Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 26 gennaio 2015, n. 1349

Presidente: Di Palma - Estensore: Acierno

FATTO E DIRITTO

[omissis], in qualità di madre dei minori [omissis], chiedeva al Tribunale di Pistoia un provvedimento limitativo od ablativo della responsabilità genitoriale del padre [omissis].

Il Tribunale declinava la propria competenza indicando nella Corte d'Appello il giudice competente sulla base delle seguenti considerazioni.

Il ricorso relativo alla misura limitativa od ablatoria della responsabilità genitoriale era stato depositato il 24 giugno 2013. In tale data era pendente il giudizio di separazione tra le parti. Ai sensi del novellato art. 38 c.c. in tale peculiare fattispecie, la competenza è del giudice ordinario. Nella specie tale giudice non poteva che essere la Corte d'Appello, dal momento che la sentenza di separazione era stata già pronunciata ed il 28 giugno 2013 risultava già impugnata la pronuncia di primo grado.

A seguito di tale declinatoria la [omissis] riassumeva il giudizio davanti alla Corte d'Appello di Firenze. Si costituiva [omissis], eccependo l'inammissibilità del ricorso e resistendo nel merito.

La Corte d'appello ha svolto le seguenti considerazioni:

- nella specie non sussiste la competenza del Tribunale per i minorenni, essendo pendente il giudizio separativo.

- Il giudice competente deve però individuarsi nel Tribunale in quanto il novellato art. 38 disp. att. c.c. non istituisce una fattispecie di litispendenza o continenza di cause che imponga il simultaneus processus dinanzi al giudice preventivamente adito, ma nel concorso tra giudice specializzato e giudice ordinario regola la competenza. La modifica dei criteri di competenza ha natura funzionale con la conseguenza che il giudice competente deve individuarsi secondo i criteri generali che disciplinano la competenza per gradi.

- Il regolamento d'ufficio deve ritenersi ammissibile, in quanto la natura non definitiva dei provvedimenti cd. de potestate, preclude l'accesso al regolamento di competenza solo se quest'ultimo sia stato proposto dalle parti, non se richiesto d'ufficio.

- Il P.M. ha depositato requisitoria scritta nella quale rileva l'inammissibilità del proposto regolamento d'ufficio per difetto di decisorietà del provvedimento da adottare.

- Deve essere preliminarmente affrontata la questione relativa all'ammissibilità del proposto regolamento d'ufficio.

- Al riguardo si devono svolgere due considerazioni. La prima ha ad oggetto l'esame puntuale dei precedenti relativi a fattispecie analoghe affrontate da questa Corte. La seconda riguarda la necessità di verificare se la qualificazione giuridica comunemente indicata da questa Corte in ordine ai provvedimenti cd. de potestate, al fine di escluderne la ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost. (tra i più recenti Cass. 15341 del 2012) sia integralmente trasponibile nel nuovo quadro normativo dettato dalla modificazione dell'art. 38 disp. att. c.c.

- Quanto al primo profilo deve osservarsi che il regolamento d'ufficio, in quanto rivolto a risolvere un conflitto di competenza tra due uffici giudiziari e, conseguentemente, a non privare le parti di un organo giurisdizionale presso il quale esercitare il diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio a tutela dei propri diritti (art. 24 Cost.) non può essere limitato dalla natura del provvedimento sul quale si concentri una doppia declinatoria d'incompetenza. Peraltro, in una pronuncia molto recente (Cass. 11463 del 2013) questa Corte ha limitato l'inammissibilità al regolamento di competenza azionato dalle parti, sottolineando ulteriormente che si deve trattare, anche in questa ipotesi, di provvedimenti privi del carattere della decisorietà oltre che della definitività (la fattispecie aveva ad oggetto un provvedimento di disciplina nel dettaglio del diritto di visita emesso dal giudice tutelare) così come affermato anche dalle S.U. nella pronuncia n. 16568 del 2003.

- Non può, di conseguenza, non sottolinearsi che il perimetro dell'inammissibilità dello strumento del regolamento di competenza, anche ad istanza di parte, deve essere ancorato in modo rigoroso alla natura non decisoria e non definitiva del provvedimento richiesto al giudice, con una valutazione che tenga conto della sua effettiva incidenza nella sfera dei diritti dei destinatari della statuizione giudiziale.

