Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 19 gennaio 2016, n. 167

Presidente: Baccarini - Estensore: Giovagnoli

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, la Federazione degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (d'ora in avanti anche Federazione o FNOMCeO) ha impugnato il provvedimento 4 settembre 2014, n. 25078 con il quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (d'ora in avanti anche solo Autorità o AGCM) l'ha ritenuta responsabile di una intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell'art. 101 TFUE, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa di Euro 831.816,00 e contestuale imposizione dell'obbligo di assumere misure atte a porre termine all'illecito riscontrato.

2. In particolare, la condotta sanzionata dall'AGCM è consistita nella adozione, da parte della Federazione, di alcune disposizioni del codice deontologico adottato nel 2006 e nelle linee guida successivamente deliberate, contenenti norme "idonee a restringere in misura sensibile la concorrenza mediante l'imposizione di ingiustificati divieti o vincoli nell'utilizzo dello strumento pubblicitario". Condotta che secondo l'Autorità si sarebbe protratta per otto anni in considerazione del fatto che i profili di criticità presenti nelle citate disposizioni non sono stati modificati nel tempo, ancorché incompatibili con il quadro normativo vigente al momento della loro adozione e ulteriormente evolutosi in senso di liberalizzazione, anche pubblicitaria, dell'attività professionale.

3. Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio, ha largamente confermato la legittimità del provvedimento impugnato, ritenendo che l'Autorità avesse correttamente accettato sia la responsabilità della Federazione sia la gravità dell'infrazione, correttamente qualificandola in termini di illecito di natura permanente.

Tuttavia, sotto il profilo sanzionatorio il T.a.r. ha ritenuto che andasse ridotto il periodo di durata dell'infrazione utilmente considerabile ai fini della determinazione del quantum della sanzione e, per l'effetto, ha annullato il provvedimento "nella sola parte in cui procede alla quantificazione della sanzione nei confronti della ricorrente, che come visto, deve essere ridotto in ragione della durata utilmente valutabile, all'importo di Euro 415.098.00)".

4. Per ottenere la riforma di tale sentenza hanno proposto separati appelli sia la FNOMeO sia l'AGCM.

5. La FNOMCeO con appello inscritto sub R.G. n. 3964/2015 ha, innanzitutto, riproposto l'eccezione di prescrizione dell'illecito amministrativo: la Federazione lamenta che l'AGCM avrebbe attivato il procedimento sanzionatorio dopo il decorso del termine quinquennale dalla commissione dell'illecito.

La sentenza appellata ha respinto tale eccezione qualificando la condotta sanzionata in termini di illecito permanente.

La Federazione nell'atto di appello deduce l'erroneità della sentenza, contestando la qualificazione della condotta sanzionata in termini di illecito permanente.

6. La Federazione ha inoltre criticato la sentenza appellata per avere respinto gli altri motivi formulati nel ricorso di primo grado.

Le ulteriori censure articolare nel ricorso di primo grado e riproposte in appello possono essere così sintetizzate:

violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della CEDU e del principio generale di separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie; violazione del principio del giusto procedimento amministrativo sanzionatorio, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento;

illegittimità della ritenuta tardività della dichiarazione di impegni e della mancata concessione della rimessione in termini, tanto più che il termine trimestrale per la presentazione degli impegni, anche alla luce della finalità deflattiva del procedimento antitrust e della necessaria cooperazione tra amministrazione e professionista, non potrebbe essere qualificato come perentorio;

violazione dell'art. 21-bis l. n. 287 del 1990: muovendo dalla premessa che il codice deontologico sarebbe un atto di natura regolamentare, l'AGCM avrebbe dovuto, prima di emettere il provvedimento sanzionatorio, formulare un parere motivato, nel quale fossero indicati i profili della violazioni contestate, invitando l'ente pubblico ad uniformarsi alle stesse;

viene contestata la qualificazione in termini di associazione di imprese, nonché la contrarietà della disposizioni adottate alle norme di legge asseritamente violate;

la ricorrente censura, infine, le modalità di determinazione della sanzione, non sostenuta a suo giudizio da adeguata motivazione e comunque tale da risultare non proporzionata alla condotta contestata.

