Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 28 novembre 2005, n. 25032

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio del Pertusillo, appaltatore dei lavori inerenti alla realizzazione di un acquedotto in Puglia, ha promosso giudizio arbitrale nei confronti della Grassetto Costruzioni s.p.a., subappaltatrice, per ottenere il rimborso della somma di lire 389.947.720, che assumeva di avere indebitamente versato alla convenuta a titolo di interessi per il ritardato pagamento di corrispettivi contrattuali.

Il Collegio arbitrale, con lodo sottoscritto in Roma il 5 marzo 1996, ha accolto la domanda.

La Grassetto Costruzioni ha impugnato il lodo per nullità, ai sensi dell'art. 829 c.p.c., dinanzi alla Corte d'appello di Roma.

Con sentenza del 14-24 maggio 2001, notificata l'8 agosto successivo, la Corte d'appello:

- ha pregiudizialmente rilevato e dichiarato la contumacia del Consorzio nel giudizio d'impugnazione del lodo, considerando che la procura al difensore, rilasciata dal legale rappresentante del Consorzio stesso in calce alla comparsa di costituzione e risposta, era nulla, in assenza di certificazione da parte del difensore dell'autenticità della firma del conferente, e che a tale omissione non si era posto rimedio in una successiva udienza alla quale la causa era stata rinviata proprio per provvedere al riguardo;

- ha conseguenzialmente escluso l'esaminabilità delle deduzioni, delle eccezioni e dell'impugnazione incidentale proposte dal Consorzio con detta comparsa;

- ha accolto il primo motivo dell'impugnazione della società Grassetto ed ha dichiarato la nullità della pronuncia arbitrale, ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 8, c.p.c., nonché l'inammissibilità della domanda di ripetizione avanzata dal Consorzio dinanzi agli Arbitri, osservando che la debenza della predetta somma, per il ritardato pagamento dei corrispettivi del subappalto, era stata acclarata con un precedente lodo reso nel 1994 e divenuto definitivo.

Il Consorzio, con ricorso notificato il 2 novembre 2001, ha chiesto la cassazione dell'indicata sentenza, formulando sette censure.

I primi sei motivi del ricorso, con la denuncia di violazione degli artt. 83, 125, 156, 157, 158, 164, 166, 168, 169, 171, 182, 183 e 112 c.p.c., nonché degli artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c., ed inoltre di carenza della motivazione, sono rivolti a contestare l'affermazione della nullità della procura alla lite rilasciata dal Consorzio per il giudizio davanti alla Corte d'appello.

Con detti motivi si sostiene che la mancanza di autenticazione della firma del conferente la procura non determina nullità, quantomeno se vi sia la sottoscrizione del difensore sull'atto nel quale la procura stessa è inserita; che comunque l'eventuale nullità non è rilevabile d'ufficio, in difetto di tempestiva contestazione della controparte (contestazione nella specie formulata solo tre anni dopo l'inizio della causa), e senza un preventivo invito alla regolarizzazione; che in ogni caso l'invalidità della procura non autorizzava la dichiarazione di contumacia del Consorzio e non consentiva di decidere sull'impugnazione per nullità prescindendo dalle sue deduzioni ed istanze.

Con il settimo motivo del ricorso, proposto in via subordinata, si critica la sentenza della Corte d'appello nella parte in cui ha accolto l'impugnazione per nullità della società Grassetto; tale accoglimento, ad avviso del ricorrente, incorre in violazione degli artt. 112 ed 829, comma 1, n. 8, c.p.c., in quanto il precedente giudizio arbitrale ed il lodo che lo aveva concluso non avevano coinvolto il quesito della spettanza o meno della somma versata a titolo di interessi dal Consorzio e successivamente chiesta in restituzione.

La Grassetto Costruzioni ha replicato con controricorso.

Il ricorso è stato assegnato alla Sezione seconda, la quale, con ordinanza del 15 ottobre 2004-21 gennaio 2005, ha rimesso gli atti al Primo presidente, ravvisando la presenza di divergenti soluzioni nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla pregiudiziale questione sollevata dal Consorzio con i primi sei motivi.

Per la composizione del contrasto sono state investite queste Sezioni unite.

Il ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il contrasto giurisprudenziale, sul quale si deve prendere posizione, riguarda il caso in cui la procura speciale alla lite, con sottoscrizione della parte non seguita da apposita attestazione di autenticità del difensore, sia collocata in calce od a margine di un atto del processo che sia firmato (e debba essere firmato) dal difensore medesimo.

Tale caso, come si è detto, si è verificato nella concreta vicenda.

Rimane così estranea al tema del dibattito la problematica circa gli effetti dell'omissione della certificazione nella distinta ipotesi in cui la procura sia scritta in calce od a margine di un documento privo della firma del difensore nominato, come la copia di un provvedimento del giudice o di un atto processuale proveniente dall'avversario.

