Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 4 giugno 2015, n. 11564

Presidente: Rordorf - Estensore: Lamorgese

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con citazione notificata il 18 gennaio 2007, cinquantadue esercenti l'attività di commercio all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli presso il Centro Agroalimentare di Roma-Guidonia (d'ora in avanti "Centro") esponevano che la CARGEST s.r.l. - che lo gestiva in via esclusiva, sulla base di una convenzione stipulata con la società proprietaria - abusava della propria posizione dominante, imponendo ai grossisti un assetto contrattuale vessatorio, discriminatorio e lesivo dei principi della concorrenza, in violazione dell'art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287; che la CARGEST era l'unico soggetto titolato a concedere in locazione i box ai grossisti agroalimentari della città di Roma, ai quali era imposto di sottoscrivere i relativi contratti e di rispettare i regolamenti allegati che disciplinavano dettagliatamente le modalità di accesso e di funzionamento del Centro; che la CARGEST operava in un "mercato rilevante", alla luce dei parametri comunitari della sostituibilità della domanda e dell'offerta e della concorrenza potenziale, sia dal punto di vista del prodotto, in considerazione dei servizi offerti per la gestione del complesso ospitante i mercati ortofrutticolo ed ittico all'ingrosso di Roma, sia dal punto di vista geografico, in ragione dell'estensione coincidente con il territorio urbano della città di Roma e delle zone limitrofe; che il mercato generale ortofrutticolo più prossimo a Roma, quello di Fondi, non soddisfaceva il requisito della sostituibilità, a causa dei costi di trasporto e dell'esistenza di ostacoli all'entrata. Quindi chiedevano di dichiarare la nullità delle clausole contrattuali e dei regolamenti allegati ai contratti di locazione, a norma dell'art. 3 della legge n. 287/1990.

2. Nel contraddittorio con la CARGEST, la Corte d'appello di Roma, con sentenza 8 marzo 2010, ha rigettato la domanda. La Corte ha ritenuto l'inesistenza di un ambito di "mercato rilevante", non ritenendo sufficiente a tal fine il riferimento ai contratti di locazione (e agli allegati regolamenti) conclusi con l'ente gestore del Centro; in mancanza di un confronto con altri centri agroalimentari raggiungibili da Guidonia (come quello di Fondi) con riguardo alle differenti condizioni ivi praticate, non era possibile valutare la sostituibilità del servizio e, quindi, il lamentato abuso di posizione dominante.

3. Gli attori propongono ricorso per cassazione sulla base di un articolato motivo, cui si oppone la CARGEST.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo i ricorrenti, a sostegno della denuncia di violazione dell'art. 3 della legge n. 287/1990 e vizio di motivazione, osservano che nell'originario atto di citazione essi avevano dettagliatamente evidenziato che la CARGEST operava, dal punto di vista del prodotto, nel mercato della "gestione del complesso ospitante i mercati ortofrutticolo ed ittico all'ingrosso di Roma", che aveva un'estensione geografica coincidente con il territorio urbano della città di Roma; avevano anche evidenziato che la CARGEST gestiva in via esclusiva il Centro che rappresentava l'unico mercato generale all'ingrosso esistente a Roma e aveva assunto una posizione dominante, se non di monopolista, di cui abusava, avendo il potere non solo di concedere i box in locazione ai grossisti agroalimentari, ma di stabilire le regole di accesso e di svolgimento dell'attività commerciale; inoltre, il mercato generale più prossimo a Roma, come quello di Fondi, non rispondeva ai loro bisogni, tenuto conto dell'incidenza dei costi di trasporto e dell'esistenza di ostacoli all'entrata.

2. Preliminarmente, dev'essere esaminata l'eccezione sollevata dalla CARGEST, la quale ha sostenuto di essere sottratta all'applicazione della normativa antitrust, a norma dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 287/1990, svolgendo essa un compito di interesse pubblico, in forza dell'art. 27-bis della legge regionale 7 dicembre 1984, n. 74, che riserva la gestione del Centro agroalimentare di Guidonia alla società costruttrice del mercato o ad un unico ente sulla base di una convenzione approvata dalla Giunta regionale.

