Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 29 febbraio 2016, n. 841

Presidente: Giaccardi - Estensore: Russo

FATTO E DIRITTO

1. Il sig. B.T. e consorti assumono d'esser tutti legali rappresentanti di Sodalizi per la tutela e l'assistenza ai disabili, disabili essi stessi o congiunti, tutori o amministratori di sostegno di disabili medi, gravi o non autosufficienti, che in varia guisa percepiscono trattamenti assistenziali o sociosanitari.

Il sig. T. e consorti rendono nota altresì l'emanazione del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 (in G.U. n. 19 del 24 gennaio 2014), atto regolamentare emanato in base all'art. 5, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. modif. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214) e concernente la revisione delle modalità per la determinazione ed i campi d'applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

Quest'ultimo era stato introdotto dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109 al fine di fissare criteri uniformi per la valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o, ad ogni modo, collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. L'ISEE (art. 2 del d.P.C.M.) è quindi l'ordinario metodo «... di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni economiche agevolate...». Esso è costituito da una componente reddituale (indicatore della situazione reddituale - ISR) e da una componente patrimoniale (indicatore della situazione patrimoniale - ISP) ed è utilizzabile per confrontare famiglie, con composizione e caratteristiche differenti, grazie ad una scala di equivalenza (SE).

La precedente normativa, emanata in base al citato d.lgs. 109/1998, s'è però rilevata per vari aspetti alquanto inefficace ad assicurare un sufficiente grado di equità nell'individuazione dei beneficiari. Infatti, non avendo ben considerato tutte le diverse fonti di reddito disponibile e di ricchezza patrimoniale delle famiglie, essa è stata sostituita dall'art. 5 del d.l. 201/2011. In particolare, questo ha stabilito che, «... con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare... entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'... (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero...; permettere una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni...». Dal che emanazione del predetto d.P.C.M., con i cui sono fissati i requisiti d'accesso alle prestazioni sociali e il livello di partecipazione al loro costo da parte degli utenti, sì da definire in tal maniera il livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'art. 117, II comma, lett. m), Cost. Tra le predette prestazioni economiche agevolate, cui l'ISEE si riferisce, l'art. 1, lett. f), del d.P.C.M. indica pure le «... prestazioni agevolate di natura sociosanitaria... (rivolte) ... a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia...», quali appunto sono il sig. T. e consorti.

2. Questi ultimi, ritenendo che talune disposizioni di tal d.P.C.M. fossero in sé illegittime ed assai limitative del loro accesso alla prestazioni de quibus, sono insorti innanzi al TAR Lazio col ricorso n. 5119/2014 RG.

Al riguardo, essi hanno colà dedotto: I) l'illegittima ed irrazionale attuazione del criterio direttivo ex art. 5, comma 1, che, nel disporre l'adozione di «... una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale...», si sarebbe dovuto interpretare nel senso dell'eliminazione delle lacune della precedente regolamentazione (facendo così emergere cespiti anche cospicui ma esenti da tributo o diversamente tassati), non certo nel senso d'includere nella definizione di reddito disponibile pure i trattamenti indennitari o risarcitori percepiti dai disabili a causa della loro accertata invalidità e volti ad attenuare tal oggettiva situazione di svantaggio; II) l'illegittimità dell'art. 4, comma 3, del d.P.C.M., nella parte in cui limita a soli Euro 5.000 le detrazioni per spese sanitarie, con conseguente grave limitazione del diritto all'accesso alle predette prestazioni sociosanitarie agevolate; III) l'illegittima inclusione, ai sensi dell'art. 5, comma 4, del citato d.P.C.M., della prima casa in base alla sua rendita catastale ai fini IMU nel patrimonio immobiliare del richiedente le prestazioni de quibus; IV) l'irrazionalità della previsione dell'art. 6, comma 3, del d.P.C.M., laddove stabilisce, per le prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria a maggiorenni ed erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, che «... in caso di presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare ai sensi del comma 2, l'ISEE è integrato di una componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi...», tranne che il figlio o un componente del suo nucleo sia disabile, oppure se sia «... accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici...»; V) l'illegittima previsione ex art. 2 del d.P.C.M., che attribuisce agli enti erogatori la facoltà di fissare ulteriori criteri d'accesso alle prestazioni de quibus o un diverso livello di compartecipazione ai servizi sociali o sociosanitari; VI) l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del d.l. 201/2011 con riguardo agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. ed alla Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, stipulata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con la l. 18/2009 e che impone il rispetto della dignità personale propria e dell'autonomia e dell'indipendenza individuali del disabile.

