Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 19 luglio 2004, n. 31523

FATTO E DIRITTO

La vicenda processuale attiene all'omicidio di Marta Russo, studentessa dell'Università "La Sapienza" di Roma, che è deceduta il 14 maggio 1997 in conseguenza della ferita al capo e delle lesioni provocate da un colpo di arma da fuoco esploso il precedente 9 maggio. E costituisce lo sviluppo indotto, ai sensi dell'art. 627 c.p.p., dall'annullamento pronunziato dalla Prima Sezione Penale di questa Corte in data 6 dicembre 2001 (n. 1234/01) per la sentenza della Corte di assise di appello di Roma del 7 febbraio 2001.

Per l'esposizione, in fatto, risulta per ciò adeguato il richiamo puntuale della correlativa ricostruzione, come operata a fondamento del disposto rinvio.

Rileva al riguardo evidenziare, per i riscontri essenziali che interessano, che:

- la Russo era stata così ferita mentre camminava lungo un vialetto dell'Università, stando "a fianco e alla sinistra" dell'amica Iolanda Ricci (ed aveva immediatamente perso conoscenza);

- per l'individuazione della provenienza dello sparo le indagini subito "si appuntarono... sulla finestra n. 7 del bagno disabili della Facoltà di Statistica, posta al piano terra in prossimità del luogo del ferimento, per concentrarsi qualche giorno dopo sulla stanza n. 6 della Sala Assistenti dell'Istituto di Filosofia del diritto, posto al primo piano della Facoltà di Giurisprudenza, in seguito al rinvenimento sulla finestra destra n. 4 di quell'aula di una particella composta da bario e antimonio, ritenuta residuo univoco di sparo, e di una seconda particella composta da piombo e da antimonio, indicativa dello sparo", convalidandosi tale ipotesi anche alla stregua delle dichiarazioni della Ricci e delle risultanze degli accertamenti autoptici;

- per il fatto la Corte di assise di Roma aveva pronunziato, all'esito del giudizio di primo grado (sentenza del 1° giugno 1999), condanna alle rispettive pene di giustizia per Giovanni Scattone (per i contestati reati di omicidio colposo e di detenzione e porto di arma comune da sparo) e per Salvatore Antonio Ferraro (per il ritenuto reato di favoreggiamento personale), avendo assolto tra l'altro, sia Francesco Liparota dal qualificato fatto di favoreggiamento personale a ragione della non punibilità determinata dal ritenuto stato di necessità, sia Gabriella Alletto da analogo addebito "perché non punibile ai sensi degli artt. 54 e 384 c.p.";

- a fondamento di tali statuizioni la sentenza di primo grado aveva ritenuto che "Marta Russo fosse stata uccisa da Giovanni Scattone, che si trovava all'interno della sala assistenti (stanza n. 6) dell'Istituto di Filosofia del diritto, dove nello stesso momento dello sparo (fissato alle ore 11,42) si trovavano anche Salvatore Ferraro, Francesco Liparota e Gabriella Alletto" ("alla scena avevano assistito il Liparota e l'Alletto, che era entrata nella stanza casualmente perché era alla ricerca della dottoressa Maria Chiara Lipari, assistente presso lo stesso Istituto... dopo l'esplosione del colpo di pistola Ferraro aveva portato la mano alla fronte in un gesto di disperazione... la dottoressa Lipari era sopraggiunta pochi istanti dopo per fare delle telefonate e quindi non aveva assistito allo sparo");

- la "prova specifica" della affermata responsabilità penale era rimasta incentrata nelle dichiarazioni assunte, essendosi, in particolare, espletata la valutazione probatoria della testimonianza della Alletto (che, dopo avere a lungo negato la sua presenza nell'aula 6, "il 14 giugno 1997 aveva improvvisamente cambiato versione, affermando di essere stata presente al momento dello sparo; di aver sentito un "tonfo" e di aver visto quasi contemporaneamente un "bagliore" mentre stava parlando col Liparota; di essersi girata verso la finestra e di aver sorpreso Ferraro nell'atto di mettersi la mano sulla fronte in segno di disperazione; di aver visto Scattone che impugnava una pistola di color nero e di averlo notato mentre riponeva l'arma in una borsa vicino alla scrivania e che poi venne presa dal Ferraro; di aver visto la Lipari entrare nella stanza proprio in quel momento per fare una telefonata urgente e subito dopo Scattone uscire e salutarla"), della conforme deposizione dibattimentale e dell'esito del confronto con i due imputati condannati, oltre che della testimonianza della Lipari (definitivamente precisatasi con le dichiarazioni dell'8 agosto 1997, di aver udito un 'tonfo'"a pochi passi" dall'aula 6, di essere entrata nella stanza e di avervi notato la presenza del Liparota, dell'Alletto, del Ferraro e dello Scattone, "sul quale aveva indugiato con uno sguardo... 'di stralcio'"), delle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie del Liparota (che, alla notificazione cautelare custodiale per concorso dell'ordinanza in omicidio volontario ed in reati connessi, in data 14 giugno 1997, prima della traduzione in carcere, "aveva scritto su un foglio... di aver visto Scattone e Ferraro affacciati alla finestra, di aver udito un suono cupo e quindi di essersi reso conto che i due avevano sparato,... di avere fino a quel momento taciuto perché minacciato di gravi ritorsioni"; che tali indicazioni aveva ribadito nell'interrogatorio del 16 giugno 1997, aggiungendo che: "poco prima dello sparo era entrata nella stanza l'Alletto; aveva visto Scattone e Ferraro stravolti dopo lo sparo;... aveva inoltre notato il Ferraro che si metteva.le mani in testa come in un gesto di disperazione [e]... lo aveva raggiunto immediatamente dopo nel corridoio, minacciandolo di pesanti ritorsioni), della testimonianza di Villella Rosangela (madre del Liparota, che, sentita nelle indagini preliminari, aveva riferito di aver appreso dal figlio, "due o tre giorni dopo il ferimento di Marta Russo", i fatti predetti e che nel dibattimento si era avvalsa della facoltà di non rispondere), delle risultanze della ritrattazione del Liparota (già esposta nel richiesto nuovo interrogatorio del Pm in data 17 giugno 1997, "subito dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari"), della ribadita testimonianza di Giuliana Olzai (di aver visto, subito dopo la notizia che "avevano sparato a una ragazza", nell'atrio dell'Istituto di statistica - "sottostante ai locali di Filosofia del diritto" - "due giovani visibilmente agitati"; "di aver rivisto il 13 giugno sul pianerottolo del secondo piano dell'Istituto di Statistica uno dei due giovani che l'osservò... da spaventarla, al punto da indurla a confidare il suo turbamento prima a un collega... e poi al marito"; "di aver riconosciuto due giorni dopo vedendo il telegiornale i giovani... in due delle tre persone raffigurate [Scattone, Ferraro, Liparota]", "di aver tardato la sua collaborazione con la giustizia" [realizzata con le dichiarazioni del 9 luglio 1997 e poi ribadita nell'incidente probatorio e nel dibattimento] a causa del concomitante ricovero ospedaliero del padre. In relazione ai descritti elementi probatori la valutazione dei primi giudici era stata di: "piena credibilità e sincerità della Lipari, della Olzai e della Alletto"; "falsità della ritrattazione del Liparota"; "carattere menzognero dell'alibi fornito dal Ferraro"; "messaggi trasversali e inquietanti [da quest'ultimo] lanciati allo stesso Liparota"; "assenza di qualsiasi alibi a favore di Scattone per il giorno e l'ora del delitto e sua sicura presenza nell'Istituto di Filosofia del diritto in ora coincidente con il ferimento di Marta Russo";

- per la prova generica i primi giudici avevano valorizzato il rilievo della "compatibilità della provenienza dello sparo dalla sala assistenti, ritenendo che vi fosse una più accentuata e concreta probabilità che il colpo fosse stato esploso dalla finestra n. 4 dell'aula 6, anziché dalla finestra n. 7 del bagno disabili della facoltà di Statistica, sita al piano terra, come aveva invece concluso la perizia collegiale... disposta in dibattimento";

- la qualificazione giuridica del fatto addebitato allo Scattone era rimasta correlata alla ritenuta ipotesi di omicidio colposo, tanto più accreditata sul rilievo che "era assai probabile... che Scattone non fosse consapevole di maneggiare un'arma carica, peraltro mai ritrovata"; mentre, per la posizione del Ferraro, erano stati ritenuti integrati "gli estremi aggettivi e soggettivi del delitto di favoreggiamento personale", in considerazione degli elementi confermativi, desumibili dal suo "gesto di disperazione", dalla ribadita negazione di essere stato presente nell'aula assistenti (fondata su l'alibi mendace"), dalla riferita personale iniziativa di portar via la borsa contenente la pistola utilizzata, dalle minacce rivolte al Liparota;

- avevano proposto appello il Pg competente (adducendo, per lo Scattone ed il Ferraro, la configurabilità del concorso in omicidio volontario con dolo eventuale e, per il Liparota, l'insussistenza di rilevante situazione esimente ai sensi dell'art. 54 c.p.); lo Scattone ed il Ferraro (sostenendo l'inattendibilità delle prove specifiche acquisite, anche a ragione degli incerti risultati degli accertamenti peritali); il Liparota (evidenziando i riscontri, al più, dell'autofavoreggiamento personale - non punibile ai sensi dell'art. 384 c.p. nella condotta concretamente posta in essere);

- nel dibattimento di secondo grado si era proceduto ad incombenti di rinnovazione dell'istruzione (per ispezione videoregistrata del luogo del delitto e per nuove perizie - disposte "subito dopo la discussione" - balistica, esplosivistica e nanometrica);

- in conclusione l'adita Corte di assise di appello (sentenza del 7 febbraio 2001) era pervenuta ad affermare la responsabilità penale (ed a determinare il rispettivo regime sanzionatorio) dello Scattone (per omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento, per detenzione e per porto illegali di arma comune da sparo), del Ferraro (per favoreggiamento personale, per detenzione e per porto illegali di arma comune da sparo) e del Liparota (per favoreggiamento personale);

- a sostegno aveva considerato che: a) gli elementi probatori acquisiti avevano evidenziato che la Russo era stata colpita, alle ore 11, 42 del 9 maggio 1997, "per una decisione del tutto estemporanea e non preordinata" e che la provenienza dello sparo, sulla base dei più "rilevanti ed efficaci" riferimenti testimoniali della Ricci, doveva essere collocata "da sinistra, da dietro e dall'alto"; b) era risultata anche l'apprezzabile convergenza della prova specifica e degli elementi di prova generica; c) le modalità (anche cronologiche) delle presenze e dei fatti avvenuti nella Sala assistenti - aula 6 dell'Istituto di filosofia del diritto - erano risultate confermate come corrispondenti a quelle già descritte (tra l'altro: l'Alletto vide Scattone impegnato con la mano sinistra a scostare le doghe della tenda e con il braccio destro "teso, leggermente flesso verso l'esterno... in quel momento [quando Scattone aveva riposto la pistola nella borsa del Ferraro] entrò la Lipari... uno dei due, uscendo dalla stanza, le passò accanto mormorando 'Ciao Chiara'... subito dopo uscirono dalla stanza anche Ferraro.con la borsa e Liparota... Giuliana Olzai... si trovò Scattone di fronte e Ferraro di spalle, restando colpita dal loro atteggiamento... il 13 giugno... rivide Scattone sul pianerottolo del secondo piano dell'Istituto di Statistica"); d) era emersa "la perfetta buona fede" della Lipari (indignata per il percepito clima di omertà, favorito dai responsabili dell'Istituto di Filosofia del diritto - compreso il titolare prof. Romano, del quale era assistente - " che, a suo avviso, sapevano e tacevano", anche secondo i significativi riferimenti di intercettate conversazioni telefoniche) e la conseguente "alta affidabilità" testimoniale; e) i riscontri della personalità e della condizione psicologica della Alletto (che solo il 14 giugno 1997 si era decisa a riferire quanto "aveva visto ed udito") ne avevano evidenziato la genesi del comportamento processuale come correlata al parametro (che aveva ispirato le iniziali protratte negazioni) della "convenienza per i suoi interessi e per quelli familiari", non potendosi per ciò ipotizzare che le sue dichiarazioni accusatorie ("nelle loro parti essenziali, attendibili") "fossero state condizionate dalla paura di essere arrestata", ovvero da intento di "allinearsi" alla versione dei fatti fornita dalla Lipari; f) la ritrattazione del Liparota (in "stretti rapporti di frequentazione" con gli altri imputati) non era stata ritenuta "in alcun modo credibile", essendosi però configurata al riguardo l'irrilevanza dei riferimenti testimoniali della Villella; g) alla testimonianza della Olzai era stato conferito il rilievo di "valido indizio" a carico degli imputati; h) in tal modo erano stati anche apprezzati gli elementi costituiti dalla falsità dell'alibi fornito dal Ferraro e dalla inconsistenza (inesistenza) dell'alibi dello Scattone; i) ed era stato considerato il risultato convergente della prova generica (e ciò in quanto: "l'ipotesi di accentuata probabilità della provenienza del colpo dalla finestra del bagno disabili... non si basava su dati rigorosamente ed esclusivamente tecnico-balistici, ma su argomenti logici"; "la particella di antimonio-bario prelevata dalla finestra n. 4 dell'aula 6 .. era quindi un probabile residuo di sparo"; "nella borsa del Ferraro era stata scoperta... una particella quaternaria... simile, non solo dal punto di vista qualitativo ma anche quantitativo, alle sei particelle rilevate sulla zona caudale del proiettile"); l) per la posizione del Liparota si era, peraltro, rilevato che non poteva trovare applicazione "la causa speciale di non punibilità prevista dall'art. 384 c.p... difettando un rapporto di stretta conseguenzialità tra il silenzio da lui serbato su un fatto tanto grave e le minacce indeterminate e scarsamente credibili rivoltegli dal Ferraro" ("allo stesso modo non era configurabile a suo favore la tesi... dell'autofavoreggiamento mediato, non sussistendo alcun nesso di conseguenzialità tra il racconto della verità dei fatti e il danno paventato").

Dalla richiamata sentenza della prima Sezione penale di questa Corte 1234/2001 risulta poi che fu proposto il ricorso per cassazione da:

1. Pg presso la Corte di appello di Roma, per motivi di: A - prospettata utilizzabilità processuale delle dichiarazione di Rosangela Villella, indebitamente esclusa con violazione dell'art. 1, comma 2, del d.l. 2/2000 convertito nella l. 35/2000; B - illegittimo diniego della sollecitata qualificazione giuridica del fatto in termini di omicidio commesso con dolo eventuale";

2. Giovanni Scattone, per motivi di: A - violazione degli artt. 190, comma 1, 495, comma 2, c.p.p. e 24 Cost. in relazione a mancata acquisizione probatoria di tre videocassette riproducenti i colloqui dell'11 giugno 1997 intercorsi tra la Alletto ed il cognato Luigi De Mauro (ispettore di polizia) ed i correlativi interventi operati nell'occasione dai "magistrati inquirenti"; B - mancanza e manifesta illogicità del procedimento valutativo delle tardive dichiarazioni rese dalla Lipari e di quelle della Alletto (connotate da "assenza di spontaneità e coerenza" condizionate peraltro, nelle modalità di assunzione, dall'erroneo pregiudizio investigativo di "individuazione di un preteso residuo di sparo sul davanzale della finestra della sala assistenti", oltre che di quelle provenienti dalla Olzai ("testimone manovrata o mitomane"); C - mancanza di riferimenti motivazionali in ordine agli elementi dimostrativi della ritenuta "colpa cosciente"; D - vizio motivazionale della affermata falsità dell'alibi sulla presenza personale, nella mattinata del 9 maggio 1997, prima nello studio del prof. Lecaldano a Villa Mirafiori e poi nella segreteria della Facoltà di Lettere in orario concomitante con quello del ferimento della Russo; E - analogo vizio logico della motivazione valutativa delle risultanze degli accertamenti peritali, tanto più essendosi inopinatamente negati i sollecitati ulteriori "utili" accertamenti "sulle fibre di vetro sul proiettile e sui filtri di prelievo del bagno disabili" ed essendosi invece accreditati i risultati probalistici della perizia "nanotecnologica", di semplice natura "innovativa e sperimentale"; F - applicazione di regime sanzionatorio eccessivo, anche in relazione agli aumenti determinati per la ritenuta aggravante e per la riconosciuta continuazione;

3. Salvatore Antonio Ferraro, per motivi di: A) - contestazione critica della accreditata rilevanza della prova specifica costituita dalle dichiarazioni della Alletto e della Lipari e della prova generica rappresentata nelle risultanze delle perizie dibattimentali espletatesi in secondo grado, innanzi tutto deducendosi l'illegittimità del diniego dell'istruzione dibattimentale per il sollecitato confronto della Aletto con altri testimoni e per il riesame dalla testimone Marcucci; B) - illogicità della riconosciuta attendibilità della Lipari e della Alletto (per quest'ultima ipotizzata, nonostante i riconosciuti profili caratteriali della "doppia convenienza" e le risultanze "dell'incontro videoregistrato" dell'11 giugno 1997), oltre che della valutazione sia dei riferimenti testimoniali "dei funzionari di polizia che incontrarono il Liparota quando venne arrestato", sia della testimonianza della Olzai; C) - nullità della perizia Compagnini (per gli accertamenti demandati, senza atto formale di nomina, a terzi collaboratori tecnici), in relazione anche ad omessa considerazione di risultanze oggettive ovvero a sopravvalutazione di modalità del fatto accreditate con accertamenti tecnici correlati a metodo "privo di dignità scientifica" (al riguardo le contestazioni furono incentrate ad evidenziare l'irrilevanza probatoria dei residui di sparo rinvenuti e "l'improbabile rilevanza dell'unica particella con la presenza di fosforo prelevata dalla borsa di Ferraro"); D) - illegittimità della confutazione dell'alibi offerto; E) - indebita esclusione della qualificazione del fatto in termini di "autofavoreggiamento mediato scaturito dalla scelta di difendere se stesso e non l'amico Scattone"; F) - mancanza di motivazione per l'affermata colpevolezza in ordine ai reati di detenzione e porto abusivi di arma;

4. Francesco Liparota, per motivi di: A) - violazione della disciplina di cui agli artt. 187 e 192 c.p.p., essendosi accreditato, a conferma della colpevolezza per favoreggiamento personale, il rilievo di elementi insufficienti, "che non hanno natura di prova piena"; B) - indebito diniego dell'esimente di cui all'art. 384 c.p., non essendosi considerato, da un lato, che il proscioglimento irrevocabile della Alletto dalla stessa imputazione di favoreggiamento (per effetto di "una sorta di pressione ambientale") comporta l'inammissibilità dall'appello proposto dal Pm per la posizione del Liparota e, dall'altro, che l'esimente è effettivamente configurabile (quanto meno nel rilevante profilo putativo di cui all'art. 59/4 c.p.) in riferimento alla riconosciuta valenza di una "minaccia indeterminata" di tipo ambientale ed all'oggettivo collegamento del "silenzio serbato" dall'imputato alla finalità di evitare il "pericolo di un'ingiusta incriminazione per il più grave reato di omicidio"; C) illegittimità dell'immotivato regime sanzionatorio, eccessivo anche per effetto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Nell'interesse dello Scattone e del Ferraro risultarono proposti anche motivi nuovi di ricorso, per il primo in riferimento a: 1. illegittimità della "mancata acquisizione delle cassette contenenti la videoregistrazione di quanto avvenuto l'11 giugno 1997 negli uffici della Procura della Repubblica di Roma"; 2. inconsistenza degli accertamenti peritali, insufficienti ed inadeguati (con particolare riferimento alle risultanze delle indagini sulla presenza di frammenti di fibra di vetro sul proiettile "che attinse la vittima" e sulla presenza di silenziatore sulla pistola utilizzata, oltre che con valutazione delle conclusioni probabilistiche "di mera compatibilità" formulate dai periti), essendo tanto più necessario l'espletamento di pregnanti e puntuali verifiche peritali a ragione della intrinseca debolezza della prova dichiarativa; 3. violazione della disciplina di cui all'art. 33 c.p.; per il secondo, in considerazione di: 1. mancata valutazione degli incredibili "recuperi mnemonici" della Lipari; 2. carenza motivazionale in ordine a condizionamenti e pressioni patiti dalla Alletto; 3. incertezza delle risultanze degli accertamenti tecnici, anche per la prefigurata evenienza della "scia di antimonio" valorizzata in grado di appello; 4. analoga incertezza della prova specifica, la cui individuazione valutativa non ha tenuto conto del "ruolo svolto dal cognato [dell'Alletto, Di Mauro] ispettore di polizia e suo confidente"; 5. illegittimità del regime sanzionatorio eccessivo, non essendosi peraltro concesse le circostanze attenuanti generiche e non essendosi applicata la continuazione tra i reati ritenuti.

In relazione a tali motivi di impugnazione la premessa della decisione è stata che "i ricorsi di Scattone e Ferraro sono fondati nella parte in cui denunciano un'erronea valutazione della prova specifica, sia pure in un'ottica diversa da quella proposta dai loro difensori".

Il correlativo procedimento argomentativo si sviluppa nei progressivi passaggi motivazionali, che in sintesi si riportano:

A - Nell'articolazione della motivazione, "nell'apprezzamento delle singole risultanze di prova specifica e, in definitiva, sul terreno strettamente metodologico del confronto dei relativi contenuti, la Corte di merito [ha] violato la regola di giudizio espressa dell'art. 192, comma 3, c.p.p.", così realizzando rilevante situazione di "errores in iudicando".

B - Posto che, in via di principio, in tale ambito di valutazione probatoria non può prescindersi dalla qualifica formale rivestita dai soggetti dichiaranti, le dichiarazioni integranti chiamate in correità (o in reità) postulano la disamina in conformità dei criteri enunciati nei commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p., nel senso che la chiamata "deve essere confortata da "altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità", cioè da elementi di riscontro estrinseci che, se anche non raggiungono rispetto alla chiamata, la consistenza di prova autonoma e distinta della colpevolezza del chiamato..., considerati e valutati complessivamente... risultino compatibili con la chiamata [stessa]... e siano rafforzativi di questa". Per tali elementi probatori è, cioè, richiesto "un vaglio argomentativo di secondo grado" ("se ne saggia prima l'intrinseca coerenza con la connessa affidabilità della fonte di provenienza per poi garantire l'assenza di un interesse alla delazione gratuita"): l'attendibilità "non è negata a priori, ma... è priva di autonoma sufficienza e... spetta pertanto ai riscontri probatori esterni renderla piena", in ciò al riguardo trovando applicazione il principio della "valutazione 'unitaria'" della chiamata con altri "elementi di prova". In tale prospettiva dialogica la previsione del terzo comma dell'art. 192 c.p.p. significa che "l'estensione dell'analisi ad altri elementi di prova serve solo a confermare l'attendibilità delle dichiarazioni del chiamante"... orientando il [correlativo] controllo giudiziario... verso la ricerca polarizzata di altri elementi di prova convergenti", così prefigurandosi nel processo penale del 1988 "un nuovo modello di motivazione che rifletta un più stretto legame tra prova e decisione", secondo una regola motivazionale tanto più rilevante nella fattispecie processuale concreta, nella quale "non è stato possibile identificare una causale del delitto avente idoneità rappresentativa diretta ed autonoma del factum probandum".

