Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 7 dicembre 2015, n. 5572

Presidente: Giaccardi - Estensore: Taormina

FATTO

Con la sentenza in epigrafe impugnata assunta il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Sede di Roma - ha respinto il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto da [omissis] volto ad ottenere l'annullamento (quanto al mezzo introduttivo):

del provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 2285 dell'11 luglio 2014, con il quale gli era stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno con applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio al Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, sede di Ancona;

della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 52 del 10 giugno 2014, avente ad oggetto l'irrogazione della sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno con applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio al Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, sede di Ancona;

delle deliberazioni adottate dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nelle sedute dell'11 aprile 2014, del 9 maggio 2014, del 23 maggio 2014 e del 6 giugno 2014 e, quanto ai motivi aggiunti, del d.P.R. dell'11 settembre 2014, con il quale il dott. Francesco Corsaro era stato assegnato, in qualità di Presidente, alla Terza Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma.

L'odierno appellante aveva altresì chiesto la reintegrazione in forma specifica o il risarcimento del danno subito a cagione della illegittimità dell'azione amministrativa spiegata.

In punto di fatto era accaduto che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in data 22 marzo 2013, aveva contestato all'originario ricorrente il seguente addebito disciplinare: "Il comportamento tenuto dal magistrato..., all'epoca presidente del T.A.R. Piemonte, denota una violazione dei doveri afferenti l'ufficio, con conseguente eventuale lesione dell'immagine pubblica del magistrato e di quella dell'intero ordine giudiziario amministrativo. Condotta che si identifica nell'aver tenuto contatti telefonici, risultanti dagli atti giudiziari acquisiti, con il Commissario straordinario dell'Opera Pia Lotteri... aventi ad oggetto la decisione di merito di un ricorso pendente presso il suddetto ufficio giudiziario (T.A.R. Piemonte), riguardante una gara pubblica per l'affidamento della gestione del suddetto Ente".

Con l'impugnata delibera n. 52 del 10 giugno 2014, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno, con applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio al Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, sede di Ancona.

Il provvedimento gravato, era stato adottato:

"accertato, anche sulla base di quanto riferito dall'interessato, che..., all'epoca presidente del T.A.R. Piemonte, ha intrattenuto ripetuti e confidenziali rapporti con il rappresentante legale di un ente pubblico, parte resistente in una controversia nello stesso periodo all'esame dello stesso Tar, riferendo informazioni sull'andamento della causa con contestuale riferimento a vicende private;

ritenuto che tale comportamento integri violazione dei doveri d'ufficio con particolare riferimento all'obbligo di riserbo e che, anche a causa dell'ampio risalto avuto sulla stampa, ciò abbia leso l'immagine del magistrato".

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con decreto in data 11 luglio 2014, vista la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, aveva al predetto irrogato "la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno, con applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio al Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, sede di Ancona, con decorrenza dalla data di perfezionamento del provvedimento".

L'odierno appellante era insorto, prospettando plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, e facendo presente che si era al cospetto di un "vuoto normativo" circa la normativa applicabile ai Magistrati Amministrativi.

Aveva altresì sollevato plurime questioni di incostituzionalità delle norme applicate, ed anche di contrasto di queste con la giurisprudenza della Corte Edu.

In sede cautelare, il petitum proposto dall'odierno appellante era stato respinto dal Tar con ordinanza 4 settembre 2014, n. 4015, "considerato che la normativa applicabile alla fattispecie oggetto d'esame è rinvenibile, ratione temporis, nel combinato disposto dell'articolo 32 della legge n. 186/1982, e degli artt. 59 del d.P.R. n. 916/1958, 28 e 29 del R.D. L.vo n. 511/1946;

considerato che appare, prima facie e sulla base della valutazione sommaria propria della presente fase cautelare, che, nella fattispecie, non ricorressero i presupposti per la sospensione necessaria del procedimento cautelare di cui all'ultimo comma del richiamato articolo 59 in considerazione della circostanza che i fatti specificatamente posti alla base del procedimento disciplinare non coincidono perfettamente con i fatti contestati in sede penale;

considerato, quanto al danno, che, nella comparazione degli interessi coinvolti, tenuto altresì conto della circostanza che risulta in atti che le funzioni presidenziali presso la sede di destinazione sono già state formalmente assunte, deve ritenersi la prevalenza dell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività giurisdizionale".

Questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 7 ottobre 2014, n. 4524, pronunciandosi sulla impugnazione cautelare proposta dall'odierno appellante, aveva accolto l'istanza cautelare in primo grado nei sensi espressi nella motivazione che di seguito si riporta "ritenuto che l'impugnata delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 52 del 10 giugno 2014 può presentare, a prima lettura, profili di perplessità, là dove rileva che i fatti che hanno portato all'apertura del procedimento disciplinare concluso con l'archiviazione sono a base della successiva richiesta di rinvio a giudizio "senza peraltro addurre fatti nuovi ulteriori";

malgrado la ritenuta coincidenza tra i fatti oggetto del giudizio penale e quelli su cui verte il procedimento disciplinare, la delibera stessa tuttavia non dispone - a norma dell'art. 59, ultimo comma, del d.P.R. n. 916 del 1958, nel testo introdotto dall'art. 12 della legge n. 1 del 1958, che il Tribunale regionale considera applicabile alla vicenda - la sospensione del procedimento disciplinare medesimo;

peraltro, dal punto di vista organizzativo, l'ufficio giudiziario cui era preposto l'appellante è stato nel frattempo ricoperto, mentre l'appellante stesso ha preso possesso della nuova sede assegnatagli;

pertanto, se, da una parte, la domanda cautelare appare meritevole di considerazione, occorre anche tenere conto dell'interesse pubblico a un regolare funzionamento dei diversi plessi della Giustizia Amministrativa; e ciò, anche alla luce dell'esigenza di approfondire nel merito la controversia, che mostra aspetti di particolare complessità, a partire dall'individuazione della stessa normativa di riferimento;

in definitiva, la domanda cautelare deve essere accolta con riguardo alla sanzione disciplinare della perdita di un anno di anzianità, che va quindi sospesa;

circa la sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio, l'interesse dell'appellante potrà trovare tutela, in un equilibrato contemperamento con l'interesse pubblico, mediante una sollecita definizione del giudizio nel merito da parte del T.A.R.".

