La partecipazione del privato al procedimento amministrativo

Alessandro Oddi (*)

1. Considerazioni introduttive: il procedimento amministrativo

In termini di teoria generale, il "procedimento" può essere definito come una serie giuridicamente preordinata di atti e di attività, posti in essere da soggetti (pubblici e privati) diversi, al termine della quale si produce un determinato atto - perfetto ed efficace - tipico della relativa funzione. Così, al termine del procedimento legislativo si avrà la legge; al termine del procedimento giurisdizionale (rectius: processo), la sentenza; al termine del procedimento amministrativo, il provvedimento. Gli atti e le attività, reciprocamente coordinati ed integrati, che costituiscono il procedimento tendono tutti ad uno scopo unitario (la produzione di un atto avente efficacia esterna), ponendosi dunque in un rapporto di strumentalità rispetto ad esso.

Con particolare riferimento alla funzione amministrativa, la procedimentalizzazione dell'azione dei pubblici poteri esprime l'idea di un ordo productionis che trova la sua ragion d'essere in una duplice esigenza di legalità - e, quindi, di verificabilità - della funzione stessa, essendo rivolta a garantire: a) la necessaria osservanza delle norme giuridiche che ne disciplinano l'esercizio (legalità in senso formale); b) un'adeguata acquisizione e valutazione dei fatti e degli interessi rilevanti ai fini dell'adozione del provvedimento finale (legalità in senso sostanziale).

Se è indubbio, infatti, che il procedimento amministrativo serve in primo luogo ad assicurare la piena corrispondenza tra il provvedimento in fieri e le disposizioni che lo prevedono, è anche vero che esso non si risolve necessariamente nella pura e semplice legis executio, ma spesso richiede operazioni integrative della legge caratterizzate, di volta in volta, da una più o meno ampia discrezionalità: ciò accade quando l'ordinamento impone alla P.A. di tener conto di molteplici interessi da comporre e bilanciare nel provvedimento finale (ad es., nella pianificazione urbanistica o commerciale), ovvero di agire per il soddisfacimento di interessi normativamente additati con formule linguistiche vaghe o indeterminate (ad es., pubblica sicurezza, igiene, sanità, valorizzazione dell'ambiente). In questi casi, peraltro, l'esigenza di legalità formale, pur non venendo meno, finisce col passare in secondo piano, dal momento che qui l'itinerario procedimentale mira innanzitutto a conformare l'azione amministrativa alla realtà fattuale su cui essa concretamente incide, in vista della migliore realizzazione dell'interesse pubblico. Il che spiega come mai dottrina e giurisprudenza abbiano avvertito il bisogno di circoscrivere l'ambito del potere discrezionale alla stregua di principi e criteri (per lo più sans texte) di natura logico-equitativa (primariamente quello di ragionevolezza, che d'altronde è insito nello stesso concetto di "funzione"), distinguendolo così dall'arbitrio.

Ci riferiamo, ovviamente, alla progressiva elaborazione di quel particolare vizio degli atti amministrativi denominato "eccesso di potere" (nelle sue svariate forme, o "figure sintomatiche": travisamento dei fatti; sviamento di potere; illogicità o contraddittorietà; disparità di trattamento; ingiustizia manifesta), il quale costituisce per l'appunto un tipico esempio di vizio funzionale, ricorrendo ogniqualvolta l'Amministrazione faccia un cattivo uso della propria discrezionalità.

In definitiva, il procedimento amministrativo costituisce qualcosa di più che una mera sequenza di atti teleologicamente connessi, in quanto tale del tutto indifferente rispetto al contenuto del provvedimento. Esso è - per così dire - il modo di manifestarsi, la forma sensibile della relativa funzione (BENVENUTI). Con la conseguenza che il sostrato della scelta finale non può non assumere rilievo giuridico: nel senso che questa deve sempre trovare puntuale giustificazione - in termini di coerenza, adeguatezza e proporzionalità - nelle risultanze di una rigorosa attività istruttoria. Ed è proprio nel corso di una tale attività (la quale rappresenta il cuore di ogni procedimento) che i privati possono - come vedremo - "interloquire" con l'Amministrazione.