7. Contro la sentenza ha proposto un separato appello (iscritto al n. 4976/2015 del R.G.) anche l'AGCM che ne ha chiesto la riforma nella parte in cui il T.a.r., ritenendo in parte fondato il secondo motivo di gravame formulato dalla Federazione ricorrente, ha ridotto il quantum della sanzione.

Il T.a.r., in particolare, ha ritenuto che la contestazione dell'illecito fosse avvenuta da parte dell'AGCM oltre il termine di novanta giorni dall'accertamento della violazione previsto dall'art. 14 l. n. 689/1981. Tuttavia, partendo dalla qualificazione della condotta sanzionata in termini di illecito permanente, il T.a.r. ha ritenuto che l'illegittimità riscontrata non estendesse i suoi effetti all'intero procedimento, ma valesse a delimitare semplicemente il periodo rispetto al quale la contestazione poteva dirsi tempestivamente operata, da individuarsi, secondo la sentenza di primo grado, nell'intervallo di tempo che va dalla comunicazione di avvio del procedimento al giorno di emanazione dell'atto.

In ragione di tale parziale accoglimento, ha, quindi, ridotto, ai fini del quantum della sanzione, il periodo di violazione utilmente valutabile.

8. L'AGCM contesta tale statuizione, sostenendo, in sintesi, l'inapplicabilità del termine di novanta giorni previsto dall'art. 14 l. n, 689/1981 nell'ambito dei procedimenti sanzionatori in materia antitrust. Secondo l'Autorità, in particolare, l'accertamento e la contestazione del fatto illecito antitrust, per la complessità della materia trattata, non sarebbero ragionevolmente collocabili nella sequenza temporale accertamento-contestazione, per la quale la l. n. 689/1981 prescrive una durata di novanta giorni.

9. All'udienza pubblica del 10 novembre 2015 gli appelli sono stati discussi e trattenuti in decisione.

10. Occorre preliminarmente disporre la riunione degli appelli essendo entrambi rivolti contro la stessa sentenza.

11. Va prioritariamente esaminato l'appello proposto dalla Federazione che contesta, ancor prima del quantum, l'an della sanzione irrogata dall'AGCM.

12. L'appello merita accoglimento.

13. Risulta fondato in particolare il motivo diretto a far valere la prescrizione dell'illecito.

Secondo la Federazione, l'AGCM avrebbe attivato il procedimento dopo il decorso del termine di prescrizione, atteso che gli atti che regolano le misure regolatrice della pubblicità sanitaria contestate dall'AGCM sarebbero stare assunte dalla FNOMCeO in un periodo temporale che precede di oltre un quinquennio l'adozione del provvedimento sanzionatorio.

Il T.a.r. ha respinto tale motivo ritenendo che la condotta sanzionata avesse carattere permanente, atteso che - si legge nella sentenza appellata - "la lesività della stessa e la sua idoneità ad alterare il normale esplicarsi della concorrenza nel campo medico ed odontoiatrico produce effetti per tutto il tempo della vigenza delle norme deontologiche. Non può invece ritenersi la sussistenza di un illecito istantaneo con effetto permanente, atteso che non si è in presenza di effetti anticoncorrenziali che conseguono ad una condotta antigiuridica iniziale poi interrotta, ma di effetti che conseguono alla permanenza del comportamento antigiuridico suddetto".

14. La qualificazione in termini di illecito permanente della condotta sanzionata non è condivisa dal Collegio.

Nel caso di specie, secondo l'AGCM e il T.a.r., la permanenza deriverebbe dal fatto che la misura regolatoria illegittima, introdotta nel Codice deontologico del 2006, non sarebbe stata successivamente eliminata, così continuando a produrre i suoi effetti lesivi per tutto il tempo della sua vigenza.