Alla pubblica udienza del 18 marzo 2015 il Tar ha trattenuto il ricorso in decisione, e lo ha integralmente respinto, alla stregua delle seguenti argomentazioni.

Ha innanzitutto escluso la fondatezza dei dubbi prospettati da parte appellante, in ordine alla normativa applicabile alla fattispecie.

Ha in proposito osservato che l'art. 32 della l. n. 186 del 1982 - ordinamento della giurisdizione amministrativa - stabiliva che, "per quanto non diversamente disposto dalla stessa legge, si applicano ai magistrati amministrativi le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento".

La responsabilità disciplinare dei magistrati era (all'epoca in cui fu promulgata la l. n. 186 del 1982) disciplinata dall'art. 18 della legge sulle guarentigie della magistratura (r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511), secondo cui "il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari secondo le disposizioni degli articoli seguenti".

Era ben vero che l'art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 era stato abrogato dall'art. 31 del d.lgs. n. 109 del 2006, che aveva dettato la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità.

L'art. 30 del d.lgs. n. 109 del 2006, però, aveva disposto che il decreto predetto non si applicasse ai magistrati amministrativi e contabili.

Ad avviso del Tar, ne doveva discendere che il combinato disposto degli artt. 30 e 31 del d.lgs. n. 109 del 2006 implicasse che le disposizioni di cui alla legge sulle guarentigie dei magistrati del 1946 fossero state abrogate per i magistrati ordinari (ai quali soltanto si riferiva la nuova disciplina del 2006), ma non anche per i magistrati amministrativi.

Posto infatti che a questi ultimi non si applicava la disciplina successiva di cui al d.lgs. n. 109 del 2006, e ritenuta evenienza non ipotizzabile quella relativa alla assenza di una regolamentazione dei procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati amministrativi, doveva ritenersi che il rinvio contenuto nell'art. 32 l. n. 186 del 1982 (originariamente da qualificarsi come rinvio mobile alle norme dettate per i magistrati ordinari) doveva ora, per effetto dell'art. 30 d.lgs. n. 109 del 2006, considerarsi come un rinvio fisso alle norme di cui al r.d.lgs. n. 511 del 1946.

In sintesi: mentre le norme di cui al r.d.lgs. n. 511 del 1946 erano venute meno per i magistrati ordinari (nei cui confronti operavano le norme di cui al d.lgs. n 109 del 2006 esse continuavano ad applicarsi ai magistrati amministrativi cui, per espressa previsione di legge, non si applicava la normativa sopravvenuta di cui al d.lgs. n. 109 del 2006.

Doveva pertanto ritenersi che (fino all'emanazione di una nuova legge relativa ai procedimenti disciplinari avviati nei confronti dei magistrati amministrativi ovvero fino all'eventuale abrogazione o annullamento dell'art. 30 del d.lgs. n. 109 del 2006, con conseguente estensione ai magistrati amministrativi delle norme da tale decreto dettate per i magistrati ordinari) il corpus normativo applicabile ai Magistrati Amministrativi era quello costituito dagli artt. 18, 19 e 21 della legge sulle guarentigie della magistratura nonché per quanto concerne il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale, dall'art. 59 del d.P.R. n. 916 del 1958 (anch'esso abrogato per la magistratura ordinaria dall'art. 31 d.lgs. n. 109 del 2006).

Il Tar ha quindi escluso che si fosse al cospetto di alcuna violazione di legge, quanto alla normativa applicabile, in quanto i provvedimenti impugnati erano stati adottati in ragione delle norme di cui alla l. n. 186 del 1982, recante l'ordinamento della giurisdizione amministrativa, dell'art. 30 del d.lgs. n. 109 del 2006 e degli artt. 18, 19 e 21 del r.d. n. 511 del 1946.

Il primo giudice ha quindi scandagliato un secondo gruppo di censure, incentrate sulla illegittimità dei provvedimenti adottati a cagione della omessa sospensione necessaria del procedimento disciplinare per la pendenza di un procedimento penale.

Ha in proposito evidenziato che sul punto, la delibera del Consiglio di Presidenza n. 52 del 2014 così si era espressa: "Rilevato che gli stessi fatti hanno portato all'apertura di un procedimento penale nei confronti del..., concluso con l'archiviazione disposta dal Giudice per le indagini preliminari; Ritenuto che il Pubblico Ministero di Torino ha successivamente riaperto le indagini, fatto che ha indotto questo Consiglio di Presidenza a differire la decisione di propria competenza fino all'acquisizione di elementi sull'azione penale di cui si è detto;

Rilevato che il Pubblico Ministero, a conclusione delle ulteriori indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio dell'odierno appellante, senza peraltro addurre fatti nuovi ulteriori tali da imporre la riapertura dell'istruttoria del presente procedimento;

Ritenuto che, nel caso di specie, la pendenza dell'azione penale non osta alla conclusione del procedimento disciplinare ed all'irrogazione di una sanzione atteso che i fatti materiali oggetto del presente procedimento non sono contestati e hanno un evidente rilievo disciplinare, fatta salva l'eventuale apertura di un nuovo procedimento qualora dal processo penale emergano elementi nuovi". E parimenti ha fatto presente che il provvedimento gravato era stato adottato per le seguenti ragioni: "Accertato, anche sulla base di quanto riferito dall'interessato, che il..., all'epoca presidente del Tar Piemonte, ha intrattenuto ripetuti e confidenziali rapporti con il rappresentante legale di un ente pubblico, parte resistente in una controversia nello stesso periodo all'esame dello stesso Tar, riferendo informazioni sull'andamento della causa con contestuale riferimento a vicende private;

Ritenuto che tale comportamento integri violazione dei doveri d'ufficio con particolare riferimento all'obbligo di riserbo e che, anche a causa dell'ampio risalto avuto sulla stampa, ciò abbia leso l'immagine del magistrato".

Il Tar ha quindi escluso la favorevole delibabilità della censura alla stregua delle seguenti argomentazioni.

