, l'omicidio era aggravato dalla premeditazione, dai motivi futili e dalla crudeltà, i reati in materia di armi dal nesso teleologico nonché - tutte le fattispecie - dall'aver commesso il fatto per agevolare Cosa Nostra. Con la sentenza oggi impugnata, pur sovvertendo il verdetto liberatorio del primo grado, la Corte territoriale ha escluso le circostanze aggravanti dei motivi futili e della premeditazione quanto all'omicidio, quella dell'agevolazione mafiosa, per entrambi i reati, ed ha ritenuto la penale responsabilità dell'imputato solo per la detenzione di una pistola calibro 22.

1.2. I fatti.

Secondo il resoconto di quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale che si ricava dalle sentenze di merito e, in particolare, da quella di prime cure, il fatto risale alla mattinata del 28 agosto 2006, quando Luca Cottarelli e la Marzenna furono trovati morti nella tavernetta della villetta dove abitavano a Brescia, con segni di colpi d'arma da fuoco al capo e di ferite da arma da taglio alla gola e con le mani legate all'indietro con fascette stringi tubo. Vicino a loro vi era anche Angelo Cottarelli, che presentava ferite analoghe e che, al momento dell'accesso dei soccorritori, era ancora vivo, sia pure gravemente ferito, ma che sarebbe morto di lì a poco in ospedale. La casa era stata, in alcune sue parti, rovistata.

Un primo fronte delle indagini era diretto ad identificare tre uomini - visti da alcuni vicini - che quella mattina sul presto erano scesi da una Fiat Punto di colore grigio metallizzato e erano entrati nella villetta, per uscirne alle 9,15 quando già risultavano, sulla base in particolare degli accertamenti autoptici, morti Luca Cottarelli e la Marzenna.

Un secondo fronte prendeva spunto dal traffico telefonico in entrata sulle utenze di Angelo Cottarelli, che evidenziava tre chiamate senza risposta la sera prima da un numero intestato ad un inesistente cittadino inglese (tale Romance), con un'utenza che agganciava le celle corrispondenti all'abitazione ed all'ufficio della vittima.

Un terzo filone riguardava gli affari di Angelo Cottarelli, in cui, secondo una fonte confidenziale, risiedeva la causale dell'eccidio.

Una svolta fondamentale per le indagini si è avuta quando l'utilizzatore dell'utenza apparentemente del cittadino inglese Romance è stato identificato in Dino Grusovin. Questi, dopo ripetute escussioni, ha sostenuto di essere stato presente nella villetta dei Cottarelli al momento del massacro - senza prendere parte allo stesso - insieme ad un quarto uomo di origine pugliese non indicato nominativamente. L'eccidio era stato perpetrato dai cugini Vito e Salvatore Marino, alla verosimile ricerca di denaro e quant'altro nella disponibilità di Angelo Cottarelli; la causale dell'omicidio - ha riferito sempre Grusovin - era legata ad affari illeciti che la vittima Angelo Cottarelli intratteneva, anche tramite tale Francesco Tartamella, con Vito Marino, aventi ad oggetto l'erogazione di ingenti finanziamenti pubblici e un giro di false fatturazioni tra società riferibili al Cottarelli e società aventi sede in Sicilia e facenti capo al Marino. Nell'ambito di questi affari illeciti, Cottarelli aveva portato allo sconto fatture emesse nei confronti di alcune società del Marino per operazioni inesistenti; Marino, che aveva, quindi, quell'estate, pressante bisogno di liquidità per evitare il protesto, aveva preteso dal Cottarelli la corresponsione di un milione e mezzo di euro pari ad una parte dell'illecito profitto conseguito dalla vittima.

Le indagini chiarivano che Vito e Salvatore Marino si erano recati dalla Sicilia a Milano e a Brescia in varie occasioni; in particolare, il 22 agosto 2006, secondo quanto riferito da Salvatore Gandolfo, essi si erano fatti accompagnare a Brescia, dove Vito Marino era alla ricerca di Francesco Tartamella e si era fatto indicare anche la casa di Angelo Cottarelli.

Nella mattinata del 27 agosto, Vito e Salvatore Marino erano nuovamente giunti a Milano con la BMW di Maurizio Marino, fratello di Vito, e quest'ultimo aveva subito noleggiato, a Linate, alle 13.35, una Fiat Grande Punto, analoga a quella utilizzata dagli assassini per recarsi a casa dei Cottarelli nella serata del 27 agosto e nella mattinata successiva (l'auto era poi stata riconsegnata al noleggiatore alle ore 11.21 del giorno successivo). Come dichiarato da Grusovin, che riferiva di averli accompagnati (trovando dette dichiarazioni conferma nel fatto che in quell'orario nella stessa zona risultava essere stata compiuta una ricarica dell'utenza telefonica Romance in suo uso), Vito Marino, Grusovin ed un altro soggetto si erano poi recati insieme con la Punto a Brescia nel sopralluogo summenzionato e lo stesso avevano fatto il giorno successivo, nel quale si era verificata la strage. In quest'ultima occasione, quando già Grusovin, Vito Marino ed il quarto uomo si trovavano a casa Cottarelli, era giunto in un secondo momento anche Salvatore Marino, che aveva partecipato all'eccidio, durante il quale Grusovin ed il quarto uomo erano stati legati ed immobilizzati al piano terra della villetta dai Marino. I tentativi di individuare, grazie alle indicazioni di Grusovin, tale quarto uomo sono falliti.

Veniva altresì raccolto il narrato di alcuni testimoni, vicini di casa delle vittime, che - come già accennato - avevano segnalato l'arrivo dei tre uomini presso la villetta dei Cottarelli il giorno precedente l'eccidio (Lusardi Francesco) ed il giorno dell'eccidio (il teste Cornacchiari, nonché i testi Coco, Tonoli e Messora), quando i tre erano stati accolti da Angelo Cottarelli e fatti entrare in casa.

Sequestrate le auto, sia sull'autovettura noleggiata a Linate che sulla BMW con cui i Marino erano partiti dalla Sicilia, erano state ritrovate particelle, della cui compatibilità con residui di spari si è a lungo discusso, e precisamente due contenenti piombo e bario ed una antimonio nella Punto ed una particella di piombo e bario nella BMW. Era sentita anche Zahayko Leshka, collaboratrice domestica dei Cottarelli, che riferiva che la mattina dell'omicidio si era recata alle ore 8,30 presso l'abitazione dei suddetti ed era stata congedata dalla Marzenna, che, con voce tranquilla, le aveva detto per citofono che la famiglia era in partenza e di tornare un altro giorno.

2. La pluriennale vicenda processuale vede il processo "tornare" per la quarta volta al vaglio di questa Corte, questa volta solo per quanto concerne la posizione di Salvatore Marino, giacché la sentenza di condanna di Vito per l'omicidio e la detenzione della pistola cal. 22 è divenuta definitiva e Grusovin è stato separatamente giudicato con rito abbreviato e ritenuto responsabile del triplice omicidio a titolo di concorso anomalo. Appare opportuno, per assicurare chiarezza espositiva al prosieguo della motivazione, riepilogare brevemente le precedenti scansioni processuali, dedicando particolare attenzione alla posizione di Salvatore Marino.

2.1. La sentenza di primo grado.

La Corte di Assise di Brescia ha assolto Vito e Salvatore Marino per non aver commesso il fatto. Il tema centrale della sentenza di primo grado - tema che ha determinato la Corte di Assise alla pronunzia liberatoria - è costituito dalla ritenuta inattendibilità di Grusovin e del suo racconto. Il dichiarante è stato dipinto, nella sentenza di primo grado, a tinte fosche come protagonista di traffici economici di dubbia liceità e come soggetto tendente alla mistificazione ed interessato ad allontanare da sé qualsiasi sospetto di compartecipazione all'omicidio ovvero ad ottenere la protezione degli inquirenti da minacce provenienti da altri contesti. Dopo ampia disamina, la prima Corte ha concluso che Grusovin non era mai stato presente nella villetta insieme ai Marino al momento della strage e che aveva falsamente coinvolto un quarto uomo, erroneamente accusato e poi "salvatosi" dalle accuse solo grazie ad una solida prova d'alibi.

La Corte di Assise ha, altresì, neutralizzato la valenza a carico di una serie di dati: le dichiarazioni di Salvatore Gandolfo (soggetto anch'esso in affari con Cottarelli e Marino), le indagini sui residui dello sparo nelle autovetture in uso ai Marino il giorno del fatto, il ritrovamento di fascette stringitubo in un veicolo in uso a Salvatore Marino ed il movente prospettato da Grusovin circa le rivendicazioni di Vito Marino verso Cottarelli, analizzando i rapporti affaristici tra i due. La Corte ha altresì prospettato come possibile che l'efferato delitto fosse riferibile ad ambienti frequentati da Grusovin, ovvero a cointeressenze affaristiche illecite di Angelo Cottarelli con soggetti diversi da Marino, evidenziando come tali direttrici investigative non fossero mai state sviluppate.

Quanto ai restanti elementi addotti dal pubblico ministero come prove a carico/riscontri del narrato di Grusovin, essi non costituirebbero un coacervo di indizi gravi precisi e concordanti. Il riferimento è:

- al giudizio di somiglianza espresso dal vicino di casa Cornacchiari - reputato contraddittorio - quanto ai Marino ed alla mattina dell'omicidio,

- al giudizio - ritenuto ondivago - di somiglianza espresso dal teste Lusardi rispetto ai Marino per quanto concerne i soggetti visti in prossimità della villetta il pomeriggio prima dell'eccidio;

- alla coincidenza per tipologia e colore dell'autovettura presa a noleggio da Vito Marino con quella avvistata davanti alla villetta teatro del delitto,

- alla strana mancanza di cellulari, lasciati dai Marino in Sicilia;

- al noleggio della Fiat Punto.