2. La disciplina legislativa della partecipazione procedimentale

La partecipazione al procedimento amministrativo (c.d. partecipazione procedimentale) è regolata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"), la quale ne ha delineato una disciplina di massima dalla portata fortemente innovativa, tanto che in dottrina si è ragionato, al riguardo, di una vera e propria "rivoluzione copernicana". Basti solo pensare che la giurisprudenza amministrativa anteriore alla legge de qua era costante nel ritenere ammissibile l'intervento del privato soltanto nei singoli casi espressamente stabiliti dalla legge, rilevando più volte l'inesistenza, nel nostro ordinamento, di una norma che prevedesse la generalizzazione del contraddittorio (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 19 gennaio 1990, n. 121; Id., Ad. plen., 19 giugno 1986, n. 6; Id., Sez. IV, 10 maggio 1984, n. 325; Id., Sez. IV, 6 luglio 1976, n. 524; Id., Sez. VI, 9 novembre 1971, n. 959; Id., Sez. VI, 5 aprile 1968, n. 252; Id., Sez. IV, 9 novembre 1966, n. 762). D'altra parte, la Consulta ha sempre negato che il principio del giusto procedimento (due process of law) - nella sua accezione più ampia, ossia riferito a tutti i provvedimenti, tanto favorevoli quanto sfavorevoli - goda di una copertura costituzionale, in base all'assunto (invero controvertibile) che né l'art. 3 né l'art. 97 Cost. depongono in tal senso (v., ad es., sentt. 210/1995; 103/1993; 143/1989; 978/1988; 190/1986; 234/1985; 319/1983; 23/1978; 13/1962).

In realtà, già la l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, prescriveva che, eccettuati gli affari nei quali si facesse "questione di un diritto civile o politico", le autorità amministrative, prima di provvedere, dovessero ammettere "le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate" (art. 3, comma 1). Sennonché nella pratica tale disposto, al di fuori dei procedimenti giustiziali o contenziosi, non ha trovato che rarissime applicazioni, essendo stato per lo più inteso in senso meramente programmatico.

Si può dire, dunque, che la partecipazione, se prima della normativa in parola costituiva l'eccezione, ora è divenuta la regola.

Nel sistema configurato dal legislatore si distinguono due diverse categorie di possibili intervenienti, a seconda che questi debbano o meno ricevere comunicazione dell'avvio del procedimento.

1) Sono legittimati ad intervenire (c.d. intervenienti necessari, o per chiamata): a) i soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; b) i soggetti che devono intervenire per legge; c) i soggetti, diversi dai diretti destinatari del provvedimento, ai quali questo possa arrecare un pregiudizio, purché siano individuati o facilmente individuabili.

I soggetti menzionati sub c) sono quelli che, pur non essendo destinatari del provvedimento, finiscono tuttavia col subirne indirettamente gli effetti negativi: così, ad es., il provvedimento di revoca della concessione ha come diretto destinatario il concessionario, ma pregiudica anche il subconcessionario; il provvedimento di espropriazione ha come diretto destinatario il proprietario del fondo, ma pregiudica anche l'affittuario.

Salvo che sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, costoro devono essere informati dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale, nella quale vanno indicati: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, nel frattempo, misure cautelari.

Le esigenze di celerità ostative alla comunicazione devono essere concrete, obbiettive e specifiche, nonché adeguatamente motivate (cfr. C.d.S., Sez. IV, 25 marzo 1996, n. 368; T.A.R. Sardegna, 8 giugno 1995, n. 1068; Trib. Sup. Acque, 18 ottobre 1995, n. 77).

La comunicazione può essere notificata a mezzo di un ufficiale giudiziario o di un messo comunale, spedita per posta con una raccomandata A/R, oppure trasmessa via telefax (cfr. T.A.R. Abruzzo, 28 ottobre 1993, n. 527; T.A.R. Emilia Romagna, 23 giugno 1992, n. 175).