L'adito TAR, con sentenza n. 2454 dell'11 febbraio 2015, ha: 1) disatteso le preliminari eccezioni d'inammissibilità per difetto dell'attualità dell'interesse azionato, poiché il d.P.C.M. ha fissato regole immediatamente precettive verso i richiedenti le prestazioni de quibus; 2) accolto il primo motivo, per l'effetto annullando l'art. 4, comma 2, lett. f), del d.P.C.M. 159/2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini ISEE per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità; 3) ritenuto non fondati tutti gli altri motivi.

Appellano quindi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i Ministeri del lavoro e dell'economia e finanze, con il ricorso in epigrafe, deducendo l'erroneità della sentenza per: A) non aver statuito l'inammissibilità del ricorso di prime cure, a causa sia della natura di atto generale riconoscibile nel d.P.C.M. 159/2013, sia dell'assenza d'una sua autonoma lesività; B) non aver considerato in ogni caso la non attualità della lesione, la quale discende non dal d.P.C.M. in sé, ma dagli atti degli enti erogatori che fisseranno, di volta in volta e per ciascun tipo di prestazione socioassistenziale, le soglie ISEE; C) non aver tenuto conto né del metodo concertativo e dell'ampio apporto di pareri tecnici e di questo Consiglio di Stato nella predisposizione del d.P.C.M., né della fondamentale regola posta dal relativo art. 4, comma 2, lett. f), centrale nel sistema della riforma dell'ISEE alla luce dei vari numerosi ed autorevoli studi in materiale e della sua coerenza con i valori costituzionali implicati nella scelta dell'art. 5 del d.l. 201/2011, quando ha basato la revisione dell'ISEE su una nozione innovativa di reddito, diverso a quello ai fini IRPEF ed incentrato anche sulle somme esenti da imposizione tributaria; D) non aver considerato che comunque il d.P.C.M. reca agevolazioni e varie franchigie di maggior favore per i soggetti più deboli (disabili e minori), invece minimizzate dallo stesso TAR; E) non aver colto gli effetti nocivi del dispositivo con cui quest'ultimo ha annullato l'art. 4, commi 3 e 4, e l'art. 9, comma 3, del d.P.C.M. 159/2013, che refluiscono negativamente sul sistema di detrazioni e franchigie colà stabilite.

Resistono in giudizio il sig. T. e consorti, i quali propongono pure un gravame incidentale al fine di riproporre i motivi disattesi o assorbiti dal TAR.

Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

3. Sebbene i due appelli si rivolgano contro parti differenti del d.P.C.M. in questione, comunque il Collegio reputa opportuno esaminare in via prioritaria l'appello incidentale del sig. T. e consorti. L'eventuale accoglimento di anche uno dei suoi motivi, che comporti l'annullamento del decreto stesso o di altre sue parti, renderebbe improcedibile l'appello principale o implicherebbe altri annullamenti parziali e, dunque, la revisione di tal d.P.C.M.

Sennonché il gravame incidentale non può esser condiviso e sul punto la sentenza va confermata, in quanto è immune dalle critiche che il sig. T. e consorti le oppongono.