C - In relazione agli enunciati principi di disciplina legale la sentenza impugnata ha evidenziato il vizio metodologico di parificare sostanzialmente il livello valutativo delle varie prove specifiche (testimonianza di Maria Chiara Lipari; dichiarazioni accusatorie di Gabriella Alletto, dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di Francesco Liparota; testimonianze di Rosangela Villella e di Giuliana Olzai), "senza specificare la diversa valenza dimostrativa sottostante alle singole esperienze probatorie derivanti dalla particolare veste processuale assunta" dagli interessati ("la verifica di attendibilità intrinseca di ciascun soggetto è stata infatti compiuta utilizzando gli stessi parametri di giudizio, come se i vari dichiaranti fossero da mettere tutti sullo stesso piano e non su piani ontologicamente distinti", come confermato dall'illogicità palese dell'ordine di trattazione delle stesse prove specifiche - l'esame delle dichiarazioni della Lipari ha preceduto quello delle chiamate della Alletto e del Liparota -, della contrapposizione - "sul versante della valutazione della rispettiva affidabilità intrinseca" - delle posizioni probatorie della Alletto e della Lipari, delle variazioni della qualità assunta dai chiamanti Alletto - prima persona informata sui fatti, poi indagata, infine imputata di favoreggiamento personale - e Liparota - che peraltro ha proceduto alla ritrattazione dell'accusa -).

D - Conseguentemente è venuto in rilievo il vizio della sentenza "di non aver tenuto conto nel percorso motivazionale... del canone argomentativo enunciato dall'art. 192, comma 3, c.p.p., avendo il giudice di merito proceduto ad una valutazione globale ed indifferenziata delle chiamate in correità e di tutte le dichiarazioni testimoniali acquisite, senza prima chiarire gli eventuali dubbi che si addensavano sulle chiamate in sé e per sé considerate, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad esse" (e, in particolare, l'approccio argomentativo è risultato carente, per quanto sia stato omesso di "saggiare se tali dichiarazioni [dell'Alletto e del Liparota],... fossero in grado di riscontrarsi a vicenda"", con verifica della loro indipendenza da suggestioni o condizionamenti e del loro rilievo individualizzante, con indagine tanto più pregnante in riferimento all'attendibilità del Liparota, che aveva ritrattato la chiamata precedente e che aveva successivamente tenuto "una condotta di per sé neutra come il silenzio"). Al riguardo, in particolare, è risultato eluso l'obbligo di valutare lo "spessore probatorio degli elementi di riscontro in relazione alla... necessità di analizzare le chiamate che hanno avuto per oggetto la presenza di Scattone e Ferraro nell'aula 6 la mattina del 9 maggio 1997 in coincidenza con l'ora del ferimento di Marta Russo e la loro individuazione come persone coinvolte nell'esplosione del colpo": "il tema probatorio doveva essere concentrato non sul modo in cui le due chiamate si erano formate, specie quella estremamente sofferta dell'Alletto... [la cui] attendibilità intrinseca... va valutata alla stregua di parametri diversi dalla visione di immagini 'video' peraltro note", riguardanti le modalità dei colloqui col Di Mauro e gli inquirenti.

E - Sempre in applicazione della regola di giudizio enunciata nell'art. 192, comma 3, c.p.p., non è utilizzabile il riscontro dell'accertamento della provenienza e della direzione dello sparo (non suscettibile di rivelare "ragionevole certezza..., stante, tra l'altro, il mancato reperimento dell'arma e del bossolo e l'assenza di residui di sparo sulla finestra dell'aula 6 e su quella del bagno disabili, senza trascurare che nulla autorizzava ad escludere che lo stato dei luoghi e delle cose non fosse rimasto sicuramente immutato").

F - Conseguentemente "la valutazione giudiziale della chiamata... proveniente dall'Alletto e dal Liparota doveva essere focalizzata solo ed esclusivamente in direzione dell'identificazione dell'autore dello sparo o comunque dei soggetti ai quali lo sparo era in varia misura riconducibile... in questo contesto andavano e andranno valutate le dichiarazioni testimoniali della Lipari, della Villella, dell'Olzai e delle varie persone presenti al momento del ferimento della Russo... nella stessa direzione dialogica... andavano e dovranno essere verificati gli alibi, veri o falsi, provati o non provati, dei due principali imputati che hanno sempre negato... recisamente di essere stati presenti nell'aula 6 la mattina del 9 maggio e nell'ora coincidente del delitto".

G - In tal modo sono rimasti enunciati, in termini rilevanti per gli effetti di cui all'art. 627, commi 2 e 3, c.p.p., l'errore giuridico ed il conseguente vizio motivazionale della sentenza della Corte di assise di appello di Roma del 7 febbraio 2001, della quale è stato conseguentemente disposto l'annullamento con rinvio ad altra sezione della stessa Corte, per il necessario nuovo giudizio improntato ed uniformato ai principi ed alle valutazioni, che sono stati diffusamente riportati nel loro articolato procedimento argomentativo e rappresentativo, oltre che agli enunciati corollari della assoluta irrilevanza probatoria delle ulteriori perizie tecniche sollecitate (essendo già insussistente ed erroneo il ritenuto presupposto di assoluta necessità ex art. 523, comma 6, c.p.p. delle rinnovate perizie esplosivistica e nanotecnologica, non si comprende comunque come i risultati di tali perizie, connotati dalla "mera probabilità" delle conclusioni formulate, abbiano potuto indurre a valutazione di "convergenza tra prova specifica ed elementi di prova generica... in chiave di conferma decisiva delle dichiarazioni accusatorie di Gabriella Alletto") e del riconoscimento che "la prova generica... non ha alcun valore decisivo in questo processo" ("che si impernia... sulla chiamata... di due imputati ad opera di due soggetti, le cui dichiarazioni accusatorie impongono un tipo di verifica giudiziale normativamente diverso da quello compiuto nella sentenza impugnata").

H - In conclusione è stato demandato al giudice del disposto rinvio di determinarsi liberamente, nell'ambito di indagine così definito, "in ordine alla responsabilità o meno" di tutti gli imputati ("compreso il Liparota, stante l'evidente connessione probatoria della sua posizione processuale di imputato di favoreggiamento personale con quella degli altri due imputati"), "provvedendo a valutare le prove specifiche acquisite" e "saldandole col filo dei criteri di valutazione" enunciati nell'art. 192, comma 3, c.p.p., "statuendo anche sulla utilizzabilità ed efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da Rosangela Villella e sulla configurabilità, se del caso, del dolo eventuale (prospettata dai ricorrenti Pg e Liparota, per quest'ultimo neppure potendosi ravvisare la pretesa illegittima contraddizione del mancato adeguamento alla irrevocabile decisione assolutoria riguardante la posizione processuale della Alletto, già imputata di identico reato di favoreggiamento personale).

L'analitico richiamo delle risultante processuali, e, in particolare, delle statuizioni della sentenza di annullamento 1234/01 di questa Corte (riportate nelle modalità dell'articolato procedimento argomentativo) consente ora di verificare se, nell'ulteriore corso processuale, siano risultate integrate le dedotte violazioni della disciplina di cui all'art. 627, comma 3, c.p.p. per le soluzioni (accreditate nella sentenza di annullamento) delle questioni sollevate, di tali soluzioni non essendo peraltro consentito di contestare la legittimità e la conformità alla disciplina normativa generale.

All'esito del conseguente giudizio di rinvio risulta emessa la sentenza della Corte di assise di appello di Roma 52/2002, il cui sviluppo argomentativi è così articolato:

A - Trattandosi di prova ammissibile ed utilizzabile, oltre che indispensabile ai fini della valutazione critica delle dichiarazioni "progressive" della Alletto, è stata acquisita la videoregistrazione integrale, con l'audio" corrispondente, del cd. "videoshock" relativo alla loro assunzione; mentre è stata disattesa la richiesta di ispezione dei luoghi.

B - In preliminare via di principio rileva che la posizione della Alletto e del Liparota è quella propria dei chiamanti in reità, che postula l'applicazione dei canoni procedimentali e valutativi di cui agli artt. 500, 503 e 193, comma 3, c.p.p., con disamina comparativa delle chiamate che, per la Alletto, va correlata alle prime dichiarazioni negatorie e, per il Liparota, va riferita alle prime dichiarazioni accusatorie.

Al riguardo va riconosciuta poi la valenza del "doppio regime" introdotto dalla l. 63/2001 secondo la previsione transitoria dell'art. 26, commi 3 e 4, nel senso che:

1. le precedenti dichiarazioni "difformi", se acquisite al fascicolo del dibattimento dopo il 25 febbraio 2000, non sono suscettibili di recupero probatorio, ma sono utilizzabili al solo fine di la credibilità della persona esaminata"; 2. per le dichiarazioni precedentemente acquisite vige, per effetto della predetta previsione transitoria e delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale 381/2001, il regime che, ove rese fuori dal contraddittorio da chi si sia "per libera scelta sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato e del suo difensore", le rende rilevanti quando siano "corroborate da 'altri elementi di prova che confermano l'attendibilità soltanto se questi siano stati 'assunti o formati, con diverse modalità".

In tal modo le precedenti dichiarazioni "difformi" rese dalla Alletto e dal Liparota rilevano per vagliarne la credibilità e, contemporaneamente, per costituire il fondamento della valutazione probatoria dei fatti dichiarati ("se la persona esaminata [in dibattimento] supera il vaglio di credibilità... la prova dei fatti risiede nelle dichiarazioni dibattimentali", valutata secondo il principio di divisibilità: tale regola, in particolare, è riferibile alla posizione della Alletto, che non si è sottratta al contraddittorio dibattimentale).

Per il Liparota si rende necessaria, invece, l'individuazione di altri elementi di prova, confermativi della attendibilità delle precedenti dichiarazioni, ma l'assunti o formati con diverse modalità".

In tale contesto il passaggio valutativo ulteriore è disciplinato dalla regola "finale" configurata dal terzo comma dell'art. 192 c.p.p., nel senso che, per la chiamata in reità, si richiedono il vaglio preventivo di attendibilità intrinseca (secondo i parametri di autonomia, spontaneità, disinteresse, genuinità delle dichiarazioni accusatorie, essendo, nell'ultimo profilo della genuinità, evidente la necessità di specifica considerazione del rilievo di addotte "coartazioni morali") e la puntuale ricerca di rilevanti riscontri esterni (non richiesti invece per il procedimento valutativo di normali dichiarazioni testimoniali).

C - La "sintesi anticipata" dei motivi della decisione evidenzia, anche alla stregua della lettura "integrata" delle precedenti due sentenze di merito, che la colpevolezza degli imputati deve essere confermata per il rilievo probatorio delle dichiarazioni accusatorie della Alletto, come precisatesi attraverso "autentici accenti di verità" (significativi di sincerità, genuinità e spontaneità del "travaglio tremendo della dichiarante, oggettivamente evidenti nella dichiarazione di chiusura dei confronto dibattimentale col Ferraro: "confessate... io l'ho fatto"), concordanti con i riferimenti testimoniali della Lipari e della Olzai e non svalutate da apprezzabili elementi di contraria portata. Conseguentemente si individuano i "punti fermi" della ricostruzione del fatto:

1 - Marta Russo è stata attinta, alle ore 11,42 circa del 9 maggio 1997, da un proiettile cal. 22, proveniente da sinistra, dall'alto, leggermente da dietro;

2 - pochi attimi prima l'Alletto è entrata nell'aula 6, dal quale stava uscendo una persona (uomo) sconosciuta;

3 - nell'aula sono stati trovati presenti il Liparota, il Ferraro e lo Scattone;

4 - quest'ultimo viene intravisto nel vano della finestra di destra, in progressivi rapidi comportamenti di impugnare una pistola, di sparare verso l'esterno e di riporre l'arma in una cartella collocata sulla scrivania;

5 - al percepito immediato gesto di sconforto del Ferraro (che "si mise le mani nei capelli") ha fatto seguito contestuale l'ingresso della Lipari, che ha cominciato a fare telefonate;

6 - si è materializzato, a questo punto, quasi un clima di "gelo" tra i presenti; e sono usciti, nell'ordine, lo Scattone, il Ferraro, il Liparota e l'Alletto, mentre la Lipari è rimasta impegnata nelle sue conversazioni telefoniche;

7 - dopo qualche minuto lo Scattone ed il Ferraro sono usciti dall'Istituto, attraverso una scala interna ("appartata" rispetto al vialetto del ferimento della Russo) ; così i due imputati sono stati intravisti dalla Olzai (che li ha riconosciuti nelle immagini fotografiche di una successiva trasmissione televisiva), che ha chiesto loro che cosa sia accaduto, ma non ne ha ricevuto risposta.

A fondamento di tale ricostruzione risultano essenziali la testimonianza della Olzai (che finisce per saldare tra loro gli altri dati probatori, compresi quelli riguardanti la prova generica e gli alibi falsi o inconsistenti) , le iniziali dichiarazioni accusatorie del Liparota (convalidate dalle risultanze di conversazioni telefoniche intercettate), i correlativi predetti riscontri esterni.

D - Il quadro della valutazione probatoria viene analizzato, innanzi tutto, in riferimento alle dichiarazioni accusatorie di Gabriella Alletto.

1 - Prima della "svolta" del 14 giugno 1997 la Alletto è "entrata" nelle indagini per effetto delle dichiarazioni della Lipari, che, per esigenze organizzative di un convegno di studio. alle ore 11,44 è entrata nell'aula 6 (dove ricorda inizialmente di aver intravisto "almeno" la Alletto ed il Liparota) e vi è rimasta impegnata fino alle ore 11,48',47" a fare telefonate (è risultato che poi il prof. Bruno Romano e la Alletto si sono affacciati ad osservare l'arrivo dell'autoambulanza nel vialetto, mentre lo Scattone alle ore 12, 44 ha cercato di telefonare dalla Sala cataloghi a casa del Ferraro, riuscendo a stabilire il contatto telefonico tra le ore 12,56',33" e le ore 12,59).

La Lipari (che già il 21 maggio 1997 ha indicato la presenza della Alletto e del Liparota) rende, in particolare, apprezzabile giustificazione del suo progressivo recupero mnemonico, sollecitato, sul piano emotivo e psicologico, dalla successiva informazione che il colpo era sicuramente partito dall'aula 6, nella quale era entrata appena due minuti dopo (ne è riprova la telefonata intercettata del 22 maggio, nella quale la Lipari rende evidente la spontaneità del suo intento collaborativo, seppure progressivamente precisatosi nella concreta dimensione psicologica della "dolorosa verifica di ricostruzione dei ricordi").

2 - Le dichiarazioni della Alletto, pur valutate come rese da persona . imputata o indagata di reato connesso, restano rilevanti ed idonee a determinare l'individuazione dei già riportati "punti fermi" della ricostruzione delle concrete modalità dei fatti percepiti e riferiti (senza apprezzabili condizionamenti investigativi, come logicamente confermato dalla reazione dei funzionari Belfiore e Giannini, che "cadono dalle nuvole", quando il 14 giugno la Alletto indica la presenza dello Scattone, "sottovalutato" nelle precedenti indagini, nell'aula 6).

3 - Per i profili della credibilità soggettiva correlativi connotati positivi, all'esito dell'ampio dibattito sviluppatosi al riguardo, si ricavano dagli elementi significativi - "accenti di sincerità" - del travaglio vissuto dalla Alletto fino al 14 giugno, quando finalmente '"se la sente di parlare" dopo l'ostinata negazione precedente, avvalorata, come "un aiuto un paravento" dal "giuramento sulla testa dei figli" (i momenti di tale travaglio psicologico sono concretamente percepibili nell'intimo atteggiarsi della Alletto, soverchiata dalla "paura tremenda" di fare la spia e di quello che avrebbe ritrovato in Istituto, condizionata da una favorevole propensione - anche affettiva - nei confronti del Ferraro e dello Scattone, sorretta dal malinteso senso del dovere di "madre di famiglia", sconcertata dal "clima di omertà", dall'ostilità e dal "muro di gomma" percepibili nell'ambiente dell'Istituto e materializzati anche dall'intercettato invito telefonico della moglie del prof. Romano a "resistere" alle insistenze degli investigatori; e sono momenti di una situazione psicologica di progressivo cedimento verso il racconto della verità addirittura riscontrati dalla visione e dall'ascolto del "videoschock" dell'11 giugno).

4 - Per i profili rilevanti della attendibilità intrinseca il racconto della Alletto, dopo la "clamorosa svolta" del 14 giugno (e la liberazione dal peso non più sostenibile della negazione), è risultato "minutamente" articolato a rappresentare, con i descritti "accenti di verità" e senza contraddizioni rilevanti, tutti i particolari percepiti della vicenda. Né la correlativa verosimiglianza resta inficiata dalla prospettata assurdità della iniziativa avventata, l'ostentata" dallo Scattone, dovendosi in contrario considerare la verosimile convinzione dell'imputato che nell'aula fossero presenti soltanto gli "amici" Ferraro e Liparota, vanificata dall'improvviso, imprevisto e contestuale sopraggiungere della Alletto (che peraltro non è risultata "portatrice" di interesse personale ad accusare lo Scattone, del quale in precedenza non era stato definito alcun ruolo peculiare nella vicenda stessa, così non trovando riscontro di fondamento le adombrate "contaminazioni" investigative, infine sostanzialmente escluse dagli stessi difensori dell'imputato).

Su questo versante la Alletto è risultata sollecitata (come, del resto, la Lipari ed il Liparota), non da indebite, pressioni, ma da legittime contestazioni, insistenze, ammonizioni degli inquirenti, ben comprensibili nel riscontrato clima omertoso (assurdo per l'eccezionale modalità del delitto e per le aspettative di positivo sviluppo investigativo), come sinceramente e validamente rappresentato nel "memoriale-sfogo" della dott.ssa Avitabile: "il colpo è partito da quella finestra e nessuno parla: nessuno ha chiesto, intimato, suggerito, proposto di dire qualcosa di specifico, ma solo di dire la verità". Per modo che sullo stesso versante proprio gli accenti di sincerità e di verità, innegabilmente riscontrabili nel racconto della Alletto, logicamente escludono che gli inquirenti siano stati concretamente animati da precostituiti intenti fraudolenti e che si siano determinate devianze probatorie di "testimonianze a catena".

Sempre su tale versante la genesi della spontanea e disinteressata "resa" del 14 giugno trova riferimento in un momento psicologico nuovo e favorevole, quando la Alletto, come riferisce, viene "messa in grado di dialogare con persone gentili". E logicamente rileva che, gli "accenti" sostanziali di verità si rinvengono, addirittura materialmente, nel contenuto delle nuove dichiarazioni: alla Alletto si continua a contestare, come è evidente anche nelle risultanze del "videoshock", la falsità della negazione della presenza personale nella Sala assistenti; ma la donna fornisce riferimenti specifici e ben più ampi delle percezioni consolidatesi nell'occasione, precisi ed idonei a consentire la ricostruzione dei comportamenti delle persone presenti nella stessa sala e del contesto ambientale (quali: le mani nei capelli del Ferraro; la percezione del "tonfo"; la pistola riposta dallo Scattone nella cartella, poi portata via dal Ferraro); e, in tal modo "narra il reale vissuto", nel quale introduce il vero personaggio nuovo dello Scattone, che già dal 21 maggio aveva fornito agli inquirenti il proprio alibi, non ancora controllato a riprova di un ruolo precedentemente prefigurato da quest'ultimi come marginale ed inconsistente. Sullo stesso versante convalidano l'attendibilità intrinseca le modalità del racconto, i riferimenti testimoniali di "velate confidenze" a colleghi di ufficio, il contenuto di telefonate varie (né la contraddicono le irrilevanti considerazioni sul precedente comportamento di negazione, sulla compostezza emotiva frattanto conservata nell'ufficio, sull'ultima verifica del 14 giugno delle operazioni espletate nella mattinata del 9 maggio).

E - In tal modo restano svalutate, da un lato, le prospettazioni di un "complotto decisionistico" degli inquirenti (conseguente alla constatazione dell'errore evidenziato dalla consulenza "Falso") e, dall'altro, risulta verificata la piena attendibilità delle dichiarazioni dell'Alletto (che, nella progressione espositiva fino alla versione definitiva dei fatti percepiti, rivela atteggiamenti psicologici e condizionamenti intimi che non inficiano di falsità le dichiarazioni stesse, ma ne comprovano l'effettiva veridicità, laddove esprimono il riferimento della loro maturazione attraverso il filtro di sensazioni non propriamente egoistiche - la cosiddetta "convenienza di madre di famiglia", riflessiva ed attenta, che cerca una via di uscita, tanto più travagliata per effetto del condizionamento ambientale, ma certamente avulsa da cinici intenti calunniosi, se le iniziali ammissioni restano limitate al riconoscimento di essere entrata nella Sala assistenti -).

Ne è riprova il risultato dei confronti dibattimentali con lo Scattone e con il Ferraro, ai quali la Alletto non ha inteso sottrarsi, efficacemente replicando alle contestazioni oppostele.

F - Delle dichiarazioni della Alletto sono poi rimasti individuati significativi "primi riscontri" nei dati di generica (per l'emergente compatibilità dei riferimenti con l'ora dello sparo), nelle testimonianze delle persone presenti sul luogo e nel momento del ferimento di Marta Russo (alle quali si saldano "in piena armonia", derivante dalla sostanziale convergenza-compatibilità delle modalità riferite dell'iniziativa dello Scattone), nelle risultanze degli accertamenti autoptici e di quelli balistici, così evidenziandosi che: a) tali dichiarazioni hanno rappresentato i fatti percepiti di un colpo di pistola esploso dal vano della finestra n. 4 dell'aula 6 e del conseguente occultamento dell'arma nella borsa prelevata dal Ferraro; b) gli elementi valutati ("primi riscontri") hanno evidenziato reciproca valenza confermativa rispetto alle dichiarazione della Alletto.

Mentre sono rimasti consolidati rilevanti e decisivi riscontri esterni individualizzanti.

Così è puntuale e significativa la precisa testimonianza di Giuliana Olzai (nel trambusto del 9 maggio a piano terra di Statistica incrocia due giovani, che non rispondono alle sue domande e corrono verso l'atrio di Scienze Politiche; il 13 giugno incontra nuovamente uno dei due - che, in immagini televisive del 15 giugno, riconoscerà per lo Scattone -; nelle stesse immagini riconosce il Ferraro, che il 9 maggio "aveva in mano una borsa"; il 13 giugno racconta la sua sensazione di spavento ad un collega ed al marito; ma solo il 9 luglio può rendere le sue dichiarazioni agli inquirenti, essendo stata prima impedita dalla necessità di assistere il padre, ricoverato presso l'ospedale di Aprilia). E si tratta di testimonianza credibile (che resiste alle contestazioni difensive, già per quanto non richieda, in via di principio la convalida di riscontri esterni) , oltre che pienamente attendibile (l'episodio del 9 maggio è stato riferito minuziosamente dalla Olzai al marito ed al collega prima dell'arresto dello Scattone e del Ferraro; l'individuazione e l'identificazione dello Scattone sono state espresse in termini di assoluta certezza; analogamente risultano di pieno affidamento le modalità del riconoscimento televisivo degli imputati, subito comunicato telefonicamente dalla Olzai al marito; le indicazioni relative all'abbigliamento degli imputati stessi - anche per la borsa portata dal Ferraro - denotano sostanziale convergenza con quelle fornite dalla Alletto): negli univoci profili considerati la testimonianza della Olzai finisce così per saldarsi, senza discrasie, ai ricordi della Lipari ed alle dichiarazioni della Alletto.