2.2. La prima sentenza di appello (Corte di Assise di appello di Brescia del 7 giugno 2010).

La sentenza predetta è stata riformata il 7 giugno 2010 dalla Corte di Assise di appello di Brescia, che, su appello del pubblico ministero e delle parti civili, ha condannato Vito e Salvatore Marino per omicidio e detenzione e porto di un'unica pistola alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno a favore dei congiunti delle vittime.

In estrema sintesi, la Corte territoriale, diversamente opinando rispetto a quella di prime cure, dissentiva dalla svalutazione compiuta dal primo Giudice delle dichiarazioni di Grusovin - fondata sul suo discutibile rigore morale - e sosteneva che comunque le sue dichiarazioni potevano essere valutate frazionatamente, isolando quelle relative a circostanze inveritiere (in parte legate alla natura confusionaria del propalante, in parte al tentativo di accreditarsi come estraneo alle intenzioni assassine dei Marino), non in grado di incidere totalmente sulla valutazione positiva di credibilità ovvero di svalutare integralmente la sua ricostruzione dei fatti, in particolare quanto alla sua presenza sul luogo e al momento dei delitti, confermata da altri elementi sia concreti che logici, che denotavano la sua partecipazione ad entrambe le spedizioni del 27 e del 28 a Brescia e la ricostruzione che ne aveva reso. Analizzati, quindi, tutti gli elementi a carico dei Marino, il movente riferito dal dichiarante ed emerso dalle risultanze processuali ed escluse ipotesi alternative, detta pronuncia ha concluso per l'affermazione di penale responsabilità di entrambi gli imputati. In particolare, quanto a Salvatore Marino, al di là della versione di Grusovin, la Corte di merito è giunta ad affermare che questi avesse partecipato sia alla spedizione a Brescia del 27 che a quella del 28 agosto.

2.3. L'annullamento della prima sezione penale del 10 novembre 2011.

La sentenza della Corte di Assise di appello di Brescia è stata annullata con rinvio dalla prima sezione penale di questa Corte il 10 novembre 2011.

In primo luogo, la prima sezione penale ha valutato corretto il vaglio di credibilità soggettiva del dichiarante, il quale - «di fronte all'unica vera contestazione a lui rivolta, e cioè di essere il detentore della utenza telefonica Romance» - agli esordi delle indagini aveva consentito di individuare un suo collegamento con l'omicidio e la vittima chiamando in causa i Marino e si era addirittura collocato sulla scena del delitto, dato processuale certo e non più confutabile, contro il suo interesse («che costui fosse un pregiudicato e una persona dedita a traffici illeciti non esclude in assoluto la sua credibilità, mentre ciò che deve essere valutato era l'inizio della sua collaborazione, la sua spontaneità e coerenza», si legge nella pronunzia in discorso).

Il che, secondo la decisione di legittimità, consentiva l'accesso alla valutazione frazionata della sua credibilità, che tenesse ben "presente che la debole valenza dell'attendibilità soggettiva" dovesse "essere compensata da un più elevato e consistente spessore di riscontro della credibilità estrinseca". Detta pronuncia evidenziava come l'effettiva presenza di Grusovin nell'abitazione delle vittime costituisse un riscontro alla sua chiamata in reità, non avendo lo stesso alcun motivo di esserci se non in compagnia dei Marino e non sussistendo sul punto alcuna ipotesi alternativa, non essendovi la prova del collegamento tra Cottarelli e persone diverse dai Marino e che fossero conosciute anche da Grusovin.

In secondo luogo, quanto ai riscontri specifici per Salvatore Marino, la Corte di cassazione ha opinato che essi fossero costituiti «dalla sua presenza a Milano in quei giorni col cugino, dalla conoscenza con Grusovin, dalla circostanza che era stato ospitato nella stessa casa di Grusovin e che era già stato a Milano e Brescia la settimana prima».

Con riferimento, invece, ad altri riscontri ritenuti individualizzanti, la Corte di cassazione ha censurato la valutazione frazionata dei contributi dei testi che avevano scorto gli uomini nelle vicinanze della villetta e, con specifico riferimento a Salvatore Marino, ha osservato - tra l'altro - che «Grusovin aveva riferito che la sera del 27 non era andato con loro a Brescia e che la mattina dopo era venuto con la sua auto e aveva portato la pistola, circostanze che appaiono prive di specifica conferma e in relazione alle quali deve essere offerta una valutazione logica e congrua con le altre risultanze processuali».

2.4. La seconda sentenza di appello (sentenza della Corte di Assise di Milano del 25 giugno 2013).

In ossequio al mandato della sentenza rescindente, la Corte di Assise di appello di Milano, con la decisione del 25 giugno 2013, ha nuovamente analizzato i contributi dei testimoni oculari sulla presenza dei tre uomini presso la villetta dei Cottarelli, concludendo per un quadro indiziario «meno sfumato» per i Marino e più per Grusovin, la cui presenza sia il 27 che il 28 nei pressi della casa delle vittime era però aliunde provata e reputata incontestabile dalla stessa Corte di cassazione.

Venivano, quindi, valorizzati come riscontri alla chiamata in correità di Grusovin:

- l'accertata ed inconsueta scelta di entrambi i Marino di lasciare i cellulari a Trapani;

- l'utilizzo dell'autovettura invece che dell'aereo per salire a Milano dalla Sicilia, tipologia di vettore maggiormente mimetizzabile e idoneo a consentire il trasporto di una pistola;

- il noleggio della Fiat Grande Punto nonostante i Marino fossero in possesso di un'autovettura;

- l'irrilevanza a discarico dell'utilizzo della carta di credito di Marino Vito per il noleggio dell'autovettura, che è un sistema di pagamento imprescindibile;

- la compatibilità dei chilometri percorsi con i tragitti descritti da Grusovin;

- la volontà di mimetizzazione in Lombardia dei Marino, che si erano fatti ospitare per la notte da Grusovin, a differenza di altre occasioni, allorquando avevano pernottato in albergo;

- la presenza di residui reputati altamente indicativi dello sparo nella Punto e nella BMW;

- la precedente ricerca di Cottarelli da parte di Vito Marino accompagnato da Salvatore Marino come ricavabile dalle dichiarazioni di Salvatore Gandolfo.

Con specifico riferimento a Salvatore Marino, la Corte di merito sottolineava:

- la presenza di fascette stringicavo in un trattore stradale in suo uso della stessa marca di quelle utilizzate in occasione dell'eccidio;

- la sua compartecipazione agli affari del cugino, come testimoniata dal consulente finanziario Falco;

- l'assurdità del coinvolgimento di un soggetto diverso da Salvatore Marino nel triplice omicidio quando tutti i movimenti di Vito Marino erano stati improntati alla più strenua riservatezza.

2.5. La sentenza della quinta sezione penale della Corte di cassazione del 30 settembre 2014.

Con la sentenza suddetta, la quinta sezione penale ha annullato la decisione appena sunteggiata, applicando i principi della giurisprudenza della Corte edu, in particolare della sentenza Dan contro Moldavia, deducendone che andassero nuovamente escussi Grusovin e Gandolfo, ma non i testimoni dei movimenti dei tre uomini vicino alla villetta.

2.6. La sentenza della Corte di Assise di appello di Milano del 31 maggio 2016.

La Corte di Assise di appello di Milano, quale Giudice di rinvio, ha nuovamente ribaltato il verdetto liberatorio di primo grado, questa volta previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con escussione di Dino Grusovin e Salvatore Gandolfo, come da mandato di questa Corte.

La sentenza suddetta consta, in primo luogo, di un amplissimo esame dei dati oggettivi - indipendenti dalle dichiarazioni dei soggetti escussi in sede di rinnovazione - a sostegno della fondatezza dell'accusa, anche a prescindere dalla loro natura di riscontri alle dichiarazioni di Grusovin.

In secondo luogo, la Corte di Assise di appello è passata ad analizzare il portato dichiarativo di Salvatore Gandolfo e di Grusovin, sia per quanto concerne le precedenti escussioni che quelle avvenute in sede di rinnovazione (quella di Grusovin "assistita" per il passaggio in giudicato della condanna a suo carico per il medesimo fatto, ritenuto il concorso anomalo).

2.7. La sentenza della prima sezione penale di questa Corte del 5 ottobre 2017.

La terza volta che il processo è giunto in cassazione il ricorso di Vito Marino è stato rigettato e la sentenza è divenuta, pertanto, definitiva nei suoi confronti.

Quanto a Salvatore Marino, la Corte di cassazione ha evidenziato che, a differenza che per Vito, a carico del cugino non vi era anche il dato delle cointeressenze economiche con Cottarelli e dei riscontri costituiti dal noleggio dell'autovettura con la quale anche i testimoni avevano visto giungere i tre. Inoltre rimarcava che Grusovin, pur avendo collocato, in sede di rinnovazione, anche Salvatore Marino a Brescia la sera del 27, poi, incalzato dalle contestazioni, aveva finito per confermare le dichiarazioni dell'incidente probatorio secondo cui il predetto non aveva partecipato a quel sopralluogo preventivo. La sentenza rescindente ha altresì giudicato frettolosa la riflessione della Corte milanese a proposito del quarto uomo indicato da Grusovin come partecipe del segmento avvenuto a casa Cottarelli il 28, inferendone, la Corte di merito, che i tre uomini autori del sopralluogo del 27 agosto e quelli entrati ed usciti dalla villetta il giorno dopo fossero i due Marino e Grusovin.