Ciò potrebbe pure esimere il Collegio dalla disamina delle preliminari eccezioni d'inammissibilità, proposte contro il ricorso di primo grado e qui ribadite dalle Amministrazioni appellanti principali. A ben vedere, però e per completezza espositiva, il Collegio le reputa del tutto prive di pregio e non dura fatica a rigettarle.

Invero, a fronte della norma primaria, il d.P.C.M. è sì un regolamento, ma non è munito, in tutti i suoi aspetti, dalle caratteristiche della generalità e dell'astrattezza, non certo sulle definizioni di «reddito disponibile», «valorizzazione delle componenti patrimoniali», «nucleo familiare» ed obblighi connessi. Sicché esso è già in sé lesivo, al di là dell'innovazione rispetto al previgente regime, non solo perché conforma l'apporto degli enti erogatori limitandolo ai soli criteri ancor più discretivi dell'accesso alle prestazioni (ossia, le soglie), ma soprattutto già di per sé solo amplia la platea dei contribuenti, la loro base imponibile e gli obblighi di solidarietà. Errano dunque le Amministrazioni ad insistere nel sostenere l'inammissibilità del ricorso in quanto il d.P.C.M. sarebbe «... ascrivibile al novero dei regolamenti c.d. di volizione preliminare... inidoneo a realizzare un'immediata incisione della sfera giuridica dei destinatari...». L'immediatezza della lesione verso gli odierni appellanti incidentali è evidente, poiché il d.P.C.M. reca disposizioni, non meramente programmatiche, bensì puntuali e direttamente applicabili. Basti al riguardo pensare, al di là di ciò che potranno essere gli atti applicativi dell'ISEE da parte degli enti erogatori, alla combinazione dei nuovi redditi rilevanti ai fini ISEE, sì da determinare comunque un maggior sforzo contributivo in capo ai richiedenti le prestazioni ed ai loro familiari.

Da ciò discende la piena sussistenza dell'interesse a ricorrere, a favore dei sigg. T. e consorti e non solo perché essi appartengono alle varie categorie di richiedenti le prestazioni sociosanitarie ed assistenziali. Si presti attenzione alla questione, favorevolmente risolta dal TAR verso gli odierni appellanti incidentali, per cui essi fanno constare come tal maggior (ed oggettivo) aggravio contributivo non sia, almeno secondo la loro prospettazione e nella sostanza, basato su un'effettiva e realmente mutata (rispetto al regime ex d.lgs. 109/1998) attitudine a tal contribuzione. Infatti, le Amministrazioni appellanti principali affermano che il d.P.C.M. ha l'effetto diretto ed immediato di modificare, attraverso un ricalcolo dei loro redditi, le caratteristiche dei beneficiari delle prestazioni erogate in base all'ISEE. Oggetto del contendere, nella specie e tra l'altro, non già la ridefinizione del reddito disponibile in sé, ma la non neutralità, anzi l'effetto immediatamente distorsivo (qual che sarà poi l'atteggiamento degli enti erogatori) dell'inclusione di tutti i trattamenti indennitari tra i redditi rilevanti ai fini ISEE. Tal ridefinizione non è più rimessa alle scelte "a valle" del d.P.C.M., ma discende direttamente da quest'ultimo, che è dunque in sé immediatamente lesivo, ad onta della sua definizione di fonte secondaria.

4. Il TAR, dopo aver accolto il primo mezzo del ricorso di primo grado, ha respinto il secondo motivo, che gli appellanti incidentali qui ripropongono, ossia quello sull'illegittimità dell'art. 4, comma 3, del d.P.C.M. 159/2013.

