Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 2 dicembre 2011, n. 25861

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato l'1 aprile 2004 il signor S.R. proponeva opposizione dinanzi al giudice di pace di Venezia al precetto di pagamento della somma di Euro 2.410,00 notificatogli dall'ex coniuge, signora G.D.F., a titolo di contributo di mantenimento rimasto insoluto per diversi mesi. Deduceva la carenza di legittimazione passiva per erronea indicazione del proprio cognome in S., anziché S., e l'eccessività dell'ammontare preteso, inclusivo anche della mensilità del marzo 2004 non ancora maturata, oltre che di interessi anatocistici e voci di spesa processuale non liquidate né documentate.

Nella contumacia della convenuta il giudice di pace, con sentenza 30 giugno 2004, accoglieva l'eccezione pregiudiziale di rito e per l'effetto dichiarava la nullità del precetto.

In riforma della decisione, sul gravame della D.F., il Tribunale di Venezia rigettava l'opposizione e condannava il S. alla rifusione delle spese di lite.

Motivava:

- che l'impugnazione proposta era procedibile, nonostante la notificazione di un precedente atto di appello non seguita dalla costituzione in giudizio, perché proposta prima che fosse scaduto il termine breve per impugnare e senza che fosse stata emessa, nelle more, alcuna dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del primo gravame;

- che non era maturata alcuna preclusione, in quanto la notifica della sentenza all'opposta contumace non era idonea a far decorrere il termine breve: a nulla rilevando che la D.F. avesse avuto conoscenza della sentenza del giudice di pace in occasione di un'udienza relativa ad altro processo;

- che neppure l'omessa esposizione sommaria dei fatti era causa di inammissibilità, dal momento che i dati riportati nell'allegata sentenza di primo grado erano sufficienti a consentire la cognizione della controversi;

- che era irrilevante l'indicazione erronea del nome del debitore nell'intestazione del decreto del tribunale di Palermo, visto che tale nominativo era poi riportato in modo esatto sia nel dispositivo, che nella motivazione e non aveva sollevato dubbi di sorta nella parte processuale;

- che la voce relativa alle spese processuali generali era dovuta anche in carenza di liquidazione nel titolo esecutivo giudiziale, in quanto prevista dalla tariffa professionale; come pure quella relativa alla corrispondenza informativa, che doveva intendersi presuntivamente provata.

Avverso la sentenza notificata il 20 aprile 2007 il signor S.R. proponeva ricorso per cassazione affidato a nove motivi, notificato il 19 giugno 2007 ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Deduceva:

1) la violazione degli artt. 165, 166, 168, 171, 307, 347, 359 c.p.c., 125 disp. att. c.p.c., perché il Tribunale di Venezia non aveva rilevato l'improcedibilità dell'appello precedentemente notificato dalla D.F. in data 4 novembre 2004 senza che ne seguisse la tempestiva costituzione;

2) la violazione delle medesime norme sopra richiamate nonché la carenza di motivazione nel ritenere ammissibile il secondo appello proposto dalla D.F., non costituitasi a seguito del primo atto di citazione in pendenza del termine per la costituzione dell'appellato: senza il rispetto della forma rituale della comparsa di riassunzione riproducente il contenuto dell'atto d'appello come richiesto espressamente dall'art. 125 disp. att. c.p.c.;

3) la violazione degli artt. 325-327, 329 e 480 c.p.c. per omessa rilevazione della tardività del gravame, notificato oltre il termine perentorio decorrente dalla notificazione della sentenza di primo grado alla D.F. presso il suo difensore nel domicilio ex lege presso la cancelleria del giudice di pace di Venezia; o quanto meno dal 6 ottobre 2004, data in cui la parte era venuta a conoscenza della sentenza del giudice di pace di Venezia, come da sua stessa dichiarazione resa a verbale in un diverso processo;

4) la violazione degli artt. 156 e 342 c.p.c., per omesso rilievo della carenza di esposizione sommaria dei fatti nell'atto di appello;

5) la violazione degli artt. 287 e 288 c.p.c., 25, primo comma, Cost., nonché il difetto di motivazione nell'aver ritenuto errore materiale irrilevante il diverso cognome (S., anziché S.) nel decreto del tribunale di Palermo azionato in executivis;

