Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 1° giugno 2015, n. 11291

Presidente: Roselli - Estensore: Cappabianca

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decisione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura depositata il 30 luglio 2014, il dott. A.G. - allora giudice presso il Tribunale di Belluno e la relativa Sezione distaccata di Pieve di Cadore - è stato ritenuto responsabile dell'illecito disciplinare previsto dagli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. q), d.lgs. 109/2006, per esser incorso in ritardi reiterati, gravi e ingiustificati nel compimento di atti del proprio ufficio. In particolare, per aver depositato oltre il termine prescritto: 2 sentenze civili monocratiche, con ritardo di oltre 3.300 giorni ciascuna; 114 sentenze in qualità di Gip/Gup, delle quali 71 con ritardo oltre l'anno e punte massime di oltre 1.100 giorni; 151 sentenze monocratiche penali, delle quali 125 con ritardo oltre l'anno e punte massime di oltre 1.190 giorni; 10 sentenze monocratiche penali, tutte con ritardi oltre l'anno e con punte massime di oltre 1.180 giorni.

Al ricorrente - già in precedenza disciplinarmente sanzionato con le sentenze 68/2003 e 14/2008 della Sezione - è stata, conseguentemente, inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per mesi sei.

Avverso la decisione, il dott. G., rinnovando argomentazioni difensive già svolte nel giudizio di merito, ha personalmente proposto ricorso per cassazione, in quattro motivi.

Gli intimati Ministero della Giustizia e Procuratore generale presso la Corte di Cassazione non hanno svolto attività difensiva.

Difensore successivamente nominato ha depositato, nell'interesse del ricorrente, memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente censura la decisione impugnata per non aver ritenuto non manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 d.lgs. 109/2006, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 Cost., nella parte in cui la disposizione non prevede criteri legali di valutazione per determinare, tra le sanzioni astrattamente previste per lo stesso illecito disciplinare, quella commisurata alla gravità del caso concreto, lasciando, così, ampi spazi di discrezionalità.

La doglianza va disattesa, a tacer d'altro, perché la dedotta questione di legittimità costituzionale si rivela, in questa sede, irrilevante e, dunque, inammissibile, posto che la Sezione disciplinare ha, dichiaratamente, parametrato la sanzione in concreto applicata, in funzione di criteri legali e, segnatamente, di quelli mutuati dall'art. 133 c.p.c. [recte: c.p. - n.d.r.]

Con il secondo mezzo - denunziando violazione di legge nella prospettiva di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p. - il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione della preclusione da giudicato, assumendo che alcune delle condotte sanzionate sarebbero state oggetto di contestazioni già delibate in anteriori definiti giudizi.

La doglianza è inammissibile per assoluta carenza di specificità.

Il motivo di ricorso è, infatti, privo, non solo di qualsiasi descrizione, ma anche della benché minima indicazione identificativa in merito alle specifiche condotte (peraltro di numero consistentemente limitato rispetto all'entità complessiva dell'incolpazione delibata), che si assumono in parte ricomprese in contestazioni oggetto di precedenti definiti giudizi. Ne consegue che la censura delle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, non offrendo il benché minimo dato di oggettivo riferimento, si rivela, per il profilo considerato, insuscettibile di ogni possibilità di oggettiva verifica e non supportata da riscontrabile valutazione critico-argomentativa (cfr. Cass. pen. 11951/2014, 28011/2013).

Con il terzo motivo, il ricorrente censura la decisione impugnata, per vizio di motivazione nella prospettiva di cui art. 606, lett. e), c.p.p., in rapporto alla propria deduzione, secondo cui molti dei ritardi oggetto del giudizio costituivano "la conseguenza diretta di quelli che formarono oggetto del procedimento disciplinare a suo tempo celebratosi e conclusosi con sentenza disciplinare n. 14/2008 pronunciata il 22 febbraio 2008, divenuta definitiva", nel senso (dispiegato nel ricorso in rassegna) che "i ritardi accu[mu]lati in precedenza e oggetto del precedente procedimento disciplinare hanno impedito o quantomeno fortemente ostacolato lo smaltimento di quelli formatisi successivamente".

La doglianza è inammissibile, posto che l'assunto che il ricorrente lamenta non valutato dal giudice disciplinare si rivela, nel tenore ribadito nel ricorso per cassazione, del tutto irrilevante, posto che l'esigenza di smaltimento di ritardi oggetto di precedente giudizio, non elide in alcun modo l'antigiuridicità di ritardi successivi; così come, del resto, sembra venir indicato nel seppur stringato brano di motivazione della sentenza del giudice disciplinare riportato in ricorso.

Con il quarto motivo, il ricorrente censura la decisione impugnata, per vizio di motivazione nella prospettiva di cui art. 606, lett. e), c.p.p., in riferimento alla determinazione della sanzione irrogata.

Il mezzo è infondato.

In proposito, va premesso che, in tema di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, la valutazione della gravità dell'illecito - anche in ordine al riflesso del fatto oggetto dell'incolpazione sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell'istituzione - e la determinazione della sanzione adeguata rientrano negli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici (23677/2014, 8615/2009).

Ciò posto, va osservato che, come del resto correttamente riportato in ricorso, la modulazione della sanzione risulta esser stata operata dalla Sezione disciplinare, senza incoerenze e vizi logico-giuridici, in funzione dei precedenti disciplinari del ricorrente, del suo comportamento successivo alla contestazione e dei criteri desumibili dall'art. 133 c.p.c. [recte: c.p. - n.d.r.]

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso.

Non vi è luogo a provvedimento sulle spese del giudizio di cassazione in difetto di attività di resistenza delle parti intimate.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.