Secondo il prevalente orientamento di questa Corte, espresso anche a Sezioni unite (ma con decisioni non adottate nella sede di cui all'art. 374, comma 2, c.p.c.), la mancata certificazione da parte del difensore dell'autografia della sottoscrizione della procura alla lite, rilasciata in calce od a margine ai sensi dell'art. 83, terzo comma, c.p.c., implica non nullità, ma mera irregolarità della procura stessa, superata dalla costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte contesti, formulando pertinenti ragioni ed allegando specifiche prove, l'autenticità di detta sottoscrizione (Cass., s.u., 6 maggio 1996, n. 4191; 17 dicembre 1998, n. 12625; 8 luglio 2003, n. 10732; e, fra le numerose sentenze delle sezioni semplici, Cass. 9 maggio 1962, n. 930; 8 giugno 1963, n. 1535; 18 giugno 1965, n. 1282; 3 maggio 1986, n. 3009; 25 ottobre 1988, n. 5773; 24 settembre 1997, n. 9391; 22 ottobre 1998, n. 10494; 26 maggio 2000, n. 6959; 10 ottobre 2000, n. 13468; 11 ottobre 2001, n. 12411; 25 febbraio 2002, n. 2741).

L'orientamento, formatosi con riferimento per lo più al mandato speciale per la proposizione del ricorso per cassazione o del controricorso, si fonda essenzialmente sul duplice rilievo che l'omissione dell'indicato adempimento non è sanzionata con un'espressa previsione di nullità, necessaria a norma dell'art. 156, comma 1, c.p.c. per pronunciare la nullità medesima in dipendenza dell'inosservanza di forme, ed inoltre non comporta il difetto di un requisito indispensabile affinché l'atto raggiunga il suo scopo, ai sensi ed agli effetti del secondo comma di detto art. 156, dovendosi reputare realizzato tale scopo con la costituzione in giudizio della parte per il tramite di un difensore che sia stato effettivamente nominato e che sia inoltre abilitato all'esercizio dell'attività professionale davanti all'autorità giudiziaria adita.

Soluzione opposta, sempre con riguardo alla procura in calce od a margine del ricorso per cassazione o del controricorso, è stata adottata da Cass., s.u., 19 dicembre 1989, n. 5664, e, successivamente, da Cass. 8 maggio 1995, n. 5000; 4 agosto 1997, n. 7184; 20 gennaio 1999, n. 497; 1° dicembre 2000, n. 15369; 12 giugno 2002, n. 8389; e 10 luglio 2002, n. 10030.

Con dette sentenze si è ritenuto che la mancanza della certificazione dell'autografia della firma del mandante, ad opera del difensore incaricato e munito dello ius postulandi, al pari della provenienza della certificazione stessa da un difensore non abilitato, determina la nullità della procura, con l'inammissibilità del ricorso o del controricorso in base ad essa proposti, per effetto della divergenza dell'atto dal modello legale di cui all'art. 365 c.p.c. e della carenza di un requisito indispensabile al fine della configurabilità di mandato con data anteriore alla notificazione; si è aggiunto che l'invalidità non è emendata dalla presenza in calce al ricorso od al controricorso della firma dell'avvocato iscritto nell'albo speciale, cui sia stato affidato l'incarico difensivo con la procura priva della certificazione (ovvero, in ipotesi di mandato a più avvocati, di quello iscritto in detto albo), trattandosi di situazione che non tocca la persistenza di quei vizi.

In una posizione intermedia si colloca l'indirizzo che, pur partendo dall'esplicita od implicita premessa dell'esigenza a pena di nullità della certificazione del difensore, nega rilevanza all'assenza di essa subito dopo la sottoscrizione del conferente la procura, e reputa equipollente l'apposizione della firma del difensore sull'atto contenente anche la firma della parte, facendo leva sull'unitarietà del documento, del quale la procura ex art. 83, comma 3, c.p.c. configura un elemento inscindibile, e valorizzando la compresenza nel documento stesso tanto della firma della parte rappresentata quanto della firma del difensore come dato idoneo ad esprimere inequivocamente la volontà della prima di conferire il mandato e la volontà del secondo di attestare l'effettività dell'incarico e l'autenticità della sua sottoscrizione (Cass. 20 luglio 1971, n. 2346; 20 maggio 1991, n. 5683; 2 ottobre 1996, n. 8620).

Il contrasto di giurisprudenza deve essere definito con l'affermazione del seguente principio.

L'art. 83, comma 3, c.p.c., che richiede per la procura speciale alla lite conferita in calce od a margine di determinati atti, la certificazione da parte del difensore dell'autografia della sottoscrizione del conferente, è osservato sia quando la firma del difensore si trovi subito dopo detta sottoscrizione, con o senza apposite diciture (come "per autentica" o "vera"), sia quando tale firma del difensore sia apposta in chiusura del testo del documento nel quale il mandato si inserisce.