La disposizione fissa in Euro 5.000 l'ammontare massimo delle detrazioni per spese sanitarie, che gli appellanti incidentali reputano importo troppo basso e tale da limitarne molto il diritto all'accesso a dette prestazioni agevolate. Il TAR giustamente ha rigettato tali doglianze perché «... la previsione di un tetto massimo di detrazione... non appare illogica o penalizzante nel senso prospettato... in quanto il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona del nucleo che detrae..., mentre in precedenza nessuna detrazione... per la "disabilità" era prevista...». La disposizione, quindi, è ben lungi dal delineare un sistema di detrazioni insufficienti a garantire un accettabile standard di vita accettabile a favore dei disabili, in quanto, riconoscendo lo stesso importo detraibile per tutti e ciascun componente della famiglia, fissa un ragionevole punto d'equilibrio tra solidarietà familiare, diritti del disabile e compartecipazione alla spesa pubblica.

Non a diversa conclusione ritiene il Collegio di pervenire con riguardo al terzo motivo, relativo alla pretesa illegittima inclusione, ai sensi dell'art. 5, comma 4, del d.P.C.M., della prima casa in base alla sua rendita catastale ai fini IMU nella componente patrimoniale del disabile. Invero, non s'avvedono gli appellanti che il TAR ha affermato non tanto un generico concetto di valorizzazione della predetta componente patrimoniale, quanto la necessità, tenuta presente dal d.P.C.M., di considerare in modo particolare l'aggiornamento delle norme in tema d'imposizione sulla casa e delle rendite catastali. E allora non si può dire certo alta la fissazione, per un serio calcolo dell'ISEE, dei soli 2/3 del valore catastale ai fini IMU in ordine all'immobile di proprietà dell'assistito, valore, peraltro, non assoluto ma considerato solo se ecceda l'abbattimento di Euro 52.500, oltre Euro 2.500 per ogni figlio convivente successivo al secondo. Invero, non si può sottacere, per il sol fatto che il richiedente sia un disabile, la rendita di posizione a lui derivante dalla casa in proprietà, poiché ciò comunque differenzia in melius la di lui attitudine alla contributiva, la quale è tuttavia temperata, appunto a cagione della disabilità, mediante il duplice abbattimento alla base del predetto valore. È solo da soggiungere, ma ben lo spiega il TAR, che il d.P.C.M. non avrebbe potuto più considerare, essendone stato il regime ormai abolito, il calcolo della situazione del disabile ai fini dell'ICI, non più invocabile per l'intera generalità dei cittadini.

Non riveste i caratteri dell'irrazionalità la previsione ex art. 6 del d.P.C.M., laddove considera come nucleo a sé stante il solo disabile maggiorenne non coniugato.

Infatti, l'art. 6, commi 1 e 2, del d.P.C.M., per quanto concerne le prestazioni di natura socio-sanitaria erogate a disabili maggiorenni, calcola l'ISEE con riferimento esclusivo al beneficiario disabile ed al di lui nucleo familiare c.d. "ristretto", ossia il coniuge, i figli minori ed i figli maggiorenni a carico, se del caso con l'aggiunta per ogni figlio non appartenente al nucleo. Il che è come dire che il disabile maggiorenne fa sempre nucleo a sé, quand'anche conviva ancora con i propri genitori. In tal caso (cfr. C.d.S., III, 3 luglio 2013, n. 3574), il mantenimento di un adeguato rapporto con le famiglie per i disabili gravi e gli anziani non autosufficienti realizza non solo un maggior beneficio per l'assistito, ma anche risultati migliori a parità di costo dei programmi di assistenza. Tutto questo risponde, se adeguatamente applicato, ai criteri di economicità, buon andamento e proporzionalità nella ripartizione dei costi dell'assistenza.

Rettamente quindi il d.P.C.M. chiede che le famiglie siano chiamate ad un ruolo più mirato e attivo, ma anche a fornire il loro contributo alle spese di funzionamento del sistema assistenziale, quando questo s'invera in prestazioni in ambienti protetti. La previsione d'una compartecipazione ai costi delle prestazioni, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza del disabile presso il nucleo familiare, come espressione di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti.