Nella disamina degli elementi di riscontro esterno individualizzante per tali dichiarazioni prende poi consistente rilievo la valutazione delle dichiarazioni di Francesco Liparota. Al riguardo la premessa è che si tratta di imputato del reato di favoreggiamento personale, la cui posizione va assimilata a quella del chiamante in reità, che ha tenuto comportamento processuale mutevole e ambiguo, passando dalle iniziali dichiarazioni "sfuggenti" ("non escludo di avervi visto Gabriella Alletto"), all'appunto accusatorio, all'interrogatorio di ritrattazione e poi di conferma, alla ritrattazione definitiva, al silenzio dell'incidente probatorio, alla dichiarazione spontanea dibattimentale di innocenza, intesa a scagionare anche gli altri imputati. Da tale premessa consegue, in via di principio, che alle dichiarazioni accusatorie rese dal Liparota nel corso delle indagini preliminari deve essere riconosciuta la natura di elementi probatori, pienamente valutabili (in conformità della disciplina transitoria di cui all'art. 26, comma 4, della l. 63/2001 e 1, comma 2, del d.l. 2/2000 e del richiamato orientamento giurisprudenziale) sempre che la chiamata in reità che vi risulti espressa sia "sorretta da ampi e pregnanti riscontri", in tal caso dovendosi escludere la valenza negativa delle correlative ritrattazioni spontanee. Nel conseguente procedimento valutativo delle molteplici dichiarazioni del Liparota si rende, per ciò, necessario evidenziarne le modalità, così enucleabili:

a) il Liparota "capitola" dopo la "svolta" della Alletto e, nella notte tra il 14 e il 15 giugno, scrive l'appunto accusatorio ("dichiaro di non aver visto la pistola ma di aver visto il dott. Scattone e il dott. Ferraro affacciati dalla finestra. Ho udito un suono cupo e mi sono successivamente reso conto che avevano sparato. Ho taciuto perché sono stato minacciato di ritorsione da parte loro e anche da parte di loro conoscenti. Queste minacce mi sono state proferite anche successivamente ed erano di ritorsione nei miei confronti e dei miei familiari"): al riguardo la spontaneità della dichiarazione resta convalidata, nonostante le precisazioni "liberatorie" dell'udienza dibattimentale del 10 febbraio 1999, dal rilievo logico che l'appunto non risulta propriamente "allineato" alle modalità del racconto della Alletto sulle posizioni e sulle iniziative degli imputati e dal riscontro di conversazioni telefoniche intercettat, indicative della consapevolezza dei genitori del Liparota in ordine alla sua diretta percezione dei fatti;

b) nell'interrogatorio del 16 giugno il Liparota, dopo l'iniziale "macchina indietro", conferma le accuse, fornendo anche al Gip precisazioni sulle posizioni e sui comportamenti delle persone presenti nella sala-assistenti (tra l'altro, riferisce di aver visto che il Ferraro "si è messo le mani nei capelli" e di aver notato "uno dei due uscire con la borsa", così raccontando modalità sostanzialmente convergenti con quelle dichiarate dalla Alletto) e dichiarando di essere stato minacciato dal Ferraro: laddove resta evidente la rilevanza probatoria delle complessive dichiarazioni accusatorie, che rivelano significativi "accenti di verità e spunti di genuinità" (apprezzabili, in particolare nella progressione dalla iniziale sospetta incertezza -materializzatasi col riferimento di non ricordare nulla e con la "speranza", esternata al Gip, che gli altri "magari dicessero la verità" - al racconto dettagliato dei fatti realmente percepiti, dei contatti ricercati dal Ferraro, delle minacce di ritorsione patite, dall'intento di assecondare l'aspettativa al silenzio e, conseguentemente, dalla partecipazione ad una cena organizzata a casa dello Scattone);

c) infine, subito dopo la concessione degli arresti domiciliari, il Liparota procede alla completa ritrattazione delle dichiarazioni accusatorie, esternando al Gip un sentimento di "rimorso" che lo induce all'iniziativa "io non ricordo di essere stato in quella stanza... non ricordo di aver sentito niente, di aver visto niente... non ho nessun alibi").

Ma in tal modo le dichiarazioni finali ed il corrispondente adeguamento del successivo comportamento processuale (che non intaccano, per quanto premesso in via di principio, la valenza probatoria delle precedenti dichiarazioni accusatorie) finiscono, d'altra parte, per confermare la sussistenza del contestato reato di favoreggiamento personale, individuandosene gli estremi della condotta del Liparota (di evidente gravità) in esclusivo collegamento ad una scelta di "pura omertà", in relazione alla quale non si evidenziano gli elementi della diversa fattispecie sostanziale di autofavoreggiamento mediato, ovvero della situazione esimente rilevante ai sensi dell'art. 384 c.p., tanto più non essendo configurabile la formazione di "giudicato interno" per effetto della irrevocabile pronunzia assolutoria della Alletto dalla analoga imputazione contestatale e non rivestendo le riferite minacce ritorsive del Ferraro caratteri di imminenza concreta di grave pericolo non diversamente superabile.

G - L'articolato procedimento di valutazione probatoria della considerata idoneità accusatoria delle dichiarazioni della Alletto viene convalidato, peraltro, da convergenti ulteriori elementi di giudizio.

Così, in particolare:

1. L'alibi fornito da Salvatore Ferraro (di essere rimasto a casa nella mattinata del 9 maggio e di avervi ricevuto numerose telefonate dell'amica Marianna Marcucci) è risultato sostanzialmente falso, in quanto la consistenza dei riferimenti (incerti e generici) della Marcucci, delle indicazioni (inaffidabili e non riscontrate) di Teresa Ferraro, dei tabulati telefonici Telecom lascia "scoperto" l'imputato sicuramente per il tempo compreso almeno tra le ore 11,17 (telefonata di Domenico Albanese) e le ore 12,56 (telefonate della Marcucci). Sicché, rilevando logicamente che il Ferraro ha mentito a dire di aver ricevuto "molte telefonate" della Marcucci, l'emergente difetto di veridicità dell'alibi non risulta superato da mera allegazione difensiva sulla "stranezza" della mancanza di riferimenti testimoniali in ordine alla contestuale presenza dell'imputato stesso nell'Istituto universitario. E la falsità dell'alibi, confermata nei riportati complessivi profili, integra, per gli effetti di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p., un riscontro di elevata valenza dimostrativa della attendibilità della chiamata in reità.

2. L'alibi fornito da Giovanni Scattone evidenzia poi l'oggettiva inconsistenza, addirittura comprendendo l'ammissione della presenza personale nelle vicinanze dell'Istituto di filosofia del diritto (e, cioè, in locali della Facoltà di Lettere) ed in orario (11,50 circa) oggettivamente compatibile con quello del ferimento della Russo.

La presenza dell'imputato nell'Istituto e, comunque, nell'Università nella mattinata del 9 maggio ha trovato peraltro conferme dirette ed indirette, rilevanti seppure non puntualmente corrispondenti all'orario del ferimento di Marta Russo (il Liparota lo ha visto presente in Istituto alle ore 9,30; il prof. Lacaldano ha ricordato di averlo incontrato nei locali della facoltà di Filosofia a via Nomentana '"nella tarda mattinata", ma non ha saputo precisare il giorno della visita, che, secondo le ulteriori acquisizioni testimoniali, si è conclusa prima delle 11; alcuni testimoni gli hanno parlato in Istituto di esami universitari tra le ore 12,15 e le ore 12,30; altri testimoni - come Maurizio Balisteri e la Marcucci - ne hanno ricordato le ammissioni che "quella mattina era stato in sala cataloghi", sicché addirittura "a un certo punto si era accorto che qualcosa era successo"; delle modalità temporali della indicata contestuale presenza alla Segreteria di Lettere e della stessa effettività dell'iniziativa non è stata invece possibile l'adeguata verifica).

La valutazione conclusiva, coerente con le descritte risultanze, si risolve così nella conferma della dichiarazione di responsabilità dello Scattone (assolutamente privo di alibi) per l'omicidio di Marta Russo e per gli altri reati contestati, del Ferraro per il favoreggiamento personale e per gli altri reati e del Liparota per il favoreggiamento personale commesso.

H - E tale conclusione viene, peraltro, corroborata da "'ulteriori elementi di prova 'ad abundantiam', probabilistici o di compatibilità".

Risultano, innanzitutto, utilizzabili le prime dichiarazioni "de relato" della Villella (il figlio le aveva detto di aver visto nella Sala-assistenti lo Scattone ed il Ferraro, di "sapere" che avevano sparato e di essere stato minacciato), trattandosi di dichiarazioni acquisite al fascicolo del dibattimento prima della data del 25 febbraio 2000, che individua lo "spartiacque" temporale dell'operatività della riforma dell'art. 111 Cost. E sono elementi che concorrono - con le deposizioni della Lipari e della Alletto e con le risultanze di intercettazioni telefoniche - a convalidare l'attendibilità del Liparota, che si è sottratto all'esame secondo le regole del correlativo contraddittorio.

Mentre, restando irrilevanti i riferimenti del Ferraro a situazioni ("telefonata Condemi") di indimostrata valenza difensiva, anche le risultanze di prova generica (e, segnatamente, di perizie balistiche espletate), nella disamina ancora consentita dalle statuizioni e dai principi enunciati nella sentenza di annullamento del 6 dicembre 2001, evidenziano il riscontro di dati oggettivi, che considerati proprio nei limitati profili della loro indiscutibile connotazione oggettiva, non vanno pretermessi, nel senso che denotano conferma della ricostruzione dei fatti accreditata a sostegno della formulata ipotesi accusatoria quantomeno nei termini di apprezzabile compatibilità.

I - Dalle risultanze processuali esaminate si perviene alla conclusione determinativa della qualificazione giuridica dei fatti e della individuazione del titolo di reato, del quale gli imputati devono rispettivamente rispondere con conseguente applicazione del corrispondente regime sanzionatorio.

La premessa "'conclusiva" della Corte del disposto rinvio è che "al termine del processo si sa che Giovanni Scattone ha sparato, ma non si sa né perché né come".. Manca, cioè, un movente accertato. Ma non si tratta di condotta penalmente inesigibile, ascrivibile a fatto fortuito: l'imputato si è trovato a "maneggiare una pistola carica", neppure conoscendone le condizioni di uso, e, ciò nonostante, l'ha impugnata con direzione rivolta all'esterno, pur avendo esperienza di armi e potendo apprezzare il divieto "giuridico" delle modalità della correlativa condotta. Le conseguenze di omicidio per la provocata morte di Marta Russo (che era una "passante qualsiasi", tragicamente sfortunata, una sconosciuta all'agente) non possono, però, essere ascritte all'imputato a titolo di dolo (diretto e intenzionale, ovvero eventuale), per difetto assoluto di dimostrazione probatoria di un effettivo intento omicidiario, ovvero a titolo di colpa per previsione (per difetto assoluto di dimostrazione probatoria di intento e di iniziativa di sparare "verso il basso", in direzione del vialetto utilizzato anche dai pedoni).

Consegue la dichiarazione di responsabilità dello Scattone per omicidio colposo, di estrema gravità per le modalità della colpa, che precludono la concessione delle circostanze attenuanti generiche nel concorrente rilievo negativo del comportamento processuale tenuto, anche in considerazione delle "velate" minacce dibattimentali rivolte alla Alletto: ed il regime sanzionatorio adeguato risulta rideterminato, per gli effetti di cui all'art. 81 c.p., nella pena principale complessiva di anni sei di reclusione ed euro 500 di multa.

Per la posizione del Liparota, a seguito della riforma della sentenza assolutoria di primo grado e della dichiarazione di responsabilità per il reato di favoreggiamento personale (correlata all'articolato procedimento valutativo delle risultanze probatorie), l'adeguato regime sanzionatorio resta determinato in anni due e mesi due di reclusione, non essendo apprezzabili situazioni rilevanti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

L'affermazione di responsabilità del Ferraro, per tutti i reati ipotizzati, viene specificamente ribadita, in considerazione delle riportate risultanze processuali (dalle quali si desume, tra l'altro, che le indicazioni della Lipari sono concrete e non risentono di costruzione "visionaria" dei fatti, tanto più tenendosi conto del contenuto delle conversazioni riferite dai colleghi Sacco e Fiorini, oltre che della valutata falsità dell'alibi proposto dall'imputato).

Ma a carico dell'imputato (che, con l'inequivocabile e puntuale indicazione oggettiva dei fatti addebitati, come esplicitata nell'imputazione contestata, ha trovato piena garanzia di esercizio del correlativo diritto di difesa, non pregiudicato da inesistenti violazioni della disciplina di cui all'art. 521 c.p.p.) non sono ravvisabili elementi, che comportino la diversa qualificazione del fatto per titolo di cooperazione nel delitto colposo commesso dallo Scattone (già, infatti, la percepita immediata reazione istintiva - le "mani nei capelli" - esclude l'ipotizzabilità di una effettiva condotta di cooperazione, ancorché la contestuale "scelta favoreggiatrice" si sia rilevata particolarmente valida, operativa ed insidiosa a favore dello Scattone. Conseguentemente, l'adeguato regime sanzionatorio complessivo resta determinato, ai sensi dell'art. 81 c.p., nella pena principale di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 500 di multa, neppure emergendo la sussistenza di situazioni rilevanti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La valutazione dei proposti ricorsi per cassazione.

Il premesso diffuso ed analitico richiamo delle risultanze processuali è funzionale alla soluzione della fondamentale questione, sollevata in sostanza dai ricorrenti Scattone e Ferraro, di violazione, da parte del giudice del disposto rinvio, delle previsioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 627 c.p.p. Consente, cioè, la verifica di corrispondenza tra le nuove valutazioni ed i principi di diritto enunciati nella sentenza di annullamento.

Ed evidenzia già il risultato positivo della formale adeguatezza dell'approccio metodologico, significativo appunto di tale corrispondenza, posto che la sentenza impugnata procede, secondo il dichiarato canone programmatico e le conseguenti disamine, alla valutazione delle chiamate in reità o in correità alla stregua delle regole prescritte dai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p., ricercando gli elementi estrinseci confermativi dell'attendibilità delle relative dichiarazioni secondo la prospettiva dialogica del vaglio di intrinseca coerenza ed affidabilità e della enucleazione degli ulteriori elementi di prova di riscontro nell'ambito della necessaria valutazione unitaria delle chiamate con gli altri elementi di prova ("convergenti") in quanto appunto confermativi della attendibilità delle chiamate stesse (secondo regola valutativa, che richiede più attenta applicazione critica nella fattispecie processuale concreta di impossibile individuazione di "una causale del delitto").

In tale ambito di formale rispetto del "dictum" del disposto annullamento la sentenza impugnata diversifica le modalità valutative delle dichiarazioni acquisite secondo la loro provenienza soggettiva, tenendo conto della qualificazione della posizione processuale dei dichiaranti.

La sentenza annullata aveva, in particolare, anche materialmente equiparato le modalità del procedimento argomentativo ed aveva omesso di considerare che le diverse posizioni dei dichiaranti comportavano conseguente differenziazione delle modalità e dell'ordine valutativi delle dichiarazioni acquisite, in concreto contrapponendo, per i profili di rispettiva affidabilità intrinseca, la testimonianza della Lipari (che, in quanto tale, non richiedeva supporto di riscontri esterni) alle chiamate della Alletto e del Liparota, precisate dopo che i chiamanti avevano assunto il ruolo processuale di persone indagate per il reato di favoreggiamento personale (e dal Liparota successivamente ritrattate). Su questi rilievi la sentenza di annullamento aveva, come già ampiamente riportato, enucleato gli elementi della rilevante violazione della regola argomentativa enunciata nel comma 3 dell'art. 192 c.p. (essendosi proceduto "ad una valutazione globale ed indifferenziata delle chiamate in correità e di tutte le dichiarazioni testimoniali acquisite, senza prima chiarire gli eventuali dubbi che si addensavano sulle chiamate in sé e per sé considerate, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad esse"), conseguentemente riconducendo il percorso argomentativo ulteriore nei termini della "valutazione dello spessore probatorio degli elementi di riscontro in relazione alla già segnalata necessità di canalizzare le chiamate che hanno avuto per oggetto la presenza di Scattone e Ferraro nell'aula 6 la mattina del 9 maggio 1997 in coincidenza con l'ora del ferimento di Marta Russo e la loro individuazione come persone coinvolte nell'esplosione del colpo che attinse la povera studentessa". Per modo che, secondo il procedimento prescritto nella sentenza di annullamento: - "il tema probatorio doveva essere concentrato non sul modo in cui le due chiamate si erano formate, specie quella estremamente sofferta dall'Alletto"; - resta, peraltro, "estranea alla regola di giudizio dettata dall'art. 192, comma 3, c.p.p. la valutazione concernente l'accertamento della provenienza e della direzione dello sparo", in considerazione dell'impossibile conseguimento di risultati di "ragionevole certezza", - in tal modo "la valutazione giudiziale della chiamata in correità (o in reità) proveniente dall'Alletto e dal Liparota doveva essere focalizzata solo ed esclusivamente in direzione dell'identificazione dell'autore dello sparo o comunque dei soggetti ai quali lo sparo era in varia misura riconducibile", a tale contesto valutativo dovendosi raccordare la disamina delle testimonianze (in specie della Lipari, della Vilella e della Olzai) e la verifica degli alibi offerti dai due principali imputati, con esclusione di ulteriori indagini peritali (già erroneamente rinnovate con indebito richiamo alla disciplina di cui all'art. 523, comma 6, c.p.p.); - così risulta rappresentato il principio essenziale al quale è tenuta ad adeguarsi la Corte del disposto rinvio, essendosene pure rappresentata la conferma nella considerazione che, per l'evidenziata impossibilità di acquisizione di risultati peritali affidabili oltre il limite della mera probabilità e dell'irrilevante significato neutro, "la prova generica ... non ha alcun valore decisivo" e che il processo si risolve con la valutazione della chiamata in correità e in reità, che "impongono un tipo di verifica giudiziale normativamente diverso da quello compiuto nella sentenza impugnata", il cui esito comporterà anche la definizione della connessa posizione processuale del Liparota (la Corte di rinvio dovrà così provvedere a "valutare le prove specifiche acquisite uniformandosi al principio di diritto enunciato ... saldandole col filo dei criteri di valutazione guidata indicati dal legislatore nell'art. 192, comma 3, c.p.p.", risolvendo anche le questioni di utilizzabilità ed efficacia probatoria delle dichiarazioni di Rosangela Villella e di configurabilità del dolo eventuale dell'omicidio, oltre che di contraddittorietà della colpevolezza del Liparota per il reato di favoreggiamento personale (dichiarata nonostante l'irrevocabilità della statuizione assolutoria della Alletto dall'analogo reato contestato).

Tralasciando ora di approfondire il tema della valenza vincolante della prescrizione-indicazione, desumibile dalla sentenza di annullamento, espressa implicitamente ed apparentemente a limitare i poteri del giudice di rinvio in ordine a rinnovazione eventuale degli accertamenti peritali di tipo balistico ed esplosivistico (poiché "la prova generica... non ha alcuna valore decisivo" e può già valutarsi "ex ante" l'inutilità dei relativi incombenti istruttori, il compito del predetto giudice resta preordinato esclusivamente alla valutazione delle prove specifiche acquisite secondo gli enunciati principi di diritto di applicazione dei criteri prefigurati nell'art. 193, comma 3, c.p.p.) e riservando la disamina specifica della questione in relazione alle contestazioni sollevate al riguardo dai ricorrenti, la prima conclusione che si ricollega all'esame dell'impugnata sentenza (emessa appunto dalla Corte di assise di appello di Roma ai sensi dell'art. 627 c.p.p.) è che il "dictum" del disposto annullamento ha trovato puntuale riscontro applicativo già nella progressione argomentativa della decisione, come diffusamente richiamata e formalmente aderente alle indicazioni di principio in ordine alle modalità ed ai criteri di valutazione degli elementi probatori.

A fronte delle articolate precisazioni fornite al riguardo dalla sentenza di annullamento la Corte di assise di appello (che pure ha esercitato i poteri di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, acquisendo l'audio integrale del noto "videoschock" riproducente le fasi del drammatico apporto dichiarativo di Gabriella Alletto) ha, infatti, come diffusamente premesso, individuato le modalità differenziate delle chiamate in reità della Alletto e del Liparota (ritrattate queste ultime e non più modificate, essendosi il dichiarante sottratto al contraddittorio dibattimentale); al riguardo ha individuato i criteri valutativi applicabili, alla stregua della disciplina di cui agli artt. 192, comma 3, 500, 503 c.p.p. ed all'art. 26, commi 3 e 4, della l. 63/2001 (come integrata dalle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale 381/2001); ha conseguentemente espletato il vaglio preventivo di attendibilità intrinseca della Alletto anche in riferimento alla "svolta" costituita dalle dichiarazioni decisive del 14 giugno ed alle risultanze del travagliato ed affidabile recupero mnemonico della Lipari; alla valutazione delle dichiarazioni della Alletto ha poi proceduto secondo i criteri appropriati alla sua qualificazione processuale di persona imputata o indagata di reato connesso, evidenziandone i profili di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca in molteplici convergenti aspetti e tenendo conto delle modalità (anche psicologiche) della determinazione assunta (attraverso il tormentato confronto con gli inquirenti) di riferire l'esatta consistenza dei fatti percepiti il 9 maggio nella sala-assistenti e della consapevolezza acquisita della validità umana della "svolta" (confermata con la sicurezza del comportamento processuale e delle risposte fornite nel confronto dibattimentale con lo Scattone e con il Ferraro), nella quale hanno trovato modo di esprimersi ragioni e condizionamenti intimi, che tanto più la rendono definitivamente sincera ed affidabile sul piano dei conseguenti riferimenti probatori; non ha pretermesso di considerare il convergente rilievo di convalida delle dichiarazioni finali della Alletto ancora desumibile dai primi riscontri compatibili con i "dati di generica" in relazione alle dichiarazioni delle persone presenti al ferimento della Russo, all'ora di tale accadimento, alle risultanze degli accertamenti autoptici e balistici; mentre ha poi considerato il rilievo convergente dei riscontri esterni individualizzanti costituiti dalla testimonianza della Olzai (la cui attendibilità supera lo specifico vaglio critico e le contestazioni difensive sollevate), dalle dichiarazioni accusatorie di Francesco Liparota (esaminate, dopo la ritrattazione e l'iniziale silenzio dibattimentale, in considerazione della qualificazione processuale del dichiarante, persona imputata di favoreggiamento personale e chiamante in reità, ed alla stregua dei principi del procedimento valutativo imposto dagli artt. 1, comma 2, del d.l. 2/2000 e 26, comma 4, della l. 63/2001, con conclusione del loro effettivo apporto confermativo della ricostruzione operata dalla Alletto), dagli alibi forniti dal Ferraro (per la sua emersa falsità) e dallo Scattone (per la sua concreta irrilevanza), dagli ulteriori elementi probatori (utilizzati "ad abundantiam" per la loro natura probabilista, ovvero compatibile) come quelli emergenti dalle iniziali dichiarazioni di Rosangela Villella e dai dati oggettivi non discutibili (e così utilmente residuati) degli accertamenti peritali di tipo balistico.

Laddove si intende che la dichiarazione di colpevolezza dei tre imputati condannati è rimasta strettamente e formalmente ancorata all'esito del procedimento valutativo delle prove, espletato secondo le regole di principio enunciate, per gli effetti di cui all'art. 627 c.p.p., nella sentenza di annullamento.