Ci sarebbe, quindi, una perduranza nel tempo dell'effetto lesivo in corrispondenza alla perdurante vigenza della misura regolatoria e tanto varrebbe a qualificare in termini di permanenza l'illecito contestato.

15. Tale ricostruzione non è condivisibile perché presuppone una nozione di illecito permanente che, sebbene in passato abbia avuto anche autorevoli riscontri nell'ambito della dottrina penalistica (che maggiormente si è occupata della figura dell'illecito permanente con particolare riferimento al reato permanente), non è più attuale ed è oggi sicuramente abbandonata dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti.

La tesi qui criticata sembra, più nel dettaglio, fare riferimento all'antica teorica c.d. bifasica dell'illecito permanente secondo cui l'illecito permanente consiste in un'attività mista di azione ed omissione, nella quale si manifesterebbero sempre due fasi (la prima attiva e la seconda omissiva) e si violerebbero due precetti: uno che vieta una determinata condotta, l'altro che prescrive la rimozione dello stato antigiuridico.

Pertanto, in base a questa ricostruzione, una volta violato il precetto con la condotta attiva, la permanenza risiederebbe nella condotta omissiva di mancata rimozione della situazione antigiuridica precedentemente creata dall'agente.

Seguendo questa ricostruzione c.d. bifasica, la condotta sanzionata ben potrebbe essere qualificata in termini di permanenza, derivando appunto la permanenza dal protrarsi nel tempo della condotta omissiva (non aver eliminato la misura regolatoria illegittima consentendo alla stessa di continuare a produrre i suoi effetti lesivi).

Tuttavia, come sopra si è accennato, la nozione bifasica dell'illecito permanente è stata nel corso degli ultimi anni definitivamente (e giustamente) abbandonata.

Si è messo in evidenza come sia del tutto arbitrario ipotizzare l'esistenza di un obbligo giuridico di controagire che nascerebbe in conseguenza della violazione realizzata attraverso la prima condotta attiva. Tale obbligo, invero, non ha alcun fondamento normativo perché non solo non è previsto nel precetto violato ma nemmeno è possibile desumerlo dal sistema sanzionatorio nel suo complesso.

Del resto, in base a questa nozione c.d. bifasica, quasi ogni illecito diventerebbe permanente essendo quasi sempre possibile ipotizzare (tranne nei caso in cui l'effetto lesivo si sia prodotto in maniera irreversibile) un dovere di attivarsi per eliminare ciò che si è causato con la condotta attiva.

Al contrario, ciò che si richiede per la permanenza è la continuità della condotta nel suo rapporto causale con l'evento. Non rileva, in altri termini, ai fini della permanenza ipotizzare una condotta omissiva (la mancata rimozione dello stato antigiuridico precedentemente creato): ciò che è indispensabile affinché l'illecito possa dirsi permanente è che la lesione persista grazie al comportamento dell'agente. La continuità che giustifica la qualificazione della condotta in termini di permanenza deve misurarsi in rapporto alla produzione dell'evento, non in relazione alla natura del comportamento in quanto tale: in tanto la condotta potrà dirsi continua in quanto sarà causa permanente dell'offesa. Fino a quando il comportamento dell'agente avrà efficienza produttiva del risultato vietato esso si dirà continuo.

16. Tali conclusioni trovano autorevole conforto in una recente sentenza della Cassazione penale (Cass. pen., sez. I, 23 febbraio 2015, n. 7941), la quale, occupandosi proprio al fine di individuare il dies a quo della prescrizione, dei reati permanenti (o, in senso più ampio, dei reati a consumazione prolungata) ha chiarito che nei reati a consumazione prolungata, quali sono per definizione i reati permanenti, la fattispecie è caratterizzata dal fatto che la durata dell'offesa è espressa da una contestuale duratura condotta colpevole dell'agente. Nel reato permanente (e nel reato istantaneo a condotta perdurante) si determina, quindi, uno spostamento in avanti della consumazione fino al momento della iniziata realizzazione del reato, in quanto, e fino a quando, la condotta dell'agente "sostenga" concretamente la causazione dell'evento.