- Nell'ambito dei conflitti che scaturiscono dalle relazioni familiari e dai rapporti filiali l'esame, come già sottolineato da Cass. 15341 del 2012, deve essere condotto alla stregua della ricerca della più ampia garanzia dei diritti in conflitto, e del rilievo pubblicistico preminente dei diritti del minore, ponendo in correlazione il regime di stabilità/modificabilità di ciascun provvedimento giudiziale con il concreto contenuto decisorio di ciascuno di essi.

- Ritenuto, in conclusione, ammissibile il regolamento d'ufficio prospettato, deve osservarsi che la soluzione del presente conflitto negativo di competenza, pur riguardando due organi della giurisdizione ordinaria (Tribunale e Corte d'Appello) senza investire il Tribunale per i minorenni, impone comunque l'esame della questione interpretativa più complessa posta dalla nuova formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., consistente nella esatta demarcazione della sfera di competenza del tribunale per i minorenni e del tribunale ordinario in ordine all'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, dal momento che, nella fattispecie, l'azione proposta in pendenza dell'impugnazione della sentenza di separazione ha ad oggetto la decadenza e la limitazione della responsabilità genitoriale.

- I provvedimenti limitativi ed ablativi della potestà costituiscono una categoria di confine nella suddivisione tra provvedimenti decisori in ordine ai quali il ricorso per cassazione è ammissibile e quelli per i quali è escluso. Il grado d'incisività e di concreto mutamento della sfera relazionale primaria delle persone, proprio di questi provvedimenti, è massimo. La sempre più frequente interrelazione delle misure cd. de potestate con i provvedimenti da assumere in tema di affidamento dei figli minori nei conflitti familiari è stata sottolineata da questa Corte, di recente con la pronuncia n. 20352 del 2011. In questa decisione, emessa nel vigore dell'art. 38 disp. att. c.c. previgente ma ritenuta in dottrina anticipatrice delle modifiche dei criteri di competenza contenute nella nuova formulazione della disposizione, è stato rilevato che l'art. 155 c.c. previgente (attualmente la materia è disciplinata nel Libro I, Titolo IX, Capo II dagli artt. 337-bis e ss. c.c.), prima e dopo la novella del 2006, consente al giudice della separazione di adottare provvedimenti incidenti sulla potestà, andando anche ultra petitum, avendo riguardo esclusivamente all'interesse morale e materiale della prole. In particolare è stato sottolineato che l'art. 6, comma 8, della l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni prevede espressamente che possa essere disposto in sede di divorzio l'affidamento a terzi così come l'art. 709-ter c.p.c. precisa che il giudice della separazione può emettere i provvedimenti opportuni (anche conformativi della responsabilità genitoriale) quando emergano gravi inadempienze od atti che arrechino pregiudizio al minore. Secondo questa linea interpretativa, la domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell'altro genitore e la richiesta di un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale svolta in pendenza di un conflitto familiare sono sostanzialmente indistinguibili. Nella interconnessione tra tali domande risiede la necessità che sia un unico giudice, il tribunale ordinario, a decidere per entrambi i profili. A sostegno della conclusione prescelta, come già osservato, nel vigore di criteri di riparto di competenze diversi dall'attuale, la Corte ha addotto il principio di concentrazione delle tutele, evidenziando che le soluzioni processuali devono essere ispirate a principi di coerenza logica e ancorate alla valutazione concreta del loro impatto operativo (Cass. n. 8362 del 2007).

Il principio sopra esposto è stato ribadito nella recente ordinanza n. 11412 del 2014 con riferimento all'affidamento al servizio sociale disposto dal giudice della separazione in assenza di domanda.

Alla luce dei principi sopraesposti può essere svolto l'esame dell'attuale formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., in quanto necessaria al fine di dirimere il conflitto di competenza posto all'esame della Corte.

La disposizione, unanimemente criticata per la sua oscurità testuale, stabilisce, al primo comma:

"Sono di competenza del Tribunale per il minorenni i provvedimenti contemplati negli artt. 84, 90, 30, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317-bis del codice civile".

All'interno di gravi incertezze interpretative che hanno dato già luogo a numerose pronunce non sempre conformi tra i giudici di merito in ordine all'esatto perimetro della competenza del giudice specializzato e di quello ordinario (Trib. per i minorenni di Brescia, decreto 1° agosto 2014 [...], afferma la competenza del giudice specializzato nelle azioni ex art. 330 c.c.; id. Trib. Milano, sentenza 4 dicembre 2013 [...]) possono enuclearsi alcune prescrizioni chiare.

I procedimenti ex art. 333 c.c., diretti ad ottenere misure limitative della responsabilità genitoriale, sono di competenza del giudice non specializzato in pendenza del giudizio di separazione e "per tutta la durata del processo".