Da respingere è pure il quinto motivo di primo grado, qui riproposto, ché la facoltà recata dall'art. 2 del d.P.C.M. per gli enti erogatori, circa l'introduzione d'ulteriori criteri per l'accesso o per il livello di compartecipazione ai servizi sociali e sociosanitari, non pone la possibilità di criteri alternativi o paralleli a quelli ISEE, quasi una sorta di "sovrimposta" locale. Non nega il Collegio che, sul punto, la giurisprudenza (cfr. Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 297) abbia precisato, affermando con ciò la legittimità dell'art. 5 del d.l. 201/2011, che «... le soglie di accesso alle agevolazioni (fiscali, tariffarie e assistenziali) vengono fissate dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto e non più dagli enti erogatori, ai quali è stata sottratta anche la facoltà di applicare criteri ulteriori rispetto all'ISEE...». Rettamente, però, il TAR esclude che la previsione di criteri ulteriori significhi la violazione della competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, II comma, lett. m), Cost. Per vero, la possibilità d'aggiungere taluni criteri, peraltro a fronte di presupposti ristretti e cautelativi, assegnata dal d.P.C.M. agli enti erogatori serve ad una più precisa identificazione dei beneficiari di talune prestazioni sociali e socio-sanitari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia. Ciò manifesta quella "trasversalità", più che l'esclusività, della materia relativa alla disciplina ISEE, che conforma la potestà legislativa della Regione, nel senso, cioè, che essa «... comporta una forte incidenza sull'esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle Regioni...», da svolgere secondo la leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. Né basta: tal funzione integrativa, già mediata da una normazione regionale a sua volta conformata dalla materia trasversale, non deve prescindere dalla «... valutazione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l'ISEE...».

Manifestamente infondata è stata dichiara dal TAR e resta tuttora così la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del d.l. 201/2011, anche in riferimento alla Convenzione ONU di New York sui diritti delle persone disabili. Quantunque quest'ultima sia stata ritenuta normativa rilevante anche per l'UE (cfr. dec. Cons. n. 2010/48/CE), essa pone regole-obiettivo e linee-guida che vanno declinate e messe in pratica nei singoli ordinamenti degli Stati contraenti e degli Stati membri UE. Si tratta, però, di espressioni in sé molto nobili, ma che da sole non hanno una vera efficacia prescrittiva, se non, nell'ordinamento italiano, mercé i criteri economici specifici e reddituali su cui l'ISEE si basa, di volta in volta, per ciascuna prestazione per il cui accesso è stabilito. Non basta, quindi, predicare che il d.P.C.M. non rispetta la dignità dei disabili, giacché, se non viene declinato pure sulla scorta del bilanciamento di tutti i valori costituzionali implicati, tal assunto si rivela pretestuoso e generico. Rettamente la P.A. eccepisce tali aspetti ed afferma l'infondatezza manifesta della violazione di detta Convenzione, in quanto l'art. 5 del d.l. 201/2011 non può dirsi certo in conflitto con i valori propugnati da quest'ultima quando impone che, nel fissare il nuovo ISEE, si tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, nonché dei pesi e dei carichi familiari. È, questo, un giuoco di equilibri sempre perfettibile, ma già in sé legittimo, tant'è che già questo Consiglio ha chiarito che la predetta Convenzione ONU, che gli appellanti assumono violata, in realtà «... non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss'anche per una piccola frazione, pure l'assistito o chi per lui...» (cfr. C.d.S., III, n. 3574/2013, cit. e id., 14 gennaio 2014, n. 99).

5. Così respinto l'appello incidentale, il Collegio prende ora in esame quello principale, con cui le Amministrazioni appellanti si dolgono dell'impugnata sentenza laddove ha accolto il motivo di primo grado, rivolto contro l'art. 4, comma 1, lett. f), del d.P.C.M., poiché questo contempla nell'ISEE, tra i trattamenti fiscalmente esenti, quelli aventi natura indennitaria o compensativa.