L'art. 59, ultimo comma, d.P.R. n. 916 del 1958, (applicabile alla fattispecie in ragione del meccanismo di rinvio fisso, derivante dal combinato disposto dell'art. 30 l. n. 109 del 2006 e dell'art. 32 l. n. 186 del 1982) stabiliva "che il corso dei termini dell'azione disciplinare è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale".

Risultava quindi essenziale individuare il significato di "medesimo fatto", in presenza del quale il procedimento disciplinare doveva essere necessariamente sospeso sino alla definizione del procedimento penale.

Era infatti - per consolidata giurisprudenza - "l'identità del fatto addebitato" nei due distinti procedimenti, penale e disciplinare, a dover comportare obbligatoriamente la sospensione del secondo.

Sennonché, ad avviso del Tar, questa in concreto non ricorreva.

La medesima vicenda di cui si era reso protagonista l'odierno appellante - ad avviso del Tar - era stata considerata dall'organo di autogoverno, a fini disciplinari, per profili diversi da quelli per la quale era valutata a fini penali.

Secondo il primo giudice, infatti, pur a fronte di una medesima vicenda storica, la pregiudiziale penale sussisteva quando era addebitata la stessa violazione ai fini disciplinari ed ai fini penali.

Ciò però non si era verificato nel caso in esame.

Ha infatti osservato il Tar, sul punto, che il procedimento disciplinare era stato avviato e concluso per violazione dei doveri d'ufficio (con particolare riferimento all'obbligo di riserbo) e per la conseguente eventuale lesione dell'immagine del magistrato, mentre il procedimento penale aveva ad oggetto il reato di corruzione in atti giudiziari di cui all'art. 319-ter c.p. in relazione all'art. 318 c.p.

Non sussisteva, quindi, alcuna identità del fatto addebitato atteso che, a fronte di una medesima vicenda, nel procedimento disciplinare era stata accertata la violazione dell'obbligo di riserbo con conseguente ricaduta sull'immagine ed il prestigio del magistrato e dell'istituzione (diversa dalla violazione, integrante la corruzione in atti giudiziari, oggetto di accertamento in sede penale).

Tale profilo era stato colto dalla delibera del CPGA del 10 giugno 2014, che aveva precisato "che, nel caso di specie, la pendenza dell'azione penale non osta alla conclusione del procedimento disciplinare ed all'irrogazione di una sanzione atteso che i fatti materiali oggetto del presente procedimento non sono contestati e hanno un evidente rilievo disciplinare".

E, peraltro, l'Amministrazione aveva fatto salva "l'eventuale apertura di un nuovo procedimento qualora dal processo penale emergano elementi nuovi".

Al capo successivo (n. 4) della sentenza è stato scrutinata la macrocensura mercé la quale l'odierno appellante aveva sostenuto che - laddove fosse stato ritenuto legittimo il riferimento alle norme del r.d.lgs. n. 511 del 1946 - si sarebbe dovuta dedurre l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 d.lgs. n. 109 del 2006 nella parte in cui escludeva l'applicazione del decreto ai magistrati amministrativi.

Ad avviso dell'originario ricorrente, infatti, tale esclusione integrava la violazione degli artt. 104 e 108 Cost., non consentendo l'applicazione delle norme sostanziali (tipicità degli illeciti e gradazione delle relative sanzioni) previste nel detto decreto, armonicamente con il principi EDU di necessaria determinatezza e chiarezza della norma e di "interpretazione ragionevole".

Il Tar, ribadito il proprio convincimento secondo il quale il disposto di cui all'art. 30 l. n. 196 del 2009, che escludeva l'applicazione del decreto ai magistrati amministrativi, determinasse la persistente applicabilità agli stessi degli artt. 18, 19 e 21 r.d.lvo n. 511 del 1946, ha rammentato che in passato la Consulta si era pronunciata su detta questione (dichiarando non fondato il dubbio di incostituzionalità con sentenza n. 100 dell'8 giugno 1981).

Ed ha dato atto della successiva evoluzione del concetto di principio di legalità rapportato alle infrazioni disciplinari dei magistrati in ragione degli indirizzi giurisprudenziali espressi dalla CEDU.

Sotto altro profilo, proprio attraverso la "novella" di cui al d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006 si era provveduto alla tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei Magistrati (ordinari) innovando, quindi, rispetto alla previgente disciplina, prevista dall'art. 18 del r.d.lgs. n. 511/1946 che si limitava a configurare l'illecito ogni qualvolta il magistrato mancasse ai suoi doveri o tenesse una condotta immeritevole o compromettente per il prestigio dell'ordine giudiziario ("il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari").

Ma tale novella, ai sensi dell'art. 30 d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006 come prima rilevato, non si applicava ai Magistrati Amministrativi.

Ad avviso del Tar si sarebbe potuta sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione "escludente" di cui all'art. 30 d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006 e dell'art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946 (per violazione del principio di legalità in quanto detta risalente disposizione, poteva astrattamente apparire sprovvista del requisito della prevedibilità degli effetti ad essa conseguenti costituente per la giurisprudenza CEDU un elemento fondante del principio di legalità.

Con la conseguenza che la eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale del combinato disposto delle due norme avrebbe potuto determinare l'applicabilità anche alla magistratura amministrativa della normativa sugli illeciti disciplinari prevista per la magistratura ordinaria (almeno con riferimento alla tipizzazione delle fattispecie illecite ed alla gradazione delle relative sanzioni) ovvero imporre un immediato intervento del Legislatore per colmare la lacuna normativa venutasi a creare.

Senonché, ad avviso del primo giudice, la questione non aveva rilevanza nella controversia in quanto, nonostante la genericità della norma di cui all'art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, sussistevano tutti e tre gli elementi fondanti del principio di legalità di matrice CEDU (ivi compreso quello della prevedibilità).

L'odierno appellante, titolare di incarico direttivo quale Presidente di Tribunale Amministrativo Regionale, era ben in grado di prevedere il disvalore disciplinare della propria condotta (a dispetto della genericità della norma "disciplinare" di cui al richiamato art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946.

In sintesi: la questione di legittimità costituzionale prospettata, non poteva dirsi manifestamente infondata, in via di principio: ne difettava la rilevanza nella odierna vicenda processuale.