Si pone così il problema di verificare se tale procedimento valutativo sia risultato, anche nella sostanza, correttamente ancorato alla disciplina di cui all'art. 627, comma 3, c.p.p., essendosene contestata dai ricorrenti la violazione anche in profili di carenze motivazionali molteplici, diffusamente ed analiticamente rappresentati, in particolare, nell'interesse di Giovanni Scattone, oltre che degli altri ricorrenti.

A premessa del procedimento argomentativo che al riguardo dovrà improntare la "ratio decidendi" in questa sede, deve subito considerarsi che i ricorrenti finiscono per proporre, sul tema essenziale della loro contestazione del presupposti probatori della responsabilità penale, questioni propriamente attinenti alle modalità valutative degli elementi probatori, che, nell'apparenza del vizio denunziato di violazione delle regole enunciate nell'art. 192, comma 3, postulano risultati valutativi di contrapposta valenza (e, cioè, di inidoneità dimostrativa della colpevolezza). E tali risultati accreditano alla strega di rivalutazione - analitica e sintetica - che ricade nell'ambito proprio della ricostruzione alternativa di fatti non attribuibili a concrete condotte ascrivibili agli imputati, rimaste, secondo l'assunto difensivo, indimostrate nella sede processuale.

A tale fondamentale impostazione (e prospettazione) delle impugnazioni i ricorrenti ricollegano l'esposizione di motivi anche particolarmente articolati dialetticamente precisati in conseguenziali specificazioni, contestazioni ed approfondimenti estremamente dettagliati, ma sempre in riferimento puntuale e minuzioso delle risultanze processuali, considerate così secondo varie visuali che, a volte, però si sovrappongono, si confondono e si ripetono nel notevole e rilevante impegno difensivo di costruire la dimostrazione razionale della illegittimità della sentenza impugnata per i profili denunziati. Per modo che rileva premettere, sempre a precisazione dei criteri di disamina dei motivi esposti dai ricorrenti, che naturalmente non si farà luogo a specifica disamina delle questioni, che trovano comunque soluzione nelle linee essenziali della "ratio decidendi" anticipate (che sono quelle di verificare il rispetto dei principi e dei criteri valutativi enunciati ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p. e di escludere, da tale ambito, la disamina dei motivi e delle questioni che si risolvono in prospettazione alternativa di merito delle valutazioni delle conclusioni, alle quali la sentenza impugnata sia pervenuta senza rilevanti discrasie logiche di ragionamento motivazionale), nel senso che la relativa confutazione trova già adeguata dimostrazione implicita nella incompatibilità con la struttura e l'impianto della sentenza, ovvero che si presenta superflua in considerazione del loro assorbimento nelle soluzioni accreditate per altri motivi e questioni: a tale impostazione, in particolare, resta correttamente e legittimamente ancorato l'espletamento del presente giudizio di cassazione, che non consente riesame delle questioni valutative che non siano strettamente correlate ad effettivo vizio motivazionale come disciplinato dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., oltre che a violazione dei principi direttivi, enunciati nella sentenza di annullamento, di rigorosa applicazione delle regole fissate nell'art. 192, commi 2 e 3, c.p.p. (delle quali, come anticipato, la sentenza impugnata dimostra il puntuale rispetto formale).

Essendosi così precisato l'ambito valutativo nuovamente demandato in questa sede di legittimità, la disamina e la decisione dei motivi dei ricorsi proposti si avvalgano della diffusa premessa espositiva delle molteplici risultanze processuali (che, per varie questioni sollevate dai ricorrenti, già rende diretta ed immediata ragione della loro infondatezza) e del delineato "compendio programmatico della ratio decidendi (che esime, come precisato, da specifica considerazione di motivi e questioni marginali, irrilevanti, meramente conseguenziali o assorbiti).

Avverso la sentenza emessa, in sede di rinvio, dalla Corte di assise di appello di Roma in data 30 novembre 2002, hanno proposto ricorsi per cassazione il Pg (la cui impugnazione risulta limitata alla posizione processuale dello Scattone), Giovanni Scattone, Salvatore Antonio Ferraro e Francesco Liparota.

Tali ricorsi vengono ora esaminati, con specifica valutazione dei motivi rispettivamente indicati e con correlativa decisione.

Il ricorso del Pg (che, come detto, risulta limitato alla posizione di Giovanni Scattone).

Si sostiene che la sentenza è inficiata da violazione della disciplina di cui agli artt. 575 e 43 c.p. e da connessa illogicità della motivazione, che ha escluso che il fatto accertato, come attribuibile alla condotta dello Scattone, integri gli estremi dell'omicidio doloso, seppure nella connotazione eventuale del relativo elemento psicologico. E ciò perché la valutazione dell'iniziativa dell'imputato (di sparare secondo le modalità colpose concretamente accertate ed accreditate) contraddittoriamente ed illogicamente non tiene conto della ammissione dello stesso decidente che lo Scattone "non è un uomo delle caverne... è esperto di armi".

I principi che disciplinano la materia sono, d'altra parte, precisati e noti, secondo la prospettazione del ricorrente, nel senso che la connotazione psicologica del dolo eventuale si riscontra nelle condotte non preordinate alla commissione del reato, ma significative della piena accettazione del rischio (laddove invece il loro riferimento a colpa cosciente - o con previsione - si consolida quando emerga comprovato che l'autore abbia agito nella consapevole rappresentazione dell'evento lesivo conseguente alla condotta, ma con l'assoluta certezza - ovvero affidamento - della impossibilità della sua determinazione; sicché restano corrispondentemente evidenziate la consistenza ontologica e la definizione del dolo eventuale consistenza e definizione che si attagliano puntualmente alla concreta fattispecie processuale - nei termini autorevolmente sostenuti dell'"agire, rappresentandosi il rischio", senza che tra volontà ed evento si interponga il momento ideativo specifico della corrispondente "controvolontà").

Del resto, a conferma della sua prospettazione di rilevante accettazione del rischio da parte dello Scattone, lo stesso ricorrente richiama le anticipazioni argomentative della sentenza di questa Corte ("non è illogico ravvisare la dolosità" della condotta nelle stesse modalità oggettive del fatto omicidiario) per impugnazione riguardante la misura cautelare custodiale a suo tempo applicata all'imputato.

Ma la censura (che pure premette la prospettazione di corretti principi giuridici) risulta destituita di fondamento, supponendo la rivalutazione di merito delle risultanze processuali e probatorie (estranea al sindacato di legittimità) in ordine alle modalità oggettive della condotta e, soprattutto, presentandosi avulsa dal riferimento allo specifico procedimento argomentativo della sentenza impugnata, che a tali principi risulta pienamente uniformato.

La riportata ricostruzione di tali modalità, operata con l'anticipato articolato ed analitico sviluppo valutativo (che non rileva incoerenza apprezzabile), è stata, infatti, che l'imputato ha impugnato, con iniziativa avventata ed improvvida, la pistola carica e l'ha rivolta verso l'esterno in direzione del vialetto: ma la mancanza di un movente accertato, la mera occasionalità del ferimento specifico della Russo (che era una "passante qualsiasi"), la mancata dimostrazione di un intento di sparare in direzione del vialetto stesso concorrono, da un lato, ad escludere la volontarietà diretta o eventuale del ferimento e della morte della Russo (ovvero l'accertata previsione di tali eventi) e, dall'altro, a confermare la sussistenza degli estremi di condotta colposa estremamente grave, tanto più in quanto posta in essere da persona esperta in armi ed in cognizioni giuridiche.

Alla stregua di tale ricostruzione, ormai incensurabile in questa sede di legittimità in mancanza di vizi logici effettivi (e, comunque, apprezzabili) del relativo procedimento argomentativo delle risultanze processuali e probatorie, i giudici del disposto rinvio hanno così correttamente applicato i principi normativi e giurisprudenziali in materia di dolo eventuale, escludendone la configurabilità nella condotta posta in essere dallo Scattone, come comprovata e ritenuta. Al riguardo vale appena ribadire che, come è noto, il titolo della responsabilità per dolo eventuale si identifica nell'azione della persona che, pur non volendo l'evento (in questo caso, ferimento e morte della Russo), accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo e così dimostrando l'insussistenza dell'intima controvolontà che connota la colpa (anche cosciente).

Ed è sufficiente tale richiamo dogmatico per convalidare la correttezza e la coerenza del ritenuto connotato colposo della condotta dello Scattone, anche tenendo conto di risalenti principi giurisprudenziali (Cassazione Sezione quinta, 13274/1986; Sezione prima, 8211/1987), che invece hanno ipotizzato la sussistenza del dolo in fattispecie di esplosione di colpi di pistola, da parte di soggetto esperto, che abbia rivolto l'arma in direzione di persona ed abbia sparato a puro scopo ostentativo in occasione di celebrazione di festività (o per motivo analogo) . Èevidente, infatti, che le fattispecie specifiche di tali precedenti giurisprudenziali attengono sempre ad iniziative volontarie dell'agente di sparare colpi di pistola nelle situazioni predette; laddove la sussistenza dell'intento volontario dello Scattone è risultata esclusa all'esito del predetto incensurabile accertamento delle modalità della condotta, consistita nel maneggiare con assoluta imprudenza la pistola, dalla quale è stato conseguentemente esploso il colpo letale per la Russo.

La esposta valutazione di infondatezza del ricorso del Pg anticipa, come è inevitabile, l'analoga conclusione per le specifiche censure degli altri ricorrenti intese ad escludere (e sempre, sostanzialmente, attraverso una articolata forma di terza istanza di sindacato di merito) l'attribuibilità colposa del fatto allo Scattone.

Si rende, perciò, necessario procedere all'esame dell'impugnazione di quest'ultimo imputato.

Il ricorso proposto da Giovanni Scattone.

Il ricorso e la successiva memoria (contenente anche motivi nuovi), predisposti dagli avv.ti Manfredo Rossi e Francesco Petrelli, risultano articolati in motivi vari e complessi, che denotano la penetrante attenzione che i difensori hanno posto al riesame di tutte le risultanze processuali e che rendono difficile la loro catalogazione per titoli enunciativi specifici.

E, pertanto, va ribadito che il criterio di disamina è quello premesso, di enucleare il contenuto dei motivi omogenei, di esaminarli singolarmente e di fornire la corrispondente valutazione immediata, tralasciando la considerazione dei profili implicitamente ritenuti irrilevanti ed infondati.

Seguendo tale linea di lettura di ricorso e memoria, si ricava che, nell'interesse dello Scattone vengono innanzi tutto evidenziati profili di carenze motivazionali della sentenza impugnata in riferimento a violazione della disciplina di cui agli artt. 192, comma 2, e 627, comma 3, c.p.p.

Si sostiene, infatti, che:

A - in riferimento ai principi normativi dell'art. 192 c.p.p., la posizione della Alletto è risultata indebitamente ed illegittimamente quella sostanziale del testimone oculare, tanto più rilevando che: - a sostegno della sua attendibilità si sono valorizzati riscontri di mera valenza logica e generalizzata; - d'altra parte, le chiamate della Alletto e del Liparota sono state poi processualmente "lette" in sostanziale chiave di conferma reciproca dei rispettivi contenuti; - per la Lipari la illogicità valutativa delle dichiarazioni rese ha trovato riscontro nella illogica confusione dei profili del suo disinteresse con quelli della sua fallibilità; - è risultata omessa la valutazione "seria" delle dichiarazioni della Olzai; - in concreto si è omessa l'adeguata disamina dei contenuti della prova dichiarativa, sull'erroneo presupposto che la sentenza di annullamento abbia trovato correlazione soprattutto in "difetti" della pronunzia annullata "squisitamente giuridici ed addirittura processuali", in tal modo essendosi poi fatto luogo a soluzione sostanzialista del problema riguardante l'applicazione dell'art. 192 c.p.p., avulsa dalla considerazione del "risultato dell'accertamento"; - infine è risultato pretermesso il rispetto del "richiamo", emergente dalla sentenza di annullamento, di inutilizzabilità (in chiave di riscontro) degli elementi di ""generica", essendosi anche espressamente premesso dai giudici del disposto rinvio che "molti dati di prova generica combaciano perfettamente con tali risultanze e nessuna vi si oppone".

In tale complessa articolazione (che delinea ed anticipa l'impostazione del gravame) la censura risulta destituita di fondamento, in quanto la sentenza impugnata risulta pienamente aderente al "dictum" espresso nella sentenza di annullamento in ordine alla preliminare qualificazione delle posizioni processuali dei dichiaranti ed al conseguente adeguamento del procedimento valutativo del contenuto delle dichiarazioni, secondo le specifiche regole di controllo critico e nei profili di rilevanza oggettiva e soggettiva enunciati nell'art. 192 c.p.p. Di tale procedimento ha, in particolare, fornito puntuale e coerente dimostrazione applicativa, come evidenziata nel diffuso ed analitico richiamo espositivo delle risultanze processuali (che così rende ragione immediata della infondatezza delle censure), nelle quali si riscontra la correttezza delle modalità della disamina coordinata del contenuto della prova dichiarativa (specificamente, per quella costituita dalle acquisizioni probatorie provenienti dalla Alletto, dal Liparota, dalla Lipari e la Olzai) in correlazione ai principi premessi ed alla configurata qualificazione processuale degli stessi dichiaranti.

Nella stessa articolazione è inclusa, peraltro, la prospettazione della questione di ordine generale di violazione dell'art. 627, comma 3, c.p.p., per quanto non sia risultata rispettata la prescrizione di inutilizzabilità degli elementi di prova generica.

La questione risulterà ripetuta in altri motivi delle proposte impugnazioni, così rendendosene opportuna la preliminare delibazione.

Ben vero è che la proposta lettura della sentenza di annullamento (nel senso di enuclearvi il principio, applicabile alla fattispecie concreta, che "'la prova generica non ha alcun valore decisivo in questo processo" e di derivarne la conseguenza che vi sono ricollegate valutazioni di illegittimità delle perizie balistica ed esplosivistica disposte ai sensi dell'art. 523, comma 6, c.p.p., di inutilizzabilità delle risultanze della prova "generica" e di preclusione imposta al giudice del rinvio di procedere a nuovi accertamenti peritali) induce alla necessaria riflessione, che ovviamente resta ancorata alla valutazione delle statuizioni effettivamente espresse nella sentenza di annullamento ed ai principi della disciplina normativa in materia.

Ora proprio la sentenza 1234/2001 della prima Sezione di questa Corte chiarisce che il procedimento motivazionale di sostegno (o di svalutazione) dell'ipotesi accusatoria deve restare ancorato al rispetto del contenuto del "tema probatorio" costituito da chiamate in reità (o correità) e da testimonianze, valutate con rigorosa applicazione delle regole di principio specificamente enunciate; aggiunge che "inutilmente" si è fatto luogo ad accertamenti peritali (rinnovati d'ufficio, secondo la Corte, in difetto dei presupposti di "assoluta necessità", posto che il loro espletamento avrebbe comportato, come è avvenuto, risultati di "mera probabilità scientifica", non utilizzabili per la conferma decisiva delle dichiarazioni accusatorie di Gabriella Alletto); conclude che, in tal modo, "la prova generica... non ha alcun valore decisivo in questo processo".

Laddove si intende, innanzi tutto, che la riportata perentoria affermazione finale sintetizza il rilievo dell'effettivo e "dominante" motivo del l'annullamento, per errore giuridico connesso alle modalità di valutazione delle risultanze processuali costituite dalla prova dichiarativa.

La correlativa conclusione risulta avvalorata, peraltro, dal riscontro dei risultati, non decisivi (né convergenti) della stessa prova generica, in tal senso apprezzandosi (e, cioè, in termini di impossibilità di configurazione dei presupposti di utilità e di assoluta necessità) la negativa considerazione delle rinnovate perizie dibattimentali (che, configurata "ex post", finisce per supportare una generale valutazione di illegittimità di ulteriori analoghi incombenti).

Si tratta, cioè, di argomenti che rafforzano soltanto il procedimento argomentativo della sentenza di annullamento, incentrato a fissare il canone del rilievo assorbente della prova dichiarativa ed a precisare i criteri legali ai quali debba restare ancorata la sua valutazione; si tratta piuttosto di indicazioni, che non espropriano il giudice del disposto rinvio della facoltà di esercitare i suoi poteri in conformità delle previsioni dell'art. 627, comma 2, c.p.p., poteri effettivamente esercitati, in positivo, col richiamo "ad abundantiam" di inconfutabili risultanze oggettive di prova generica e, in negativo, con la stessa implicita determinazione di condividere le "indicazioni" predette e di non procedere a rinnovate indagini peritali di tipo balistico - esplosivistico.

Conseguentemente le questioni sollevate al riguardo, per i vari profili indicati dai ricorrenti, restano destituite di fondamento, tanto più in riferimento alla prospettazione difensiva, precisata nella discussione ex art. 614, comma 4, c.p.p., che dall'indicazione stessa ("la prova generica non ha nessun valore decisivo") ha tratto l'inesistente principio di conseguente necessaria assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.

B - In riferimento alla valutazione di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della testimone Lipari e della chiamante Alletto, il tema della spontaneità ha trovato sviluppo conclusivo in soluzioni contraddittorie ed illogiche, qualificandosi i suggerimenti forniti alla Lipari dagli inquirenti come semplici "'possibilità" di recupero mnemonico e le pressioni della "condizionante" attenzione rivolta alla Lipari come normale esercizio della funzione investigativa, non tenendosi conto che, a prescindere pure dall'effettività di un comportamento di "malizia dell'investigatore", ne è derivata la falsa rappresentazione del ricordo dei fatti (riscontrabile nei "recuperi" riferiti dalla Alletto e negli "errori" di memoria delle progressive dichiarazioni della Lipari) e ricadendosi così in una inammissibile disamina parcellizzata dei profili di spontaneità dei predetti elementi probatori.

Ma la complessa censura è sempre destituita di fondamento, posto che la sentenza impugnata risolve la questione della spontaneità della prova dichiarativa "Alletto e Lipari" con specifico approfondimento della irrilevante incidenza delle modalità della relativa acquisizione investigativa, certamente non condizionanti, ma legittimate dal peculiare impegno degli inquirenti di conseguire risultati corrispondenti alle percezioni effettive dei dichiaranti, essendo congeniali all'espletamento di tale impegno le iniziative di contestazione, di suggerimento e addirittura di pressione imposte dal corso delle indagini, incensurabilmente e coerentemente precisate nei termini diffusamente indicati nella premessa espositiva. Le relative giustificate conclusioni valutative restano, in particolare, ineccepibili in questa sede di legittimità, non inficiate da prospettazione alternativa della valenza condizionante di suggerimenti e pressioni posti in essere, non significativi però di illegittimo esercizio delle facoltà di indagini e non indicativi di procurata devianza della spontaneità e della sincerità progressive delle dichiaranti.

D'altra parte, lo stesso ricorrente postula il presupposto del ragionamento in termini sostanzialmente congetturali, che denotano l'infondatezza della questione sollevata al riguardo: "il fatto che la condotta degli investigatori fosse deontologicamente e professionalmente ineccepibile, nulla toglie al fatto che simili 'suggerimenti' potessero di fatto inquinare un soggetto [la Lipari] sottoposto ad una oggettiva pressione morale ed esposto, a causa della sua particolare fragilità psicologica, a "false rappresentazioni mnemoniche"; mentre analoga implicita prospettazione estende alla posizione della Alletto, sempre ipotizzando che i particolar i comportamenti investigativi, non illeciti di per sé, abbiano potuto comportare il grave inquinamento delle dichiarazioni accusatorie (in tal modo la censura non investe sostanzialmente il contenuto delle dichiarazioni finali della testimone e della chiamante, ma, secondo irrilevante scansione parcellizzata del procedimento l'interno" della relativa determinazione, configura sempre congetturali profili di "scorretta" acquisizione, inidonea a garantire l'immediata e naturale spontaneità - e sincerità - dei dichiaranti, così adombrando interferenze valutative indebite nelle modalità e nei tempi del metodo di indagine, del quale, come detto, non si disconosce però l'esplicazione in "condotte lecite e deontologicamente apprezzabili").

C - Sul tema della attendibilità della testimonianza della Lipari è ben evidente che il riferimento alla contemporanea presenza della Alletto e del Liparota nella sala-assistenti è maturato, dopo la dichiarazione del 21 maggio (alla testimone era "parso", al momento delle sue telefonate, che non ci fosse "nessuno" solo successivamente per effetto di "suggestione mnemonica", che può essere stata indotta dall'investigatore dott. Belfiore (e lo stesso ricorrente precisa che non si tratta di supposizione di doloso suggerimento del Belfiore, ma di prospettazione di violazione delle regole valutative della "prova dichiarativa debole acquisita dalla Lipari").

Per i profili di denunziata inattendibilità dei riferimenti testimoniali progressivi della Lipari la confutazione della sentenza impugnata resta invece ineccepibile ed incensurabile, come articolata anche in considerazione delle modalità psicologiche del recupero mnemonico, tormentato e reso difficile dal contrasto ambientale, che la Lipari, per la sua elevata sensibilità umana e professionale (addirittura esaltata dalla assolutezza del rispetto dell'onestà e della sincerità e della ricerca della verità personale dei fatti, "scovata" nel richiamo dei ricordi delle sensazioni e delle percezioni accantonate inizialmente), ha certamente avvertito, ma non ha subito nel percorso testimoniale, che resta per ciò sorretto dalla piena attendibilità giustificata dalle puntuali ed incensurabili argomentazioni (già diffusamente riportate) della sentenza impugnata.

E, pertanto, anche il considerato motivo di ricorso risulta destituito di fondamento, seppure riferito, come precisato dal difensore nel corso della discussione dibattimentale, a violazione del metodo valutativo applicabile alla testimonianza della Lipari. Si è sostenuto, cioè, che è mancato il vaglio della correlativa attendibilità nel profilo proprio della "attenzione" che la testimone abbia prestato ai fatti nel momento specifico del loro verificarsi (ma così sono risultate semplicemente ipotizzate discrasie motivazionali, inesistenti in quanto il procedimento valutativo delle modalità di attendibile "progressione dei ricordi" include l'ovvio riferimento all'emergenza finale di tale "attenzione" per le percezioni finalmente precisate dalla Lipari).

D - È risultata, inoltre, omessa la valutazione della "grave potenzialità inquinante" dei comportamenti degli inquirenti, di durissima pressione psicologia esercitata sulla Lipari all'atto delle prime dichiarazioni assunte nella notte tra il 21 ed il 22 maggio (seppure riferita dalla stessa testimone, nella conversazione telefonica intercettata, ad esternazione di suggerimenti, ancorché pressanti), tanto più essendosi illogicamente ipotizzato il rilievo di conferma esterna di tali dichiarazioni in riferimento a quelle assunte dalla Alletto.

Anche per il motivo così prospettato risultano profili di infondatezza analoghi a quelli già evidenziati, sempre considerandosi che, da un lato, la sentenza impugnata incensurabilmente dimostra (anche con rilevanti approfondimenti delle modalità psicologiche del contributo testimoniale della Lipari e dei suoi sicuri "accenti di verità" progressivamente maturata, dei quali lo stesso ricorrente non contesta almeno l'autenticità) la intrinseca attendibilità della testimonianza (la conferma della convergenza con le dichiarazioni della Alletto è, peraltro, funzionale soltanto per la convalida di univocità dei risultati di differenti elementi di prova dichiarativa) e che, dall'altro, l'assunto difensivo non inficia la correttezza del procedimento valutativo, sostanzialmente adducendosi che gli "involontari inquinamenti" indotti dallo "zelo professionale" debbano essere considerati "ai fini della valutazione di una così delicata fonte dichiarativa" (e si tratta di disamina valutativa che la sentenza impugnata ha incensurabilmente concluso sulla base di espresso, od implicito, procedimento argomentativo della irrilevanza inquinante dei comportamenti investigativi).