6) la violazione degli artt. 443 c.c., 25 Cost., 5 della l. 1° dicembre 1970, n. 898 e 11 disp. sulla legge in generale, per aver ritenuto maturato l'assegno di mantenimento relativo al mese di marzo 2004, nonostante il precetto fosse stato notificato anticipatamente, l'8 marzo 2004;

7) la violazione dell'art. 2697 c.c. e del d.m. 5 ottobre 1994 n. 585 nel riconoscimento della voce di spesa processuale relativa alla corrispondenza informativa, in assenza di prova del suo effettivo scambio;

8) la violazione dell'art. 15 del d.m. 31 ottobre 1985, nella liquidazione del rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 10% sull'importo degli onorari e dei diritti, attribuibile solo a carico del cliente e non pure del soccombente;

9) la violazione degli artt. 1277 e 1283 c.c. nel riconoscimento dell'anatocismo sugli interessi scaduti, nonostante la natura di credito di valore dell'assegno di divorzio.

Resisteva con controricorso la signora D.F.

All'udienza del 20 ottobre 2011 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 165, 166, 168, 171, 307, 347, 359 c.p.c., 125 disp. att. c.p.c., nonché la carenza di motivazione nel ritenere ammissibile il secondo appello.

Il motivo è infondato.

A prescindere dal rilievo che fra le norme violate non viene menzionata l'unica in astratto pertinente - e cioè, l'art. 348 c.p.c., nel testo emendato dall'art. 54 l. 26 novembre 1990, n. 353 - si osserva che l'improcedibilità per omessa costituzione in giudizio nel termine perentorio di giorni 10 dalla notifica dell'atto d'appello, preclusiva della riassunzione entro l'anno (Cass., 21 gennaio 2010, n. 995; Cass., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19947; Cass., sez. III, 24 gennaio 2006, n. 1322), non impedisce anche la riproposizione ex novo di altro atto d'appello (beninteso nel rispetto del termine breve decorrente dalla previa notifica della sentenza o, in mancanza, della stessa notifica del primo atto d'appello, non iscritto a ruolo), qualora l'improcedibilità del primo gravame non sia stata ancora dichiarata (art. 358 c.p.c.: Cass., sez. III, 22 giugno 2009, n. 14538; Cass., sez. III, 19 settembre 2006, n. 20313). Si verifica, quindi, un concorso apparente di norme (artt. 348 e 358 c.p.c.) da risolvere sulla base del principio di specialità, in funzione dell'elemento di fatto che differenzia le due fattispecie: la rinnovazione dell'atto di citazione in appello nel rispetto del termine breve (artt. 325 e 326 c.p.c.) e anteriormente all'accertamento dell'inammissibilità o improcedibilità del primo gravame.

Nel caso in esame, la tempestività incontroversa della notifica del secondo atto d'appello da parte della D.F., senza che fosse stata già dichiarata l'improcedibilità ex art. 348 c.p.c. del suo primo gravame, ne importa dunque la ritualità, come correttamente rilevato dalla corte territoriale: non trattandosi di una riassunzione del processo di appello mediante comparsa (art. 125 disp. att. c.p.c.), bensì della sua riproposizione ex novo. È appena il caso di aggiungere che la concorrente censura di vizio di motivazione si palesa inammissibile in tema di pretesa improcedibilità dell'appello.

Il terzo motivo contiene due diverse censure al rigetto dell'eccezione di preclusione dell'appello per tardività della notifica, oltre il termine breve per impugnare. La prima ha riguardo alla ritenuta inefficacia, ai fini sollecitatori (art. 326 c.p.c.), della notifica della sentenza di primo grado presso la cancelleria del giudice di pace, ove la parte opposta doveva ritenersi domiciliata ex lege ai sensi dell'art. 480, terzo comma, c.p.c., in carenza di elezione ad hoc o di dichiarazione di residenza nel comune in cui aveva sede detto giudice, competente per l'esecuzione.

La censura è infondata.

Come correttamente statuito dal Tribunale di Venezia, la norma invocata si riferisce unicamente alle notifiche dell'eventuale opposizione ex art. 615 c.p.c. e dei conseguenti atti endoprocessuali; trovando un esempio analogo nella disposizione di cui all'art. 660, secondo comma, c.p.c. in materia di intimazione di licenza per finita locazione.