L'eccezione è infondata. L'art. 8, secondo comma, della legge n. 287 del 1990 introduce una deroga al principio generale della piena applicazione delle norme a tutela della concorrenza alle imprese pubbliche e private, che è riferibile alle sole imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale, ovvero operano in regime di monopolio legale, ma limitatamente a quanto "strettamente necessario" per la missione affidata, senza che siffatta condizione possa diventare un alibi per condotte anticoncorrenziali che vadano oltre la "stretta necessità". Pertanto, come chiarito dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 3683/2009; C.d.S., sez. VI, n. 3013/2011), la circostanza che l'impresa eserciti la gestione di servizi di interesse generale non è di per sé sufficiente ai fini dell'esenzione dall'osservanza delle norme in materia antitrust, ed in particolare dell'art. 3, concernente l'abuso di posizione dominante, occorrendo altresì che il comportamento denunciato si ponga come "strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti affidati all'impresa"; con riguardo alla ricorrenza di un simile presupposto, grava sull'impresa l'onere di dimostrare - evidentemente non in sede di legittimità - gli elementi indicativi della necessità di porre in essere le condizioni contrattuali praticate, al fine di assolvere al suo compito nell'interesse economico generale, ovverosia che il comportamento attuato fosse l'unico possibile mezzo per il perseguimento della specifica missione istituzionale.

3. Il motivo è fondato per quanto di ragione.

3.1. È necessaria una duplice premessa.

La prima è che la Corte d'appello ha correttamente rilevato la necessità di verificare l'esistenza di un "mercato rilevante" "sia sotto il profilo del prodotto che sotto il profilo geografico", e cioè, secondo una definizione della Commissione europea, l'ambito nel quale le imprese sono in concorrenza tra loro: in questa prospettiva "la definizione del mercato consente, tra l'altro, di calcolare quote di mercato che forniscano informazioni significative sul potere di mercato, e quindi utili ai fini di stabilire se esista o si prospetti una posizione dominante..." (v. Commissione europea, in Gazz. Uff. C-372 del 9 dicembre 1997). È questo un principio dell'ordinamento dell'Unione europea che informa l'interpretazione delle norme nazionali in materia di concorrenza (v. art. 1, quarto comma, della legge n. 287/1990), già applicato dalla giurisprudenza amministrativa la quale ha da tempo rilevato che nella fattispecie di "abuso di posizione dominante" la perimetrazione del "mercato rilevante" rappresenta un prius logico e pratico, un presupposto essenziale dell'illecito in relazione al quale la condotta considerata può assumere i tratti dell'"abuso di posizione dominante" (v. C.d.S., sez. VI, n. 1673 e 2837 del 2014). Inoltre, come rilevato nella sentenza impugnata (che ha richiamato Cass. n. 3638/2009), la nozione di mercato rilevante implica l'analisi della sostituibilità sul versante della domanda (ed eventualmente dell'offerta), in presenza di beni e servizi "intercambiabili o sostituibili dal consumatore", in ragione delle loro caratteristiche, dei loro prezzi, delle abitudini e tendenze dei consumatori, con riferimento ad una determinata area geografica che è quella nella quale "le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse" (v. Commissione europea del 1997 cit.).

La seconda premessa è che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l'applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di "mercato rilevante", come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, che è sindacabile in sede di legittimità per violazione di norme di legge (art. 360, n. 3, c.p.c.) nei limiti in cui la censura abbia ad oggetto l'operazione di "contestualizzazione" delle norme, all'esito di una valutazione giuridica complessa che adatta al caso specifico concetti giuridici indeterminati, quale il "mercato rilevante" e "l'abuso di posizione dominante" (v., sul fronte della giurisprudenza amministrativa, C.d.S., sez. VI, n. 1192/2012, n. 5171/2011).