Il principio, che si armonizza con l'evoluzione giurisprudenziale di recente segnata dalla sentenza di queste Sezioni unite 7 marzo 2005, n. 4810, resa in sede di composizione del contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità sul quesito degli effetti dell'illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, discende dalle considerazioni appresso svolte.

Preliminarmente va osservato che la certificazione in discorso è richiesta dall'art. 83, comma 3, c.p.c. senza distinzioni in relazione al tipo di atto al quale la procura acceda, nonché a prescindere dal tipo di procedimento in cui si ponga la necessità della procura, o dalla fase o grado in cui esso si trovi, ed anche indipendentemente dalla posizione attiva o passiva che la parte assuma con quell'atto.

Da tale notazione, ed in difetto di norme speciali che disciplinino diversamente i requisiti della procura alla lite e gli effetti della loro carenza con riferimento al singolo atto o procedimento, deriva che la questione in esame deve essere affrontata e definita esclusivamente sulla base del coordinamento dell'art. 83 c.p.c. con i canoni generali fissati dal codice di rito in ordine alla validità degli atti processuali, senza alcuna possibilità di introdurre soluzioni differenziate, in relazione ai riflessi che l'invalidità della procura, ove debba essere affermata in applicazione di quei canoni generali, provochi sull'atto del quale faccia parte o sul procedimento nel quale l'atto stesso si inserisca.

In altre parole, le conseguenze che la legge processuale fissa, in caso d'invalidità della procura, a seconda che essa sia inerente alla citazione od al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, alla citazione od al ricorso introduttivo del giudizio d'impugnazione, od a similari atti d'impulso, ovvero agli atti di costituzione od intervento nel giudizio di primo grado o d'impugnazione da altri promosso, non forniscono utili argomenti per stabilire se la carenza della certificazione determini o meno detta invalidità.

Sempre in via preliminare, si rileva che la scelta fra le due soluzioni alternative, quella cioè dell'irrilevanza del difetto della certificazione del difensore e quella della nullità della procura per effetto di tale carenza, deve essere orientata da valutazioni esclusivamente inerenti alla natura, alla consistenza ed alla funzione della formalità in discussione, mentre non deve risentire dell'atteggiamento difensivo della controparte nella singola vicenda (cui invece assegna influenza l'indirizzo giurisprudenziale sopra menzionato come prevalente).

La posizione assunta nel processo dall'avversario non può tradurre in nullità un vizio che intrinsecamente rimanga sul piano dell'irregolarità non invalidante, come, correlativamente, non potrebbe degradare a livello di mera irregolarità una situazione d'invalidità; tale posizione sarebbe conferente solo se si ravvisasse nullità, e la si qualificasse come nullità relativa, dato che questa non è rilevabile d'ufficio ed è opponibile esclusivamente dall'interessato nel modo e nel termine di cui all'art. 157, comma 2, c.p.c.

Alla luce di queste premesse generali, l'affermazione del principio dinanzi riportato discende essenzialmente dall'analisi delle finalità dell'adempimento in esame.

La certificazione della sottoscrizione del conferente la procura non è autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell'art. 2703 c.c. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, ed usualmente viene definita come autenticazione minore, avendo soltanto la funzione di attestare l'appartenenza della sottoscrizione ad una determinata persona, previamente identificata o personalmente conosciuta, a prescindere da ogni accertamento circa la legittimazione, i poteri, la capacità e la volontà manifestata dal sottoscrittore.

La suddetta funzione non richiede la vicinanza cartolare della firma della parte e della firma del difensore, né l'interposizione fra l'una e l'altra di diciture solenni o formule sacramentali recanti un'esplicita attestazione di appartenenza della sottoscrizione del mandato al soggetto che dichiara di conferirlo, ed è pienamente realizzata anche quando il difensore, a chiusura del documento dichiaratamente redatto in nome e per conto di quel soggetto sulla scorta della procura in esso incorporata, apponga la propria firma.

Tale firma, infatti, esprimendo da parte del difensore assunzione della paternità dell'atto in tutte le sue componenti, inclusa la procura in calce od a margine (che ne è elemento non separabile), non può non integrare un'attestazione inequivoca, ancorché indiretta, tanto della sussistenza e dell'effettività del mandato, quanto dell'autenticità della sottoscrizione, vale a dire della sua provenienza dal soggetto (identificato o comunque conosciuto) che si dichiara conferente, trattandosi di presupposti per il corretto espletamento dell'incarico ricevuto.