Del tutto diversa è invece l'ipotesi dell'illecito istantaneo ad evento permanente, nel quale non si ha il protrarsi dell'evento dovuta alla persistente condotta del soggetto agente, ma ciò che perdura nel tempo sono solo le conseguenze dannose del reato.

17. Applicando tali coordinante ermeneutiche al caso oggetto del presente giudizio deve ritenersi che la condotta sanzionata, consistente nell'introduzione, in sede di codice deontologico e di successive linee guida, di misure volte a regolamentare l'utilizzo dello strumento pubblicitario, sia una condotta istantanea (in cui l'illecito si perfezione e consuma con l'introduzione della regola illegittima), foriera semmai di effetti perduranti per tutto il tempo di vigenza della norma.

Ma non vi è dubbio che, una volta introdotta la norma deontologica, la sua perdurante vigenza non è più la conseguenza di una condotta attiva, a sua volta perdurante nel tempo, della Federazione: l'effetto restrittivo della norma deontologico si produce autonomamente e non è alimentato o sostenuto sotto il profilo causale dalla condotta del soggetto autore della norma.

Ne deriva che l'illecito si è consumato istantaneamente nel momento in cui le misure regolatorie sono state introdotte.

18. Nel caso di specie, in particolare, risulta che:

- il codice deontologico oggetto di contestazione da parte dell'AGCM risale al 2006 (è stato approvato, insieme alle allegate Linee Guida, dal Consiglio Nazione della FNOMCeO con deliberazione n, 171 del 16 dicembre 2006);

- le successive circolari interpretative, pure menzionate nel provvedimento dell'AGCM, sono state rispettivamente approvate in data 19 luglio 2007 e 20 maggio 2009;

- il nuovo codice deontologico approvato nel 2014 (anche se menzionato nel provvedimento finale che irroga la sanzione al fine di giustificare il protrarsi dell'illecito) non è stato oggetto di specifica contestazione (che fa specifico riferimento al codice deontologico del 2006 e alle relative linee guida); esso, peraltro, è stato approvato successivamente all'avvio dell'istruttoria avvenuto in data 3 settembre 2013.

19. Anche ad assumere come data di consumazione dell'illecito, l'ultima delle circolari interpretative (risalente al maggio 2009), l'illecito risulta, comunque, essersi prescritto anteriormente all'adozione del provvedimento impugnato avvenuta in data 4 settembre 2014, ove per la prima volta si sollecita il pagamento della sanzione nella stessa sede quantificato.

Va ricordato, peraltro, che in tema di sanzioni amministrative, poiché l'art. 28, comma 2, l. 24 novembre 1981, n. 689 rinvia alle norme del codice civile per ciò che concerne l'interruzione della prescrizione, deve riconoscersi l'idoneità ad interrompere il decorso del relativo termine al provvedimento d'irrogazione della sanzione pecuniaria, e d'intimazione del pagamento della relativa somma, solo se ed al momento in cui esso sia notificato o comunque portato a conoscenza del debitore, in quanto atto idoneo a costituire in mora il debitore a norma dell'art. 2943 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 novembre 2004, n. 22111). Nel caso di specie la notificazione del provvedimento è avvenuta in data 24 settembre 2014.

20. L'appello della FNOMCeO deve, pertanto, essere accolto e, per l'effetto, accertata la prescrizione dell'illecito, deve essere annullato il provvedimento dell'AGCM 4 settembre 2014, n. 25078.

21. L'accoglimento dell'appello della FNOMCeO determina l'improcedibilità dell'appello dell'AGCM incentrato esclusivamente sul quantum della sanzione.

22. La complessità delle questioni esaminate giustifica l'integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti: ne dispone la riunione; accoglie l'appello proposto dalla Federazione degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado; dichiara improcedibile l'appello proposto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.