E ciò - quanto alla posizione di Salvatore Marino - sulla sola base di elementi logici. Da una parte, la considerazione che egli non avrebbe mai lasciato solo il cugino alla ricerca di Cottarelli; dall'altra, che quella del quarto uomo fosse un'invenzione di Grusovin per alleggerire la sua posizione processuale, dalla quale, oggi, non poteva tornare indietro, ammettendo di essersela inventata.

Ancora si legge nella sentenza della prima sezione penale: «Orbene, con detta ultima argomentazione [quella dell'invenzione, da parte di Grusovin, del quarto uomo quale tentativo di ammantare di buona fede la propria partecipazione all'incursione a casa Cottarelli] dimostra di non affrontare un profilo che invece andava approfondito, ossia che il collaboratore nelle dichiarazioni rese prima della condanna definitiva, che non ha potuto successivamente smentire, aveva tutto l'interesse a collocare sulla scena del crimine in un secondo momento Marino Salvatore, affermando che era sopraggiunto armato a bordo della BMW del cugino (fratello di Vito), e ad introdurre, conseguentemente, il riferimento ad un quarto uomo che si sarebbe recato con lui e con Vito Marino prima di Salvatore a casa dei Cottarelli, in conformità della testimonianza sulle tre persone viste arrivare a bordo della Punto ed entrare nella villetta dei Cottarelli. Con la conseguenza che a ridimensionare la responsabilità del Grusovin non sia il riferimento al quarto uomo a riprova che si fosse trattato di un incontro di "affari" poi degenerato, ma al fatto - che verosimilmente ha indotto al primo riferimento - che Salvatore fosse sopraggiunto sulla scena del crimine come sopra indicato. La chiamata in reità nei suoi confronti deve essere, pertanto, relazionata con tale profilo e con il mancato riscontro non tanto della presenza nelle vicinanze del luogo del fatto della BMW, che potrebbe essere passata inosservata, ma quanto, piuttosto, dell'uscita di un quarto uomo da casa Cottarelli».

2.8. La sentenza impugnata.

La sentenza impugnata ha ribadito il ribaltamento della decisione di primo grado già due volte sancito dalla Corte di merito - anche - nei riguardi di Salvatore Marino. Il Collegio di appello ha premesso che vi erano delle verità acquisite: l'ora della strage, la credibilità soggettiva di Grusovin, la possibilità di valutare in maniera frazionata il narrato di quest'ultimo. Del pari potevano dirsi acquisiti - ancorché non sufficienti - elementi di riscontro a carico di Salvatore Marino, quali la sua presenza a Milano in quei giorni con il cugino, la conoscenza con Grusovin, l'ospitalità da quest'ultimo offertagli nonché la partecipazione al viaggio a Brescia del 22 agosto. L'appellante, poi, non aveva contrastato il dato incontrovertibile dell'impossibilità di Vito Marino di compiere da solo la "perquisizione" della casa del Cottarelli ed il triplice omicidio, impedendo alle vittime di lamentarsi, effetto che non poteva che essere stato ottenuto solo con un'arma, entrata fin dall'inizio nell'abitazione; ancora, andava valutato che Vito non era avvezzo all'uso di armi, mentre Salvatore vantava già due condanne definitive per reati di tal genere e che, in concomitanza con la pronunzia della prima sentenza di appello, aveva commesso i reati di possesso e fabbricazione di documenti falsi, circostanza spiegabile con un tentativo di fuggire per sottrarsi alla cattura. Sostiene altresì la Corte di merito che resterebbe inspiegabile perché, pur dopo l'irrevocabilità della condanna a suo carico, Vito Marino non abbia mai inteso scagionare il cugino. Si legge, dopo questa carrellata, che «Questi, che rappresentano, da un lato, questioni irrisolte e, dall'altro, elementi logici di straordinario conforto alle dichiarazioni di Grusovin pur nella sua "difensiva" ricostruzione di quella giornata, non sono parsi alla Suprema Corte - in uno con gli altri - idonei a fondare la responsabilità dell'odierno imputato dovendosi, a fronte di un dichiarante "debole", rinvenirsi elementi di riscontro individualizzanti "forti"». Tuttavia, pur a fronte delle perplessità della Corte di cassazione, secondo i Giudici milanesi oggi vi sarebbe un dato nuovo incidente sulla pretesa dei riscontri forti, vale a dire il passaggio in giudicato delle condanne di Grusovin stesso e di Vito Marino, che consentiva di ricercare elementi di riscontro individualizzante estrinseco meno rafforzati. Tali elementi si rinvengono nella circostanza che la Punto fu presa in consegna e restituita al noleggiatore sia da Vito che da Salvatore Marino in un'ora compatibile con l'omicidio, che Salvatore Marino aveva partecipato al viaggio a Brescia del 22 agosto (circostanza falsamente negata dall'imputato), dal fatto che uno dei tre uomini visti dai vicini di casa entrare il 28 in casa Cottarelli portasse una 24 ore e che analoga valigetta fosse stata vista da Grusovin in casa sua, in possesso di Salvatore Marino, con una calibro 22 all'interno, che anche Salvatore Marino aveva lasciato in Sicilia il cellulare, che i testi avevano fornito una descrizione di due uomini somiglianti ai Marino e che il teste Lusardi aveva riconosciuto Salvatore in aula. Non rileva a favore dell'imputato - si legge ancora nella sentenza impugnata - che la presenza di Salvatore Marino il 27 a Brescia non sia certa, perché era evidente che, quanto al 28, il quarto uomo era un'invenzione di Grusovin per giustificare l'arrivo sulla scena del crimine di Salvatore Marino solo in un secondo momento e, quindi, per accreditare l'idea che Grusovin potesse aver confidato nella matrice quantomeno solo estorsiva della visita a casa Cottarelli (come già sostenuto dalla Corte di cassazione con la sentenza del 2015). Deporrebbe, inoltre, per l'ingresso di Salvatore Marino a casa Cottarelli fin dall'inizio anche il fatto che, non avendo partecipato al sopralluogo del 27 agosto, non conosceva l'ubicazione della casa, che il mancato possesso di un cellulare gli impediva di ottenere indicazioni dai complici e che il citofono di casa Cottarelli era rotto, quindi non si sapeva chi potesse aprirgli. Inoltre i Giudici di appello hanno ritenuto non spiegabile perché il gruppo avesse scelto di arrivare sul posto con due autovetture, visto che le intenzioni iniziali erano pacifiche. La Corte di merito ha altresì escluso intenti calunniatori in capo a Grusovin, sia per la caratura criminale di Salvatore Marino, sia perché la sua presenza sul posto non scriminava la condotta del suo accusatore. La Corte di Assise di appello ha, infine, sostenuto la scarsa rilevanza della questione del ritrovamento delle fascette stringi cavo nel veicolo in uso all'imputato, nonché il superamento della questione delle tracce biologiche sulle fascette che legavano i polsi di Luca Cottarelli (data l'esclusione della presenza del quarto uomo) e della presenza di tracce di sangue - rectius di residui dello sparo - nelle autovetture, data la condanna definitiva di Vito Marino, che in quei veicoli aveva viaggiato.

3. Ricorrono avverso detta sentenza i difensori di fiducia dell'imputato, Avv. Giovanni Palermo e Avv. Giuseppe Pesce, affidando le proprie censure a cinque motivi.

3.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 603, comma 3-bis, e 627, comma 3, c.p.p.

La sentenza liberatoria di primo grado sarebbe stata ribaltata senza che, prima della deliberazione impugnata, venissero escusse le fonti dichiarative (in particolare Grusovin), in spregio al dettato normativo oggi in vigore, anticipato dalle Sezioni unite di questa Corte. Come già sancito dalla sentenza di annullamento di questa sezione del 2013, ferma restando la presenza del collaborante sul luogo del fatto, la sua nuova audizione serviva a vagliarne la credibilità allorché chiamava in causa Salvatore Marino. Quest'ultimo aspetto consentiva di rimettere in discussione anche la stessa credibilità della fonte di accusa, tema che - ancorché non oggetto di annullamento - sarebbe in connessione essenziale con quello della credibilità della chiamata verso l'imputato. La giurisprudenza di legittimità aveva interpretato in maniera estensiva il disposto dell'art. 624 codice di rito, secondo cui il Giudice del rinvio non può giudicare sulle parti della sentenza non annullate, salvo che queste non siano in rapporto di connessione essenziale con quelle annullate.

La precedente escussione di Grusovin nel pregresso giudizio di appello, avvenuta dopo l'annullamento di questa sezione, non risolve la questione posta, giacché la ratio della necessità di nuova escussione riposa sulla necessità di percezione diretta del dato dichiarativo da parte dei Giudici che dovranno pronunziarsi.

Medesime problematiche si pongono quanto alla deposizione di Salvatore Gandolfo, a proposito dello stringente bisogno di denaro di Vito Marino.