La qualità, la competenza e la responsabilità professionale del difensore non sono logicamente conciliabili con una redazione dello scritto processuale, in espressa rappresentanza della persona che nel corpo di esso ha rilasciato la procura, senza l'implicita certificazione di detta autenticità, tenendosi conto che l'art. 83, comma 3, c.p.c., per l'esercizio del particolare potere certificatorio attribuito all'avvocato deputato alla difesa, non esige enunciazioni predeterminate o specifiche, e che inoltre tale esercizio è insito nell'utilizzazione per il compimento di quell'atto della procura in calce od a margine.

L'esigere una seconda firma del difensore, appositamente collocata in sequela dopo la firma del mandato da parte del soggetto rappresentato, non risponderebbe ad alcun apprezzabile scopo, e sarebbe del tutto ultroneo, dato che la rilevata unitarietà dell'atto e la non scindibilità della procura dal documento che la contiene ostano alla possibilità di riferire la firma del difensore ad una sola porzione del documento stesso, con esclusione di quella in cui si trova la procura.

La soluzione non può mutare nel caso della procura in calce, solo perché il relativo testo e la firma del soggetto che la conferisce seguono la firma del difensore.

Anche la procura in calce, espressamente indicata all'interno dell'atto processuale quale titolo in forza del quale il difensore opera in rappresentanza del cliente, è componente e parte integrante del relativo documento, unitariamente inteso, e non configura un elemento separato ed aggiunto, di modo che non si sottrae al valore certificatorio della firma, con la quale il difensore fa proprio l'atto nella sua globalità.

In conclusione, la certificazione dell'autografia della sottoscrizione del conferente il mandato alla lite, richiesta dall'art. 83, comma 3, c.p.c., è assicurata, sia per la procura a margine che per la procura in calce, dall'unica firma con la quale il difensore, avvalendosi della procura, dà paternità all'atto processuale.

La piena assimilazione di quest'ultima situazione, rispetto a quella in cui la procura in calce od a margine sia dotata di autonoma certificazione, ed il conseguenziale riconoscimento dell'osservanza della predetta norma in entrambe le ipotesi portano ad escludere la configurabilità di violazione di legge, sia pure in termini di mera irregolarità non invalidante, e così rendono non pertinente ogni questione sulla consistenza della violazione (ove sussistente) e sulla sua superabilità in base all'attività processuale svolta dal difensore nominato.

Tale assimilazione, inoltre, necessariamente opera anche sul piano dell'individuazione degli strumenti occorrenti per contestare l'autenticità della sottoscrizione del mandato alla lite.

A fronte della certificazione di autografa, espressa dal difensore esplicitamente con separata firma od implicitamente con la firma dell'atto recante la procura a margine od in calce, l'assunto dell'allografia della sottoscrizione certificata non può affidarsi a semplici controdeduzioni, e richiede l'esperimento della querela di falso, vertendosi nell'uno e nell'altro caso in tema di confutazione di un attestato effettuato dal difensore nell'espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli dall'art. 83, comma 3, c.p.c. (v. Cass. 8 maggio 1967, n. 913; 9 novembre 1970, n. 2292; 8 aprile 1989, n. 1690; 20 giugno 1996, n. 5711; 27 gennaio 1999, n. 715; 15 febbraio 2000, n. 1705; 2 novembre 2004, n. 21054; cfr. anche Cass., s.u., 22 novembre 1994, n. 9869).

L'applicazione nella presente controversia del principio dinanzi enunciato infirma la sentenza impugnata, la quale ha dichiarato la nullità della procura rilasciata dal Consorzio per mancanza di certificazione dell'autenticità della firma del suo legale rappresentante, trascurando che tale procura è stata apposta in calce all'atto di costituzione e risposta, redatto e sottoscritto dal difensore incaricato, con specifico richiamo della procura stessa.

Ne discende l'accoglimento, per quanto di ragione, dei primi sei motivi del ricorso, con la cassazione della pronuncia denunciata e con l'assorbimento del settimo motivo, dato che la Corte d'appello, dopo aver affermato la contumacia del Consorzio, ha dichiaratamente statuito a prescindere dalle deduzioni ed eccezioni, nonché dall'impugnazione incidentale avanzata dal Consorzio stesso (senza peraltro menzionarne il contenuto), e che, quindi, il mancato esame delle tesi ed istanze avanzate nella precedente sede dall'odierno ricorrente vizia in toto la sentenza impugnata, per l'astratta attitudine di quelle tesi ed istanze, ove vagliate, a determinare una diversa decisione (astratta attitudine del resto non contestata dalla Grassetto con il controricorso).

Al fine di emendare l'evidenziata lacuna, attraverso un riesame che tenga conto delle contrapposte posizioni difensive, la causa deve proseguire in sede di rinvio.

Al Giudice di rinvio, da designarsi in altra Sezione della stessa Corte d'appello di Roma, si affida anche la decisione sulle spese di questa fase processuale.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, accoglie per quanto di ragione i primi sei motivi del ricorso, con assorbimento del settimo motivo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma.

M. Marazza

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