E - D'altra parte, gli ipotizzati riscontri esterni ai riferimenti della Lipari sulla presenza della Alletto in sala-assistenti denotano l'effettiva inconsistenza, essendo contraddittorie al riguardo le testimonianze "Iannetti" e "La Porta" e risultando irrilevante l'argomento logico del fallimento dell'alibi inizialmente "ricercato" dalla Alletto e dell'emergente "buco di 18 minuti" di assenza non giustificato da quest'ultima.

Ma si tratta ancora di censura infondata, che, nell'apparenza del vizio denunziato, non solo finisce per postulare la rivalutazione di merito delle richiamate risultanze processuali, ma soprattutto resta avulsa dalla considerazione dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, che incensurabilmente e coerentemente (anche in via implicita) ha accreditato la valenza probatoria delle richiamate risultanze processuali a conferma della attendibilità della chiamata in reità operata dalla Alletto.

F - Proprio in relazione al procedimento valutativo delle chiamate in reità è rimasta integrata la rilevante violazione della disciplina di cui all'art. 627, comma 3, c.p.p. Al riguardo la difficile sintesi del relativo complesso motivo di ricorso lascia evidenziare i punti dell'assunto difensivo, nel senso che: - la sentenza di annullamento aveva richiesto la pregiudiziale soluzione del problema dei dubbi, "che si addensavano sulle chiamate in sé e per sé considerate, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad esse", e che dovevano essere sciolti "indipendentemente ed autonomamente", non utilizzandosi il supporto ricognitivo delle testimonianze della Lipari, della Villella e della Olzai; - in tal modo si era richiesto il preventivo accertamento della attendibilità intrinseca delle chiamate "Alletto" e "Liparota" (in quanto indipendenti e non reciprocamente condizionate), il cui esito positivo avrebbe comportato il passaggio al procedimento individuativo dei riscontri "canalizzati" sull'oggetto specifico delle chiamate (relativo alla "compresenza" dello Scattone e del Ferraro nella sala-assistenti al momento del ferimento di Marta Russo ed al loro coinvolgimento nell'esplosione del colpo di pistola, che l'aveva provocato); - si era richiesto, cioè, al giudice del disposto rinvio di valutare preliminarmente la coerenza intrinseca delle chiamate in correlazione alla affidabilità della fonte di provenienza e di procedere poi ad enucleare i richiesti connotati di idoneità rappresentativa diretta ed autonoma, di mancanza di condizionamenti e di inquinamento, di individuazione della credibilità e della attendibilità intrinseche dei chiamanti (secondo parametri attinenti a situazioni personali, a genesi e motivi della chiamata accusatoria, a profili di relative spontaneità, verosimiglianza, precisione, completezza, concordanza e reiterazione), alla stregua dei criteri enunciati in Cassazione, Sezioni Unite, 1653/1992, Marino ed altri ed in applicazione della disciplina di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p.

Ma il motivo, di evidente natura "programmatica", risulta destituito di fondamento, posto che la sentenza impugnata è dichiaratamente e sostanzialmente omologata al procedimento valutativo ed al principio, dei quali si è prospettata in via generale la violazione, senza tener conto della irrilevanza , in questa sede di legittimità, di alternative conclusioni rispetto a quella puntualmente ed incensurabilmente sostenuta a conferma della attribuibilità dell'omicidio colposo alla responsabilità penale dello Scattone.

G - Per quanto attiene alla natura delle chiamate operate dalla Alletto e dal Liparota rileva che la questione non è stata chiarita, per quanto invece, necessario ai fini della individuazione degli elementi di riscontro che ne possano confermare la valenza probatoria: trattandosi di chiamate in reità, non includenti confessione di fatti propri dei chiamanti (ma anzi escludenti il coinvolgimento personale nei reati ipotizzati) era richiesta una verifica rigorosa ed approfondita sulla causale e sulla efficacia rappresentativa, praticamente omessa, secondo l'assunto del ricorrente, per i profili attinenti alla attendibilità intrinseca ed alla selezione dei riscontri.

Ma il motivo - sempre di prospettazione programmatica e dogmatica - risulta infondato, essendosi espressamente qualificata la posizione dei dichiaranti predetti quali "chiamanti in reità" ed essendosi rapportato il procedimento argomentativo delle emergenti dichiarazioni accusatorie, formalmente e sostanzialmente (per via esplicita ed implicita) , proprio al rispetto dei canoni valutativi propri dei soggetti così qualificati.

H - Sul versante della valutazione della attendibilità intrinseca della "fonte dichiarativa Alletto" si apprezzano, in particolare, specifiche carenze e contraddizioni argomentative in ordine al ritenuto presupposto della sua presenza nella Sala assistenti (ancora dimostrato sulla base delle dichiarazioni della Lipari), alla sostanziale assimilazione della posizione della dichiarante a quella del testimone oculare, alla utilizzazione di parametri "intimistici" della ribadita attendibilità soggettiva (gli "accenti di verità", che li dal riconoscimento della particolare condizione di essere "madre di famiglia", di aver avvertito una "paura tremenda", di aver percepito intorno a sé il peso di una possibile "valanga", denotano piuttosto la sostanziale amoralità soggettiva dell'esclusivo condizionamento utilitaristico dei comportamenti), alla mancanza della connotazione di spontaneità e di genuinità conferite all'interrogatorio liberatorio del 14 giugno.

Tali argomentazioni hanno, peraltro, trovato ampio riscontro di approfondimento nella trattazione nella discussione dibattimentale dei difensori dinanzi a questa Corte, sempre essendosi ribadita la violazione dei canoni valutativi della prova testimoniale, l'utilizzazione al riguardo di incontrollabili ."criteri intuitivi", l'elusione del principio enunciato ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p. (di porre 'la Alletto al centro della indagine probatoria), la correlativa concreta conferma indotta dalla utilizzazione di riferimenti della Lipari a guisa di riscontri, la mancata considerazione delle iniziali dichiarazioni reticenti della chiamante (seppure discriminate, per giudicato irrevocabile, dallo stato di necessità ritenuto in relazione al conseguente reato di favoreggiamento personale), l'illogicità dell'iniziativa addebitata all'imputato (come assurdamente "ostentata" nel momento dell'ipotizzato ingresso della Alletto nella Sala assistenti).

Il motivo, così diffusamente articolato e precisato, resta sempre infondato, in quanto la sentenza impugnata rende ragione specifica (implicita ed esplicita) della operata confutazione delle questioni che vi sono comprese, in relazione alla quale il ricorrente propone risultati valutativi alternativi che, per quanto non manifestamente infondati e pretestuosi, non inficiano le diffuse, puntuali e coerenti conclusioni argomentative (così incensurabili in questa sede di legittimità) della attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della Alletto, che progressivamente ne precisa il contenuto accusatorio ed indica le ragioni dell'intima determinazione, che non possono essere contestate e non possono comportare l'opposta conclusione di inattendibilità, seppure i percepiti e concreti "accenti di verità" siano ricollegabili ad intenti "utilitaristici" della dichiarante (che rivelano sempre una peculiare "utilità" di tipo processuale di evitare il coinvolgimento personale in vicende "più grandi", insopportabili per una persona di normale qualità morali ed umane, che vuole continuare le sue attività nella comprensibile dimensione egoistica della tutela della tranquillità lavorativa e familiare) . A questo contesto formativo della chiamata in reità la sentenza impugnata ricollega, in particolare, la incensurabile risposta positiva alla questione della attendibilità della Alletto, verificata anche attraverso i riscontri soggettivi degli apprezzati "accenti di verità" e convalidata da convergenti acquisizioni probatorie (in tal senso il riferimento alla testimonianza della Lipari non prende veste di inammissibile riscontro esterno confermativo).

Né assume rilievo di sostegno delle ipotizzate violazioni la considerazione che la chiamata in reità della Alletto sia stata valutata secondo i canoni propri della prova testimoniale, essendo evidente che tale procedimento valutativo della chiamata (che, per i fatti esposti, assume la sostanza della prova testimoniale, addirittura "oculare" in relazione alle ultime ribadite dichiarazioni accusatorie della Alletto) è risultato legittimato dal rispetto del criterio prescritto dall'art. 192, comma 3, c.p.p., di valutazione congiunta "agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità" e che sono stati specificamente individuati e vagliati nella sentenza impugnata, per quanto già diffusamente riportato nella premessa espositiva.

In tale ambito valutativo proprio l'intervenuta irrevocabile pronunzia assolutoria della Alletto finisce per individuare un concreto corollario logico della confermata attendibilità di dichiarazioni così faticosamente maturate (ma veridiche) da comportare la contestazione del favoreggiamento personale per l'iniziale reticenza, neppure ritrovandosi valido argomento contrario nell'ipotizzato assurdo connotato di una iniziativa inconsulta, proseguita dallo Scattone nonostante l'ingresso della Alletto nella Sala-assistenti (proprio le accreditate modalità di una condotta inopinatamente avventata ed estremamente imprudente giustificano, sul piano dell'inesistenza logica, la ritenuta irrilevanza della argomentazione difensiva, che non ha tenuto conto della concreta incontrollabilità contingente della prosecuzione della condotta colposa).

I - La valutazione della attendibilità intrinseca del racconto rivela (in riferimento ai profili di verosimiglianza, precisione, completezza, costanza, saldezza, spontaneità e disinteresse delle accuse) specifica violazione di tali parametri, ricollegabili a corretta applicazione della disciplina di cui all'art. 192 c.p.p., non essendosi considerato che: - la Lipari ha negato di aver ricevuto la copia del fax, che la Alletto riferisce di averle portato; - le dichiarazioni della chiamante (anche in ordine alla percepita contestuale "uscita di un misterioso personaggio" dalla sala assistenti) vengono rappresentate come "formulate in un unico contesto di immediatezza processuale" diversamente dalla realtà del loro progressivo "aggiustamento" in funzione utilitaristica, perfezionatosi con la "clamorosa svolta" del 14 giugno; - e, d'altra parte, l'emergente rilevante "inverosimiglianza in concreto" dei riferimenti forniti per la ricostruzione dei fatti si avvalora nel riscontro del tempo intercorso prima dell'ingresso della Lipari (circa due minuti e mezzo), durante il quale viene incredibilmente ipotizzato che lo Scattone sia rimasto fermo dinanzi alla finestra; - per il profilo del disinteresse della dichiarante emergono contrari riscontri, correlati all'evidente finalità perseguita dalla dichiarante di sottrarsi al pericolo di arresto e di contestazione di concorso in omicidio, oltre che di garantirsi la conservazione del posto di lavoro in relazione alle risultanze del procedimento penale sulla "falsa invalidità" riconosciutale.

Ma sono tutte argomentazioni difensive che, a quanto risulta sempre dalla diffusa premessa espositiva, sono state esaminate e disattese, espressamente o implicitamente, nella sentenza impugnata, che, vagliando tutti gli elementi decisivi disponibili, ha fornito risposte esaurienti ed incensurabili alle obiezioni formulate sul tema della convalidata attendibilità intrinseca del racconto della Alletto, del quale le contraddizioni motivazionali segnalate non inficiano la effettiva fondamentale rilevanza probatoria, sia in quanto attinenti a profili marginali del suo sviluppo rappresentativo, sia in quanto giustificate dalla ricostruzione operata con le modalità della formazione "progressiva" , sia in quanto specificamente superate dalla rilevanza (intrinsecamente attendibile) del nucleo centrale del racconto stesso.

Ciò comporta la conclusione di infondatezza del motivo considerato.

L - Sul rilievo del riscontro individuato nelle fonti dichiarative "Lipari e Liparota" la premessa di inquadramento del relativo motivo di ricorso è che "la Alletto ebbe a modulare il suo racconto sui contenuti di quello della Lipari, mentre Liparota si adeguò al contenuto della ordinanza cautelare dal quale ebbe a mutuare una serie notevole di particolari". Il conseguente procedimento argomentativo della censura si sviluppa ad evidenziare che: - il racconto del Liparota al riguardo è irrilevante (per quanto sprovvisto di requisiti di autonoma concludenza e di novità dei relativi riferimenti) oltre che illogico (per quanto non sostenuto da spiegazione apprezzabile della prosecuzione del comportamento "esibizionistico" di degli imputati, che pure avevano percepito la sua presenza) ed inattendibile e contrastante con le indicazioni fornite dalla Alletto (il chiamante in reità prima esclude di aver visto la pistola e poi, adeguandosi alle risultanze dell'ordinanza cautelare, riferisce che lo Scattone era collocato in posizione oggettivamente incompatibile con la condotta ipotizzata e così descrive una scena diversa da quella ricostruita dalla Alletto, escludendo la presenza del "quarto uomo" da quest'ultima incrociato all'ingresso della sala assistenti e concludendo il suo racconto con riferimenti inconsistenti e generici di patite minacce di ritorsioni); - ne risulta che la chiamata del Liparota (che si limita ad "arricchire" le risultanze dell'ordinanza custodiale notificatagli e che, in tal modo, costituisce espressione di una inquinante "circolazione di notizie", che ricollega le dichiarazioni della Lipari, della Alletto e del Liparota stesso ad unico contesto di percezioni e di riferimenti deviati) resta effettivamente sprovvista dei requisiti dell'indipendenza e dell'autonomia, che possono renderla rilevante per gli effetti probatori previsti dall'art. 193, comma 3, c.p.p., al riguardo non soccorrendo il sostegno della "insoluta indagine soggettiva... di inutili ed indimostrabili psicologismi", sempre riconducibili alla copertura dimostrativa degli accreditati "accenti di sincerità e di verità" rivelati dalle modalità e dal contenuto della prova dichiarativa.

Ma, come è evidente, la complessa articolazione del motivo (del quale si è inteso rappresentare in sintesi la prospettazione) comporta sempre conclusione di relativa infondatezza, già in considerazione dello spostamento della visuale valutativa (sempre con approfondimenti analitici, che comportano la descritta scansione parcellizzata delle questioni sollevate),sostanzialmente evidenziandosi che i dichiaranti non hanno giustificato le segnalate discordanze (che non intaccano, peraltro, la consistenza dei momenti centrali ed essenziali dei rispettivi racconti e che denotano proprio la loro concreta indipendenza ed autonomia), così postulandosi a carico dei predetti soggetti processuali l'espletamento di una funzione (quasi un onere) di tipo valutativo, che compete invece al giudice. Il correlativo adempimento risulta appunto adeguatamente e coerentemente realizzato nella sentenza impugnata, che, a quanto risulta sempre dai diffusi richiami espositivi della vicenda processuale, ha specificamente considerato le questioni ora riproposte, in relazione alle quali ha ritrovato soluzioni incensurabili di raccordo delle dichiarazioni della Alletto al riscontro costituito dalla convergente iniziale chiamata in reità operata dal Liparota.

Di tali ineccepibili soluzioni non è consentita la contestazione in questa sede di legittimità, attraverso la rilettura alternativa delle risultanze processuali, per quanto le allegazioni difensive possano anche attingere il livello di una apprezzabile prospettazione di ipotesi (ma non quello, effettivamente rilevante, della razionale confutazione del procedimento argomentativo della sostanziale convergenza rivelata dalle dichiarazioni del Liparota).

M - In ordine alla operata "rivalutazione della prova generica" (preclusa dalla sentenza di annullamento) emerge, comunque, che le risultanze considerate (per i profili della riconosciuta "mera compatibilità con l'ipotesi accusatoria) non comportano effetti di idonea convalida, ex art. 192, comma 3, c.p.p. della chiamata in reità della Alletto (che già rende riferimenti "inconciliabili" con le contrastanti acquisizioni testimoniali di indicazione della provenienza del rumore del colpo esploso in direzione della Russo), tanto più non essendosi rilevata la illogicità, già riconosciuta, della "prova generica".

Al riguardo l'infondatezza della questione è stata già precisata, in via di principio, sulla base della verifica interpretativa della portata dei principi rilevanti ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p., nel cui ambito non può rientrare (e non è stato concretamente espresso) il prefigurato divieto di valutazione di tale prova, posto che a questa Corte non è consentito di prescrivere la disapplicazione della previsione normativa del comma 2 del citato art. 627 ("il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata", compreso quello di disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale "per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione") e che, in particolare, la sentenza di annullamento ha rilevato che la centralità probatoria della prova dichiarativa (verificata anche dal riconoscimento di inutilità di ulteriori incombenti peritali di tipo balistico-esplosivistico, rinnovati precedentemente anche in sostanziale violazione della previsione di "assoluta necessità" desumibile dall'art. 523, comma 6, c.p.p.) impone che la correlativa valutazione sia effettuata nel rigoroso rispetto delle regole e dei criteri enunciati nell'art. 192 c.p.p.

Questo essendo il sostanziale principio di diritto affermato, non era certamente precluso al giudice del disposto rinvio di esercitare i poteri innanzi richiamati, compreso quello della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per ulteriori accertamenti peritali, senza conseguentemente ricadere nella addotta situazione di illegittima "ribellione" alle prescrizioni della sentenza di annullamento.

Non rileva, conseguentemente, che tale giudice abbia dimostrato, in sostanza, di condividere le indicazioni di inutilità di ulteriori accertamenti peritali per la ipotizzabile irrilevanza dei risultati conseguenti; né rileva che invece abbia inteso procedere, in conformità dei suoi poteri, a specifica valutazione di dati oggettivamente incontestabili della prova generica e di convergenti acquisizioni testimoniali, secondo procedimento argomentativo puntuale e coerente, che resta così incensurabile nel merito ed immune da violazione di previsioni normative.

N - In ogni caso la perizia balistica "Compagnini", disposta nel precedente giudizio di appello e valutata, per i profili indicati, dal giudice del rinvio, risulta inficiata da nullità, in quanto fondata, in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 228, comma 2, c.p.p., su calcoli elaborati da persona diversa (prof. Anile) dal perito nominato, seppure da quest'ultimo incaricata.

Ma la censura è destituita di fondamento, in quanto, come è oggettivamente evidente, le correlative attività (di mera effettuazione di calcoli matematici) non implicano "apprezzamenti e valutazioni", questi ultimi soltanto essendo preclusi all'indagine dell'ausiliare del perito, neppure rilevando (se non in eventuali meri profili di responsabilità formale del perito) che al riguardo sia mancata l'autorizzazione del giudice che ha disposto gli accertamenti (Cassazione Sezione sesta, 2976/1992, Valusise). La diversa prospettazione difensiva (di attività delegata implicante apprezzamenti e valutazioni) risulta, peraltro, correlata ad inammissibile rivalutazione di merito della natura degli incombenti espletati dall'ausiliare.

O - Si è evidenziata inoltre la nullità della sentenza impugnata rilevante ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d) ed e), c.p.p. non essendosi proceduto alla ammissione della richiesta prova decisiva di accertamento balistico sulla provenienza dei frammenti di fibra di vetro rilevati sul proiettile e rinvenuti "sui filtri di prelievo del bagno disabili" al piano terra dell'edificio, essendosi, per i primi, contraddittoriamente avvalorato il "possibile" collegamento al silenziatore dell'arma e, per i secondi, l'irrilevanza ("dato il tempo trascorso") del sollecitato ulteriore accertamento peritale, giustificato invece dalle documentate risultanze delle espletate indagini difensive, sostanzialmente ignorate e disattese alla stregua di un apodittico giudizio di inaffidabilità presunta.

Ma le questioni denotano sempre, a parte la inammissibile contestazione di merito della motivata (così ineccepibile ed incensurabile) valutazione negativa delle istanze difensive, la concreta infondatezza: la valutazione predetta risulta coerentemente raccordata alla condivisa indicazione generale, desumibile dalla sentenza di annullamento ed evidentemente valida in riferimento alle posizioni di tutte le parti processuali, di inutilità di ogni ulteriore incombente peritale, del quale resta incensurabilmente descritta l'irrilevanza a ragione dei risultati di mera probabilità scientifica che ne possono derivare e che sono stati congruamente e specificamente accreditati con adeguata e ragionata prospettazione.

P - In ordine agli indicati "ulteriori riscontri" (e, segnatamente, alla testimonianza della Villella e della Olzai), l'illegittimità della loro utilizzazione si consolida nel rilievo della natura della prima testimonianza ("incerta e de relato") e della inidoneità confermativa della seconda - non riscontrata - deposizione, sempre essendone evidenti le connotazioni di mere "autoreferenzialità e circolarità".

La risposta specifica della sentenza impugnata risulta puntuale e corretta, oltre che incensurabile nel merito, essendosi, in particolare, considerato che: - la testimonianza della Olzai, analiticamente esaminata nel suo momento genetico e nello sviluppo dichiarativo, non richiede la verifica di credibilità attraverso individuazione di riscontri esterni e risulta assolutamente attendibile per i riferimenti delle modalità dell'incontro con lo Scattone ed il Ferraro e della certezza del loro riconoscimento, puntualmente ribadito nel corso della trattazione dibattimentale; - della rilevanza probatoria della testimonianza "de relato" della Villella, utilizzata secondo corretta applicazione della modificata disciplina normativa, si sono valutati gli specifici profili di attendibilità (a guisa di riscontro) ed il concreto rilievo probatorio.

Conseguentemente anche il motivo esaminato risulta infondato.

Q - Indebitamente si è ipotizzato il fallimento dell'alibi fornito dallo Scattone, convalidato invece da molteplici risultanze documentali e testimoniali.

Al riguardo, invece, l'indagine valutativa della sentenza impugnata è risultata diffusa ad analitica; e, proprio all'esito della disamina delle predette risultanze processuali, è pervenuta alla incensurabile conclusione che i passaggi temporali dell'alibi offerto ( neppure sicuramente riferibili alla mattinata del 9 maggio 1997) lasciano comunque "scoperto" il significativo spazio temporale corrispondente al ferimento di Marta Russo.

In tal modo la censura (di generica prospettazione fattuale) resta destituita di fondamento.

E, per analoghi profili, risulta destituita di fondamento l'ulteriore questione sollevata di "omessa valutazione della assoluta mancanza della causale" che, secondo l'assunto difensivo, costituisce il momento unificante degli indizi di colpevolezza, oltre che l'idoneo elemento di riscontro individualizzante della chiamata.

Ma, in tal modo, la censura tralascia di rapportarsi alla ritenuta sussistenza dell'omicidio colposo, che, per la natura dell'elemento psicologico correlativo, non postula individuazione di possibili causali e moventi (connaturali invece alle condotte consapevolmente volontarie), al più desumendosi, dallo sviluppo delle modalità fenomenologiche dei fatti materiali, l'enucleazione del "grado della colpa", che appunto è risultato incensurabilmente precisato nei termini della estrema gravità conseguente alla notevole avventatezza (inopinata per una persona esperta nell'uso di armi, quale è risultato essere lo Scattone) della condotta.