E neppure - ad avviso del Tar - poteva ritenersi che la questione di legittimità costituzionale potesse essere posta in relazione alla gradazione delle sanzioni applicabili per legge alle varie fattispecie (in quanto l'art. 19 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 che prevedeva le sanzioni disciplinari: 1) l'ammonimento; 2) la censura; 3) la perdita dell'anzianità; 4) la rimozione; 5) la destituzione e l'art. 21, comma 4, indicavano con precisione le ipotesi di applicabilità delle medesime): sotto tale ultimo profilo, la questione prospettata non appariva fondata.

A partire dal capo quinto della gravata sentenza, il Tar ha scrutinato il merito delle censure proposte (difetto di motivazione e la violazione del principio di proporzionalità) escludendone la favorevole delibazione esprimendo il convincimento per cui il gravato provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare fosse stato adeguatamente motivato.

La delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 52 del 10 giugno 2014 era infatti adeguatamente motivata con riferimento alle ragioni di fatto e di diritto e delibera faceva espresso riferimento alla seduta dell'11 aprile 2014 (con verbale approvato nella successiva seduta del 9 maggio 2014), in cui, oltre alla sanzione della perdita di anzianità di un anno, era stata irrogata la sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio ad altra sede (con contestuale avvio del contraddittorio con l'interessato al fine dell'individuazione della nuova sede di servizio).

Il dibattito consiliare ben poteva integrare la motivazione dell'atto collegiale, ed il Tar ha largamente richiamato le dichiarazioni di taluni componenti dell'Organo Collegiale che ha emesso il provvedimento gravato, chiarendo che esse erano utili a meglio percepire il contesto motivazionale sotteso alla delibera.

Nel capo n. 6 della gravata decisione sono state illustrate le ragioni che hanno indotto il primo giudice a disattendere le doglianze di ordine procedimentale avanzate avvero gli atti gravati, escludendo la fondatezza della censura di violazione dell'art. 59, comma 9, del d.P.R. n. 916 del 1958 e (capo 7) l'asserito contrasto con l'art. 6 della Convenzione EDU (sollevato in riferimento alla asserita confusione dei ruoli tra le funzioni accusatoria e decisoria).

Parimenti (capo 8 della sentenza) sono state disattese le censure relative all'irrogazione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio (art. 21, comma 6, r.d.lgs. n. 511 del 1946).

Il Tar ha quindi affermato l'infondatezza sia dell'azione di annullamento proposta con l'atto introduttivo del giudizio, sia dell'azione di annullamento proposta con i motivi aggiunti (con cui l'illegittimità del d.P.R. in data 19 settembre 2014 di assegnazione del dott. Francesco Corsaro, in qualità di Presidente, alla Terza Sezione del TAR Lazio, era stata dedotta in via derivata dai motivi d'impugnativa proposti con l'atto introduttivo) nonché della proposta azione di risarcimento dei danni.

L'originario ricorrente, rimasto soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.

Ha in proposito sostenuto la tesi che la statuizione era errata e frutto di una non corretta applicazione della vigente legislazione.

Dopo avere ripercorso in fatto l'iter infraprocedimentale che aveva condotto l'Amministrazione ad emettere gli atti gravati, ha censurato sotto ogni profilo la sentenza reiettiva.

Con memoria depositata in data 2 ottobre 2015 ha puntualizzato e ribadito le proprie censure.

All'adunanza camerale del 14 luglio 2015 fissata per la delibazione del petitum cautelare, la Sezione, con la ordinanza n. 03133/2015 ha accolto solo in parte la domanda cautelare, alla stregua delle considerazioni che si riportano "rilevato che - come già colto dalla Sezione in sede cautelare - l'appello prospetta questioni di rilevante spessore sotto il profilo del fumus da approfondire accuratamente nella competente sede di merito che si provvede sin d'ora a fissare alla pubblica udienza del prossimo 3 novembre 2015;

ciò, soprattutto con riferimento alla pregiudiziale problematica relativa alla omessa obbligatoria sospensione del procedimento disciplinare a cagione dall'avvenuto esercizio dell'azione penale, laddove l'appellante si duole che il Tar abbia travisato i principi emergenti dalla (pure richiamata, nella sentenza oggi gravata) decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione 28 marzo 2014, n. 7310;

ivi, infatti, alla fine del capo 8.2a si fa presente che "non appare ragionevolmente contestabile che sia preferibile per l'incolpato subire un processo unitario rispetto ai fatti complessivamente addebitatigli maturati nell'ambito di un medesimo contesto, e ciò tanto più ove si consideri che il giudizio disciplinare non contempla l'istituto della continuazione, sicché l'incolpato si troverebbe potenzialmente esposto ad una duplice condanna disciplinare, anziché ad una sola", mentre al capo 8.2b) si rileva che "la sospensione dei termini di decadenza del procedimento disciplinare costituisce l'effetto fisiologico dell'obbligatorietà della sospensione del procedimento, venendosi altrimenti a determinare una nuova potenziale causa di estinzione di quest'ultimo, in ragione di una iniziativa obbligatoria, quale quella dell'esercizio dell'azione penale; la questione concernente la non coincidenza fra capo di imputazione e capo di incolpazione risulta infine assorbita dall'interpretazione del medesimo fatto come medesima vicenda";

rilevato pertanto che in tale quadro, quanto al periculum in mora, si prospetta prevalente l'interesse dell'appellante con specifico ed esclusivo riguardo al capo della gravata decisione che ha respinto il mezzo quanto alla sanzione disciplinare della perdita di un anno di anzianità: detto capo reiettivo del mezzo di primo grado contenuto nella gravata sentenza va quindi sospeso nella sua esecutività;

rilevato che, invece, circa la sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio, nel bilanciamento degli interessi appare di preponderante spessore l'esigenza dell'Amministrazione volta ad evitare turbamenti nell'assetto organizzativo dei Tribunali Regionali "interessati" dall'odierno procedimento e pertanto la provvisoria esecutività della decisione gravata va in parte qua mantenuta, con parziale reiezione dell'appello cautelare;".