Quanto al "responsabile del procedimento", si tratta di un'importante figura (già prevista, in precedenza, da talune leggi speciali) la quale riveste un duplice ruolo: da un lato, quello di guida e motore del procedimento; dall'altro, quello di interlocutore (e quindi punto di riferimento) dei soggetti destinatari della decisione amministrativa (MORBIDELLI). In particolare, egli ha il compito di (art. 6): a) valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del provvedimento; b) accertare d'ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adottare ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria (a tal fine, può richiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete, esperire accertamenti tecnici ed ispezioni, ordinare esibizioni di documenti); c) proporre l'indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi (v. art. 14); d) curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalla legge e dai regolamenti; e) adottare, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmettere gli atti all'organo competente per l'adozione. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale (art. 4). Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale. Fino a quando non sia stata effettuata tale assegnazione, responsabile del procedimento è il dirigente dell'unità organizzativa (art. 5).

Nel caso in cui, per l'elevato numero dei destinatari, non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, la comunicazione personale potrà essere surrogata da idonee forme di pubblicità, stabilite di volta in volta dall'amministrazione.

L'omissione della comunicazione può essere fatta valere esclusivamente dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è prevista (artt. 7-8). Essa determina, cioè, un'invalidità relativa del provvedimento finale per violazione di legge, peraltro sanata dall'effettiva partecipazione dell'interessato che abbia comunque avuto notizia del procedimento (cfr. Corte cost., sentt. 240/1997, 505/1995 e 126/1995; C.d.S., Sez. V, 22 novembre 1991, n. 1346; T.A.R. Lazio, Sez. I, 3 aprile 1996, n. 567; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 25 gennaio 1995, n. 85; T.A.R. Toscana, Sez. I, 1° luglio 1994, n. 416; T.A.R. Sicilia, Catania, 18 giugno 1994, n. 1343; T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 maggio 1992, n. 442). Eguale vizio si produce in caso di comunicazione tardiva, in quanto notificata pochi giorni prima della fase decisoria (cfr. C.d.S., Sez. V, 5 giugno 1997, n. 603).

Occorre tener presente, tuttavia, che ad avviso della giurisprudenza tale comunicazione non è necessaria (sicché la sua omissione non vizia il provvedimento finale) - oltre che nelle due ipotesi espressamente previste dalla legge (provvedimenti cautelari e urgenti) - nei procedimenti ad istanza di parte (cfr. C.d.S., Sez. V, 24 novembre 1997, n. 1366; T.A.R. Friuli-V.G., Sez. I, 3 febbraio 1996, n. 64; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 10 gennaio 1995, n. 3; T.A.R. Lazio, Sez. I, 9 giugno 1994, n. 927; T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 febbraio 1993, n. 37; T.A.R. Puglia, Sez. II, 5 dicembre 1992, n. 1183; Corte dei Conti, Sez. II, 19 ottobre 1994, n. 904), nei procedimenti volti all'adozione di provvedimenti vincolati (cfr. C.d.S., Sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1223; Id., Sez. V, 13 novembre 1995, n. 1562; Id., Sez. V, 6 giugno 1995, n. 253; T.A.R. Campania, Sez. I, 9 maggio 1996, n. 203; T.A.R. Lombardia, Sez. III, 18 aprile 1995, n. 541; T.A.R. Emilia Romagna, Sez. I, 23 febbraio 1995, n. 110; T.A.R. Liguria, Sez. II, 2 settembre 1994, n. 293), nonché, in generale, ogniqualvolta risulti superflua rispetto allo scopo - cui essa è preordinata - di consentire all'interessato di fornire mezzi di prova in suo favore ovvero di allegare fatti e argomenti utili all'azione amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. IV, 13 novembre 1998, n. 1524; Id., Sez. V, 1° aprile 1997, n. 306; Id., Sez. VI, 25 ottobre 1996, n. 1408; Id., Sez. VI, 9 agosto 1996, n. 999; Id., Sez. V, 19 marzo 1996, n. 283; Id., Sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232; Id., Sez. V, 2 febbraio 1996, n. 132; Id., Sez. IV, 2 gennaio 1996, n. 3; Id., Sez. V, 26 settembre 1995, n. 1364; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 2 febbraio 1998, n. 144; T.A.R. Puglia, Sez. II, 22 giugno 1996, n. 387).