In sostanza, il TAR stigmatizza come l'art. 4, comma 1, lett. f), individui, tra il reddito disponibile, siffatti proventi «... che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie...», peraltro senza darne adeguata e seria contezza, poiché non si tratta né di reddito, né tampoco di reddito disponibile ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.l. 201/2011.

Replicano le appellanti che il d.P.C.M. adotta una definizione ampia di reddito, riconducendo ad esso, ai fini del calcolo dell'ISEE, sia il reddito complessivo IRPEF, sia i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (es. contribuenti minimi, cedolare secca sugli affitti, premi di produttività, ecc.), sia i redditi esenti, nonché tutti i trasferimenti monetari ottenuti dall'Autorità pubblica (assegno sociale, pensioni d'invalidità, indennità di accompagnamento, ecc.). Sono inclusi altresì i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari, mentre ne sono esclusi gli assegni corrisposti al coniuge in seguito a separazione o divorzio per il mantenimento di questi e/o dei figli. Sicché, a loro dire, detta assimilazione sarebbe necessitata per esigenze di equità perequativa e contributiva, come evincesi sia dai contributi di autorevole dottrina (per cui, se l'ISEE serve a definire accesso ed importo delle misure di contrasto alla povertà, non considerare i redditi esenti finirebbe per beneficiare ancor di più chi goda già di indennità esenti da IRPEF), sia dall'uso d'un concetto atecnico di reddito (diverso, cioè, da quello indicato dal d.P.R. 917/1986 per l'IRPEF). Inoltre, a detta delle appellanti stesse, il TAR avrebbe minimizzato l'apporto di franchigie, detrazioni e deduzioni, che invece riducono l'ISEE ed offrono un effetto netto vantaggioso per i disabili e, anzi, darebbe una lettura erronea del ripetuto art. 5, nella misura in cui aggancia la nuova definizione di reddito disponibile alla maggior valorizzazione delle componenti patrimoniali site in Italia o all'estero.

L'impressione, che si ricava ictu oculi dalla serena lettura dell'articolato secondo mezzo d'appello principale è che le Amministrazioni non riescono a fornire anche in questa sede la ragione per cui le indennità siano non solo o non tanto reddito esente, quanto reddito rilevante ai fini ISEE, che è poi il punto centrale della statuizione del TAR sull'argomento.

Ora, non dura fatica il Collegio a dar atto sia che il citato art. 5, comma 1, imponga una definizione di reddito disponibile inclusiva della percezione di proventi ancorché esenti dall'imposizione fiscale, sia della circostanza che, talune volte, il legislatore adoperi il vocabolo «indennità» per descrivere emolumenti incrementativi del reddito o del patrimonio del beneficiario. Nondimeno, non par certo illogica, anzi è opportuna una seria disamina di ciascun emolumento che s'intenda sussumere nel calcolo dell'ISEE, al di là quindi del nomen juris assegnatogli. Occorre partire, pero, da talune ed ineludibili considerazione generali che, sullo specifico punto reputato incongruo dal Giudice di prime cure, evidentemente sfuggono alle appellanti, al di là d'ogni altra vicenda che ha preceduto l'emanazione del d.P.C.M. Si tratta in sostanza della questione per cui, se tali somme sono erogate al fine di attenuare una situazione di svantaggio, tendono a dar effettività al principio di uguaglianza, di talché è palese la loro non equiparabilità ai redditi già di per sé, ossia indipendentemente dalla loro inserzione nel calcolo dell'ISEE.

Si proceda per ordine.

Non v'è dubbio che l'ISEE possa, anzi debba, ai fini di un'equa e seria ripartizione dei carichi per i diversi tipi di prestazioni erogabili per il cui accesso tal indicatore è necessario, tener conto di tutti i redditi che sono esenti ai fini IRPEF, purché redditi. Ed è conscio il Collegio che, ai fini dell'ISEE, prevalgano considerazioni di natura assicurativa ex art. 38, commi II e IV, Cost., che integrano il diritto alla salute di cui al precedente art. 32, I comma. Ciò si nota soprattutto quando, come s'è visto, le prestazioni assistenziali siano strettamente intrecciate a quelle sociosanitarie e, dunque, serva un indicatore più complesso del solo reddito personale imponibile, per meglio giungere ad equità, ossia ad una più realistica definizione di capacità contributiva.