L'appello cautelare, pertanto, è stato accolto limitatamente alla sanzione disciplinare della perdita di un anno di anzianità - ed in parte qua è stata sospesa la esecutività della gravata sentenza - mentre è stato respinto nella restante parte.

Nell'ordinanza medesima è stata fissata la trattazione del merito alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2015.

Parte appellata ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del mezzo perché infondato.

Con memoria del 2 ottobre 2015 parte appellante ha ribadito e puntualizzato le proprie doglianze.

Alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2105 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. L'appello è parzialmente fondato e va accolto, con conseguente riforma della gravata decisione, accoglimento del mezzo di primo grado, ed annullamento degli atti gravati. La domanda risarcitoria è invece infondata e va respinta.

1.1. Il primo - e pregiudiziale - versante da scrutinare riposa nel dedotto vizio dell'azione amministrativa riposante nella omessa sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare a cagione della contemporanea pendenza di un procedimento penale; la pregiudizialità della tematica è evidente, trattandosi di vizio procedimentale che - ove ritenuto sussistente - condizionerebbe negativamente la stessa possibilità per l'Amministrazione appellata di emettere un provvedimento disciplinare (di qualsivoglia tenore) nei confronti dell'odierno appellante.

1.2. Peraltro, ove fondato, il vizio denunciato si risolverebbe in una temporanea "incompetenza" dell'Amministrazione intimata a procedere nella propria iniziativa disciplinare: ricorrerebbe una fattispecie assimilabile a quella - più volte positivamente riscontrata in giurisprudenza - che imporrebbe al Giudice di scrutinare per primo il dedotto vizio, e di arrestare il proprio esame, una volta riconosciuta fondata la detta censura, assorbendo le altre censure, massime quelle di merito (ex aliis: T.A.R. Palermo - Sicilia - sez. II 6 maggio 2015, n. 1095 "il vizio formale d'incompetenza, dedotto nel caso di specie con il terzo motivo del ricorso principale, deve essere sempre scrutinato per primo, poiché, se fosse fondato, la valutazione nel merito della controversia alla stregua delle altre censure sostanziali proposte sarebbe impedita, risolvendosi in un giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attività amministrativa dell'organo competente, cui spetta l'effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe emanare, o non, l'atto in questione e, comunque, provvedere con un contenuto diverso. Pertanto, la decisione di accoglimento del ricorso fondata sul vizio d'incompetenza esaurisce l'oggetto stesso del giudizio e rende obbligatorio l'assorbimento delle eventuali censure sostanziali"; si veda anche Ad. Plen. n. 5 del 27 aprile 2015).

1.2.1. Come già a più riprese affermato dalla Sezione in sede cautelare (cfr. ordinanze n. 03133/2015 e n. 4524/2014) ritiene il Collegio che la censura prospettata dall'appellante - il cui esame si appalesa, per le chiarite ragioni, pregiudiziale - sia fondata.

1.2.2. Invero la disposizione cui fare riferimento è quella di cui all'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916.

In ordine alla applicabilità alla fattispecie concreta della surrichiamata disposizione di legge non v'è contestazione alcuna (la l. 27 aprile 1982, n. 186, all'art. 32 così dispone: "per quanto non diversamente disposto dalla presente legge si applicano ai magistrati le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento").

Trattasi di fatto pacifico ed incontestato tra le parti, il che esonera il Collegio dall'immorare per chiarire le ragioni dell'applicabilità della detta fattispecie, la natura del "rinvio" contenuto nella l. n. 186/1982, etc.: peraltro è agevole riscontrare che la stessa amministrazione appellata, nel corso del procedimento amministrativo, ha tenuto conto della disposizione prima indicata (pervenendo però a conclusioni che il Collegio non condivide, come ci si appresta a chiarire).

Detta disposizione di cui all'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 così prevede: "I rapporti relativi a fatti suscettibili di valutazione in sede disciplinare sono trasmessi al Ministro e al Procuratore Generale presso la Corte suprema di cassazione.

Il Ministro promuove l'azione disciplinare mediante richiesta al Procuratore Generale presso la Corte suprema di Cassazione.

Il Procuratore Generale inizia l'azione disciplinare richiedendo al Consiglio superiore della magistratura l'istruzione formale, ovvero comunicando allo stesso Consiglio che procede con istruzione sommaria.

Il Procuratore Generale, quando intende promuovere l'azione disciplinare avvalendosi della facoltà attribuitagli dall'art. 14 della legge, ne dà notizia al Ministro dieci giorni prima, indicando sommariamente i fatti per i quali intende procedere. Il Ministro, se ritiene che l'azione disciplinare debba essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al Procuratore Generale anche dopo l'inizio dell'azione stessa.

La comunicazione preventiva di cui al comma precedente non è richiesta quando il Procuratore Generale contesta o chiede che siano contestati nuovi fatti durante il corso dell'istruzione.

L'azione disciplinare non può essere promossa dopo un anno dal giorno in cui il Ministro o il procuratore generale hanno avuto notizia del fatto che forma oggetto dello addebito disciplinare.

La richiesta del Ministro al procuratore generale ovvero la richiesta o la comunicazione del procuratore generale al Consiglio superiore determina a tutti gli effetti l'inizio del procedimento.

Dell'inizio del procedimento deve essere data comunicazione all'incolpato con la indicazione del fatto che gli viene addebitato. Gli atti istruttori non preceduti dalla comunicazione all'incolpato sono nulli, ma la nullità non può essere più rilevata se non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di cinque giorni dalla comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare.

Entro un anno dall'inizio del procedimento deve essere comunicato all'incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare. Nei due anni successivi dalla predetta comunicazione deve essere pronunciata la sentenza. Quando i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi consenta.

Degli atti compiuti dalla sezione disciplinare è trasmessa copia al Ministro.

Il corso dei termini di cui al presente articolo è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale, ovvero se nel corso del procedimento viene sollevata questione di legittimità costituzionale, e riprende a decorrere rispettivamente dal giorno in cui è pronunciata la sentenza o il decreto indicati nell'articolo 3 del codice di procedura penale, ovvero dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale. Il corso dei termini è altresì sospeso durante il tempo in cui l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, ovvero durante il tempo in cui il procedimento è rinviato a richiesta dell'incolpato".