Altro aspetto della decisione che viene contestato è quello dell'affermazione della Corte di merito - infarcita di errori - circa il sangue - rectius le tracce di sparo - rinvenute nella Panda - rectius nella Fiat Grande Punto - e nella BMW. A quest'ultimo riguardo, il ricorrente assume che detta questione era oggetto del quarto motivo di ricorso di Salvatore Marino, che la prima sezione penale aveva reputato fondato, quindi non vi sarebbe giudicato ed anche tale tema avrebbe imposto, sulla scorta di Sezioni unite Pavan, la nuova escussione dei periti.

Una nuova escussione si imporrebbe anche quanto al riconoscimento di Salvatore Marino da parte del teste Lusardi sulla scena del delitto, la cui deposizione era stata travisata, giacché questi aveva riferito solo sul giorno 27, quando la presenza dell'imputato, per stessa ammissione della Corte di merito, era rimasta irrisolta, e si era espresso in termini di mera somiglianza, peraltro con la precisazione di alcune differenze. Anche Lusardi andrebbe risentito, in quanto la Corte di Assise di Brescia ne aveva completamente svalutato il contributo ricostruttivo.

Per finire, il ricorrente critica il giudizio di consistenza dei riscontri costituiti dalla presenza di Salvatore Marino a Milano con il cugino, dalla conoscenza con Grusovin, all'ospitalità da questi ricevuta ed all'accompagnamento a Brescia la settimana precedente.

Tali riscontri non sarebbero utili neanche seguendo il ragionamento della Corte di merito a proposito della loro minore essenzialità in ragione del passaggio in giudicato delle sentenze nei confronti di Grusovin - perché resa in abbreviato - e di Vito Marino, salvo, in quest'ultimo caso, voler ritenere una transitività della responsabilità da un cugino all'altro.

3.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 546, lett. e), e 627, comma 3, c.p.p. e vizio di motivazione ed investe l'utilizzazione contra reum, come riscontro, delle dichiarazioni dei vicini di casa dei Cottarelli quanto al riconoscimento dell'imputato. Già le sentenze della Corte di cassazione del 2011 e del 2013 avevano stigmatizzato tale utilizzo perché i dichiaranti avevano reso dichiarazioni divergenti con l'unico dato certo, vale a dire la presenza di Grusovin sul luogo dei fatti. Era così che adoperare come riscontro individualizzante della chiamata in correità di Salvatore Marino proprio quelle dichiarazioni costituiva una violazione dell'art. 627, comma 3, c.p.p., trattandosi di un percorso motivazionale già ritenuto viziato. Né poteva valere a riabilitare le dichiarazioni in parola l'avvenuta definitività della condanna di Grusovin, dal momento che proprio la ritenuta certa presenza del collaborante aveva indotto questa Corte a reputare inutilizzabile detta prova dichiarativa.

3.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 546, lett. e), e 627, comma 3, c.p.p. e vizio di motivazione quanto all'utilizzo come prova a carico delle dichiarazioni di Grusovin, senza elementi di riscontro individualizzante. A quest'ultimo riguardo, la nuova Corte di merito, a dispetto delle indicazioni della sentenza di annullamento con rinvio, si era limitata ad una "rimasticatura" del materiale probatorio già ritenuto insufficiente.

3.3.1. Quanto alla presenza dell'imputato al prelievo ed alla consegna della Punto a Linate, in entrambi i casi detto accompagnamento evoca la presenza di un altro veicolo (della BMW) per arrivare ed andare via dal luogo del noleggio e smentisce che Salvatore Marino avesse anch'egli viaggiato sulla Fiat.

3.3.2. A proposito della valigetta, era la stessa fonte da riscontrare (le dichiarazioni eteroaccusatorie di Grusovin) che ne attribuiva il possesso a Salvatore Marino, sicché il possesso di una valigetta in mano ad uno dei componenti del terzetto visti vicino a casa Cottarelli dai vicini non può costituire un riscontro a quanto dichiarato dal collaborante, pena una circolarità della prova. Peraltro Grusovin aveva parlato di due valigette ed aveva riconosciuto in un fermo immagine quella di Vito Marino, indicandola come in suo possesso anche il giorno del delitto. Quanto alla necessaria consapevolezza di Salvatore Marino, autista della BMW, circa il contenuto della valigetta del cugino, si tratterebbe di mera congettura, perché il ricorrente potrebbe non aver visto la valigetta o non essersi informato sul suo contenuto.

3.3.3. In ordine alla circostanza che Salvatore Marino aveva lasciato il cellulare a casa in Sicilia, la Corte distrettuale aveva errato nell'attribuirvi un significato concludente, trascurando che, anche in altre circostanze, egli non aveva portato con sé il telefono.

3.4. Il quarto motivo di ricorso assume la violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 546, lett. e), e 627, comma 3, c.p.p., e vizio di motivazione. Quando, fin dall'inizio delle sue dichiarazioni, Grusovin aveva riferito della presenza del quarto uomo il 27 agosto, non aveva alcuna necessità di costituirsi "un cono di liceità circa la sua condotta", perché non aveva reso anche la dichiarazione relativa al 28, giorno della strage né, come invece sostenuto nella sentenza impugnata, vi era la necessità di giustificare l'entrata e l'uscita di un terzetto da casa Cottarelli, perché non vi era ancora un racconto per quel giorno.

Quanto al 28 agosto, la tesi della Corte distrettuale secondo cui l'introduzione, sulla scena del delitto, di un quarto uomo fosse un espediente autodifensivo, non avrebbe senso in quanto detto quarto uomo era stato già evocato nelle iniziali dichiarazioni circa il giorno 27, rese quando ancora non vi era stata la totale apertura con gli inquirenti. Quanto alla tesi, della sentenza impugnata, secondo cui l'arrivo successivo di Salvatore Marino il 28 servisse ad accreditare la tesi che, all'inizio della visita a casa Cottarelli, non vi fossero intenzioni bellicose, essa contrasta con altre affermazioni che, fin dall'inizio, Grusovin aveva reso, vale a dire che anche Vito Marino era armato. Conclude il ricorrente sul punto che nessuna delle argomentazioni della decisione avversata offre una spiegazione logica e congrua delle dichiarazioni rese da Grusovin in ordine alla partecipazione al delitto di Salvatore Marino.

3.5. Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 533, 192, comma 2, 546, lett. e), c.p.p. e critica la proposizione dedicata dalla Corte di Assise di appello al tema delle tracce umane sulla fascetta stringi cavo adoperata per immobilizzare Luca Cottarelli, che è stata "liquidata", reputando il tema superfluo per la definitiva esclusione del quarto uomo dalla scena del delitto, mentre tale dato rimandava alla presenza di un soggetto rimasto ignoto. Ciò a fortiori laddove la stessa ultima sentenza di merito aveva escluso la rilevanza a carico del ritrovamento, nel veicolo in uso a Salvatore Marino, di fascette stringi cavo.

4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, concludendo per l'inammissibilità del ricorso.

4.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, secondo il Procuratore generale esso è manifestamente infondato in quanto Grusovin è stato già riescusso nel precedente giudizio rescissorio e non pare che la sentenza ultima della Corte di cassazione abbia dubitato della sua credibilità soggettiva, confortata dal passaggio in giudicato della condanna sua e di Vito Marino. Neanche tale obbligo sussisterebbe per i periti, dato che le loro conclusioni, nel giudizio di merito, ben possono essere oggetto di diverse valutazioni.

4.2. Infondati sarebbero anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, atteso che la Corte di Assise di appello non aveva reiterato gli errori motivazionali già stigmatizzati dalla Corte di cassazione, aveva esaminato tutti gli elementi probatori ed aveva corroborato il giudizio di colpevolezza di Marino con altri elementi. La condanna di Grusovin - assume il Procuratore generale - farebbe ritenere superato il problema dell'attendibilità del narrato dei vicini di casa. Inoltre, la Corte di merito ha vagliato altri riscontri, di adeguato spessore.

Circa il quarto ed il quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata aveva esplicitato il ragionamento quanto al mendacio in ordine alla presenza del quarto uomo ed aveva correttamente costruito l'affermazione di responsabilità sulla base del risultato dell'istruttoria dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini che si illustreranno nel prosieguo, sicché la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Milano per nuovo esame.

2. È innanzitutto fondato il primo motivo di ricorso, nella parte in cui lamenta la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per quanto concerne l'esame di Dino Grusovin e di Francesco Lusardi. Ciò sia in ragione dell'applicabilità, al caso di specie, dell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., sia in forza dei principi elaborati dalla giurisprudenza convenzionale e da quella di legittimità, anche a Sezioni unite, a proposito della necessità, per il Giudice di appello, di riassumere la prova dichiarativa prima di procedere al ribaltamento di una decisione liberatoria, quando la nuova valutazione di detto contributo sia stata decisiva nell'ottica della riforma.

2.1. Va ricordato, a questo proposito, che le Sezioni unite di questa Corte, fondando sull'elaborazione della giurisprudenza della Corte EDU a proposito della necessità, per il Giudice di appello, di rinnovare la prova dichiarativa prima di ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado, hanno sostenuto che «È affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma primo, c.p.p., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma terzo, c.p.p.; ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata» (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, Rv. 267489). Come pure sancito nell'occasione dalle Sezioni unite, tali principi, oltre che nel caso di overturning agli effetti penali su impugnazione del pubblico ministero, vanno osservati anche nel caso di ribaltamento seguito a ricorso della parte civile agli effetti civili.

Sempre alla luce di tale precedente, il criterio della decisività va interpretato nel senso che la prova suddetta può dirsi decisiva laddove si tratti di un elemento che, sulla base della sentenza di primo grado, ha determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio e che, se espunto dal complesso del materiale probatorio, si rivela potenzialmente idoneo a incidere sull'esito del giudizio di appello. Costituiscono prove orali decisive anche quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna.