2) Indipendentemente dalla predetta comunicazione, sono altresì legittimati ad intervenire, quando ad essi possa derivare un pregiudizio dal provvedimento (c.d. intervenienti eventuali, o volontari): a) i soggetti portatori di interessi pubblici o privati; b) i soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati (art. 9).

Qui il concetto di "interesse" esprime genericamente una relazione di vantaggio (attuale o potenziale), giuridicamente rilevante, tra il soggetto e un determinato bene (patrimoniale o morale). Il "pregiudizio" consiste in una lesione dell'interesse.

Gli "interessi pubblici" sono quelli che la legge considera come tali, demandandone la tutela ad enti, organi o uffici pubblici. Questi soggetti, non diversamente dai titolari di interessi privati, possono intervenire nel procedimento per contrastare l'adozione di provvedimenti lesivi delle proprie posizioni giuridiche (si pensi, ad es., ad un Comune che si oppone alla realizzazione di una discarica).

Gli "interessi privati" sono quelli che l'ordinamento riconosce individualmente a ciascun soggetto (persona fisica o giuridica, oppure altra figura soggettiva), a fronte dell'esercizio di un potere.

Gli "interessi diffusi" (detti anche adespoti, cioè "senza padrone") sono interessi superindividuali indifferenziati, in quanto simultaneamente riferibili ad una pluralità indeterminata di soggetti non costituente un gruppo organizzato (ad es., l'interesse alla salubrità dell'aria, alla riduzione dell'inquinamento, alla pubblicità non ingannevole, ecc.). Frutto di una lunga e travagliata elaborazione giurisprudenziale, sviluppatasi in assenza di qualunque riferimento normativo esplicito, tale categoria sembra trovare nella disposizione in esame il suo definitivo riconoscimento giuridico, sia pure con una considerevole limitazione: ai fini della partecipazione procedimentale, infatti, è necessaria l'esistenza di un ente esponenziale, ossia di un centro organizzativo (associazione o comitato) deputato alla cura - e quindi portatore - dell'interesse del gruppo. A ben vedere, però, la terminologia impiegata dal legislatore è quantomeno impropria: ed invero, gli interessi diffusi dotati di struttura (vale a dire unificati in un ente esponenziale) non sono altro che interessi collettivi.

Gli intervenienti (necessari o eventuali) hanno diritto di: a) prendere visione (ed estrarre copia) degli atti del procedimento, salvi i casi in cui è escluso il diritto di accesso (v. infra, § 3); b) presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento (art. 10).

La legge consente, dunque, l'instaurazione di un contraddittorio meramente documentale: non è previsto, in linea di principio, né il contraddittorio informale (ma v. infra, art. 11, comma 1-bis) né quello che si realizza attraverso inchieste pubbliche (sul modello delle hearings statunitensi). In tal senso, però, possono disporre i singoli regolamenti organizzativi (v., ad es., art. 7 d.P.R. 10 settembre 1991, n. 461, che disciplina le procedure istruttorie dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato) e gli statuti degli enti locali (cfr. art. 6, comma 2, l. 8 giugno 1990, n. 142).

Le memorie (termine processualistico impiegato qui per designare scritti di parte contenenti opposizioni, osservazioni, suggerimenti o proposte) e i documenti (atti amministrativi, perizie, relazioni tecniche, dichiarazioni sostitutive, ecc.), prodotti dagli interessati, possono avere tanto una funzione di difesa della propria posizione giuridica (c.d. partecipazione difensiva), quanto una funzione di collaborazione con la P.A. (c.d. partecipazione collaborativa). In entrambi i casi, questi atti vanno ad integrare l'insieme degli elementi acquisiti in sede istruttoria, entrando così a pieno titolo nel processo decisionale (sempre che, ovviamente, siano "pertinenti"). Ne deriva che l'autorità procedente ha il dovere di valutarli, e tale valutazione deve palesarsi nel provvedimento ovvero negli atti che questo richiama (art. 3): essa è tenuta, cioè, a rendere conto delle proprie scelte - motivandone le ragioni di fatto e di diritto - anche alla luce di quanto dedotto dagli stessi interessati (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 26 giugno 1995, n. 1033).