1.3. Sebbene l'espresso tenore dell'ultimo comma utilizzi una espressione non del tutto perspicua (facendo unicamente riferimento "al corso dei termini") la detta disposizione è sempre stata costantemente interpretata nel senso che essa sia espressiva di una "pregiudizialità penale" che impone la sospensione del procedimento disciplinare dal momento in cui si abbia notizia dell'avvenuto inizio dell'azione penale.

E per il vero, anche l'amministrazione appellata si è posta il problema della eventuale sospensione del procedimento disciplinare avviato a cagione del contemporaneo avvio dell'azione penale.

1.3.1. La questione che occorre approfondire, quindi, non riposa nella applicabilità astratta ovvero nel significato di detta disposizione: il quesito cui occorre rispondere è più contenuto, e si concentra sulla latitudine applicativa della medesima.

1.3.2. Come fatto presente - in ultimo - nell'ordinanza cautelare resa dalla Sezione alla adunanza camerale del 14 luglio 2015 recante n. 03133/2015, e come per il vero colto dal Tar, che in seno alla sentenza gravata vi ha fatto esplicito riferimento, il Giudice di legittimità si è di recente soffermato sulla richiamata disposizione.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile con la decisione 28 marzo 2014, n. 7310 hanno svolto un completo esame proprio relativamente alla problematica che è oggetto di approfondimento, pervenendo ad un approdo che il Collegio condivide, dal quale non intende discostarsi, e che - soprattutto - conduce ad un risultato inequivoco (che, ad avviso del Collegio, è stato frainteso dal Tar).

1.4. La sostanza del problema è questa: stante la - a più riprese affermata, tanto da costituire jus receptum - non totale sovrapponibilità tra giudizio disciplinare e giudizio penale, quali sono le condizioni perché il primo debba necessariamente arrestarsi allorché sia iniziata l'azione penale?

1.4.1. Ed in particolare - come accennato in premessa - quale deve essere il significato da attribuire alla espressione contenuta nell'ultimo comma della detta norma laddove è stabilito che "i termini previsti per il procedimento disciplinare a carico dei magistrati sono sospesi se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale"?

1.4.2. Nella decisione suindicata le Sezioni Unite si sono espresse in termini lapidari: "la Sezione Disciplinare ha ritenuto che questo dovesse essere inteso nel senso di "medesima vicenda" ed il giudizio appare condivisibile".

1.5. Il Collegio condivide e fa proprio tale punto di vista.

1.5.1. Invero, laddove si opinasse in termini differenti, e si ritenesse che la detta locuzione dovesse essere intesa nel più ristretto significato di "stessa imputazione", si rischierebbe di pervenire a conseguenze paradossali.

1.6. La ratio della sospensione riposa in un giudizio a monte fondato su due pilastri:

a) un principio di economicità della complessiva azione amministrativa che sconsiglia il procedere parallelo di due Organi autonomi sulla stessa vicenda;

b) il più penetrante accertamento che può svolgere il Giudice penale, in ordine alla effettiva sussistenza di un fatto storico, il che depone per la sospensione del procedimento disciplinare nelle more di tale compiuto (e più completo) accertamento svolto in sede penale.

Resta invece impregiudicata e libera la "facoltà" dell'Organo che procede disciplinarmente di:

a) ex post qualificare i fatti storici differentemente rispetto al giudice penale;

b) utilizzare elementi di prova che il Giudice penale non ha potuto utilizzare a cagione delle eventuali violazioni procedurali tipiche di quel rito e positivamente ivi riscontrate;

c) ritenere rilevante, a fini disciplinari, un fatto storico incontrovertibilmente accertato dal medesimo giudice penale, che pure non ha condotto alla affermazione di penale responsabilità.

1.7. Se così è, allora non rileva né lo stato del procedimento penale (purché l'azione penale sia stata comunque iniziata, è ovvio) né la qualificazione dei fatti impressa nell'atto di esercizio dell'azione penale (e/o eventualmente modificata in sede dibattimentale).

Ciò che rileva, è che si proceda in relazione al medesimo "fatto storico", perché il giudice penale è il "soggetto" ordinamentale che meglio di ogni altro può accertare se un dato fatto storico sia - o meno - accaduto.

1.8. Detta ratio non soffre di eccezioni, neppure laddove la materialità del fatto storico sia positivamente riscontrata, ovvero ammessa dallo stesso incolpato, e/o financo, per avventura acquisita ogni oltre ragionevole dubbio ed incontestata.

In un sistema penale che ammette il delitto di autocalunnia (art. 369 c.p.) soltanto l'accertamento incontrovertibile reso dal Giudice penale può far sì che un fatto storico risulti "provato".

1.9. Il riferimento al medesimo fatto, quindi, ben a ragione è ricondotto a quello di "medesima vicenda".

1.10. E condivisibilmente, poi, nella medesima pronuncia citata, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione ammoniscono in ordine ad una ulteriore circostanza che milita sfavorevolmente rispetto a più restrittive enucleazioni concettuali (nella sostanza riconducibili al concetto di "stessa imputazione).

Così, infatti, si esprime il Supremo Consesso: "si determinerebbero inevitabili sovrapposizioni con potenziali contrasti e divergenze nell'ambito degli accertamenti svolti, di non agevole composizione sul piano processuale; non appare ragionevolmente contestabile che sia preferibile per l'incolpato subire un processo unitario rispetto ai fatti complessivamente addebitatigli maturati nell'ambito di un medesimo contesto, e ciò tanto più ove si consideri che il giudizio disciplinare non contempla l'istituto della continuazione, sicché l'incolpato si troverebbe potenzialmente esposto ad una duplice condanna disciplinare, anziché ad una sola".

2. Venendo alla fattispecie concreta, non v'è dubbio che:

a) il giudice penale stesse procedendo (rectius: l'azione penale era stata iniziata) per la medesima "vicenda", intesa come fatto storico;

b) sia ininfluente che tale medesima vicenda fosse stata eventualmente qualificata differentemente dal Giudice penale e dall'Organo titolare del potere disciplinare.