3.2. È proprio tale contestualizzazione che, nella fattispecie concreta, è stata operata dai giudici di merito con aporie e lacune argomentative che si traducono in una falsa applicazione del parametro normativo indicato nella rubrica del motivo.

In particolare, la Corte d'appello ha escluso la possibilità di definire l'esistenza di un "mercato rilevante" dal punto di vista sia del prodotto e/o servizio sia geografico e, di conseguenza, la configurabilità già in astratto di una fattispecie di abuso di posizione dominante, ma non ha esplicitato il percorso argomentativo con chiarezza e linearità dal punto di vista logico.

Sembra che la Corte abbia inteso ricercare l'esistenza di una concorrenza tra i mercati generali agroalimentari, laddove ha riferito implicitamente l'area della sostituibilità del prodotto e/o del servizio al mercato generale agroalimentare di Guidonia, inteso come uno tra quelli esistenti, al fine di verificare la possibilità dei grossisti di accedere ad esso o ad altri mercati agroalimentari in condizioni di analoga fruibilità e intercambiabilità. Ciò si può desumere dal rilievo della Corte secondo cui sarebbe mancata la prospettazione da parte degli attori del "confronto con i centri agroalimentari (quale, ad esempio, quello di Fondi) raggiungibili da Guidonia" e, quindi, delle "eventuali differenti condizioni praticate in centri agroalimentari raggiungibili da quello di Guidonia", essendosi essi "limitati a rappresentare l'unico rapporto con il Centro di Guidonia". Da ciò la Corte ha tratto la conclusione che "almeno il centro agroalimentare di Fondi può essere ritenuto una zona contigua" (implicitamente) a quella di Guidonia, in tal modo contraddittoriamente ammettendo, in sostanza, l'esistenza di un'altra area di "mercato rilevante" comprendente il Centro agroalimentare di Guidonia (conclusione questa non smentita dal fatto, evidenziato dalla controricorrente, che quest'ultimo fosse anche un mercato ittico, a differenza del mercato generale di Fondi). Nella stessa prospettiva, inoltre, la Corte avrebbe dovuto spiegare per quali ragioni l'area di Fondi sia "distinta" da quella "contigua" di Guidonia e non sia possibile la compresenza di entrambe in un'unica area di mercato geograficamente rilevante; e, soprattutto, non si è avveduta del rischio di confondere il giudizio preliminare sulla sostituibilità (sul versante della domanda ma anche dell'offerta) con quello sull'esistenza del potere di mercato, ai fini della verifica in concreto dell'abuso integrante l'illecito concorrenziale, nell'area geografica di Guidonia, sia essa comprendente o no anche Fondi. La negativa decisione finale non è stata giustificata in modo razionale e intelligibile, essendo mancata una opportuna delimitazione del "mercato rilevante" in concreto, cioè in funzione della specifica ipotesi di abuso denunciata, nell'ambito di una valutazione che deve tenere conto delle relazioni tra i soggetti interessati e delle possibilità di reazione da parte di quelli cui si indirizza l'iniziativa economica contestata.