La pendenza per i procedimenti che s'instaurano con ricorso si determina dal deposito dell'atto con il quale s'instaura il giudizio. Tale modello introduttivo di procedimento si applica anche ai procedimenti riguardanti figli nati fuori del matrimonio e alle azioni limitative o di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 38, terzo comma, disp. att. c.c.

La locuzione "per tutta la durata del processo" sta ad indicare un continuum che non si interrompe nelle fasi di quiescenza (in particolare, in pendenza dei termini per l'impugnazione), ma esclusivamente con il passaggio in giudicato. Risulta, pertanto, contrastante con essa un'interpretazione che scomponga il processo in fasi o in gradi e che, conseguentemente, possa condurre a ritenere la competenza del tribunale per i minorenni nelle predette fasi di quiescenza del processo, non soltanto dovute alla pendenza dei termini per l'impugnazione ma anche dettate dall'insorgenza di cause interruttive, provvedimenti ex art. 295 c.p.c. etc.

Rimane invece controversa la competenza nelle azioni di decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.) in pendenza di un giudizio relativo ad un conflitto familiare, promosse in via esclusiva od unitamente alla richiesta, anche in via subordinata, di provvedimenti limitativi della medesima responsabilità.

I dubbi interpretativi derivano dalla formulazione della norma. Dopo la chiara definizione, in apertura della disposizione, delle controversie di competenza, in via generale, del tribunale per i minorenni, vi è la prescrizione, in deroga, della esclusione della competenza del giudice specializzato, in pendenza di giudizi relativi ai conflitti familiari, limitatamente ai procedimenti ex art. 333 c.c.

Al fine di definire più dettagliatamente l'ambito di applicazione della deroga la norma stabilisce che "in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza anche per i provvedimenti contemplati nelle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario". Questo è il segmento normativo di più complessa decodificazione. Già la locuzione "in tale ipotesi" contiene un richiamo biunivoco, potendo riferirsi sia alla pendenza del giudizio sul conflitto familiare sia alle controversie ex art. 333 c.c. La maggiore criticità interpretativa è però derivante dall'espressione "nelle disposizioni richiamate nel primo periodo", in quanto essa può essere riferita sia al "primo periodo" della norma, al suo incipit generale, così contenendo anche l'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.) sia al primo periodo della seconda parte della disposizione, contenente la deroga, limitatamente all'azione ex art. 333 c.c. alla competenza del tribunale per i minorenni.

Sulla base di questa oggettiva difficoltà ermeneutica si sono sviluppati due orientamenti sostanzialmente contrapposti. Il primo, fondato sulla peculiarità dell'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale soprattutto in ordine alla legittimazione ed ai poteri del p.m. presso il tribunale per i minorenni, limita la deroga alla competenza del giudice specializzato all'azione ex art. 333 c.c., sottolineandone l'intrinseca omogeneità di contenuto con i provvedimenti in tema di affidamento dei figli minori e sostenendo sul piano dell'interpretazione testuale che il giudizio ex art. 330 c.c. può non pendere tra le stesse parti del giudizio sul conflitto familiare.

La seconda opzione interpretativa ritiene invece superabile la non coincidenza delle parti del giudizio ex art. 330 c.c. e quello relativo al conflitto familiare, potendo essere coinvolto nell'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, anche in funzione di promozione dell'azione, il p.m. presso il tribunale e, soprattutto, si fonda sull'interpretazione testuale della parte della disposizione, sopra illustrata, che si apre con "in tale ipotesi".

Si ritiene, tuttavia, che la norma debba essere esaminata nel suo complesso, partendo dalla formulazione testuale senza procedere ad una suddivisione atomistica di ciascuna parte o locuzione al fine di farne emergere soltanto le incoerenze, pur se riscontrabili.

La principale chiave interpretativa deve trarsi proprio dalla necessità di attuare il principio di concentrazione delle tutele, così come espressamente affermato dalla pronuncia sopra esaminata n. 20352 del 2011. La Corte, avendo rilevato quanto fosse frequente che per un'identica situazione conflittuale potessero essere aditi due organi giudiziari diversi e potessero essere assunte decisioni tra di loro contrastanti ed incompatibili, tutte temporalmente efficaci ed attuabili, ha ritenuto, in considerazione della preminenza del diritto del minore a poter condurre la propria esistenza sulla base di provvedimenti giudiziali non equivoci e fondati su un unico accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, di superare le suddivisioni di competenza stabilite astrattamente nell'art. 38 disp. att. c.c. previgente e di assegnare al giudice del conflitto familiare anche le richieste di limitazione della responsabilità genitoriale.