2.1. Non appare quindi condivisibile, nella data situazione, la ragione per cui il procedimento disciplinare non sia stato sospeso, una volta accertata tale circostanza.

2.1.1. Invero nella gravata delibera del Consiglio di Presidenza n. 52 del 2014 si riscontrano le seguenti affermazioni:

"Rilevato che gli stessi fatti hanno portato all'apertura di un procedimento penale nei confronti del..., concluso con l'archiviazione disposta dal Giudice per le indagini preliminari;

Ritenuto che il Pubblico Ministero di Torino ha successivamente riaperto le indagini, fatto che ha indotto questo Consiglio di Presidenza a differire la decisione di propria competenza fino all'acquisizione di elementi sull'azione penale di cui si è detto;

Rilevato che il Pubblico Ministero, a conclusione delle ulteriori indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio del..., senza peraltro addurre fatti nuovi ulteriori tali da imporre la riapertura dell'istruttoria del presente procedimento;

Ritenuto che, nel caso di specie, la pendenza dell'azione penale non osta alla conclusione del procedimento disciplinare ed all'irrogazione di una sanzione atteso che i fatti materiali oggetto del presente procedimento non sono contestati e hanno un evidente rilievo disciplinare, fatta salva l'eventuale apertura di un nuovo procedimento qualora dal processo penale emergano elementi nuovi".

2.1.2. Il provvedimento disciplinare gravato, invece, si fonda sulla seguente motivazione:

"Accertato, anche sulla base di quanto riferito dall'interessato, che il..., all'epoca presidente del Tar Piemonte, ha intrattenuto ripetuti e confidenziali rapporti con il rappresentante legale di un ente pubblico, parte resistente in una controversia nello stesso periodo all'esame dello stesso Tar, riferendo informazioni sull'andamento della causa con contestuale riferimento a vicende private;

Ritenuto che tale comportamento integri violazione dei doveri d'ufficio con particolare riferimento all'obbligo di riserbo e che, anche a causa dell'ampio risalto avuto sulla stampa, ciò abbia leso l'immagine del magistrato".

2.1.3. Pur non volendo indulgere in arbitrarie "interpretazioni autentiche" della ratio sottesa al provvedimento gravato, parrebbe potersi comprendere che ivi si sia ritenuto che non si dovesse procedere alla sospensione del procedimento disciplinare, in quanto il materiale cognitivo a disposizione del Giudice penale era identico a quello utilizzabile dall'Organo titolare del potere disciplinare, che l'istruttoria sullo stesso fosse stata completa, e che non vi fossero ulteriori emergenze da valutare, e che l'unica "discrasia" concernesse la diversità della qualificazione giuridica del fatto.

2.1.4. Il Tar ha invece ritenuto la legittimità di tale omessa sospensione del procedimento disciplinare, sulla scorta di un convincimento in diritto. Nella sentenza di primo grado, si è infatti così statuito "la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che è "l'identità del fatto addebitato" nei due distinti procedimenti, penale e disciplinare, a dover comportare obbligatoriamente la sospensione del secondo (cfr. SS.UU. Cassazione Civile, 28 marzo 2014, n. 7310).

Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, l'identità del fatto addebitato non sussiste in quanto la stessa vicenda è stata considerata dall'organo di autogoverno, a fini disciplinari, per profili diversi da quelli per la quale è valutata a fini penali. In altri termini, pur a fronte di una medesima vicenda storica, la pregiudiziale penale sussiste quando è addebitata la stessa violazione ai fini disciplinari ed ai fini penali, il che non si verifica nella fattispecie.

In particolare, il procedimento disciplinare è stato avviato e concluso per violazione dei doveri d'ufficio (con particolare riferimento all'obbligo di riserbo) e per la conseguente eventuale lesione dell'immagine del magistrato, mentre il procedimento penale ha ad oggetto il reato di corruzione in atti giudiziari di cui all'art. 319-ter c.p. in relazione all'art. 318 c.p.

Ne consegue che non sussiste alcuna identità del fatto addebitato atteso che, a fronte di una medesima vicenda, nel presente procedimento disciplinare è stata accertata la violazione dell'obbligo di riserbo, diversa dalla violazione, integrante la corruzione in atti giudiziari, oggetto di accertamento in sede penale.

In altri termini, il fatto addebitato nel procedimento disciplinare è la violazione dell'obbligo di riservatezza con conseguente ricaduta sull'immagine ed il prestigio del magistrato e dell'istituzione, nel procedimento penale il fatto addebitato, in concorso, è la corruzione in atti giudiziari".

2.2. La motivazione del Tar non è condivisibile, in quanto travisa - ad avviso del Collegio - proprio le esigenze sottese al decisum delle Sezioni Unite prima richiamato (e, peraltro, come si è prima fatto presente, trattasi di una sentenza conosciuta dal Tar e citata nella propria motivazione): il "fatto materiale" coincide con la "medesima vicenda", a nulla rilevando la eventuale diversa qualificazione giuridica.

2.3. Ma fermo restando il rilievo prima formulato, neppure può dirsi che la omessa sospensione sia "giustificabile" prescindendo dalle considerazioni del Tar e concentrandosi sulla circostanza che il materiale cognitivo utilizzato dal Magistrato penale per esercitare l'azione penale fosse identico a quello a disposizione del CPGA.

Invero, il dato normativo è espressivo (e ciò è proprio testualmente richiamato nella decisione delle Sezioni Unite a più riprese citata) del convincimento della utilità e convenienza che l'accertamento svolto in sede penale preceda quello reso in sede disciplinare.

Le Sezioni Unite, non a caso, individuano "il manifesto intento perseguito dal legislatore" nell'intendimento di "all'evidenza subordinare alla giurisdizione penale le altre".

Ciò ovviamente, deve ribadirsi, unicamente quanto all'accertamento della effettiva verificazione del fatto storico - può aggiungersi - e non certo in ordine all'autonomo potere valutativo e qualificativo del fatto storico così come rimasto accertato.

2.3.1. La delibera del CPGA pare dettata dal (condivisibile, in astratto, e comunque incensurabile, afferendo al c.d. "merito amministrativo") intendimento di non dilazionare ulteriormente la statuizione disciplinare, in quanto - a fronte della medesimezza del materiale cognitivo utilizzabile in sede penale e disciplinare - non v'era ragione di attendere il pronunciamento del Giudice penale.