Una conferma dell'incertezza argomentativa del ragionamento svolto dai giudici di merito viene anche dall'ulteriore argomentazione secondo la quale sarebbe stata insufficiente l'allegazione dei contratti di locazioni e dei regolamenti per l'uso degli spazi nel mercato generale all'ingrosso di Roma-Guidonia, in quanto riferiti ai rapporti negoziali instaurati dalla CARGEST con i singoli esercenti l'attività di commercio "al di fuori di confronti e collegamenti attraverso i quali possa considerarsi, nel caso concreto, la sostituibilità del servizio". In tale prospettiva, che è divergente da quella precedentemente seguita, l'indagine sulla "sostituibilità" sembra essere stata riferita questa volta direttamente all'erogazione dei servizi inerenti la gestione del Centro di Guidonia per l'accesso e l'utilizzazione di quel determinato Centro, nella presumibile ricerca della concorrenza (tra le imprese operanti) nella gestione o erogazione dei servizi per l'accesso e l'utilizzazione di quel determinato Centro. E tuttavia, se è vero che la nozione di mercato geograficamente rilevante non significa che vi siano tanti mercati di riferimento quante sono le operazioni economiche avvenute, è anche vero che con essa deve intendersi "il più piccolo contesto (insieme di prodotti ed area geografica)" nel cui ambito sono possibili restrizioni consistenti nella concorrenza, tenuto conto delle esistenti possibilità di sostituzione (v. C.d.S., sez. VI, n. 2199/2002). E non può dubitarsi che l'esistenza di transazioni e negozi giuridici, specialmente se di contenuto discriminatorio, aventi ad oggetto la gestione di prodotti o servizi (come quelli inerenti alle condizioni di accesso e utilizzazione di un mercato generale agroalimentare), possa validamente indicare l'esistenza di un "mercato rilevante" in quel determinato settore.

È mancata, in definitiva, un'analisi complessiva dei due mercati ipotizzati (quello dei servizi inerenti la gestione del Centro e quello propriamente agroalimentare) in una prospettiva unitaria idonea a valorizzare il loro collegamento e il carattere strumentale del primo rispetto al secondo.

3.3. Inoltre, la sentenza impugnata ha ritenuto che sull'esistenza di un "mercato rilevante" fossero stati forniti solo "generici riferimenti" e che, quindi, in sostanza, gli attori non avessero assolto all'onere probatorio incombente su di essi. In tal modo, la Corte di merito, senza svolgere un'attività istruttoria, ha fatto meccanica applicazione del principio generale onus probandi incumbit ei qui dicit nell'ambito di una private antitrust litigation non preceduta da un accertamento o da una decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In giudizi di questo tipo (cd. stand alone), a differenza di quelli introdotti a seguito di un accertamento o di una decisione della medesima Autorità o della Commissione europea (cd. follow-on actions), sono particolarmente evidenti le difficoltà di allegazione e probatorie in cui versano i privati che agiscono in giudizio, a fronte di fatti complessi di natura economica (com'è quello del "mercato rilevante") che spesso si trovano nella sfera del soggetto che ha posto in essere il presunto illecito. La difficoltà è accentuata sia dagli alti costi necessari per l'acquisizione degli elementi indispensabili per il compimento di indagini tecnico-economiche che difficilmente sono alla portata dei singoli, sia dalla necessità di confrontarsi con elementi controfattuali da comparare con ciò che è avvenuto nella realtà (come rilevato da Cass. n. 6368/2000, nell'accertamento dell'abuso di posizione dominante il giudice deve andare alla ricerca della concorrenza "virtuale", ossia di quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo, definendo il mercato di riferimento, la sua estensione geografica, l'area di sostituibilità dei prodotti e dei servizi).

A differenza del cd. public enforcement, nel quale le Autorità amministrative nazionali a tutela della concorrenza dispongono di numerosi e penetranti poteri istruttori d'ufficio (v., tra gli altri, gli artt. 10, quarto comma, e 12 ss. della legge n. 287/1990) e anche del potere di agire in giudizio direttamente (art. 21-bis della medesima legge), invece nell'ambito del cd. private enforcement gli strumenti a disposizione del giudice sono quelli limitati forniti dal codice di rito.