Tuttavia, nulla quaestio fintanto che si resta nel perimetro concettuale del reddito, che le appellanti affermano d'aver usato in modo atecnico, ma che il Collegio definirebbe meglio «reddito non collegato o rideterminato rispetto allo stretto regime impositivo IRPEF (o, più brevemente, reddito-entrata) ». L'obbligo di contribuzione assicurativa non tributaria può assumere anche valori e basi imponibili più adatte allo scopo redistributivo e di benessere (se, come nella specie, è coinvolta per età e/o patologia una platea contributiva settoriale) e senza per forza soggiacere allo stretto principio di progressività, che comunque in vario modo il d.P.C.M. assicura. Ma quando si vuol sussumere alla nozione di reddito un quid di economicamente diverso ed irriducibile, non può il legislatore, né tampoco le appellanti principali, dimenticare che ogni forma impositiva va comunque ricondotta al principio ex art. 53 Cost. e che le esenzioni e le esclusioni non sono eccezioni alla disciplina del predetto obbligo e/o del presupposto imponibile. Esse sono piuttosto vicende presidiate da valori costituzionali aventi pari dignità dell'obbligo contributivo, l'effettiva realizzazione dei quali rende taluni cespiti inadatti alla contribuzione fiscale. Ebbene, se di indennità o di risarcimento veri e propri si tratta (com'è, p. es., l'indennità di accompagnamento o misure risarcitorie per inabilità che prescindono dal reddito), né l'una, né l'altro rientrano in una qualunque definizione di reddito assunto dal diritto positivo, né come reddito-entrata, né come reddito-prodotto (essenzialmente l'IRPEF). In entrambi i casi, per vero, difetta un valore aggiunto, ossia la remunerazione d'uno o più fattori produttivi (lavoro, terra, capitale, ecc.) in un dato periodo di tempo, con le correzioni che la legge tributaria se del caso apporta per evitare forme elusive o erosive delle varie basi imponibili.

E ciò, peraltro, non volendo considerare pure la citazione non pertinente d'una dottrina che a suo tempo evidenziò talune criticità di un ISEE che non contemplasse le indennità, ma riferite ai casi di prestazioni per il contrasto alla povertà. Sicché pure tal osservazione dovrebbe far concludere che, anche a seguire il ragionamento delle appellanti, non ogni indennità è assimilabile ad un reddito quando si tratti di altro tipo di soggetti e di prestazioni.

Non è allora chi non veda che l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com'è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una "migliore" situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa. Pertanto, la «capacità selettiva» dell'ISEE, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l'artificio di definire reddito un'indennità o un risarcimento, ma deve considerali per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile.

È appena da osservare che il sistema delle franchigie, a differenza di ciò che affermano le appellanti principali, non può compensare in modo soddisfacente l'inclusione nell'ISEE di siffatte indennità compensative, per l'evidente ragione che tal sistema s'articola sì in un articolato insieme di benefici ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese i più svariati, onde in pratica i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità.

Non convince infine il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte qua di detto d.P.C.M., in quanto, in disparte il regime transitorio cui il nuovo ISEE è sottoposto, a ben vedere non occorre certo una novella all'art. 5 del d.l. 201/2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile». All'uopo basta correggere l'art. 4 del d.P.C.M. e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto art. 5, comma 1, del d.l. 201/2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi.

6. Gli appelli vanno così respinti. La complessità della questione, la reciproca soccombenza e giusti motivi suggeriscono l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6468/2015 RG in epigrafe, respinge l'appello principale e l'appello incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Note

V. anche Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 29 febbraio 2016, n. 842.