2.3.2. Senonché tale approdo oblia, nell'ordine:

a) la portata assoluta della prescrizione di legge (che non fa alcuna differenza in relazione allo spessore/identità) del compendio valutativo;

b) della ratio della medesima (si è detto: l'accertamento del fatto materiale deve essere demandato al Giudice penale che più di ogni altro possiede i penetranti poteri accertativi per determinarne la verificazione ed i contorni oltre ogni ragionevole dubbio").

La delibera, gravata, poi, - in parte qua - contraddice proprio l'ultima parte dell'arresto delle Sezioni Unite.

Queste, come si è detto prima, ammoniscono a considerare un ulteriore elemento sfavorevole ad una tesi restrittiva della nozione di "medesimo fatto" facendo presente che "si consideri che il giudizio disciplinare non contempla l'istituto della continuazione, sicché l'incolpato si troverebbe potenzialmente esposto ad una duplice condanna disciplinare, anziché ad una sola".

La delibera gravata pare preconizzare proprio questa evenienza, laddove ivi si afferma che doveva essere fatta salva "l'eventuale apertura di un nuovo procedimento qualora dal processo penale emergano elementi nuovi".

Ed il Tar ha avallato anche tale parte dell'iter motivo contenuto nella delibera, facendo testualmente presente che "in sostanza, la medesima vicenda oggetto di procedimento penale è stata considerata dall'organo di autogoverno a fini disciplinari per profili differenti ed autonomi da quelli che possono costituire illecito penale, fermo restando che l'eventuale accertamento di una responsabilità penale potrebbe produrre l'avvio di un ulteriore procedimento disciplinare, che andrebbe a sommarsi e non a sostituirsi a quello concluso con il provvedimento oggi impugnato".

2.4. Ma proprio tale possibilità è quella che più concorre a scoraggiare approdi ermeneutici restrittivi della nozione di "medesimo fatto" contenuti nella norma.

Traslando i principi sinora richiamati alla concreta vicenda processuale, la tesi del Tar esporrebbe l'incolpato al rischio di subire (sempre per lo stesso fatto storico, si badi):

a) una condanna disciplinare per il fatto qualificato quale rivelazione di segreto d'ufficio;

b) a seguito di una eventuale condanna penale per corruzione, una seconda eventuale condanna disciplinare per l'ulteriore illecito disciplinare "coincidente" con la imputazione positivamente riscontrata dal Giudice penale.

2.4.1. Un approdo, questo, in sfavor rei, scongiurabile con la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare che, appunto, mira a perseguire tali fini, oltre che quelli di economicità della complessiva azione degli Organi Pubblici.

3. Né dicasi che l'interpretazione del quadro normativo patrocinata dal Collegio, sulla scorta dell'autorevole precedente delle Sezioni Unite frustri alcuna delle esigenze sottese al procedimento disciplinare: non quella dell'urgenza del provvedere, garantita dalla possibile adozione di statuizioni cautelari; non quella della integrale valutazione giuridica del fatto, all'evidenza non condizionata dall'esito del giudizio penale, stante l'autonomia valutativa dell'Organo disciplinare; non infine, alcuna altra esigenza prospettabile dalla Parte Pubblica.

3.1. Essa invece è espressione, oltre che delle superiori esigenze che si è prima cercato di porre in luce, del favor rei processuale, che si esprime nella opportunità di evitare che l'incolpato si trovi esposto alla possibilità di contestazioni "grappolo" e frazionate nel tempo, in relazione al medesimo fatto storico diversamente qualificato (si veda la giurisprudenza di legittimità formatasi sub art. 297 c.p.p. per la "traduzione" normativa del suddetto principio applicato al rito processuale penale).

4. Conclusivamente, l'appello va accolto in parte qua, con assorbimento degli ulteriori motivi di censura, ed annullata la gravata decisione, va accolto il ricorso di primo grado, con annullamento degli atti gravati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.

4.1. Non può essere accolta invece la domanda risarcitoria, per più convergenti considerazioni:

a) il danno morale asseritamente arrecato a parte appellante, non è stato da questi dimostrato, né -neppure labilmente - è stato chiarito in quale evento peggiorativo della condizione di vita di parte appellante si sia risolto; anche il danno morale va invece provato (ex aliis con specifico riferimento a quello asseritamente discendente dalla sottoposizione a procedimento disciplinare, si veda T.A.R. Toscana, sez. I, 3 novembre 2003, n. 5610; di recente, si veda C.d.S., sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1953; Cass. civ., sez. III, 17 aprile 2013, n. 9231);

b) la presente decisione non conclude la vicenda processuale disciplinare dell'appellante, nel senso che l'effetto conformativo della presente sentenza non priva assolutamente l'Amministrazione di valutare la possibilità di un ulteriore riesercizio del potere;

c) non v'è alcuna affermazione positiva di assenza di responsabilità dell'appellante nella realizzazione del "fatto storico" descritto nell'atto di imputazione penale, dal che discende, che l'appellante avrebbe dovuto chiarire la specifica valenza eziologica del procedimento disciplinare culminato nella irrogazione della sanzione sul complessivo danno morale asseritamente subito, ed anche di tale elemento non v'è prova od allegazione alcuna in atti.

Tale segmento dell'appello va quindi disatteso.

5. Conclusivamente, l'appello deve essere accolto in parte, e per l'effetto, in riforma della decisione di primo grado gravata, va accolto il ricorso di primo grado, e devono essere annullati gli atti gravati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione. Va respinta la domanda risarcitoria.

6. Le spese processuali del doppio grado vanno integralmente compensate tra le parti ricorrendo le eccezionali esigenze legittimanti, che riposano nella complessità e particolarità della situazione di fatto e giuridica, e della circostanza che soltanto di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito gli esatti termini della disciplina applicabile.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei termini della motivazione, e per l'effetto, in riforma della decisione di primo grado gravata, accoglie il ricorso di primo grado, ed annulla gli atti gravati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.

Respinge la domanda risarcitoria.

Spese processuali del doppio grado integralmente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.