R - Le dichiarazioni e le ritrattazioni del Liparota non denotano la consistenza della accreditata rilevante chiamata in reità, in quanto sostanzialmente ""inquinate" dall'adeguamento che il dichiarante (soggetto "psico-labile" e predisposto soggettivamente ad essere condizionato dalle pressioni investigative) ha dimostrato di esprimere in riferimento alle risultanze descrittive dei fatti come desumibili dall'ordinanza custodiale, così collocando entrambi gli imputati Scattone e Ferraro nelle vicinanze della finestra. Nell'ambito dello stesso motivo sono state pure dedotte situazioni di valutazione di documento "proveniente dall'imputato" (il "biglietto" scritto nella notte tra il 14 ed il 15 giugno) illegittimamente espletata in violazione della disciplina di cui agli artt. 234, 237, 357, comma 1, lett. b), 513, 514, commi 1 e 2, 609 e 625, comma 4, c.p.p., essendosene accreditata la valenza di riscontro alle dichiarazioni della Alletto ed essendosi peraltro proceduto alla disamina della prova dichiarativa riferibile al Liparota in violazione delle regole prescritte dall'art. 192, comma 3, c.p.p. e con utilizzazione di irrilevanti parametri concreti della ritenuta attendibilità (quali: "i convulsi... contenuti delle conversazioni dei familiari" del dichiarante ed i "presunti 'accenti di verità contenuti nelle sue 'intermittenti'dichiarazioni accusatorie") in mancanza dei necessari riscontri "ampi e pregnanti", ma in presenza dei diversi comportamenti processuali di ritrattazione delle iniziali contraddittorie "dichiarazioni spontanee", di silenzio e di conclusiva conferma sostanziale della ritrattazione stessa.

Ma, per il profilo di addotta violazione della disciplina normativa in materia di utilizzazione di documenti provenienti dall'imputato, l'articolata censura espone questione destituita di fondamento, non considerando che il "biglietto" acquisito dall'agente Senese: è stato predisposto e consegnato spontaneamente dallo stesso imputato; ha costituito soltanto lo spunto investigativo per il successivo interrogatorio; rappresenta il semplice riscontro della determinazione "collaborativa" del Liparota, evidenziando il momento essenziale, anche dal punto di vista temporale, del suo consolidamento all'esito delle sollecitazioni degli inquirenti, certamente consentite e normali per quanto evidentemente pressanti nel peculiare contesto dello sviluppo delle indagini. Il "biglietto", cioè, individua tale momento di nuova disponibilità dichiarativa dei fatti, addirittura anticipandone per linee essenziali il racconto; ma non integra di per sé la rilevante chiamata in reità, che seguirà percorsi processuali differenziati e resterà attendibile, pur nei passaggi delle ritrattazioni e dei silenzi dibattimentali, secondo la puntuale disamina della sua connotazione e dei riscontri incensurabilmente valutati e già diffusamente riportati, ai quali è sufficiente richiamarsi per la loro concludente consistenza confutativa delle questioni che sono state riproposte col motivo in esame e che risultano destituite di fondamento per tutti i profili addotti.

S - Al riguardo, per le dichiarazioni della Villella (utilizzate a conferma della attendibilità della chiamata del Liparota, siccome confermate dai riscontri delle dichiarazioni della Alletto e della Lipari e delle risultanze delle intercettazioni telefoniche), se ne deduce la nullità per violazione degli artt. 199 c.p.p. e 1 del d.l. 2/2000, trattandosi di testimonianza "de relato", accreditata a convalida della chiamata predetta (di per sé inattendibile e contraddittoria) in mancanza di effettivo rilievo "individualizzante" dei riscontri predetti.

Ma la questione processuale ha trovato la puntuale e corretta soluzione negativa, già richiamata, dalla quale non si evidenziano apprezzabili ragioni per discostarsi, non essendo contestato che inizialmente la Villella non ha inteso esercitare la facoltà di astensione e che la sua testimonianza "de relato" è "entrata" nel fascicolo del dibattimento prima del 25 febbraio 2000; per modo che, in conformità della disciplina integrata della l. 35/2000 e della sentenza della Corte costituzionale 440/2000 (precisata in riferimento alle intervenute modifiche dell'art. 111 Cost.), validamente la correlativa valutazione è risultata espletata, per le dichiarazioni del Liparota riferite, dalla Villella e in conseguenza del comportamento processuale del dichiarante (che si è sottratto all'esame in contraddittorio), in applicazione delle regole enunciate nell'art. 192 c.p.p. ed in correlazione agli evidenziati elementi di riscontro individualizzante, come incensurabilmente individuati e tenuti presenti.

In tal modo la censura risulta complessivamente destituita di fondamento.

T - Per la testimonianza della Olzai (considerata come elemento di riscontro delle dichiarazioni della Alletto) rileva che ne restano evidenziati profili probatori di inaffidabilità a ragione degli incerti riferimenti identificativi dell'abbigliamento delle persone "incrociate" (la Olzai neppure ha potuto precisare quale imputato portasse la borsa), del mancato riconoscimento della testimone Ricci, dell'evidente suggestione mediatica delle immagini televisive, così evidenziandosi che la deposizione (propriamente "riproduttiva di una percezione visiva" e, quindi, assimilabile per gli effetti al riconoscimento disciplinato dall'art. 213 c.p.p.) non è stata congruamente vagliata con adeguata disamina dei profili della sua attendibilità (esclusa peraltro dagli emergenti concreti margini di "errabilità") in mancanza di riscontri individualizzanti dell'accreditato risultato di identificazione degli autori del reato.

Ma si tratta sempre di doglianza destituita di fondamento in presenza della diffusa disamina dei profili di attendibilità soggettiva e di credibilità della testimone e della significativa convergenza delle sue dichiarazioni, correttamente e puntualmente vagliate nel procedimento critico espletato dalla sentenza impugnata nei termini coerenti ed incensurabili, che sono stati premessi e che vale soltanto richiamare per quanto se ne desuma anche l'inconsistenza delle marginali incertezze e contraddizioni del racconto della Olzai.

Ciò comporta sempre la conclusione di infondatezza del motivo.

U - D'altra parte va rie circostanze del racconto della Alletto sono rimaste sprovviste di riscontri esterni confermativi, con riferimento, in particolare, alla riferita presenza dello Scattone nell'aula n. 6 alle ore 11,42 del 9 maggio (ma le persone presenti e sentite non hanno ricordato di aver intravisto l'imputato nei locali dell'Istituto nella mattinata del predetto giorno) ed alla diretta percezione della dichiarante della sua presenza negli uffici di segreteria in orario successivo (di tale circostanza la Alletto fornisce contrapposte versioni, incompatibili - e contrastanti - peraltro con i correlativi acquisiti riscontri testimoniali).

Ma la censura postula la rivalutazione di merito dei richiamati riferimenti, già coerentemente e puntualmente considerati nella sentenza impugnata, (che peraltro evidenzia la concreta marginalità e, quindi, l'irrilevanza delle circostanze stesse, inidonee ad inficiare la linearità attendibile del nucleo fondamentale della chiamata in reità in quanto propriamente rappresentative di percezioni dirette e personali della dichiarante: si tratta così di riferimenti che, da un lato, non richiedono necessari riscontri esterni specifici e, dall'altro, non risultano vanificati dalle incertezze e dalle diverse acquisizioni probatorie richiamate dal ricorrente).

In tal modo si convalida la conclusione di infondatezza del motivo esaminato.

V - Le conclusioni del complesso discorso difensivo, sulla base di tutte le contestazioni e le questioni sollevate in ordine alla correttezza ed alla coerenza della valutazione delle chiamate in reità, conducono alla considerazione finale (e riepilogativa di tutti i passaggi argomentativi che sono stati riportati) che le dichiarazioni della Alletto e del Liparota sono rimaste esaminate con vaglio critico inadeguato (e sostanzialmente disattento) per i profili di attendibilità intrinseca ed estrinseca, effettivamente rimasti inesplorati sul piano della loro concludenza probatoria, così illegittimamente affermata.

Ma la confutazione della sintesi dei motivi di ricorso è insita (e già integrata) nella evidenziata infondatezza dei motivi stessi, come singolarmente ed analiticamente esaminati.

In tal modo si perviene alla conclusione, pure sinteticamente precisata, che il ricorso denota la complessiva infondatezza, rilevante per il suo rigetto (ma in favore dello Scattone dovrà estendersi il riconoscimento di insussistenza del fatto - reato contestato come detenzione illegale di arma, secondo quanto sarà precisato in accoglimento di motivo esposto col ricorso del Ferraro).

Rileva, però, aggiungere che proprio il compendio finale delle questioni sollevate dallo Scattone denota il loro sostanziale riferimento ad un postulato sindacato di "terza istanza" (come ravvisato e rappresentato nella requisitoria pronunziata dal Pg), estraneo al giudizio di legittimità, a fronte della realtà processuale incontestabile di una sentenza che "regge" sul piano della corretta applicazione del principio enunciato ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p. e della complessiva coerenza logica della conseguente motivazione valutativa, non incrina dalle irrilevanti annotazioni di ordine emotivo e psicologico che hanno caratterizzato la disamina delle chiamate in reità e delle testimonianze confermative, né contraddetta da rilevanti discrasie (che attingono il livello delle considerazioni e delle situazioni probatorie marginali), né superata dalle prospettazioni difensive (che, in via sostanzialmente e meramente negativa della ricostruzione accreditata, si risolvono ad ipotizzare possibili modalità alternative dei fatti).

Z - sempre in profili di mancanza ed illogicità della motivazione il regime sanzionatorio concretamente applicato allo Scattone è risultato illegittimamente disancorato dalle previsioni di cui all'art. 133, oltre che indebitamente determinato per diniego delle circostanze attenuanti generiche e per applicazione delle pene accessorie di cui agli artt. 29 e 33 c.p., posto che: - i parametri soggettivi ed oggettivi valorizzati attengono a situazioni congetturali, indimostrate ed irrilevanti ("risonanza dei reati commessi sull'opinione pubblica"; "elevatissimo grado della colpa"; "gesto di dissennata imprudenza"); - in senso favorevole si pone la condizione di incensuratezza dell'imputato, la cui valutazione è risultata addirittura pretermessa; - si è fatto luogo ad applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, esclusa dalla previsione di cui all'art. 33 c.p. per ipotesi di condanna per delitto colposo, in quanto l'aumento di pena disposto, ai sensi dell'art. 81 c.p., per i reati non colposi (porto e detenzione illegale di arma) corrisponde ad anni due di reclusione ed è così inferiore ai minimi di pena stabiliti dall'art. 29 c.p. per l'operatività e l'applicazione delle pene accessorie.

La questione sollevata in ordine ad illegittima statuizione di applicazione della pena accessoria dai pubblici uffici risulta oggettivamente fondata in riferimento alle concrete risultanze processuali sulle componenti del regime sanzionatorio principale ed alla disciplina normativa in materia, che non consente disposizione di tale pena accessoria nei confronti dello Scattone, dovendosi per ciò direttamente disporre alla correlativa eliminazione,. come si provvederà nella determinazione di tale complessivo regime.

Ma, per gli altri profili, la censura (che finisce per investire il merito dello stesso regime) risulta sempre destituita di fondamento in presenza di incensurabile disamina ed individuazione degli elementi che consolidano la legittima precisazione della concreta gravità dei reati ritenuti, secondo parametri validamente enucleati in riferimento evidente alle previsioni di cui all'art. 133, comma 1, nn. 1, 2, 3, e comma 2, nn. 1, 2, 3, c.p. e secondo coerente e puntuale specificazione dei criteri valutativi, adeguata ed incensurabile, seppure non tutte le situazioni richiamate nello stesso art. 133 (e, segnatamente, quelle corrispondenti a riscontri negativi soggettivi di riportate precedenti condanne penali e di "condizioni di vita individuale, familiare e sociale"), siano risultate ricorrenti, essendo al riguardo già integrata l'ineccepibile giustificazione della pena comminata alla stregua delle altre situazioni venute in rilievo ed espressamente considerate.

I motivi nuovi di Giovanni Scattone.

Nell'interesse dell'imputato risulta depositato, in data 19 novembre 2003, l'atto difensivo, che espone ulteriore "motivo unico" a sostegno del ricorso in termini di "violazione degli artt. 546, comma 1, lett. e), 192, comma 1, e 125, comma 1, c.p.p. in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), stesso codice per manifesta illogicità risultante dal testo stesso della sentenza impugnata e mancanza di motivazione, anche con riferimento all'intero impianto accusatorio".

L'intitolazione del motivo e la indicazione del suo "riferimento al motivo del ricorso principale" rendono evidente che si tratta, piuttosto, di compendio articolato ed analitico delle questioni già prospettate in ordine alle carenze del procedimento argomentativo, sviluppato nella sentenza impugnata a supporto della conclusione di colpevolezza del ricorrente.

L'impegno difensivo rivela, infatti, un chiaro intento di sistemazione ragionata delle questioni stesse già nella premessa di richiamo ai principi enunciati nella sentenza di annullamento, ai quali la Corte di merito, nel conseguente giudizio di rinvio, era tenuta ad attenersi nel procedimento valutativo delle chiamate in reità (e, per quella proveniente dalla Alletto, nel rilievo che i profili della attendibilità intrinseca dovessero essere individuati "alla stregua di parametri diversi dalla visione di immagini "video" nella affermata estraneità "alla regola di giudizio dettata dall'art. 192, comma 3, c.p.p. della valutazione concernente l'accertamento della provenienza e della direzione dello sparo" e nella riconosciuta necessità della preliminare rigorosa verifica - secondo i rispettivi specifici criteri predeterminati ed appropriati - della rilevanza probatoria delle "dichiarazioni accusatorie convergenti" della Alletto e del Liparota ("focalizzata solo ed esclusivamente in direzione della identificazione dell'autore dello sparo o comunque dei soggetti ai quali lo sparo era in varia misura riconducibile", restando subordinata all'esito della correlativa verifica pregiudiziale il procedimento valutativo delle testimonianze della Lipari, della Villella e della Olzai, nonché delle ulteriori acquisizioni probatorie e degli alibi addotti dallo Scattone e dal Ferraro).

La premessa, cioè, intende ricollegare la prospettazione difensiva, da un lato, alla individuazione del principio di diritto rilevante ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p. e, dall'altro, alla necessità di valutazione unitaria delle chiamate in reità della Alletto e del Liparota.

Per la Alletto risultano poi indicate le concrete modalità del procedimento dichiarativo, che rivelano come la chiamata resti carente dai requisiti di spontaneità, precisione, attendibilità, genuinità ed autonomia, necessari a convalidarne l'effettiva idoneità accusatoria, tanto più in considerazione della inidoneità confermativa della ritrattata chiamata in reità dell'inaffidabile Liparota: secondo l'assunto difensivo, in definitiva "le due chiamate... sono intrinsecamente inattendibili, prive di serio riscontro e neppure reciprocamente integratesi", essendosi inopinatamente "allargato" il discorso valutativo alla preclusa disamina delle risultanze della prova generica (con "abuso" dell'erronea indicazione del consulente Falso sulla provenienza dello sparo e sulla svalutazione apodittica delle altre affidabili risultanze peritali, che lo collocavano in corrispondenza del "bagno disabili" a piano terra) ed alle modalità comportamentali della Alletto, precedenti alla "capitolazione" del 14 giugno 1997.

Si sostiene, cioè, anche in riferimento a riportati principi giurisprudenziali, che ne sono derivate intrinseche incongruenze argomentative della decisione, disorganica ed incoerente rispetto al materiale probatorio disponibile ed utilizzabile, oltre che carente nell'indicazione e nella confutazione delle prove contrarie addotte appunto a sostegno della contrapposta tesi di difesa.

Al riguardo vengono riportati specificamente i precedenti passaggi argomentativi, che dimostrano come le dichiarazioni della Alletto siano state "inquinate" e "costruite" e "guidate" dagli inquirenti sulla base delle risultanze erronee del 1 'accertamento del consulente Falso del 21 maggio, della connessa ritenuta individuazione dei residui di sparo ("sicuri") sul davanzale della finestra n. 4, dell'apparente coincidenza delle telefonate in partenza dall'aula n. 6, della fantasiosa ricostruzione mnemonica operata dalla Lipari, della certezza che lo Scattone ed il Ferraro "lavorassero" in coppia, della individuazione "per esclusione" dei ruoli dello Scattone e della Alletto, della "finta sorpresa" alle indicazioni fornite da quest'ultima sulla presenza e sulla condotta dello Scattone, delle pressioni psicologiche esercitate sul terrorizzato Liparota, della induzione della Lipari alle progressive precisazioni mnemoniche (culminate con la tardiva dichiarazione dell'8 agosto 1997), del "suggello" della testimonianza della "mitomane" Olzai, della "speculazione" del dato errato di presenza di sicuri residui di sparo sul davanzale della finestra n. 4 (e sono tutti elementi illegittimamente utilizzati, secondo l'assunto difensivo, a prefigurare inesistenti certezze in ordine alla provenienza della sparo ed al coinvolgimento di assistenti o di persone facultate a frequentare l'aula n. 6, a fondare la certezza del nuovo corso investigativo che "si è sparato dalla sala assistenti", sempre compulsandosi la Alletto ed il Liparota - che nelle indagini erano "entrati" in relazione alla prima "pista Zingale" e che il 21 maggio vi sono rimasti per effetto delle prime "propalazioni" della Lipari, quando era stato pure sentito lo Scattone, che non era per ciò persona ignota o estranea per gli investigatori).

Si censura, d'altra parte, che le dichiarazioni della Lipari siano state valutate a supporto della chiamata operata dalla Alletto, nonostante gli evidenti risultati negativi del vaglio di credibilità della testimone, che ha "recuperato" con lento e tormentato procedimento mnemonico la ricostruzione dei fatti percepiti dopo l'iniziale dichiarazione di nulla ricordare, che nelle conversazioni intercettate ha rivelato di aver patito il peso di pressanti condizionamenti psicologici, che è persona particolarmente sensibile sul piano umano e che esprime i concreti accenti di contraddittori personali complessi di inferiorità - superiorità, di persecuzione e di "dolore del mondo" e che, comunque. è stata ritenuta assolutamente affidabile nei suoi lenti e progressivi recuperi di memoria, seppure non sia riuscita a spiegare le ragioni e le modalità del "buco di quattro minuti" tra le due telefonate effettuate dalla sala - assistenti (la seconda finita alle ore 11,48' e 47") ed abbia riferito soltanto in data 8 agosto 1997 di aver acquisito "ricordo nitido e certo" di quanto avvenuto alla sua presenza (di essere stata, cioè, presente nella sala - assistenti col Liparota e di aver visto lo Scattone sparare un colpo di pistola e riporre l'arma in una borsa portata via dal Ferraro) e di aver ritardato il relativo racconto (con gli altri particolari precisati del "tonfo" udito prima di entrare nella sala, dell'espressione pallida e dura del Ferraro, dell'avvertito "clima di gelo", del progressivo emergere della presenza e dei movimenti dello Scattone) al momento della piena consapevolezza degli accadimenti. E si sostiene come conseguentemente siano risultati violati i "canoni elementari della più ovvia logica probatoria", essendo peraltro rimasta evidenziata l'assoluta inaffidabilità della capacità mnemonica della Lipari, che soltanto l'8 agosto introduce nel racconto il riferimento allo Scattone, "elevando" a quattro il numero delle persone presenti nella Sala - assistenti.

Analoghi riscontri di inquinamento investigativo si apprezzano, secondo il ricorrente, nella chiamata in reità precisata dalla Alletto nell'interrogatorio di "capitolazione" del 14 giugno, come è reso evidente dal contenuto oggettivo (ampiamente riportato) delle registrazioni del colloquio - interrogatorio "a quattro" dell'11 giugno (tra la Alletto, il cognato Di Mauro, il Pm La Speranza, il Procuratore Aggiunto Ormanni), del colloquio La Speranza - Romano, dei colloqui tra la Alletto ed i due magistrati, (in particolare, nel "videoshock" le progressive e coordinate contestazioni e pressioni esercitate nei confronti della Alletto, accreditate dalle convergenti sollecitazioni del Di Mauro, confermano come proprio nella Alletto si siano potute radicare la sensazione dell'inarrestabile corso degli eventi giudiziari a suo carico e la conseguente determinazione a formulare l'inattendibile chiamata in reità del 14 giugno, nelle forme dell'illegale interrogatorio, espletato da funzionari della Digos senza la presenza necessaria del difensore, in conseguenza di una ulteriore convocazione in Questura per la firma di precedenti verbali, quando già in Istituto erano state percepite le condizioni di "stremo psichico" della stessa Alletto, che poi in Questura, ove restò per alcune ore, ritrovò - a quanto ha incredibilmente precisato - la tranquillità di raccontare la verità dei fatti percepiti).

In ultimo viene evidenziata l'assoluta mancanza di motivazione in ordine alle questioni sollevate da pag. 174 a pag. 229 dei motivi aggiunti di appello in ordine alla inattendibilità testimoniale della Olzai, con particolare riferimento al rilievo della denunziata sparizione del registro delle presenze presso l'Università relativo al giorno del ferimento di Marta Russo.

In relazione all'ultima contestazione dell'esaminato "motivo unico" immediatamente se ne rileva l'infondatezza.

Prescindendosi dal considerare che il ricorrente omette di precisare quali siano le questioni non esaminate dalla sentenza impugnata e suppone che questa Corte possa direttamente ritrovarle nelle indicate pagine dei motivi di appello aggiunti ed individuare conseguentemente quali siano quelle effettivamente rilevanti e funzionali nella prospettazione difensiva, risulta che, in ogni caso, tutte le questioni sollevate sono state espressamente (ovvero implicitamente) affrontate e risolte nella sentenza. Con specifico riferimento alla negata attendibilità della testimonianza della Olzai il procedimento argomentativo del suo valido apporto probatorio è stato, poi, così puntualmente e coerentemente sviluppato secondo il diffuso richiamo delle risultanze processuali convergenti, come precisato nella premessa espositiva, da rendere contestuale ragione della irrilevanza di ulteriori controlli formali in ordine alla presenza della testimone nei locali dell'Università attraverso la verifica delle annotazioni del "registro delle presenze", del quale non è stata possibile la materiale acquisizione. Il "motivo unico" viene peraltro articolato in considerazione di risultanze processuali specifiche e di correlative valutazioni, che si risolvono nel quadro di un razionale e convergente intreccio di articolate confutazioni, del quale è risultata difficile la sintesi.

Se ne ricava, peraltro, che vengono sostanzialmente dedotti anche vizi attinenti ad errori propriamente giuridici sul piano delle normativa processuale che è stata applicata. Ma le relative censure risultano destituite di fondamento.

La prima è stata che indebitamente la sentenza impugnata, in violazione dell'art. 627, comma 3, c.p.p., ha proceduto all'"allargamento" della funzione valutativa demandatale alle risultanze della prova generica. Ma si è considerato che la violazione è soltanto apparente, sia perché le "indicazioni" desumibili al riguardo dalla sentenza di annullamento restano tali e non assumono natura di prescrizione indefettibile se non nei termini della constatata illegittimità di ulteriori incombenti peritali (dei quali la prefigurata inutilità rileva in termini di oggettiva certezza)., sia perché la funzione valutativa espletata ritrova il suo fondamento giustificativo non solo nel suo dichiarato rilievo complementare ("ad abundantiam") ma soprattutto nel legittimo esercizio di facoltà proprie della Corte di rinvio, coerentemente giustificato per la sua correlazione ad esame (non precluso) dei dati oggettivi "minimi" inconfutabili della prova generica e ad approfondimento della loro evidente compatibilità con la ricostruzione operata sulla base delle chiamate in reità e delle altre acquisizioni probatorie.