L'esperibilità dell'intervento non risulta legislativamente subordinata ad alcun termine finale (quello iniziale coincide, invece, con l'avvio del procedimento); il che espone i privati al rischio (nient'affatto teorico) di una partecipazione tardiva. Nulla esclude, peraltro, che un termine ad quem venga stabilito per via regolamentare (v., ad es., art. 5, n. 2, d.m. tesoro 23 marzo 1992, n. 304) oppure dal responsabile del procedimento (in vista di quell'"adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria" che egli è istituzionalmente chiamato ad assicurare). Deve comunque trattarsi di un termine ragionevole (ossia frutto di un equo bilanciamento tra le istanze partecipative dei privati e l'esigenza di efficacia e speditezza dell'azione amministrativa), in mancanza del quale l'intervento potrà essere validamente dispiegato fino all'adozione del provvedimento.

In accoglimento delle osservazioni e delle proposte presentate, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale (c.d. accordi procedimentali, o endoprocedimentali) ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo (c.d. accordi sostitutivi) (art. 11, comma 1).

Gli accordi possono intervenire soltanto fra la P.A. e il destinatario diretto del provvedimento finale (sono esclusi, dunque, gli altri intervenienti).

Al fine di favorirne la conclusione, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati (art. 11, comma 1-bis, introdotto dall'art. 3-quinquies del d.l. 12 maggio 1995, n. 163, conv. con mod. nella l. 11 luglio 1995, n. 273). Gli accordi vanno stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non sia diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti agli stessi controlli previsti per questi ultimi. Qualora sopravvengano motivi di pubblico interesse, l'amministrazione può recedere unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 11, commi 2-5).

Non soggiacciono alla disciplina fin qui esaminata: a) i procedimenti diretti all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; b) i procedimenti tributari (art. 13).

Ciò non significa, beninteso, che in siffatti procedimenti l'intervento del privato sia sempre e comunque escluso, ma soltanto che essi, in virtù della loro peculiare natura, continuano ad essere regolati da specifiche disposizioni di legge. Si deve rilevare, peraltro, che una tale previsione, se risulta plausibile per gli atti normativi (ad es., regolamenti) e amministrativi generali (ad es., bandi di concorso), nonché per i procedimenti tributari, non appare giustificata, invece, per gli atti di pianificazione e programmazione (ad es., in materia urbanistica o commerciale), la cui sottrazione al regime generale (suggerita da non meglio precisate "ragioni pratiche": cfr. C.d.S., Ad. gen., 17 febbraio 1987, n. 7) sminuisce notevolmente la portata innovativa della riforma in parola.

3. L'accesso ai documenti amministrativi

La legge 241/1990 riconosce il "diritto" di accesso ai documenti amministrativi: a) ai soggetti legittimati ad intervenire nel procedimento (c.d. accesso procedimentale, o endoprocedimentale) (v. supra, § 2); b) a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (c.d. accesso extraprocedimentale) (art. 22, comma 1).

Si tratta di due posizioni giuridiche comunemente additate col medesimo nomen iuris ("diritto di accesso"), ma differenti per presupposti, finalità e soggetti titolari. Ed invero, mentre la prima è strumentale al procedimento (rectius: alla partecipazione procedimentale), e perciò si colloca e si esaurisce nell'ambito soggettivo e oggettivo di esso, la seconda è riconosciuta, indipendentemente da qualsivoglia procedimento, a chiunque abbia interesse alla conoscenza di tali documenti per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in modo da assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa. Entrambe, peraltro, si caratterizzano per avere il medesimo contenuto, che consiste nella facoltà di prendere visione ed estrarre copia di atti o documenti in possesso dell'Amministrazione: e ciò spiega perché la legge ne preveda una disciplina unitaria (cfr. C.d.S., Sez. IV, 30 luglio 1994, n. 650; Id., Sez. IV, 12 maggio 1993, n. 530; Id., Sez. VI, 9 settembre 1992, n. 630; T.A.R. Lombardia, Sez. III, 18 gennaio 1995, n. 64; T.A.R. Lombardia, Brescia, 7 novembre 1991, n. 809).