Per contro, la notificazione della sentenza, a giudizio concluso, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, segue la regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 285 e 170 c.p.c., a seconda che la parte si sia costituita mediante procuratore o personalmente; o alternativamente, dell'art. 292 c.p.c. ove invece sia rimasta contumace nel giudizio di opposizione a precetto.

È proprio questo il caso nel presente giudizio. La D.F., parte opposta, non si era costituita in primo grado; onde la sentenza di accoglimento dell'opposizione del S. doveva esserle notificata personalmente, in applicazione della disciplina generale sopra richiamata, insuscettibile di deroga ex art. 480, terzo comma, c.p.c.: norma che ha il diverso scopo di consentire forme semplificate di notificazione nei confronti della parte intimante che si è costituita nel giudizio di opposizione omettendo la formalità della domiciliazione in loco. Estenderne la portata fino a ritenerla efficace ai fini sollecitatori dell'impugnazione produrrebbe, infatti, una compressione del diritto di difesa dell'opposto contumace, che potrebbe non avere notizia tempestiva della notifica della sentenza - eseguibile in qualsiasi data dopo il deposito e fino alla scadenza del termine annuale - così da aggravarne a dismisura l'onere di informazione presso la cancelleria: con ingiustificata disparità di trattamento tra il contumace nel processo ordinario di cognizione e l'intimante contumace nel processo di opposizione al precetto (Cass., sez. I, 12 maggio 1999, n. 4706).

Egualmente infondato è il secondo profilo di doglianza che fa dipendere la preclusione dell'appello dalla conoscenza acquisita di fatto dalla parte opposta. È jus receptum, sul punto, che il termine breve di impugnazione decorre soltanto in forza di conoscenza legale del provvedimento da impugnare, conseguita per effetto dell'attività normativamente prevista a determinarla ex se (Cass., sez. I, 1 aprile 2009, n. 7962; Cass., sez. II, 10 giugno 2008, n. 15359).

Pure infondato è il quarto motivo con cui si deduce la nullità dell'atto d'appello per violazione dell'art. 342 c.p.c., per omessa esposizione sommaria dei fatti.

In tema di impugnazione, tale requisito non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria; ma, in quanto funzionale alla individuazione delle censure mosse dall'appellante, può ritenersi soddisfatto anche qualora questa sia consentita, indirettamente e per sommi capi, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno delle doglianze (Cass. sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1790). Così interpretato l'onere della parte, esso appare assolto dalla D.F. nel pregresso grado di merito: come confermato dalla mancata allegazione di alcun concreto pregiudizio al diritto di difesa del S., che è stato in grado di svolgere una compiuta attività a sostegno delle proprie ragioni. L'inosservanza dell'onere dell'esposizione sommaria produce, infatti, la nullità dell'atto d'appello solo ove non consenta il raggiungimento dello scopo cui è diretto: dovendosi quindi ritenere sanata per effetto della costituzione dell'appellato che svolga le sue difese senza porre in evidenza l'impossibilità di percepire con chiarezza il contenuto dell'altrui gravame (Cass., sez. lavoro, 30 marzo 2004, n. 6323).

Con il quinto motivo si denunzia la violazione di legge ed il difetto di motivazione nel ritenere errore materiale irrilevante il diverso cognome (S., anziché S.).

Il motivo è manifestamente infondato.

Sebbene la parte argomentativa della doglianza faccia riferimento ad un difetto di legitimatio ad causam, il quesito di diritto formulato ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c. è ristretto alla pretesa incompetenza del Tribunale di Venezia a rilevare l'errore materiale contenuto nel titolo giudiziale esecutivo. Sotto questo profilo, il predetto giudice non ha certo invaso la competenza del Tribunale di Palermo correggendo l'errore; bensì si è limitato ad accertarne incidentalmente la natura meramente materiale, irrilevante ai fini dell'identificazione del soggetto passivo dell'obbligazione; correttamente motivando che l'inesattezza onomastica non aveva ingenerato alcun dubbio al riguardo: come dimostrato dalla tempestiva opposizione al precetto svolta dal S. e dalla compresenza di elementi di fatto individualizzanti la pretesa creditoria (data e numero del decreto reso inter partes dal Tribunale di Palermo nell'ambito di una causa civile indicata con i corretti nominativi delle parti e con il numero di ruolo).

Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge per aver ritenuto maturato l'assegno di mantenimento relativo al mese di marzo 2004, nonostante il precetto fosse stato notificato anticipatamente, l'8 marzo 2004

Il motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale di Venezia ha adeguatamente motivato la statuizione, adducendo la maturazione anticipata del credito portato dal decreto del Tribunale di Palermo, in considerazione delle finalità di mantenimento cui il contributo era destinato, che lo rende altresì insuscettibile di frazionamento. Tanto meno sussiste l'eccepita incompetenza del Tribunale di Venezia ad interpretare il titolo esecutivo, trattandosi, per contro, della funzione tipica del giudice di cognizione investito dell'opposizione al precetto.

È invece fondato il settimo motivo con cui si lamenta il riconoscimento della voce di spesa processuale relativa alla corrispondenza informativa, in assenza di prova del suo effettivo scambio.

In tema di onorari professionali di avvocato e procuratore, l'esigibilità delle spese e dei diritti spettanti in ragione della corrispondenza informativa con il cliente e della ricerca dei documenti presuppone la documentazione, e comunque la prova non equivoca, dell'effettività della prestazione, non desumibile dalla sola esistenza del rapporto professionale, che non implica necessariamente un'attività informativa diversa dalle consultazioni con il cliente (Cass., sez. lavoro, 15 settembre 2003, n. 13539; Cass., sez. lavoro, 3 settembre 2003, n. 12840; Cass., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 738).

Sul punto, la sentenza dev'essere quindi cassata. In assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, si può procedere alla riforma nel merito in parte qua, elidendo dall'atto di precetto opposto la voce relativa alla corrispondenza informativa.

Con l'ottavo motivo si censura la violazione dell'art. 15 del d.m. 31 ottobre 1985, nella liquidazione del rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 10% sull'importo degli onorari e dei diritti.

Il motivo è infondato.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte il rimborso a carico della parte soccombente delle spese generali in percentuale del 10% degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti spetta all'avvocato, a norma dell'art. 15 del previgente decreto del ministro di Grazia e giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a prescindere dalla menzione e dalla determinazione che il giudice ne effettui in sentenza, di mera efficacia dichiarativa di un diritto al rimborso derivante direttamente dalla norma - al pari degli ulteriori accessori (rimborso dell'Iva, contributo C.A.P.) - pur in difetto di espressa menzione nel dispositivo (cfr. ex plurimis, Cass., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8512; Cass., sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23053; Cass., sez. I, 2 luglio 2003, n. 10416).

Con l'ultimo motivo si denunzia la violazione degli artt. 1277 e 1283 c.c. nel riconoscimento dell'anatocismo sugli interessi scaduti.

Il motivo è infondato.

Premesso che l'assegno di mantenimento in favore del coniuge integra un credito pecuniario, come tale produttivo, a norma dell'art. 1282 c.c., di interessi corrispettivi ope legis, salvo diversa previsione del titolo, dalla data in cui diventi liquido ed esigibile (Cass., sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3336; Cass., sez. I, 9 agosto 1985, n. 4411), si osserva che, una volta determinato, esso è soggetto alle regole ordinarie in tema di mora debendi; inclusa, quindi, la produzione di interessi legali sugli interessi scaduti dal giorno della domanda giudiziale: e cioè, nella specie, dalla notificazione del precetto di pagamento, atto di natura giuridica e contenuto equivalenti ad un'ordinaria domanda di condanna.

La liquidazione giudiziale di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, determina infatti la conversione del debito di valore in debito di valuta, con il riconoscimento, da tale data, degli interessi corrispettivi (Cass., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8507; Cass., sez. III, 8 marzo 2005, n. 5008).

In considerazione della soccombenza largamente prevalente, il S. dev'essere condannato alla rifusione di 2/3 delle spese già liquidate nel grado d'appello, nonché di 2/3 delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate; compensata la residua frazione.

P.Q.M.

Accoglie il settimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, accoglie l'opposizione al precetto limitatamente alla voce "corrispondenza informativa"; compensa per un terzo le spese del grado d'appello già liquidate, nonché quelle del giudizio di cassazione e condanna il S. alla rifusione dei residui 2/3 del giudizio di cassazione, frazione liquidata in complessivi Euro 540,00, di cui Euro 400,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

P. Gallo

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