Perfettamente in linea con i principi sanciti da Sezioni unite Dasgupta è la successiva Sezioni unite Patalano (Sez. un., n. 18620 del 19 gennaio 2017, Rv. 269786), che ha esteso l'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello anche al caso in cui il ribaltamento riguardi una decisione di primo grado avvenuta nelle forme del rito abbreviato non condizionato.

In continuità con questa impostazione si colloca anche Sezioni unite Pavan (Sez. un., n. 14426 del 28 gennaio 2019, Rv. 275112), che ha sancito l'obbligo di rinnovazione in appello, nel caso di ribaltamento della decisione assolutoria di prime cure, anche quanto all'escussione del perito.

2.2. È per recepire i principi sopra enunciati (come pure osservato dalle Sezioni unite nella sentenza Pavan) che il legislatore, con l'art. 1, comma 58, della l. n. 103 del 23 giugno 2017, ha, con decorrenza dal 3 agosto 2017, introdotto il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., a norma del quale «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale».

2.2.1. Ferma restando la perdurante validità dei principi convenzionali e di quelli scolpiti dalla giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte - che imporrebbero la rinnovazione a prescindere dall'applicabilità della norma suddetta anche al caso di specie e che restano immediatamente applicabili riguardando il ribaltamento nella prospettiva dell'appello delle parti civili - si impone una breve digressione circa l'applicabilità, all'odierna res iudicanda, della norma di cui all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p.

A tale proposito, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in ossequio al principio del tempus regit actum, qualora il giudizio di appello si svolga nel vigore del novellato art. 603, comma 3-bis, c.p.p. (come in questo caso), il giudice è tenuto a procedere d'ufficio alla rinnovazione sussistendone tutti i presupposti anche nell'ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia anteriore alla data di entrata in vigore della l. 23 giugno 2017, n. 103, che ha introdotto tale disposizione (Sez. 6, n. 10260 del 14 febbraio 2019, Cesi, Rv. 275201; Sez. 6, n. 16860 del 19 marzo 2019, Cuppari, Rv. 275934).

Assodata, dunque, la riferibilità del precetto di nuovo conio, ratione temporis, anche alla presente vicenda, la Corte ritiene che ricorrano i presupposti per l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p.; milita in questo senso la circostanza che l'appello del pubblico ministero fosse tarato - come evincibile dalla incontestata sintesi che si rinviene, in particolare, nella sentenza di appello del 7 giugno 2010 - anche ed in gran parte sulla contestazione del giudizio di inaffidabilità del contributo narrativo di Grusovin formulato dal Collegio di prime cure.

Né importa che il tema della credibilità soggettiva del dichiarante non sia più oggetto di scrutinio per essere la medesima già stata positivamente valutata nelle fasi che hanno preceduto quella odierna. Come condivisibilmente sancito da questa Corte, infatti, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603, comma 3-bis, c.p.p., per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi non solo quelli concernenti l'attendibilità dei dichiaranti, ma, altresì, tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto passa comunque attraverso la percezione soggettiva del propalante, onde il giudice del merito è inevitabilmente chiamato a "depurare" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (Sez. 2, n. 13953 del 21 febbraio 2020, Iacopetta, Rv. 279146; in termini, Sez. 5, n. 27751 del 24 maggio 2019, O., Rv. 276987; Sez. 3, n. 16444 del 4 febbraio 2020, C., Rv. 279425).

Va, infine, osservato, per ritornare al perimetro segnato dalla giurisprudenza della Sezioni unite di questa Corte, che, nel caso di specie, l'audizione del teste Grusovin è anche da ritenersi assolutamente decisiva in quanto il suo contributo dichiarativo è stato radicalmente svalutato dal Collegio di prime cure, che, sulla ritenuta inaffidabilità del dichiarante e del suo narrato, ha fondato, per la gran parte, la decisione liberatoria. Di contro la sentenza impugnata, in esecuzione del mandato della pronunzia rescindente (che aveva manifestato perplessità circa il segmento del racconto del Grusovin attinente all'ingresso di Salvatore Marino sulla scena del delitto e la presenza del quarto uomo), al di là di alcune affermazioni non dotate della medesima centralità, ha posto a base del ribaltamento un rinnovato vaglio di attendibilità del racconto del dichiarante quanto alla posizione di Salvatore Marino e ciò ha fatto - come si dirà - "riabilitando" alcuni elementi di riscontro e reputandone sussistenti altri.

2.2.2. Lo stesso discorso può essere fatto per il teste Lusardi.

Nella sentenza impugnata si legge che quest'ultimo aveva riconosciuto in aula Salvatore Marino e che tale dato costituiva «non solo riscontro individualizzante ma prova certa della presenza di Salvatore sulla scena del delitto».

Ebbene, a parte l'aporia argomentativa cui detta affermazione ha dato luogo perché Lusardi non è teste del giorno della strage, ma di quello precedente - tema su cui il Collegio si soffermerà nel vagliare la tenuta della motivazione - deve osservarsi che la stentorea proposizione della Corte milanese impone di reputare che il contributo del Lusardi sia stato reputato affidabile e che detto elemento sia stato coessenziale nel validare il racconto del Grusovin circa la presenza di Salvatore Marino il 28 agosto e, quindi, la responsabilità di quest'ultimo per il triplice omicidio. Ciò posto, la sentenza di primo grado aveva, invece (cfr. pagg. 123 e segg.), ampiamente svalutato la valenza probatoria del contributo del Lusardi, ritenendolo non confermativo delle dichiarazioni di Grusovin ed il pubblico ministero aveva invocato un ridimensionamento della valutazione della Corte di Assise sul punto ed una riabilitazione della portata dimostrativa del narrato del teste. Ne consegue che, anche in questo caso, poiché la Corte di Assise di appello di Milano ha fondato la propria decisione anche sulle dichiarazioni di Lusardi, questo dovrà essere escusso in sede di rinnovazione.

2.2.3. Diverso è il discorso sia per quanto concerne Salvatore Gandolfo che i periti balistici.

Riguardo al Gandolfo, al di là della ricostruzione dei rapporti affaristici intrattenuti da Vito Marino anche con Angelo Cottarelli che il teste ha offerto - tema che appare ormai arato e che attiene precipuamente alla posizione del coimputato dell'odierno ricorrente, la cui posizione è ormai cosa giudicata - l'unico aspetto su cui la sentenza impugnata ne valorizza il contributo narrativo è quello che riguarda la presenza di Salvatore Marino a Brescia il 22 agosto. Ebbene, su detto tema (cfr. pag. 177 della sentenza di primo grado) non vi è una difformità di valutazioni tra i Giudici di primo e di secondo grado, donde non esiste, sul punto, alcuna differente valutazione della prova dichiarativa che imponga la nuova audizione del dichiarante.

Quanto ai periti balistici, il Collegio è consapevole che, sulla scorta della già evocata Sezioni unite Pavan, l'obbligo di rinnovazione di cui si è sopra parlato concerne anche il loro apporto ricostruttivo. Le Sezioni unite hanno, infatti, sancito il principio secondo cui l'omessa rinnovazione della prova peritale acquisita in forma dichiarativa da parte del giudice di appello che proceda, sulla base di un diverso apprezzamento della stessa, nella vigenza dell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., alla riforma della sentenza di assoluzione, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza, denunciabile in sede di giudizio di legittimità a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.; mentre la pronuncia di riforma adottata sulla base della rivalutazione della relazione del perito, acquisita in forma puramente cartolare, è sindacabile per vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da potere determinare una diversa conclusione del processo.

Ebbene è proprio quest'ultima specificazione del principio elaborato dal supremo Consesso di questa Corte che consente di disattendere la richiesta del ricorrente: come si evince dal veloce passaggio della sentenza impugnata a ciò dedicato, il tema della presenza dei residui dello sparo (impropriamente definiti di sangue) non ha rivestito una portata decisiva - anzi, non ne ha rivestita alcuna - nel ribaltamento sancito dall'ultima Corte di merito. Ha sostenuto la Corte distrettuale, infatti, che in quelle autovetture aveva viaggiato certamente Vito Marino, condannato in via definitiva per il triplice l'omicidio e per la detenzione della pistola calibro 22, il che - nella ricostruzione della Corte territoriale - ha privato di rilievo a carico, quanto alla posizione di Salvatore Marino, l'accertamento che quelle repertate siano tracce dello sparo.

3. Come preannunziato, l'affermazione circa il dovere di rinnovazione della prova dichiarativa quanto a Grusovin richiede una riflessione specifica a proposito delle ragioni per cui le regole normative e giurisprudenziali sopra ricordate trovino comunque ancora applicazione, nonostante Dino Grusovin sia stato già escusso in sede di rinnovazione - su espresso mandato del Collegio di legittimità - dalla Corte di Assise di appello di Milano che avrebbe poi pronunziato il 31 maggio 2016 la terza sentenza di appello, a seguito dell'annullamento con rinvio da parte della Quinta sezione penale di questa Corte del 30 settembre 2014.

Non rileva, infatti, ad escludere la necessità di annullare la decisione avversata per consentire una nuova audizione di Grusovin, la circostanza che la rinnovazione in appello per quanto riguarda il suo esame vi sia già stata; ciò per la fondamentale ragione che tale rinnovazione non è avvenuta ad opera degli stessi Giudici-persone fisiche che hanno poi deciso il ribaltamento oggetto della sentenza oggi impugnata, ribaltamento avvenuto senza che i medesimi abbiano raccolto ed apprezzato direttamente la prova dichiarativa centrale sulla cui base hanno deciso la condanna di Salvatore Marino, sovvertendo il verdetto liberatorio della Corte di Assise di Brescia.