L'actio ad exhibendum extraprocedimentale è accordata ai soli portatori di interessi qualificati e differenziati, con esclusione, quindi, dei titolari di interessi di fatto (v., invece, art. 7, commi 3 e 4, l. 142/1990, che attribuisce a tutti i cittadini, singoli e associati, il diritto di accedere agli atti amministrativi degli enti locali e, in generale, alle informazioni da questi possedute; e art. 3 d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 39, che impone alle autorità pubbliche di "rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse"). Non occorre, tuttavia, che le "situazioni giuridicamente rilevanti" rivestano i caratteri propri del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo, ben potendo essere costituite anche da mere aspettative di diritto ovvero da interessi collettivi, purché, in quest'ultimo caso, la pretesa all'accesso risulti avvalorata dalla rappresentatività dell'ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all'oggetto dell'istanza (cfr. C.d.S., Sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1683; Id., Sez. VI, 30 settembre 1998, n. 1346; Id., Sez. IV, 5 maggio 1998, n. 752; Id., Ad. plen., 4 febbraio 1997, n. 5; Id., Sez. IV, 23 ottobre 1995, n. 830; Id., Sez. VI, 30 settembre 1994, n. 1467; Id., Sez. VI, 19 luglio 1994, n. 1243; Id., Sez. V, 8 febbraio 1994, n. 78; Id., Sez. IV, 11 gennaio 1994, n. 8; Id., Sez. VI, 30 novembre 1993, n. 783; Id., Sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036; Id., Sez. VI, 27 marzo 1992, n. 193; T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 marzo 1997, n. 471; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 1994, n. 353; T.A.R. Lazio, Sez. I, 28 settembre 1993, n. 1374; T.A.R. Sicilia, Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 105; C.G.A., 18 marzo 1998, n. 171).

È considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa (art. 22, comma 2).

Il diritto di accesso:

1) si esercita nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi (art. 23);

2) è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, nonché negli altri casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento (v. art. 12 l. 24 ottobre 1977, n. 801; art. 9 l. 1° aprile 1981, n. 121, come modificato dall'art. 26 l. 10 ottobre 1986, n. 668).

È altresì escluso ove ricorra l'esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica monetaria e valutaria; c) l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi e imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici.

Le singole amministrazioni hanno l'obbligo di individuare, con uno o più regolamenti, le categorie di documenti, da esse formati o comunque posseduti, sottratti all'accesso per le anzidette esigenze (v., ad es., d.m. 10 gennaio 1996, n. 60; d.m. 26 ottobre 1994, n. 682).

Per quanto concerne l'ipotesi sub d), deve ritenersi che, in caso di contrasto, il diritto dell'accedente di curare e difendere i propri interessi giuridici prevalga sul diritto alla riservatezza dei terzi (cfr. C.d.S., Sez. V, 22 giugno 1998, n. 923; Id., Ad. plen., 4 febbraio 1997, n. 5; Id., Sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 37; Id., Sez. VI, 5 gennaio 1995, n. 512; Id., Sez. IV, 11 gennaio 1994, n. 22; Id., Ad. gen., 17 maggio 1993, n. 39; contra, C.d.S., Sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59, sia pure con esclusivo riguardo ai c.d. "dati sensibili"; Id., Sez. VI, 15 aprile 1996, n. 563).

È escluso, infine, per gli atti preparatori dei procedimenti cui non si applicano le norme sulla partecipazione procedimentale (v. supra, § 2), salvo diverse disposizioni di legge.

Le amministrazioni hanno facoltà di differire l'accesso ai documenti richiesti fino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa (art. 24);

3) si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. L'esame è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di produzione, salve le disposizioni in materia di bollo e salvi i diritti di ricerca e di visura.

La richiesta di accesso deve essere motivata e va rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. Trascorsi inutilmente trenta giorni, la richiesta si intende rigettata.

Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi soltanto nei casi e nei limiti anzidetti e devono essere motivati.