La seconda censura attiene alla contestazione di illegalità dell'interrogatorio assunto dalla Alletto in data 14 giugno 1997, con modalità che, data la posizione della dichiarante (indagata per favoreggiamento personale), ne hanno violato le essenziali prerogative difensive. Ma la questione (che può includere la contestazione - non espressa - di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni) non tiene conto del condivisibile orientamento giurisprudenziale emerso al riguardo (già da Cassazione Sezioni Unite, 1282/1996, Campanelli e da Cassazione Sezione seconda, 2539/2000), essendosi riconosciuta l'inapplicabilità della sanzione processuale di cui all'art. 63 c.p.p. e, quindi, l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese da persona indagata appunto per favoreggiamento personale (e tale è stata irrevocabilmente riconosciuta la Alletto), che non sia così indiziata del medesimo reato o dei reati connessi e collegati attribuiti ai terzi interessati dalle dichiarazioni stesse (Cassazione, Sezione seconda, 2539/2000, Papa, rv 216299), rispetto a tali distinti reati restandone ipotizzata la valida equiparazione alle dichiarazioni testimoniali (Cassazione, Sezione terza, 18765/2003).

Se poi la questione viene sollevata per avvalorare, col riferimento di eclatante violazione della norma processuale, la prospettazione di un "complotto investigativo" indirizzato a sostenere l'intuizione che lo Scattone fosse coinvolto nel fatto (ed è prospettazione, che, per quanto negata dal ricorrente in via di ipotesi, chiaramente affiora nell'impostazione espositiva del motivo unico), la soluzione che ne consegue è certamente negativa, dopo che la sentenza impugnata ha sviluppato coerenti e puntuali considerazioni di dimostrazione di insussistenza del "complotto" (rileva soltanto ricordare - e l'argomento sarà sviluppato nell'esame della posizione processuale del Liparota - che la Lipari, sin dalle prime sofferte dichiarazioni, ha tratto dalla "memoria" la presenza del Liparota e della Alletto nella sala - assistenti, come percepita nel momento del suo ingresso, così individuandosi il riscontro positivo di uno "spunto" investigativo esterno ed effettivo, che ha ispirato le insistenze esercitate proprio nei confronti delle persone presenti in quella sala, seppure individuata sulla base dell'errore peritale del Falso: né è questa, peraltro, la sede deputata a valutazione delle forme, attraverso le quali tali giustificate insistenze sono state esercitate, segnatamente nei confronti della Alletto).

Ma la complessa articolazione del "motivo unico" finisce, d'altra parte, per riproporre, secondo un metodo di disamina razionale e coordinato, tutte le questioni, che sono state già affrontate con le precisate conclusioni di infondatezza in ordine al procedimento valutativo della chiamata in reità della Alletto, di quella (ritrattata) del Liparota, delle testimonianze confermative e degli alibi offerti dagli imputati, aggiungendosi ulteriori profili di correlativa illegittimità, già in ogni caso disattesi, con argomentazioni appropriate (seppure, a volte, in via implicita) nella sentenza impugnata, oltre che all'esito della specifica disamina operata dei motivi principali di ricorso, alla quale è per ciò sufficiente il richiamo.

Tale articolazione denota, in particolare, il suo collegamento ad una sostanziale opzione difensiva per il paralogismo reciproco delle proposte questioni fondamentali. Si sostiene, infatti, che la sentenza impugnata esprime la palese violazione della disciplina di cui all'art. 627, comma 3, c.p.p., nonostante le evidenti modalità formali del dichiarato (e dimostrato) adeguamento motivazionale ai principi enunciati in materia di valutazione delle prove secondo la qualificazione processuale delle rispettive fonti e delle conseguenti regole applicabili soprattutto in ordine alle chiamate in reità. Ma tale prospettazione, indimostrata per il rilievo formale del procedimento valutativo rispettato dai giudici del disposto rinvio, si ricollega poi a contestazioni di illegittimità dello sviluppo argomentativo sostanziale, che restano concretamente ed analogamente indimostrate in quanto correlate soltanto ad ipotesi di alternativa lettura delle risultanze processuali e, non propriamente, ad evidenziazione di elementi e riscontri di apprezzabili discrasie logico-giuridiche dello sviluppo stesso (si verte, peraltro, in situazione processuale di valutazione alternativa della ricostruzione dei fatti in termini esclusivi di negazione della loro riferibilità al ricorrente, che, come è stato incensurabilmente dimostrato, ha dedotto modalità di alibi assolutamente inconsistenti al riguardo).

Va, pertanto ribadita l'infondatezza complessiva dell'esaminato "motivo unico".

Conclusioni riguardanti la posizione di Giovanni Scattone.

È stato poi depositato, nell'interesse dell'imputato, il memoriale stampato ed attribuito al padre Giuseppe (frattanto deceduto). Se ne possono trarre i segni della umana sofferenza dell'autore e della convinzione affettiva dell'estraneità del figlio alla tragica vicenda della Russo. Restano, però, le valutazioni che sono state svolte a fondare la pronunzia di rigetto del ricorso per i reati di omicidio colposo e di porto illegale di pistola e di annullamento senza rinvio delle statuizioni riguardanti l'applicazione della pena accessoria e la condanna per il reato di detenzione illegale della stessa pistola (per insussistenza del fatto, in conformità delle estensibili valutazioni, che saranno espresse in relazione a specifico motivo dell'impugnazione proposta da Salvatore Antonio Ferraro).

Per effetto della consentita diretta eliminazione della predetta pena accessoria e dell'aumento di pena principale (determinato, ai sensi dell'art. 81 c.p., in mesi otto di reclusione ed euro 150 di multa) nei confronti dello Scattone il regime sanzionatorio resta definitivamente e complessivamente fissato in anni cinque e mesi quattro di reclusione ed euro 350 di multa.

L'impugnazione di Salvatore Antonio Ferraro.

Il ricorso (degli avv.ti Delfino Siracusano e Vincenzo Siniscalchi) trova sempre fondamento nel riferimento ai principi desumibili dalla sentenza di annullamento, che ha delimitato il compito del giudice di rinvio: di valutare, in conformità delle regole enunciate nell'art. 192 c.p.p., le chiamate in reità della Alletto e del Liparota, per la verifica della valenza probatoria delle dichiarazioni riguardanti appunto il "fatto altrui"; di procedere alla ulteriore verifica di consistenza degli elementi di riscontro individuati nelle dichiarazioni testimoniali della Lipari e della Olzai; di escludere il supporto probatorio della prova generica,che ha fornito risultati "di mera probabilità e di significato dichiaratamente neutro".

Da tale impostazione programmatica si intende come siano stati poi proposti motivi non solo specifici, ma anche convergenti con le questioni sollevate nell'interesse di Giovanni Scattone, che sono state già analiticamente esaminate e disattese (sicché, a parte i profili differenziati, al loro riguardo sarà sufficiente il richiamo alle precedenti valutazioni negative, sempre procedendosi però a contestuale esposizione del contenuto dei singoli motivi e della conseguente decisione).

I motivi proposti.

A - Innanzi tutto viene contestato che la valutazione della "chiamata di correo di Gabriella Alletto" denota evidenti carenze motivazionali per violazione degli artt. 546, comma 4, c.p.p. e 26 della l. 63/2001, degli artt. 546, comma 4, e 627 c.p.p. e degli artt. 546, comma 4, 597, 603 e 607 c.p.p. E ciò perché:

- la credibilità della Alletto è stata rapportata agli "accenti di sincerità" ed alle fornite precisazioni di natura psicologica, non tenendosi conto delle difformità delle prime dichiarazioni e della emergente "convenienza a mentire" (inopinatamente ed illogicamente giustificata dal "clima di omertà e di paura" che si era materializzato nell'Istituto di filosofia del diritto, non interessato peraltro dalle prime iniziative investigative) e non considerandosi il rilievo di contrastanti riferimenti testimoniali, della iniziale dissimulazione ostentata anche col cognato Di Mauro e dei condizionamenti investigativi (apprezzabili nella spontanea considerazione che "bisognerebbe sapere chi è quell'altro oltre a Ferraro", laddove si avverte in ogni caso un significativo richiamo proprio alla percepita presenza del ricorrente);

- la verifica della credibilità è rimasta avulsa dalla necessaria rilevante dimostrazione probatoria delle contestuali distinte "compresenze" Alletto-Liparota e Ferraro-Scattone;

- sul piano della attendibilità intrinseca sono rimaste inesplorate le lacune dei riferimenti alla fotocopia di fax consegnata alla Lipari e delle precisazioni in ordine alla collocazione e alla condotta materiale dello Scattone (contraddette dalle risultanze dell'ispezione dei luoghi).

Ma le situazioni dedotte a riprova della fondatezza della censura ne arricchiscono la prospettazione già evidenziata dallo Scattone, in relazione alla quale, come diffusamente premesso e poi argomentato, la sentenza impugnata ha fornito risposte specifiche puntuali e coerenti, tanto più evidenziandosi ora che le correlative spiegazioni motivazionali, oltre che logicamente valide ed ormai incensurabili, consentono di individuare la concreta implicita confutazione di aspetti non specificamente considerati e sostanzialmente marginali ed irrilevanti, che non inficiano il procedimento valutativo della credibilità e della attendibilità della Alletto (gli atteggiamenti di quest'ultima; di " convenienza", con le resistenze iniziali, ritrovano riscontri di considerazione appropriata proprio nelle notazioni psicologiche degli "accenti di sincerità-verità", per quanto significativi anche della diversa "convenienza" di dire appunto la verità, che si è radicata nella evidente progressione delle modalità del suo coinvolgimento investigativo: come è evidente dallo sviluppo valutativo della sentenza impugnata, la Alletto non recupera la sincerità assoluta che inizialmente non ha avuto, ma supera i momenti di resistenza collaborativa, indotti da motivi personali ed ambientali di debolezza umana, e perviene finalmente al racconto dei fatti percepiti, la cui credibilità ed attendibilità si rivela nelle forme degli "accenti di verità" corrispondenti alla determinazione finale ed a questa soltanto riferibili). Laddove si intende la giustificata e coerente valorizzazione delle connotazioni psicologiche delle modalità della chiamata in reità operata dalla Alletto, i cui profili di attendibilità e credibilità risultano peraltro puntualmente vagliati e confermati sulla base di elementi di rilievo oggettivo "esterno".

Il motivo risulta infondato, in quanto sostanzialmente supportato da una alternativa prospettazione negativa dei predetti requisiti della chiamata in reità, che non inficia la puntuale dimostrazione della loro sussistenza, come precisata nella sentenza impugnata.

B - Vengono poi dedotte carenze motivazionali della valutazione dei riscontri individualizzanti, espletata con violazione degli artt. 546, comma 4, e 192, comma 3, c.p.p., tale essendo stata considerata la testimonianza di Giuliana Olzai, nonostante i riferimenti relativi all'abbigliamento degli imputati (contrastanti con quelli riferiti dalla Alletto) e l'erronea indicazione della statura del Ferraro (superiore "di almeno cinque centimetri" rispetto a quella dello Scattone), essendosi prefigurata la contraddittoria "valenza neutra" dei relativi dati testimoniali ed essendosi valorizzate una inesistente coincidenza dei dati relativi alla borsa portata dal Ferraro e la categoria della prova "ad abundantiam" adombrata per gli elementi in realtà non più utilizzabili.

Ma lo sviluppo critico della censura risente del procedimento di scansione parcellizzata della complessiva valenza unitaria della testimonianza della Olzai, in relazione alla quale la rilevanza di idoneo elemento di riscontro confermativo della chiamata in reità è risultata evidenziata in termini incensurabili, anche attraverso la specifica disamina e confutazione delle contestazioni ora riproposte, ed all'esito dell'approfondito ragionamento valutativo del momento genetico della testimonianza stessa, delle modalità della sua esternazione e, addirittura, dei riscontri correlativi, come già diffusamente riportati nella premessa espositiva: a tali elementi è rimasta ancorata anche la puntuale conclusione della attendibilità sostanziale della testimonianza (sull'effettività dell'incontro e sul riconoscimento degli imputati, presenti così nell'edificio universitario in orario corrispondente al ferimento della Russo), non inficiata da contraddizioni ed incertezze di riferimenti marginali e concretamente irrilevanti (laddove, cioè, è seriamente apprezzata la illogicità della richiesta di estendere la valutata approssimazione di meri riferimenti "di contorno" al contesto narrativo appunto della effettività dell'incontro, analiticamente e puntualmente ricostruito dalla testimone, e della acquisita sicurezza del riconoscimento e del percepito comportamento evasivo degli imputati).

Anche l'ulteriore motivo esaminato risulta, pertanto, destituito di fondamento, essendo stati specificamente considerati e logicamente giustificati "i particolari che non quadrano" nella testimonianza della Olzai già nel profilo della loro irrilevanza.

C - Altre carenze motivazionali, in termini di connessa violazione della disciplina di cui agli artt. 546, comma 4, 597, 603, 607 c.p.p., emergono dalla affermazione di convergenza delle dichiarazioni del Liparota, contraddistinte invece da mancanza di autonomia e spontaneità e da alternanza di ammissioni e ritrattazioni, da inaffidabilità (comprovata dalla predisposizione del "memorandum" per l'interrogatorio del Gip), da sotteso percepibile intento del dichiarante di superare l'originaria grave imputazione di concorso in omicidio, essendo stati peraltro utilizzati riscontri contraddittori ed equivoci (quelli costituiti dalla intercettata conversazione telefonica del padre del Liparota,e dalla ritenuta erroneità mnemonica dell'indicazione dello Scattone che portava via la borsa) e essendosi anche dato atto che è "impossibile accertare una completa verità all'interno delle dichiarazioni del Liparota", valorizzate invece come chiamata in reità convergente con quella della Alletto (con la quale è stata ipotizzata l'integrazione, a guisa di riscontro confermativo, anche quando antiteticamente la "Alletto afferma che la borsa è stata presa da [Ferraro e] Liparota racconta che è stato Scattone").

Ma la censura denota gli stessi profili di infondatezza, che sono stati considerati nell'esame di analogo motivo proposto nell'interesse dello Scattone. Ne vale, pertanto, il semplice richiamo, non essendo state rappresentate sostanzialmente ragioni diverse e nuove, che consentano di discostarsi dalla formulata conclusione di infondatezza.

D - Analogo vizio motivazionale viene addotto per il procedimento valutativo della testimonianza della Lipari, espletato in violazione delle regole fissate nell'art. 192, comma 3, c.p.p., in quanto, secondo l'assunto difensivo: - per il requisito della credibilità è risultata pretermessa la considerazione della riconosciuta "sensibilità reattiva" della testimone, che di tale requisito costituisce oggettivo e concreto limite; - il progressivo recupero mnemonico è stato esteso ad accreditare la compresenza del "binomio Scattone-Ferraro" sulla base di una generica indimostrata petizione di principio (di complessiva affidabilità della testimone), di una ingiustificata interpretazione della conversazione telefonica del 24 maggio 1997 (intercorsa col padre ed intercettata), di un insignificante ed atipico esperimento giudiziario.

Le questioni sollevate sono già state disattese, in riferimento alle risultanze della sentenza impugnata, per la prospettazione difensiva (sostanzialmente conforme) precisata nell'interesse dello Scattone.

Deve così ribadirsi soltanto che il motivo è destituito di fondamento, essendosi analizzati nella sentenza impugnata i momenti del recupero dei ricordi della Lipari con coerente e puntuale disamina delle modalità della sua manifestazione progressiva e con incensurabile conclusione che si è appunto trattato di affidabile testimonianza sulla ricostruita memoria dei fatti (e non di progressione soggettiva di ipotesi ricostruttive formulate dalla Lipari, secondo l'argomento difensivo sviluppato nella discussione dibattimentale dinanzi a questa Corte).

E - Analogo vizio motivazionale (in relazione a violazione della disciplina di cui agli artt. 546, comma 4, e 627 c.p.p.) viene poi evidenziato per l'utilizzazione probatoria "ad abundantiam" di specifici dati rilevati dalla prova generica, nonostante la prescrizione negativa della sentenza di annullamento (che, in particolare, precludeva l'utilizzazione predetta per i dati, meramente probabilistici, relativi al raffronto tra la particella rinvenuta nella borsa del Ferraro e quelle esaminate sulla zona caudale del proiettile ed alla "similarità" delle particelle stesse, al riguardo essendo stata pure omessa la considerazione, sempre desumibile dagli accertamenti peritali, del rilievo contrario dell'incidenza dell'inquinamento ambientale, della operata discriminazione delle numerose particelle ternarie rinvenute sempre nella stessa zona del proiettile e della inconsistenza del prelievo effettuato nella borsa del ricorrente).

Ma la censura (che postula anche la rivalutazione di merito delle risultanze peritali, della quale assume in via di principio l'inutilizzabilità probatoria) è stata già diffusamente e variamente disattesa nei passaggi delle determinazioni valutative della presente decisione, nei quali si è inteso che, da un lato, la sentenza di annullamento non ha prefigurato una preclusione assoluta dell'esercizio delle facoltà valutative riservate, per previsione normativa, al giudice del rinvio e che, dall'altro, proprio l'esercizio di tali facoltà è rimasto ancorato alle condivise indicazioni della stessa sentenza di annullamento in ordine all'inutilità di rinnovazione degli incombenti peritali.

Ciò comporta la conferma dell'infondatezza del motivo, neppure desumendosi dal mero richiamo "ad abundantiam" di incontestabili dati oggettivi della prova generica l'addotta contraddizione di una insufficienza, implicitamente prefigurata, dei dati della prova specifica, (la decisiva concludenza probatoria di questi ultimi ha trovato semplice supporto argomentativo nel riferimento ai primi, in quanto inconfutabilmente convergenti e compatibili).

F - Si sostiene poi che risulta illogica e contraddittoria, in violazione della disciplina di cui all'art. 546, comma 4, c.p.p., la valutazione dell'alibi addotto dal ricorrente, considerato falso sulla base di lacunosa valutazione delle testimonianze assunte (negative in ordine a constatazione della presenza personale in Istituto nella mattinata del 9 maggio 1997, oltre che insufficiente nel rappresentare l'irrilevanza della testimonianza confermativa di Teresa Ferraro.

Ma la censura (che, nell'apparenza del vizio denunziato, postula sempre la rivalutazione di merito di risultanze processuali già puntualmente e coerentemente esaminate) risulta comunque destituita di fondamento, in quanto la sentenza impugnata rende analitica e diffusa ragione degli elementi (già riportati nella premessa espositiva), che hanno evidenziato la falsità dell'alibi di contestuale presenza nell'abitazione familiare, non comprovato dagli addotti contatti telefonici (esclusi dalle verifiche effettuate) intercorsi con l'amica Marcucci, che peraltro ha fornito riferimenti testimoniali negativi e, in ogni caso, inconsistenti.

G - Si sostiene poi che la "questione Condemi" è stata sbrigativamente risolta, non essendosene acquisita, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., la sentenza assolutoria, idonea a dimostrare che, al tempo dei contatti telefonici avuti col ricorrente, il Condemi non era latitante.

Il motivo di impugnazione attiene all'ordinanza dibattimentale negativa del 15 novembre 2001; ma risulta infondato in presenza della incensurabile valutazione della inutilità dell'acquisizione ai fini della decisione, congruamente argomentata anche in relazione alla addotta diversità della situazione processuale del Condemi al momento delle telefonate, oltre che del concreto riscontro della inutilità ritenuta dell'acquisizione del documento "sopravvenuto", convalidata "ex post" dal rilievo univoco e decisivo delle risultanze probatorie normalmente acquisite, rispetto alle quali il documento predetto denota profili di evidente eccentricità.

H - Si deduce anche che la svalutazione della tesi subordinata (intesa a sostenere la configurabilità degli estremi dell'autofavoreggiamento personale inesigibile nella condotta del ricorrente) è inficiata da violazione dell'art. 378 c.p., in quanto "il comportamento successivo al delitto [dimostra soltanto], nelle sue dimensioni oggettive e nelle sue proiezioni soggettive, l'insopprimibile diritto di difesa del Ferraro", che si manifesta col silenzio mantenuto sulla presenza dello Scattone nella Sala assistenti (ammetterla infatti secondo l'assunto difensivo, "significa anche ammettere la propria presenza": in tal modo la negazione integra appunto gli estremi dell'autofavoreggiamento mediato non punibile in termini di aiuto necessitato dal collegamento alla "sfera della difesa comune, al correo").

L'infondatezza della censura si percepisce immediatamente nell'oggettivo rilievo dell'"aiuto" prestato allo Scattone, che non si risolve nella semplice negazione della compresenza, ma si realizza con autonoma iniziativa di prelievo e di occultamento della pistola, rispetto alla quale non è certamente ipotizzabile alcun apprezzabile collegamento alla necessità di difendere se stesso.

In relazione a tale incensurabile ricostruzione delle modalità della condotta dell'imputato la sentenza impugnata rende, peraltro, adeguata e corretta applicazione della disciplina normativa e dei principi giurisprudenziali consolidatisi in materia, secondo i quali, per l'operatività dell'esimente speciale la condotta favoreggiatrice deve porsi appunto in rapporto di conseguenzialità immediata ed inderogabile rispetto alla necessità di preservare il suo autore da compromissione della libertà personale e dell'onore (Cassazione Sezione sesta, 6874/1993, Pezone, rv 195495; 8632/1995, Nizzola, rv 202566): sicché tale operatività resta ontologicamente ed oggettivamente esclusa, quando, come è stato accertato per la posizione del ricorrente, l'agente abbia dato luogo, con volontaria e libera determinazione, alla situazione di pericolo che lo riguarda, in conseguenza di concreto esclusivo intento di favorire il terzo responsabile del reato (Cassazione Sezione sesta, 262/1997, Luceri, rv 206688), essendo peraltro richiesto che la situazione di pericolo non sia soltanto prefigurata ma abbia conferma in circostanze oggettive, attuali e concrete (quali non è dato di riscontrare nella specifica fattispecie) e, soprattutto, che l'attività favoreggiatrice non sia stata determinata (come finisce sostanzialmente per sostenere il ricorrente) dal semplice timore di coinvolgimento nella vicenda criminosa attribuibile al terzo (Cassazione Sezione sesta, 8638/1999, Aprano rv 214315; Cassazione Sezione prima, 35607/2002, Como ed altri, rv 222323); tanto più dovendosi rapportare la sussistenza dell'esimente ai rilevanti profili della personalità dell'agente e del suo ambito esistenziale (Cassazione Sezione sesta, 11409/2003, Salvo, rv 223953), che, per la concreta posizione del Ferraro (cultore di materie giuridiche, inserito nell'ambiente della ricerca scientifica universitario, proveniente da valido contesto familiare), depongono per l'inapplicabilità soggettiva della invocata esimente. In concreto la sentenza impugnata ha validamente dimostrato, sulla base di oggettive circostanze specifiche, che non sono ravvisabili in favore del Ferraro, se non per mera irrilevante presunzione (Cassazione, Sezione sesta, 15101/2003), situazioni eccezionali che comportino il riconoscimento dello stato di necessità di cui all'art. 384, comma 1, c.p.

I - Si sostiene poi l'insufficiente motivazione dell'affermazione di colpevolezza per il concorso contestato in reati di detenzione e porto illegale di pistola. Ma la censura (parimenti e sostanzialmente generica) risulta destituita di fondamento in presenza di adeguata dimostrazione argomentativa (correlata all'essenziale richiamo delle risultanze probatorie costituite dalle "nitide dichiarazioni della Alletto", non contraddette dai riferimenti desumibili dal racconto del Liparota), ancorché debba anticiparsi che, per la contestata detenzione illegale di arma, si perverrà a statuizione di insussistenza del fatto-reato.