Infatti, a titolo esemplificativo: la consulenza tecnica d'ufficio è ammessa anche per l'accertamento dei fatti risultanti da documenti non prodotti (cd. percipiente), ma pur sempre a condizione che la parte li abbia specificamente allegati e che si tratti di fatti accessori, non avendo il consulente un potere di accertare i fatti principali posti a fondamento di domande ed eccezioni il cui onere probatorio incombe sulle parti; l'ordine di esibizione di cui all'art. 210 c.p.c. è ammesso solo su istanza di parte e a condizione che sia specificamente individuato il documento o la cosa di cui si richiede l'esibizione e che vi sia prova che la parte o il terzo li possieda; la richiesta di informazioni di cui all'art. 213 c.p.c. riguarda soltanto gli atti e i documenti in possesso di una Pubblica amministrazione ed è intesa come non sostitutiva dell'onere probatorio incombente sulla parte, con la conseguenza che è ammessa soltanto in relazione a fatti specifici già allegati; l'ispezione (art. 118 c.p.c.) è ammessa limitatamente alle cose indispensabili per la conoscenza dei fatti di causa.

È necessario considerare che gli strumenti di contrasto degli illeciti concorrenziali sono presidiati da norme comunitarie (artt. 81 e 82 del Trattato istitutivo della Comunità europea, oggi artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione) che producono effetti diretti nei rapporti tra i privati ai quali attribuiscono diritti soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare (v. Corte giust. 18 marzo 1997, C-282/95), al pari delle Autorità amministrative nazionali. La posizione di centralità affidata a queste ultime nel garantire l'efficacia diretta del diritto antitrust mediante gli strumenti di public enforcement non esclude il dovere degli Stati membri di adottare rimedi efficaci di private enforcement e, quindi, anche di interpretare le norme interne processuali in senso orientato a quel fine. Il Reg. CE sulla concorrenza 16 dicembre 2002, n. 1/2003 ha esplicitato con chiarezza che (non solo le predette Autorità amministrative ma anche) "le giurisdizioni nazionali svolgono una funzione essenziale nell'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie. Esse tutelano i diritti soggettivi garantiti dal diritto comunitario nelle controversie fra privati, in particolare accordando risarcimenti alle parti danneggiate dalle infrazioni. Le giurisdizioni nazionali svolgono sotto questo aspetto un ruolo complementare rispetto a quello delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri" (considerando 7).

È in quest'ottica che vanno lette le norme comunitarie che prevedono, non solo, la cooperazione tra i giudici nazionali e le Autorità Antitrust (nazionali e comunitarie) mediante obblighi informativi reciproci, di richiesta e presentazione di osservazioni da parte delle predette Autorità (art. 15 del Reg. CE n. 1/2003 cit.), ma persino il divieto per il giudice nazionale di emettere decisioni in contrasto con quelle della Commissione (già "adottate" o "contemplate... in procedimenti avviati"), oltre alla possibilità di sospensione del giudizio civile (art. 16 Reg. cit.); il sesto comma dell'art. 140-bis del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) oggi prevede che il tribunale chiamato a pronunciarsi sull'ammissibilità dell'azione di classe possa sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti a un'autorità indipendente (qual è l'Autorità garante della concorrenza e del mercato).

Nella medesima direzione si colloca la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014, n. 104, la quale, contenendo norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno (e, si deve ritenere, anche di nullità contrattuale) ai sensi del diritto nazionale per le violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea, sviluppa una chiara linea di tendenza già presente nel Trattato, oltre che nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea per quanto concerne il valore di effettività della tutela giurisdizionale (art. 47).

La citata Direttiva ha affermato con chiarezza che "per garantire un'efficace applicazione a livello privatistico a norma del diritto civile e un'efficace applicazione a livello pubblicistico da parte delle autorità garanti della concorrenza, i due canali devono interagire in modo da assicurare la massima efficacia delle regole di concorrenza" (considerando 6); che "gli Stati membri provvedono affinché tutte le norme e procedure nazionali relative all'esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno siano concepite e applicate in modo da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto, conferito dall'Unione, al pieno risarcimento per il danno causato da una violazione del diritto della concorrenza" (art. 4); che le azioni civilistiche a fronte delle "violazioni del diritto della concorrenza dell'Unione o nazionale richiedono di norma una complessa analisi fattuale ed economica", che "gli elementi di prova necessari per comprovare la fondatezza di una domanda di risarcimento del danno sono spesso detenuti esclusivamente dalla controparte o da terzi e non sono sufficientemente noti o accessibili all'attore" e che "in tali circostanze, rigide disposizioni giuridiche che prevedano che gli attori debbano precisare dettagliatamente tutti i fatti relativi al proprio caso all'inizio di un'azione e presentare elementi di prova esattamente specificati possono impedire in maniera indebita l'esercizio efficace del diritto al risarcimento garantito dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione" (considerando 14).