Tale convinzione fonda sulla logica che ha condotto prima la giurisprudenza convenzionale e poi quella interna di legittimità ad affermare la necessità della rinnovazione in appello della prova dichiarativa decisiva ai fini del ribaltamento in malam partem della decisione liberatoria di primo grado da parte del Giudice del gravame di merito; logica che il nostro legislatore ha poi fatto propria allorché ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p.

Il percorso interpretativo che ha condotto il Collegio a questa conclusione si muove lungo una direttrice ampiamente nota, che è quella delle implicazioni della giurisprudenza della Corte EDU sull'evoluzione giurisprudenziale e normativa interna circa la correlazione tra obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello e ribaltamento della pronunzia assolutoria di primo grado da parte del Giudice del gravame di merito.

La prospettiva che, in questa sede, va in particolare investigata per la soluzione del thema decidendum è, tuttavia, più specifica e concerne la ratio ultima dell'esegesi anzidetta quanto alle ragioni per cui il Giudice dell'appello deve riassumere le prove dichiarative; tale riflessione appare, infatti, l'unico metodo attraverso il quale può comprendersi se il ribaltamento sub iudice avvenuto con la sentenza impugnata dovesse essere preceduto dalla rinnovazione della testimonianza Grusovin, benché quest'ultima fosse già stata raccolta da altro Collegio di appello.

3.1. Ebbene, occorre prendere le mosse dalla giurisprudenza della Corte EDU che si è pronunziata sul tema dell'overturning in malam partem (per restare alle più recenti, le sentenze 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia; 28 febbraio 2017, Manoli c. Moldavia; 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna; 5 luglio 2011, Dan e. Moldavia) e che ha ritenuto necessario che il ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado fosse preceduto, in appello, dalla nuova escussione del teste sulla cui base tale overturning fosse avvenuto, pena la violazione dell'art. 6 CEDU.

In particolare, nella nota sentenza Dan contro Moldavia, la Corte di Strasburgo ha opinato che le questioni risolte dalla Corte di appello che aveva ribaltato la decisione liberatoria di primo grado non «avrebbero potuto, in termini di equo processo, essere esaminate correttamente senza una diretta valutazione delle prove fornite dai testimoni dell'accusa». Come sostenuto nell'occasione dalla Corte EDU, la logica del principio sancito risiede nel fatto che «coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità». Ciò in quanto - ha spiegato la Corte - «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate».

Illuminante, in questa direzione, anche un passaggio della sentenza del 4 giugno 2013, Hanu contro Romania, laddove si legge che «La Corte ribadisce che secondo la propria giurisprudenza uno dei requisiti per un processo equo è che l'imputato abbia la possibilità di confrontarsi con i testimoni alla presenza di un giudice chiamato, alla fine, a decidere la causa, in quanto l'osservazione diretta da parte del giudice dell'atteggiamento e della credibilità di un determinato testimone può essere determinante per l'imputato».

A riprova dell'attualità dell'orientamento della Corte EDU, va ricordato che, in tempi recentissimi (sentenza Tondo c. Italia del 22 ottobre 2020), l'Italia è stata condannata per violazione dell'art. 6, § 1, della CEDU in un caso di mancata rinnovazione della prova dichiarativa in appello a seguito di annullamento con rinvio da parte di questa Corte; nella pronunzia in parola, la Corte di Strasburgo ha affermato che, quando un giudice di appello deve rivalutare la colpevolezza o l'innocenza di un imputato, non può, per motivi di equità del procedimento, decidere su tali questioni senza una valutazione diretta delle dichiarazioni dei «testimoni che hanno reso una deposizione durante il procedimento e alle cui dichiarazioni il giudice vuole dare una nuova interpretazione».

Come pure ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 124 del 2019, dunque, la giurisprudenza assolutamente prevalente di Strasburgo ritiene incompatibile con l'art. 6 CEDU un giudizio di appello che si concluda con la condanna dell'imputato già prosciolto in primo grado, senza che le prove dichiarative sulla cui base egli era stato assolto siano state nuovamente assunte davanti al giudice di appello, a nulla rilevando che la compattezza dell'esegesi della Corte di Strasburgo sia stata incrinata da due precedenti (Corte EDU, sentenza 27 giugno 2017, Chiper contro Romania; sentenza 26 aprile 2016, Kashlev contro Estonia) che, tuttavia, appaiono isolati.

In definitiva, può affermarsi che il vulnus individuato dalla Corte EDU al principio del giusto processo consiste nella violazione del principio di oralità ed immediatezza quale metodo più corretto per lo scrutinio di una prova che sia rilevante ai fini del giudizio, metodo che non può essere surrogato solo sulla base di quanto risulti verbalizzato, ma che impone che il Giudice di appello "veda" e "senta" personalmente il testimone sulla cui base avviene l'overturning.

3.2. D'altra parte, gli anzidetti principi non sono sconosciuti a questo processo, dal momento che già questa sezione, nella sentenza di annullamento con rinvio del 30 settembre 2014, proprio fondando sull'esame della giurisprudenza convenzionale, li aveva declinati in termini conformi a quanto si va sostenendo, affermando che «le ragioni ultime della giurisprudenza in commento stanno nella possibilità, per il giudice, di meglio valutare la "credibilità" di un testimone attraverso l'ascolto diretto delle sue dichiarazioni e l'osservazione dell'atteggiamento tenuto nel corso dell'audizione».

3.3. L'assoluta priorità dell'assunzione diretta della prova dichiarativa da parte del Giudice che deciderà la riforma peggiorativa della sentenza di prime cure è stata recepita dalla giurisprudenza di questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione.

3.3.1. Un primo passaggio obbligato nella ricostruzione della lettura del principio convenzionale da parte della nostra giurisprudenza è costituito senza dubbio dalla già evocata Sezioni unite Dasgupta, dove si legge che «nel nostro ordinamento processuale - che ha prescelto a statuto cognitivo fondante del processo penale il modello accusatorio, ispirato ai principi fondamentali della oralità della prova, della immediatezza della sua formazione davanti al giudice chiamato a decidere e della dialettica delle parti nella sua formazione - il giudice di appello, che ripete tutti i poteri decisori da quello di primo grado, e non ha di per sé, in base alla sua costituzione e all'ordinamento giudiziario, una "autorevolezza maggiore" di quello, può vedersi attribuita la legittimazione a ribaltare un esito assolutorio, sulla base di un diverso apprezzamento delle fonti dichiarative direttamente assunte dal primo giudice, solo a patto che nel giudizio di appello si ripercorrano le medesime cadenze di acquisizione in forma orale delle prove elaborate in primo grado. Deve infatti riconoscersi che, nel modello di giudizio ordinario, "contraddittorio", "oralità", "immediatezza" nella formazione della prova e "motivazione" del giudice di merito sono entità strettamente correlate».

Fortemente eloquente circa le ragioni della decisione in commento è il passaggio argomentativo secondo il quale «dal lato del giudice, la percezione diretta è il presupposto tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa. L'apporto informativo che deriva dalla diretta percezione della prova orale è condizione essenziale della correttezza e completezza del ragionamento sull'apprezzamento degli elementi di prova, tanto più in relazione all'accresciuto standard argomentativo imposto per la riforma di una sentenza assolutoria dalla regola del "ragionevole dubbio", che, come già osservato, si collega direttamente al principio della presunzione di innocenza».

Hanno concluso, quindi, le Sezioni unite che «nel caso di appello proposto contro una sentenza di assoluzione fondata su prove dichiarative (assunte nel corso del dibattimento ma eventualmente anche in sede di incidente probatorio), la rinnovazione della istruzione dibattimentale si profila come "assolutamente necessaria" ex art. 603, comma 3, c.p.p.: tale presupposto, infatti, al di là dei casi di incompletezza del quadro probatorio, si collega, più generalmente, alla esigenza che il convincimento del giudice di appello, nei casi in cui sia in questione il principio del "ragionevole dubbio", replichi l'andamento del giudizio di primo grado, fondandosi su prove dichiarative direttamente assunte». Tale esigenza è stata ravvisata qualunque sia la qualità soggettiva del dichiarante, sia esso testimone "puro" (art. 197 c.p.p.) o testimone "assistito" (art. 197-bis c.p.p.).

3.3.2. Quanto alla ratio dell'esegesi, sulla scia di Sezioni unite Dasgupta si pongono anche Sezioni unite Patalano e Sezioni unite Pavan; nella sentenza Patalano, in particolare, il massimo Consesso ha precisato che è «il rispetto della decisione liberatoria che, rafforzando significativamente la presunzione di innocenza, impone di riassumere le prove decisive impiegando il metodo che, incontestabilmente, è il migliore per la formazione e valutazione della prova, caratterizzato dall'oralità e dall'immediatezza attraverso l'apprezzamento diretto degli apporti probatori dichiarativi, rivelatisi decisivi per il proscioglimento in primo grado, da parte di un giudice di appello che avverta dubbi sul fatto che a un tale esito corrisponda la giusta decisione».