Si delinea, pertanto, alla luce delle considerazioni sopra svolte, una diversificazione di situazioni nelle quali possono essere assunti provvedimenti riguardanti la limitazione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Da un lato, devono evidenziarsi le situazioni di criticità segnalate (art. 9 l. n. 184 del 1983) o rilevate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che possono determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure minori quali l'affido etero-familiare (artt. 2-5 l. n. 184 del 1983). L'accertamento di questa tipologia di situazioni può determinare l'avvio di procedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, non dettati da un conflitto genitoriale e saldamente ancorati alla competenza del giudice specializzato.

Dall'altro, all'interno delle controversie relative all'affidamento dei figli minori possono sorgere situazioni che richiedono, a domanda di parte o d'ufficio, l'adozione di provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale. La competenza del giudice ordinario è limitata a questa seconda categoria di situazioni, nelle quali la partecipazione e l'incidenza del potere d'impulso e partecipazione del pubblico ministero è inferiore a quella rilevata nella prima ipotesi e comunque non ostativa al radicamento della competenza presso il tribunale ordinario (la locuzione utilizzata dal legislatore è quella impropria di "giudice ordinario").

Non si ritiene, di conseguenza, che possa astrattamente escludersi la competenza del giudice ordinario nelle azioni relative alla decadenza o alla limitazione della responsabilità genitoriale solo perché non s'integra il requisito delle "stesse parti". È sufficiente che nel giudizio sull'affidamento e nell'azione ex art. 330 e/o 333 c.c. siano parti i genitori non che debba escludersi la partecipazione del pubblico ministero anche come organo d'impulso del procedimento anche quando tale impulso provenga dall'ufficio del p.m. presso il tribunale per i minorenni, potendo gli uffici del p.m. porre in atto meccanismi di raccordo e trasmissione degli atti del tutto legittimi. La questione cruciale riguarda l'incidenza di queste azioni sul giudizio relativo all'affidamento già pendente. Il nesso è diretto ed inequivoco: il regime dell'affidamento del figlio minore risulterà fortemente condizionato dall'adozione di misure volte a escludere o limitare la responsabilità genitoriale. L'applicazione del principio della concentrazione delle tutele ha, di conseguenza, anche l'effetto di evitare la proposizione di azioni "di disturbo" volte a paralizzare l'efficacia di statuizioni non gradite, puntando sulla mancata conoscenza completa della situazione di conflitto genitoriale o sull'allegazione di fatti diversi.

Deve, inoltre, osservarsi come nella specie, nella predominante maggioranza dei casi, le parti chiedano sia la misura maggiore della decadenza dalla responsabilità genitoriale che quella minore volta alla limitazione della medesima. La proposizione delle due domande impone il simultaneus processus presso il giudice del conflitto genitoriale, ostando alla ratio ispiratrice della norma di modifica della competenza la scissione tra di esse e l'attribuzione dell'una (art. 330 c.c.) al giudice specializzato e l'altra (art. 333 c.c.) al giudice ordinario. A tale ultimo riguardo deve osservarsi che il potere officioso del giudice con riferimento ai provvedimenti da assumere nel preminente interesse del minori può senz'altro condurre all'adozione di una misura limitativa della responsabilità genitoriale (art. 333 c.c.) anche ove sia stata richiesta soltanto la decadenza. Tale potere-dovere, espressamente previsto come misura interinale ex art. 330, secondo comma, c.c., può anche essere confermato nella decisione finale, così come non può ravvisarsi mutatio libelli nell'ipotesi in cui, proposta la domanda come rivolta esclusivamente alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, la parte richieda nella definizione del thema decidendi anche l'adozione di misure conformative minori della responsabilità genitoriale.

Dovendosi calare i principi esposti nel concreto conflitto negativo di competenza rimesso all'esame del Collegio deve rilevarsi:

- la pendenza indiscussa del giudizio di separazione, operando, come già rilevato, tale condizione "per tutta la durata del processo" senza soluzione di continuità, anche quando sono in corso i termini per l'impugnazione, e pur se il gravame non sia stato ancora proposto;

- la ricomprensione nella competenza del giudice ordinario dell'azione volta a richiedere un "provvedimento limitativo od ablatorio della potestà" (terza riga dell'ordinanza della Corte d'Appello di Firenze) proposta da una delle parti del giudizio pendente relativo alla separazione personale delle parti;

- la competenza del tribunale ordinario nelle condizioni sopraindicate in tutte le ipotesi di proposizioni di domande nelle quali si richiedono sia provvedimenti ex art. 330 che ex art. 333 c.c., ovvero domande connesse soggettivamente ed oggettivamente.