La medesima Direttiva del 2014, per favorire l'utilità delle azioni dei privati danneggiati in caso di violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o un'associazione di imprese, ha previsto specifici meccanismi di disclosure della prova mediante ordini che i giudici nazionali possono emettere nei confronti del convenuto o di un terzo quando la violazione denunciata dall'attore sia "plausibile" (artt. 5 ss.); ha inoltre stabilito, sviluppando quanto già previsto dall'art. 16 del Reg. n. 1 del 2003 (limitatamente agli effetti delle decisioni della Commissione sui giudizi civili), che "gli Stati membri provvedono affinché una violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione definitiva di un'autorità nazionale garante della concorrenza o di un giudice sia ritenuta definitivamente accertata ai fini dell'azione per il risarcimento del danno proposta dinanzi ai loro giudici nazionali ai sensi dell'articolo 101 o 102 del Trattato o ai sensi del diritto nazionale della concorrenza" (art. 9).

3.3.1. Traendo le conclusioni, l'efficacia diretta delle norme (comunitarie e nazionali) a tutela della concorrenza è garantita mediante strumenti omogenei di public e private enforcement: nell'ambito di questi ultimi, "il diritto al risarcimento previsto dal diritto dell'Unione per i danni derivanti dalle violazioni del diritto della concorrenza dell'Unione e nazionale richiede che ciascun Stato membro disponga di norme procedurali che garantiscano l'effettivo esercizio di tale diritto. La necessità di mezzi di ricorso procedurali efficaci deriva anche dal diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, come previsto all'articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del Trattato sull'Unione europea e all'articolo 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea" (è il quarto considerando della Direttiva n. 104/2014).

In questo scenario il giudice è chiamato a rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in sede giurisdizionale in presenza di paventate violazioni del diritto della concorrenza (nelle ipotesi di cui agli artt. 2 ss. della legge n. 287 del 1990), tenuto conto dell'asimmetria informativa esistente tra le parti nell'accesso alla prova, anche mediante un'interpretazione delle norme processuali in senso funzionale all'obiettivo di una corretta attuazione del diritto della concorrenza. È un obiettivo che può essere perseguito valorizzando, in modo opportuno, gli strumenti di indagine e di conoscenza che le norme processuali già prevedono, mediante un'interpretazione estensiva delle condizioni stabilite dal codice di rito in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni (v. anche l'art. 15 del Reg. CE n. 1/2003) e, soprattutto, di consulenza tecnica d'ufficio, per l'esercizio, anche d'ufficio, dei poteri di indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata, nel rispetto del principio del contraddittorio e fermo restando l'onere della parte che agisce in giudizio (v. l'art. 2 del Reg. CE n. 1/2003) di indicare in modo sufficientemente "plausibile" seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale.

Questo metodo non è stato seguito dai giudici di merito, i quali, come detto (al par. 3.3), hanno deciso la causa applicando meccanicamente il principio dell'onere della prova, senza valutare l'opportunità di attivare i poteri istruttori anche d'ufficio e mostrando di non cogliere la specifica peculiarità della controversia.

4. Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma che, in diversa composizione, riesaminando il merito della causa, dovrà tenere conto dei rilievi formulati e fare applicazione dei principi enunciati.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.