3.3.3. Venendo, poi, al novum legislativo, se, dunque, come affermato anche da Sezioni unite Pavan, il legislatore della l. n. 103 del 23 giugno 2017 che ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. si è adeguato a tale assetto esegetico, se ne deve dedurre che la genesi della disposizione di nuovo conio ha un rilievo essenziale nella soluzione della quaestio iuris affidata allo scrutinio del Collegio e assicura continuità all'esegesi della giurisprudenza sovranazionale e di quella interna, confermando la necessità dell'assunzione diretta della prova da parte del medesimo decidente che dovrà vagliarla nell'ottica del ribaltamento della decisione assolutoria di prime cure.

3.3.4. Si può, quindi, concludere che, sulla scorta dell'attuale assetto normativo e giurisprudenziale, debba reputarsi fondamentale che siano gli stessi Giudici di appello-persone fisiche che devono decidere circa il ribaltamento a raccogliere la prova testimoniale ritenuta decisiva, per assecondare quell'esigenza di diretta interlocuzione con il propalante e di immediata percezione del contegno verbale - e non - del medesimo che è alla base della scelta esegetica di pretendere la nuova raccolta della prova in appello.

Attribuire, di contro, alla già avvenuta escussione del dichiarante da parte di altri Giudici di appello - quando detto contributo sia decisivo per il ribaltamento - una valenza satisfattiva delle esigenze di acquisizione diretta come sopra precisate significherebbe neutralizzare del tutto, dietro un'interpretazione formalistica, la portata del principio.

4. Le ragioni dell'annullamento non risiedono, tuttavia, nella sola necessità della rinnovazione della prova dichiarativa come sopra circoscritta.

La sentenza impugnata, infatti, non sfugge alle censure di parte neanche quanto ad alcuni profili argomentativi, la cui fallacia, in termini di logica e di univocità nonché di rispondenza al mandato della sentenza rescindente, impone di rimettere gli atti al Giudice di rinvio per una nuova motivazione sul punto.

L'approccio del Collegio al vaglio dei vizi lamentati dal ricorrente ha avuto, come punto di partenza, lo standard giustificativo imposto al Giudice del ribaltamento rispetto ad una decisione liberatoria in primo grado.

Un passaggio esegetico assolutamente centrale nella ricostruzione del paradigma argomentativo imposto al Giudice di appello dell'overturning è costituito da Sezioni unite Mannino, secondo cui «il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato» (Sez. un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679; in termini, Sez. 5, n. 15259 del 18 febbraio 2020, Menna, Rv. 279255, in motivazione; Sez. 5, n. 8361 del 17 gennaio 2013, Rastegar, Rv. 254638; Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre 2008, Pappalardo, Rv. 242330).

Come condivisibilmente ricostruito nella sentenza Menna di questa sezione richiamando plurimi precedenti di questa Corte (ex multis Sez. 4, n. 42868 del 26 settembre 2019, Miceli, Rv. 277624; Sez. 6, n. 51898 dell'11 luglio 2019, P., Rv. 278056; Sez. 5, n. 54300 del 14 settembre 2017, Banchero, Rv. 272082; Sez. 3, n. 6817 del 27 novembre 2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 15 dicembre 2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 49755 del 21 novembre 2012, G., Rv. 253909), i giudici del ribaltamento in appello della decisione liberatoria di primo grado hanno l'obbligo di una motivazione rafforzata dovendo dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza del primo giudice. Ciò passa attraverso una puntuale ed approfondita verifica critica cui consegua una differente, completa e più persuasiva motivazione che, sovrapponendosi complessivamente alle ragioni della sentenza di primo grado, dia conto degli esiti difformi ai quali si giunge e della maggiore o diversa valenza conferita a ciascun elemento di prova che faccia parte della piattaforma istruttoria. La sentenza di ribaltamento deve essere dotata di maggior forza persuasiva, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio sulla responsabilità dell'imputato in caso di overturning di condanna e non limitarsi ad una ricostruzione alternativa rispetto a quella del primo Giudice. Il dovere di motivazione rafforzata del Giudice della sentenza di ribaltamento della pronunzia liberatoria di prime cure è peraltro recepito - come concetto essenziale alla giustificazione del ribaltamento nell'ottica del superamento del ragionevole dubbio - anche nella giurisprudenza delle Sezioni unite successive alla sentenza Mannino e, per quanto interessa in questa sede, nelle già citate sentenze Dasgupta, Patalano e Pavan.

5. Fatta questa premessa, la Corte non può che rilevare che la sentenza impugnata - ben lungi dal disattendere motivatamente l'ampio costrutto della decisione di prime cure - è affetta da diversi vizi che rendono la motivazione divergente rispetto al modello sopra delineato.

Prima di procedere oltre nella disamina dei motivi di ricorso sul contenuto della motivazione, il Collegio deve rilevare che quest'ultima è permeata da una discutibile logica di fondo - cui la Corte di merito ha fatto espresso riferimento a pag. 13 - secondo cui la pretesa di riscontri estrinseci individualizzanti rafforzati alle dichiarazioni di Grusovin può essere ridimensionata dall'aliquid novi costituito dal passaggio in giudicato della pronunzia di condanna sia di Grusovin che di Vito Marino.

Ebbene, questa impostazione appare fallace laddove adoperata quale chiave per una "reinterpretazione" del mandato della sentenza rescindente, dal momento che il passaggio in giudicato delle condanne degli altri due protagonisti della vicenda non era un fatto fuori dall'orizzonte conoscitivo della Corte di cassazione nell'ultima sentenza di annullamento. Dino Grusovin, infatti, era già stato da tempo condannato in via definitiva per l'omicidio, quale concorrente anomalo, nel diverso procedimento che lo ha riguardato, circostanza di cui aveva già preso atto la Corte di Assise di appello di Milano quando ne aveva rinnovato l'esame; la condanna di Vito Marino è, invece, divenuta definitiva proprio con il rigetto del suo ricorso pronunziato dalla stessa sentenza della prima sezione penale che ha annullato con rinvio quanto a Salvatore Marino. Ciò significa che la Corte di cassazione ha formulato le sue valutazioni circa la necessità di riscontri "solidi" alle accuse rivolte da Grusovin all'odierno ricorrente pur nella consapevolezza che proprio quelle dichiarazioni fossero già valse il definitivo accertamento di responsabilità dello stesso accusatore e di Vito Marino; dal che consegue che la reinterpretazione della Corte territoriale circa l'input della pronunzia di annullamento con rinvio non è corretto.

6. Venendo alle singole doglianze sottoposte al vaglio di questa Corte, un primo, specifico difetto argomentativo si rinviene nel passaggio della sentenza impugnata - stigmatizzato nel corpo del primo motivo di ricorso - in cui la Corte di merito ha attribuito valore di riscontro alle accuse di Grusovin nonché di prova certa circa la presenza del ricorrente sulla scena del delitto, al riconoscimento in aula di Salvatore Marino da parte del vicino di casa dei Cottarelli, Francesco Lusardi. Tale passaggio stride con la circostanza che Lusardi è pacificamente testimone solo del sopralluogo presso la villetta dei Cottarelli effettuato il giorno prima dell'eccidio (il 27 agosto) e, quanto, appunto, a detto sopralluogo, poche righe dopo, la Corte territoriale ha ritenuto la presenza di Salvatore Marino sostanzialmente indimostrata sulla base della dichiarazioni di Grusovin. Ne discendono un'anomalia logica ed un attrito argomentativo intrinseci alla pronunzia avversata che ne minano il costrutto motivazionale; da una parte, infatti, si è attribuita portata dimostrativa dell'omicidio ad un teste oculare che non ha riferito circa quanto accaduto quel giorno (ma il giorno prima) e, dall'altra, si è valorizzato come prova a carico un dato concernente il 27 agosto nonostante la partecipazione di Salvatore Marino al sopralluogo della vigilia dell'omicidio sia stato reputato, nella medesima pronunzia, un dato fattuale non dimostrato.

7. Riguardo al secondo motivo di ricorso, ulteriore momento critico del percorso argomentativo della Corte territoriale si rinviene nell'affidabilità riconosciuta alle dichiarazioni degli altri vicini di casa dei Cottarelli, in particolare quanto al riconoscimento dell'imputato come uno dei tre uomini che ebbero accesso nella villetta il giorno del triplice omicidio. Già la Corte di cassazione, nella sentenza del 2011, aveva valutato negativamente la prima sentenza di ribaltamento quanto ai predetti apporti testimoniali, escludendo che i testi potessero essere ritenuti credibili quando parlavano di due con le fattezze del Marino e non credibili quando descrivevano un terzo soggetto con fattezze del tutto diverse da quelle [di] Grusovin, la cui prova della presenza sul luogo del fatto era invece aliunde emersa. Ebbene, la Corte di merito "liquida" questo aspetto della regiudicanda, reputando certa la descrizione di due uomini con le fattezze del Marino da parte dei vicini di casa in ragione del fatto che il problema dell'affidabilità della descrizione sarebbe stato superato proprio dalla condanna definitiva di Grusovin, che attestava che egli era certamente il terzo componente del gruppo. Orbene, pare al Collegio che la circostanza che Grusovin sia stato condannato e che, quindi, la sua presenza sul posto sia stata giudizialmente accertata - a dispetto della diversa descrizione del terzo uomo offerta dai testimoni - avrebbe dovuto logicamente portare proprio alla conclusione opposta, contribuendo a dubitare della capacità descrittiva dei testi quanto alle fattezze fisiche di tutti i soggetti visualizzati.