Per quanto riguarda, infine, l'individuazione del giudice competente tra Tribunale di Pistoia e Corte d'Appello di Firenze, quest'ultima investita dell'impugnazione della sentenza di separazione anche in ordine alle statuizioni riguardanti l'affidamento dei figli minori, deve rilevarsi che l'art. 38 disp. att. c.c. contiene indici normativi non univoci. Per un verso, il citato articolo si pone come una norma che stabilisce regole generali e deroghe in ordine a criteri di competenza funzionale. In questo senso depone sia l'incipit contenente l'affermazione dei principi generali in tema di riparto di competenze, sia la definizione del perimetro della deroga, contenuta nella prima parte del secondo periodo ("resta esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni"). Inoltre vi è l'ulteriore riferimento testuale al "giudice ordinario", nella seconda parte del secondo periodo. Infine, in via sistematica, soccorre il principio generale del secondo comma secondo il quale in mancanza di una chiara indicazione dell'autorità giudiziaria competente opera la clausola di chiusura della competenza residuale del tribunale ordinario. Per altro verso, l'ancoraggio anche temporale della competenza del "giudice ordinario" (così nell'art. 38 disp. att. c.c.) esclusivamente alla durata del processo ed il principio di concentrazione delle tutele ad esso sotteso, inducono a configurare piuttosto che un criterio nuovo di demarcazione delle competenze, una vis attractiva predeterminata ex lege, dettata da una connessione oggettiva e soggettiva e legata ad un'esigenza di effettività ed uniformità della tutela giudiziale, realizzabile soltanto mediante la devoluzione delle controversie ad un unico giudice, quale che sia il grado della controversia, in modo che il quadro fattuale sul quale sono assunti i provvedimenti in tema di affidamento di minori sia il medesimo per i provvedimenti ex art. 330 e 333 c.c. A questa soluzione non osta il salto di un grado, peraltro privo di copertura costituzionale, o la diversa natura dei giudizi di primo e secondo grado. Deve osservarsi, al riguardo, che i giudizi in questione sono sottoposti ex art. 38 disp. att. c.c. al rito camerale ("il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il p.m.") ovvero ad un rito all'interno del quale non operano le preclusioni del rito ordinario (Cass. 14022 del 2000), potendo essere allegati in ogni tempo nuovi fatti e dedotte nuove prove.

Peraltro, deve essere sottolineato che per le domande ex art. 330 e 333 c.c. la Corte d'Appello opererebbe, nella specie, come giudice di unico grado senza neanche le modeste limitazioni della cognizione connesse ai reclami camerali. Ma, a parte le considerazioni relative al modello processuale, deve rilevarsi che è l'oggetto dell'accertamento giudiziale, in quanto relativo ai minori, che non tollera limitazioni nei poteri di allegazione e deduzione istruttoria delle parti, ed anzi si caratterizza per la correlata sussistenza di incisivi poteri istruttori officiosi, anche d'indagine ed acquisizione dati ed informazioni da altre pubbliche autorità, del giudice.

Il giudice competente deve, pertanto, essere individuato nella Corte d'Appello di Firenze alla luce dei seguenti principi di diritto:

"L'art. 38 disp. att. c.c. così come modificato ex art. 3 l. n. 219 del 2012, attribuisce al Tribunale per i minorenni la competenza, in via generale, per i provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c.

"L'art. 38, primo comma, primo periodo, disp. att. c.c. - nel testo sostituito dall'art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013 (art. 4, comma 1, della stessa legge 219 del 2012), come nella specie - attribuisce tra l'altro, in via generale, al tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli artt. 330 e 333 c.c. In deroga a tale attribuzione di competenza, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c., anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato, la competenza in ordine alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva) deve attribuirsi al giudice del conflitto familiare (Tribunale ordinario e Corte d'Appello). L'identità delle parti dei due giudizi non è esclusa dalla partecipazione del p.m. Ne consegue che nel caso, quale quello di specie, in cui - successivamente all'instaurazione di un giudizio di separazione o di divorzio, o del giudizio di cui all'art. 316 c.c. - siano state proposte azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale quando sia pendente il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello avverso la decisione di primo grado, la competenza a conoscere tali azioni è attribuita alla corte d'appello in composizione ordinaria".

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza della Corte d'Appello di Firenze.