L - In ordine alla determinazione del concreto regime sanzionatorio si adduce l'errore giuridico integrato dalla emergente violazione dell'art. 597 c.p.p., evidenziandosi che: - essendo stato determinato il regime predetto per gli effetti della disciplina di cui all'art. 81 c.p. ed essendosi fissato nella sentenza di secondo grado annullata l'aumento di pena relativo ai reati di detenzione e porto illegali di arma in complessivi anni due di reclusione, la sentenza impugnata ha invece determinato, "in peius" in mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero sul punto, l'aumento stesso nella maggiore entità di anni tre e mesi quattro di reclusione; - ne deriva l'indebito risultato di illegittima "reformatio in peius", non esclusa dalla corrispondenza del risultato finale di determinazione del nuovo regime sanzionatorio, non peggiorativo nel complesso, ma modificato nella entità delle sue componenti.

In contrario rileva che col primo ricorso (e con i conseguenti "motivi nuovi") per cassazione il Ferraro aveva anche denunziato (p. 24 della sentenza di annullamento) come erroneamente si fosse disposto nella sentenza poi annullata il "cumulo materiale delle pene relative al delitto di favoreggiamento personale e ai delitti in materia di armi in luogo della continuazione". Al riguardo la sentenza di annullamento (n. 1234/2001 della Sezione Prima di questa Corte) ha omesso specifiche valutazioni e statuizioni, evidentemente riservate al giudice del disposto rinvio all'esito del procedimento valutativo demandatogli per l'espletamento conforme ai principi di diritto enunciati. Per modo che, essendosi configurata conseguentemente la colpevolezza del Ferraro per fatti di favoreggiamento personale e di detenzione e porto illegali di armi ed essendosi riconosciuta la continuazione (come peraltro richiesto dallo stesso imputato) tra i reati, è ben evidente che non si è determinato effetto di illegittima "reformatio in peius" del procedimento determinativo del corrispondente regime sanzionatorio, che non ha violato il limite di intangibilità della pena complessiva precedentemente comminata (e non interessata da impugnazione del Pm), ma ha esercitato legittime facoltà di individuarne diversamente l'entità delle sue componenti proprio in conseguenza della diversa incidenza degli elementi desumibili dalla ritenuta operatività della disciplina di cui all'art. 81 c.p. rispetto a quelli precedentemente venuti in rilievo per ipotesi di cumulo delle pene corrispondenti ai reati predetti. Naturalmente va considerato che tanto più resterà escluso, in concreto, il rilievo peggiorativo del nuovo regime sanzionatorio in conseguenza del suo ridimensionamento, che in questa sede sarà imposto dalla statuizione di insussistenza (per assorbimento) del reato di detenzione illegale di arma, secondo quanto sarà precisato nell'esame del successivo motivo di ricorso.

M - Viene, infine, dedotto che il mancato assorbimento del reato di illecita detenzione di arma in quello di porto abusivo è inficiato da violazione di legge e da connesse carenze del procedimento motivazionale, che non ha considerato che le risultanze processuali hanno evidenziato che "la detenzione è incominciata e si è esaurita nel momento stesso del porto abusivo".

Il motivo (che risulta fondato) è stato ulteriormente precisato con la memoria ("brevi note d'udienza") depositata dagli stessi difensori, che, innanzi tutto, ribadiscono la contestazione di mancanza di motivazione della affermata colpevolezza in ordine ai reati di detenzione e porto illegale di arma (ma si è già rilevato che al riguardo il valido supporto probatorio è risultato adeguatamente individuato, essendo la conclusione di colpevolezza ben coerente anche con l'accreditata ricostruzione dei fatti, non intaccata da prospettazioni di mero rilievo congetturale); e poi, ai fini del sollecitato assorbimento, sostengono, anche sulla base di richiamati principi giurisprudenziali, che si verte propriamente in fattispecie concreta di "reato complesso", non potendosi peraltro l'affermare che risulti provata la detenzione dell'arma per un periodo maggiore di quello durante il quale sarebbe stato commesso il reato di porto abusivo".

La fondatezza della questione già si ricollega, in ipotesi, alla correttezza del suo inquadramento, corrispondente ai principi giurisprudenziali consolidatisi, secondo i quali si è appunto ritenuto che il reato di porto abusivo comprende ed assorbe quello di detenzione (la cui autonoma e concorrente configurabilità resta così esclusa) quando quest'ultima coincida materialmente e temporaneamente col porto illegale, esaurendosi nella condotta corrispondente: il presupposto di siffatta prospettazione viene individuato nella con testualità (e coincidenza) delle due condotte quando venga convalidata dalla dimostrazione probatoria che in precedenza l'arma non sia stata diversamente detenuta e che la presunzione di responsabilità anche per il reato di detenzione risulti superata dall'imputato di porto illegale attraverso la idonea prova contraria (in ultimo, Cassazione, Sezione quinta, 2420/1992; Cassazione, Sezione prima, 7759/1996).

La realtà processuale che si è consolidata al riguardo si incentra nei riscontri delle modalità di utilizzazione dell'arma (e quindi del suo porto illegale) da parte dello Scattone nella sua improvvida iniziativa di ostentata e pericolosa dimostrazione di volerla impugnare e, successivamente da parte dello Scattone e del Ferraro (che insieme la portano via dalla sala - assistenti, dopo che il primo l'ha riposta nella borsa). Non vi è, cioè, dimostrazione probatoria di detenzione precedente, apprezzabile ed ontologicamente distinta dalle predette attività di porto illegale, non essendosi accertate le modalità della materiale collocazione della pistola nella sala predetta, se sia avvenuta, in occasione dei fatti che interessano, ad opera di uno dei due imputati, ovvero di entrambi, ovvero di altra persona (che effettivamente sia entrata nella stessa sala in tale occasione, come è riscontrato da specifiche acquisizioni probatorie). In tal modo la conclusione processuale è che il reato di detenzione non sussiste (come va riconosciuto), in quando oggettivamente assorbito in quello di porto illegale, con conseguente riconoscimento ed annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto, ovviamente esteso alla posizione dello Scattone, come già anticipato, concorrente nel fatto-reato inesistente secondo l'imputazione contestata.

Conclusioni riguardanti la posizione di Salvatore Antonio Ferraro.

Per i motivi di ricorso disattesi valgono le considerazioni già svolte per la posizione dello Scattone, seppure rapportate al diverso reato ritenuto di favoreggiamento personale.

E, per la riconosciuta insussistenza della detenzione illegale di arma, deve analogamente e direttamente procedersi alla eliminazione del relativo aumento di pena di mesi quattro di reclusione ed euro 150 di multa, così restando fissato il regime sanzionatorio complessivo riguardante il Ferraro in anni quattro e mesi due di reclusione ed euro 350 di multa.

Non può tralasciarsi di rilevare, infine, che le conclusioni prese non risentono di riconsiderazione che possa derivare dall'esame dalle ulteriori "note" della richiamata memoria difensiva in ordine a: "difettosa motivazione" sul ruolo esercitato dal Di Mauro a condizionare in concreto autonomia e spontaneità delle dichiarazioni della chiamante Alletto già nella sua genesi accusatoria per la connessa incidenza della anomala "triangolazione (inquinante) inquirenti-Di Mauro-Alletto"; omessa valutazione del rilievo delle reazioni della Alletto nella immediatezza della commissione del fatto, significative di una tranquillità comportamentale assolutamente incompatibile e logicamente inconciliabile con l'accreditata condizione psicologica di "panico e paura tremenda", che ne avrebbe motivato gli atteggiamenti e gli intenti di "proteggersi" e di "non essere coinvolta"; "'difettosa motivazione" valutativa di autonomia, spontaneità e disinteresse delle accuse provenienti dalla Alletto, oggettivamente "facilitata" dalla mancata applicazione di misure cautelari personali e dal blocco effettivo del corso investigativo sui riscontri di una "irregolare assunzione" lavorativa, oltre che variamente sollecitata e condizionata; analoghe carenze della ritenuta valenza individualizzante della testimonianza "confusa e singolare") della Olzai, tardivamente resa, neppure convergente (o sovrapponibile) alle modalità delle descrizioni fornite dalla Alletto, ma rivelatrice di significativa contraddizione nella indicazione della statura degli imputati e delle modalità del loro abbigliamento e della operata individuazione (laddove incertezze e contraddizioni inficiano la qualificazione di valido riscontro conferita alla testimonianza stessa).

Si tratta, infatti, di approfondimenti e di annotazioni che, nella forma della frammentazione argomentativa comune all'impostazione dialettica del ricorso, dello Scattone, completano il quadro dei motivi di ricorso li in relazione a questioni che la sentenza impugnata ha specificamente esaminato ed ha coerentemente risolto, fornendo adeguata ed in censurabile giustificazione della spontaneità e della autonomia della chiamata in reità operata dalla Alletto, non svalutate o compromesse dal metodo investigativo adottato ed articolatosi in sollecitazioni ed insistenze di evidente suggestione psicologica, dai riferimenti a situazioni personali (che tuttavia, nello sviluppo logico della motivazione valutativa, non hanno evidenziato il condizionamento di interessi peculiari che possano aver determinato l'esternazione di accuse inattendibili ed irrilevanti sul piano probatorio, ma ne hanno, di fatto, rivelato il collegamento a contrastanti stimoli psicologici). Le modalità della acquisizione investigativa delle accuse possono anche essere poste in discussione e sono state effettivamente e variamente discusse per i profili strettamente attinenti alla rigorosa correttezza delle opzioni del metodo adottato dagli inquirenti; ma, come si è puntualmente dimostrato, non incidono sui ribaditi esistenti profili di attendibilità, dal momento che la prospettazione di un "complotto investigativo" di costruzione delle accuse è risultata svalutata, oltre che esclusa dagli stessi ricorrenti. E, d'altra parte, le contestazioni relative alla testimonianza della Olzai (per gli aspetti che negherebbero la sua natura di valido riscontro della chiamata in reità) attengono sempre ad elementi ed argomenti (tardività e contraddizioni descrittive) già puntualmente vagliati e disattesi nella sentenza impugnata.

Le conclusioni anticipate restano così nuovamente confermate, dovendosi semplicemente aggiungere che le incontestabili e definitive acquisizioni probatorie relative all'accertamento delle modalità di disponibilità della pistola in occasione dei fatti contestati escludono che se ne possa configurare la rilettura e l'approfondimento istruttorio in sede di merito; ed impongono conseguentemente la deliberata limitata ed immediata statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto-reato di detenzione illegale di arma addebitato agli imputati ai sensi dell'art. 110 c.p., con eliminazione dei correlativi aumenti di pena, restando rigettati i ricorsi esaminati per le altre questioni proposte.

I ricorsi proposti nell'interesse di Francesco Liparota.

L'atto predisposto dall'avv. Giovanni Aricò (che ha premesso che la sentenza impugnata ha omesso la valutazione completa delle censure a suo tempo esposte dall'appellante) ha anche addotto o riproposto motivi destituiti di fondamento, in quanto sostanzialmente riferibili a questioni già diffusamente esaminate e disattese in quanto sollevate nell'interesse degli altri ricorrenti (sicché non se ne richiedono ulteriori disamina e soluzione a fronte di quelle già espletate). E sono i motivi di denunziata violazione degli artt. 187-192 c.p.p., di connesse carenze motivazionali e di disapplicazione della disciplina dettata dagli artt. 27, comma 2, e 111 Cost., in conseguenza di illegittima utilizzazione di elementi specifici della prova generica, di indebita valutazione probatoria delle "indicazioni" dibattimentali spontanee del Liparota, di fuorviante ricostruzione del contenuto di una conversazione telefonica intercettata.

Mentre, per la censura di violazione della disciplina normativa e di carenze motivazionali del procedimento determinativo del regime sanzionatorio e del diniego delle circostanze di cui all'art. 62-bis c.p., l'accoglimento degli altri motivi di ricorso - che sarà disposto - esime da ogni considerazione. Lo stesso difensore denunzia poi - con riferimento ai motivi del precedente ricorso per cassazione - che la sentenza impugnata è inficiata da: 1. illegittima disapplicazione della disciplina di cui all'art. 384 c.p., tanto più in presenza di "giudicato interno", formatosi per la posizione della Alletto, e in conseguenza del suo effetto "espansivo" in ordine alla sussistenza dei presupposti dello stato di necessità e dell'autofavoreggiamento mediato, che rendono inesigibile la condotta del ricorrente; 2. connesse carenze motivazionali della mancata applicazione della disciplina di cui agli artt. 59, comma 4, e 384 c.p., neppure essendosi considerato il rilievo scriminante della giustificata convinzione della condotta favoreggiatrice, come necessaria per evitare coinvolgimento giudiziario nel fatto omicidiario, del quale il ricorrente era stato testimone (al riguardo rileva, peraltro, secondo l'assunto difensivo, che tanto più il danno percepito produce effetti "terrorizzanti" in quanto la consistenza della relativa minaccia incombente presenta caratteri di indeterminatezza). Il distinto atto predisposto dall'avv. Pietro Nocita deduce sempre violazione della disciplina di cui all'art. 378 c.p., anche in riferimento all'art. 63, n. 2, c.p., essendo state illegittimamente utilizzate le dichiarazioni del Liparota, assunte senza il rispetto delle garanzie difensive, dopo che l'esame dell'imputato (al momento sentito quale persona informata dei fatti) era stato concluso alle ore 13,50 del 21 maggio 1997 "per l'emergere di elementi di reità in ordine al reato di truffa ai danni dello Stato" - già noti sin dall'inizio della relativa assunzione - e, ciò nonostante, era stato ripreso e proseguito successivamente (il 29 maggio, il 12 giugno, il 13 giugno ed il 14 giugno) appunto senza il rispetto delle garanzie predette.

Per il profilo processuale la censura denota la manifesta infondatezza (che giustifica la mancata espressa delibazione da parte della Corte di merito) di non considerare che l'assunzione delle dichiarazioni era iniziata e veniva proseguita in riferimento a reati ipotizzati nei confronti di terze persone, non connessi o collegati a quello riguardante la posizione del dichiarante (rispetto al quale le dichiarazioni stesse non includono apprezzabili riferimenti), neppure risultando evidenziate situazioni rappresentative di inutilizzabilità assoluta indotta da intenti di "compiacenza negoziata", che peraltro non integravano indizi a carico del Liparota per il reato di favoreggiamento personale poi contestato.

Per il profilo sostanziale del motivo (convergente con quelli più diffusamente sostenuti con l'altro ricorso) rileva, invece, che effettivamente è risultata integrata la violazione di legge addotta, non essendosi riconosciuto che il fatto (favoreggiamento personale) non è punibile ai sensi dell'art. 384 c.p.

Al riguardo la stessa sentenza di annullamento lasciava aperto il campo delle soluzioni riservate al giudice del rinvio, avendo dato atto che la difesa del Liparota aveva prospettato situazione di ingiustificata ed arbitraria contraddittorietà tra la prima e la seconda sentenza di merito in ordine all'avvenuta formazione del giudicato sulla posizione dell'Alletto, assolta in primo grado come il Liparota dal reato di favoreggiamento personale "con decisione assolutoria ormai intangibile" (come riconosciuto nella stessa sentenza di annullamento) per effetto di mancata impugnazione da parte del Pm competente.

Ed aveva, per ciò, concluso che il giudice di rinvio "sarà tenuto... ad attrarre nel suo potere decisorio solo la statuizione relativa alla condanna del Liparota per il reato di favoreggiamento personale, pronunciata dalla sentenza qui impugnata ed annullata".

In tale ambito decisorio va evidenziato che l'imputazione per il reato predetto non è originaria, ma deriva dalla diversa definizione giuridica operata dalla sentenza della Corte di assise di Roma del lo giugno 1999 in relazione all'addebito iniziale di concorso nell'omicidio volontario pluriaggravato di Marta Russo, dopo che la condotta dell'imputato, seppure discriminata dallo stato di necessità, era stata accertata come corrispondente a quella di persona che, avendo assistito ai fatti, ne aveva negato l'effettività e, comunque, ne aveva riferito modalità molteplici, mutevoli, fuorvianti ed incongrue, prima di pervenire alla decisiva chiamata in reità, così offrendo ai loro autori efficace e consapevole copertura, idonea ad eludere le investigazioni dell'Autorità inquirente, complicando il quadro delle indagini e ritardandone il risultato positivo.

Ben vero è che in tal modo risultano integrati gli estremi del ritenuto reato di cui all'art. 378 c.p., in relazione al quale la sentenza impugnata ha affermato la colpevolezza del Liparota, negando che si verta in ipotesi di condotta non punibile ai sensi dell'art. 384 c.p. (e ciò perché nella scelta favoreggiatrice dell'imputato risulta evidente il riscontro di una opzione di pura omertà).

Ben vero è pure che dalla condotta accertata esulano i connotati dell'autofavoreggiamento mediato inesigibile per difetto dei presupposti oggettivi e soggettivi, tanto più essendosi verificato incensurabilmente, nella sentenza impugnata, che la effettiva insussistenza di condizionanti forme di "complotto investigativo" non vale a giustificare in tali profili la condotta del Liparota e della stessa Alletto, che, di fronte alle pressanti sollecitazioni degli inquirenti, hanno inizialmente addirittura negato la presenza personale nella Sala assistenti, così mantenendo il silenzio, in favore (ed in "aiuto") degli altri imputati per le iniziative che questi ultimi vi avevano espletato in coincidenza del ferimento di Marta Russo e che avevano avuto modo di percepire.

Ma l'errore giuridico della valutazione, rilevante in questa sede, è consistito nella apodittica confutazione della operatività a favore del Liparota della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 c.p.p.

Al riguardo, peraltro, le univoche risultanze processuali ne impongono il riconoscimento immediato, con il conseguente annullamento senza rinvio ai sensi dell'art. 620 c.p.p., essendo stati acquisiti elementi che evidenziano i presupposti di diretta sussistenza (non indotta, cioè, per gli effetti di cui all'art. 59, comma 4, c.p.) della scriminante speciale e non essendo ipotizzabile che, in sede di ulteriore rinvio, possano venire in rilievo diverse risultanze processuali (ovvero che, sulla base di rivalutazione di quelle già acquisite, si possa pervenire alla conferma della colpevolezza del Liparota).

E ciò perché:

- in via di principio già deve escludersi che lo stesso imputato abbia volontariamente dato luogo alla situazione di pericolo, che ha integrato la situazione speciale scriminante della necessità di "salvare sé medesimo... da un grave e inevitabile nocumento nella libertà";

- analogamente risulta verificata la sussistenza della proporzionalità della condotta favoreggiatrice, oggettivamente confermata e segnalata dai difensori nella discussione dibattimentale, oltre che dalla patita imputazione di concorso in omicidio, dalla consapevolezza dell'elevato grado di sospetto indotto dai preesistenti rapporti di amicizia dell'imputato con lo Scattone ed il Ferraro e dalla personale contestuale presenza nella Sala assistenti;

- nei profili soggettivi della effettiva condizione psicologica di "terrore" (che integra il presupposto dello stato di necessità) convergono i riscontri positivi delle intercettate conversazioni telefoniche e delle minacce ("mi ammazzano") riportate dalla Villella ed utilizzate come argomento probatorio rilevante ed attendibile a carico dello Scattone e del Ferraro (e, nel contesto valutativo, il rilievo logico del "suicidio processuale" della ritrattazione, secondo le pertinenti argomentazioni difensive, denota, con vari comportamenti di compiacenza verso gli altri imputati, la persistenza dei condizionamenti ambientali effettivi ed idonei ad integrare lo stato di necessità del favoreggiamento personale in relazione ad uno stato d'animo esclusivo di paura assoluta e ad una determinazione conseguente dell'imputato di salvarsi ad ogni costo); in tal modo il pericolo percepito dal Liparota risulta circostanziato, anche sul piano oggettivo, da idonei requisiti di attualità e concretezza, rispetto ai quali la condotta favoreggiatrice si presenta "necessitata" in rapporto di stretta ed inderogabile conseguenzialità e non consente di prefigurare l'esclusiva preordinazione a favorire i terzi responsabili dei reati che sono stati ritenuti, come richiesto, anche secondo principi giurisprudenziali consolidati, per l'affermazione di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 378 c.p.

Essendo queste le concrete risultanze processuali apprezzabili per la posizione del Liparota e non essendone ipotizzabile una diversa valutazione, deve, come anticipato, riconoscersi che, per il reato ritenuto, l'imputato non è punibile ai sensi dell'art. 384 c.p., disponendosi il correlativo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Argomento decisivo a sostegno di tali valutazione e statuizione si desume anche dall'irrevocabile ricostruzione del particolare stato di necessità di "ambiente", che è stato riconosciuto operativo a discriminare la condotta favoreggiatrice della Alletto, analoga almeno nelle sue prolungate manifestazioni iniziali di silenzio, di negazione e di resistenza. Non si intende, in particolare, come per il Liparota (che viene "analizzato" nei riscontri nella sua personalità debole, se non caratterialmente labile) debba escludersi il rilievo della situazione particolare che si era determinata nell'ambito dell'Istituto universitario e della percezione di sovrastanti pericoli imminenti, ricollegabili a comportamenti di normale collaborazione investigativa delle persone informate dei fatti come processualmente e positivamente accertata in riferimento alle posizioni della Lipari e dell'Alletto (e, per quest'ultima, irrevocabilmente dimostrata nei passaggi della "duplice convenienza" iniziale, che rivelano ben più consistente capacità reattiva di quella che è stata ipotizzata per il Liparota). Si tratta, così, di rilevante elemento complementare, logico ed oggettivo, che concorre a consolidare il quadro dello stato di necessità esimente, che è stato disegnato in conseguenziale conformità alle acquisizioni processuali desumibili esclusivamente dalla sentenza impugnata.

Ulteriori statuizioni sono quelle che, ovviamente, precisano che, nel resto i ricorsi dello Scattone e del Ferraro sono rimasti rigettati, restando esonerati i ricorrenti dal pagamento delle spese processuali in conseguenza per favorevole parziale annullamento disposto.

Ma sussistono i presupposti per la loro condanna solidale, in favore delle parti civili presenti in questa sede, delle relative spese, che vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di cassazione annulla, senza rinvio, l'impugnata sentenza, nei confronti di Liparota Francesco, perché non punibile ai sensi dell'art. 384 c.p.; annulla, senza rinvio, l'impugnata sentenza nei confronti di Scattone Giovanni e di Ferraro Salvatore Antonio, limitatamente al reato di detenzione illegale di arma, perché il fatto non sussiste, ed elimina le relative pene di mesi otto di reclusione ed euro 150 di multa per Scattone, e di mesi quattro di reclusione e di euro 150 di multa per Ferraro. Ridetermina le pene complessivamente inflitte a Scattone Giovanni in anni cinque e mesi quattro di reclusione ed euro 350 di multa, eliminando la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, ed a Ferraro Salvatore Antonio in anni quattro e mesi due di reclusione ed euro 350 di multa.

Rigetta, nel resto, i ricorsi di Scattone e Ferraro.

Rigetta il ricorso del Pg.

Condanna Scattone Giovanni e Ferraro Salvatore Antonio, in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalle Parti civili, Donato Russo, Aureliana Iacoboni e Tiziana Russo, che liquida, per ciascuna, in complessivi euro 9.000 di cui euro 8.000 per onorario.

G. Basile

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