8. Anche il terzo motivo di ricorso - che lamenta un riutilizzo del materiale probatorio a riscontro delle accuse di Grusovin già reputato insufficiente dalla Corte di cassazione - è fondato nei termini e nei limiti di seguito precisati.

8.1. Il ricorso coglie nel segno quando taccia di manifesta illogicità la sentenza impugnata laddove quest'ultima valorizza un dato - quello della presenza di Salvatore Marino alla presa in consegna e alla restituzione della Punto al noleggio di Linate - senza tenere conto del fatto che detta circostanza andava riguardata anche tenendo conto dell'essenzialità della presenza di Salvatore Marino in quei frangenti, trattandosi del conducente della BMW con cui lui ed il cugino erano giunti dalla Sicilia a Milano e, quindi, a Linate e con la quale da Linate dovevano allontanarsi per rientrare nella Regione di origine.

8.2. Un altro corto circuito logico in cui sono incorsi i Giudici di appello concerne il tema della valigetta vista dai vicini di casa in possesso di uno dei componenti del terzetto che fece ingresso a casa Cottarelli il giorno dell'omicidio. A questo dato la Corte di merito ha attribuito il valore di riscontro individualizzante rispetto alle dichiarazioni di Grusovin quanto alla posizione di Salvatore Marino, riscontro che si collegherebbe al fatto che Grusovin aveva riferito di avere visto, nella propria abitazione dove ospitò i cugini Marino, che Salvatore aveva una valigetta dove era nascosta una pistola.

Ebbene, è evidente che, come sostenuto dal ricorrente, questa conclusione patisce un fenomeno di circolarità della prova, laddove si è reputato significativo dell'individuazione di Salvatore Marino come uno dei componenti del terzetto il possesso di una valigetta, la cui riconducibilità all'odierno imputato emerge, tuttavia, proprio dalle stesse affermazioni del dichiarante che sarebbe necessario riscontrare.

8.3. Manifestamente illogica appare altresì la sentenza impugnata quando affronta il tema della valigetta da un altro punto di vista, sostenendo che una valigetta doveva certamente essere stata utilizzata per contenere, oltre alla pistola, anche i guanti e le fascette stringicavo e che tale valigetta doveva certamente aver viaggiato nella BMW condotta da Salvatore Marino, il quale, quand'anche la valigetta fosse stata portata in auto dal cugino ed ancorché non ne conoscesse il contenuto, ne doveva certamente aver chiesto conto a Vito Marino. Il processo logico deduttivo appare, infatti, viziato sia nella premessa che nei passaggi intermedi, ponendo a base del ragionamento il dato che era invece da dimostrare o da riscontrare - l'esistenza di una valigetta - e facendone discendere una serie di conseguenze sulla base di mere congetture circa la consapevolezza che ne doveva avere Salvatore Marino anche quale mero conducente dell'auto, prive di ancoraggio all'id quod plerumque accidit.

8.4. Rispetto a questi difetti argomentativi, ogni altro dato valorizzato dalla Corte di merito quale conforto alle dichiarazioni eteroaccusatorie di Grusovin nei confronti di Salvatore Marino, pure in teoria non privo di rilievo indiziario (si pensi alla questione del telefono lasciato a casa), perde di significato concludente ed andrà ricollocato nel percorso logico che il Collegio di rinvio avrà il compito di affrontare.

9. Il quarto motivo di ricorso affronta le ragioni della parziale inaffidabilità del racconto di Grusovin quanto alla partecipazione all'eccidio del c.d. quarto uomo, tema reputato centrale dalla prima sezione penale nel giudicare viziata la precedente sentenza di appello. In particolare, il ricorrente contesta la tenuta logica dell'argomentazione della Corte di merito circa le ragioni per le quali Grusovin aveva falsamente introdotto, sulla scena dell'eccidio, un quarto uomo, ragioni individuate dalla Corte di Assise di appello nel fatto che il dichiarante voleva costituire «un cono di liceità circa la sua condotta e posizionare il soggetto pericoloso in un secondo momento, quando Cottarelli non aveva aderito alle richieste di Vito con le buone maniere».

Ebbene, anche su questo aspetto il ricorso coglie nel segno.

È opinione del Collegio, infatti, che l'aporia logica insita in questa affermazione emerga - come denunziato dal ricorrente - dall'esame della sentenza di primo grado. Da quest'ultima si ricava che il quarto uomo - rimasto, poi, non identificato - era stato menzionato da Grusovin, fin dalle iniziali dichiarazioni rese, come partecipe al solo sopralluogo del giorno 27, in una fase della sua collaborazione in cui Grusovin non aveva ancora dovuto ammettere la sua presenza a casa Cottarelli anche il giorno della strage e, quindi, non aveva alcuna necessità di offrire una descrizione della dinamica del fatto avvenuto il giorno dell'omicidio che potesse alleggerire la sua posizione.

Ne consegue che il Collegio di appello non ha fornito una spiegazione plausibile delle ragioni per le quali il dichiarante avesse fornito una parte del racconto non corrispondente alla realtà, il che si riverbera sulla tenuta del ragionamento che il Giudice di merito avrebbe dovuto compiere in punto di valutazione frazionata della dichiarazione dell'accusatore.

Va ricordato, a quest'ultimo riguardo, che la giurisprudenza di questa Corte ritiene che l'esclusione dell'attendibilità per una parte del racconto non implica, per il principio della cosiddetta "frazionabilità" della valutazione, un giudizio di inattendibilità con riferimento alle altre parti intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, sempre che non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti e l'inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante (Sez. 6, n. 25266 del 3 aprile 2017, Polimeni e altro, Rv. 270153; Sez. 6, n. 20037 del 19 marzo 2014, L., Rv. 260160; Sez. 6, n. 3015 del 20 dicembre 2010, dep. 2011, Farruggio, Rv. 249200; Sez. 6, n. 35327 del 18 luglio 2013, Arena e altri, Rv. 256097; Sez. 1, n. 40000 del 10 luglio 2013, Pompita e altri, Rv. 256917). Particolare rilievo assume, nella presente vicenda, l'altro requisito che la giurisprudenza di legittimità ha individuato per validare una valutazione frazionata, cioè che sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita, in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull'attendibilità soggettiva del dichiarante (Sez. 6, n. 25266 del 3 aprile 2017 e Sez. 1, n. 40000 del 10 luglio 2013, citt.).

Tale spiegazione, nel caso di specie, è stata fornita in termini manifestamente illogici e divergenti rispetto ad emergenze probatorie evincibili dalle sentenze di merito, il che impone di fornire nuova motivazione sul tema della valutazione frazionata di Grusovin.

10. Il quinto motivo di ricorso è fondato nella parte in cui critica la proposizione dedicata dalla Corte di Assise di appello al tema delle tracce umane sulla fascetta stringi cavo adoperata per immobilizzare Luca Cottarelli, che è stato privato di significato, reputando il tema superfluo per la definitiva esclusione del quarto uomo dalla scena del delitto, mentre tale dato rimandava alla presenza di un soggetto rimasto ignoto.

Ebbene, la debolezza logica dell'argomentazione circa le ragioni per cui Grusovin avrebbe indicato la presenza del quarto uomo - e, quindi, sulla veridicità o meno di quest'ultima - si ripercuote anche sul segmento giustificativo della decisione che concerne la neutralità del tema dei residui organici sulle fascette stringicavo che legavano le mani del povero Luca, neutralità che, non essendo adeguatamente spiegata la dichiarazione di Grusovin a proposito di tale circostanza, non conserva una propria tenuta logica e va necessariamente rivista e coordinata con quanto il Collegio di rinvio riterrà circa la presenza dell'ulteriore componente del gruppo.

11. Quanto, invece, alla questione dei reperti balistici, il ricorso è inammissibile perché il tema è divenuto irrilevante come sopra osservato a proposito dell'infondatezza del ricorso nella parte in cui censurava la sentenza impugnata anche quanto alla mancata, nuova audizione dei periti balistici. Vito Marino, che pure sulle due auto ha certamente viaggiato dopo l'omicidio, è stato condannato in via definitiva, sicché la presenza di tracce dello sparo in quelle auto non conserva - sulla base dei dati disponibili per la presente decisione - una rilevanza probatoria univoca a carico di Salvatore Marino.

Va, infine, osservato che ogni altra censura formulata dal ricorrente appare attingere il merito della res iudicanda e, quindi, non è valutabile da questa Corte.

12. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata affinché la nuova Corte di merito rinnovi l'istruttoria dibattimentale con l'esame di Dino Grusovin e di Francesco Lusardi e offra nuova motivazione circa le ragioni dell'affidabilità del racconto del primo quanto alla partecipazione di Salvatore Marino all'omicidio - anche chiarendo le ragioni della valutazione eventualmente frazionata del racconto del dichiarante - e circa i riscontri alle sue accuse.

Con riferimento al primo aspetto, va da sé che il Collegio della fase rescissoria potrà eventualmente valutare la necessità di estendere la rinnovazione anche a prove diverse da quelle cui si riferisce il mandato della presente sentenza, qualora ritenga sussistenti i presupposti di legge per disporla, anche alla luce della rinnovata acquisizione cui si provvederà in ragione dell'input di questa Corte.

Riguardo al rilevato vizio di motivazione, la Corte di Assise di appello dovrà riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà evitare di incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all'iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19 aprile 2018, Cesarano e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22 giugno 2010, Gambino, Rv. 248413).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'assise d'appello di Milano per nuovo esame.

Depositata il 25 gennaio 2021.

F. Di Marzio (dir.)

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