Contro di essi il richiedente può, entro trenta giorni: a) chiedere al difensore civico competente che sia riesaminata la relativa determinazione. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l'ha disposto. Se questi non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito; oppure b) presentare ricorso al Tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico, il termine per proporre impugnazione dinanzi al TAR decorre dalla data in cui il richiedente stesso ha ricevuto notizia dell'esito della sua istanza al difensore civico.

La decisione del TAR è appellabile, entro trenta giorni dalla sua notifica, dinanzi al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini.

In caso di accoglimento (totale o parziale) del ricorso, il giudice amministrativo ordina, sussistendone i presupposti, l'esibizione dei documenti richiesti (art. 25, come modificato dall'art. 15 della l. 24 novembre 2000, n. 340).

Il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente (art. 4, comma 3, l. 21 luglio 2000, n. 205).

Disposizioni di dettaglio sono contenute nel d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, al quale si rinvia.

È assai controverso, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, se il "diritto" di accesso si atteggi come un vero e proprio diritto soggettivo perfetto (nel qual caso, l'affidamento della relativa tutela al solo giudice amministrativo configurerebbe un'ipotesi di giurisdizione esclusiva) ovvero come un interesse legittimo (v., ad es., nel primo senso, Cass. civ., Sez. un., 28 maggio 1998, n. 5292; C.d.S., Sez. IV, 27 agosto 1998, n. 1137; Id., Sez. IV, 11 giugno 1997, n. 643; Id., Sez. IV, 20 settembre 1994, n. 728; Id., Sez. IV, 30 luglio 1994, n. 650; Id., Sez. IV, 7 marzo 1994, n. 216; T.A.R. Lombardia, Brescia, 6 novembre 1992, n. 1198; nel secondo senso, Cass. civ., Sez. un., 27 maggio 1994, n. 5216; C.d.S., Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16; Id., Sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725; Id., Sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412; ma v. anche T.A.R. Lombardia, Sez. III, 11 gennaio 1993, n. 13, secondo cui si tratterebbe di una posizione giuridica "nuova", non riconducibile alla predetta distinzione).

4. Osservazioni conclusive

Per comprendere appieno la rilevanza - non soltanto giuridica, ma anche lato sensu politica - della partecipazione procedimentale, occorre prendere le mosse dalla considerazione della ratio multifunzionale che caratterizza tale istituto.

Si è già avuto modo di evidenziare come il privato, intervenendo nel procedimento, sia in grado non solo di difendere i propri interessi, ma anche di collaborare con l'Amministrazione per una migliore realizzazione dell'interesse pubblico. Ci troviamo in presenza, dunque, di uno strumento che riveste, allo stesso tempo, una duplice valenza garantistica: in senso soggettivo, a tutela del singolo cittadino (in quanto destinatario del provvedimento finale, o comunque da questo pregiudicato); in senso oggettivo, a tutela dell'efficienza e dell'imparzialità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.). Imparzialità da intendersi, qui, non già come "terzietà" (che è propria del giudice), bensì come "necessità di ponderare tutti gli interessi legislativamente tutelati che possono essere toccati dall'agire amministrativo e solo di essi e di operare le conseguenti scelte in base a criteri previsti dalle leggi oppure unitari, ossia conformi ad indirizzi generali, adottati dagli organi competenti alla stregua del sistema democratico" (CERRI).

Questi due profili garantistici (soggettivo e oggettivo), ancorché siano concettualmente distinti, in un'ottica funzionale appaiono strettamente correlati, o - per meglio dire - legati da un vincolo di reciproca complementarietà. È un dato ormai acquisito, infatti, che negli attuali ordinamenti democratici l'interesse pubblico - al cui soddisfacimento la P.A. è istituzionalmente deputata - non rappresenta più un dato precostituito, ovverosia definito a priori e in astratto dal legislatore, ma si configura come una categoria dinamica: come il risultato di una valutazione comparativa di tutti gli interessi concretamente coinvolti nell'esercizio del potere (amministrativo).

Ovviamente non è questa la sede per approfondire le ragioni di un tale complesso fenomeno (né, tanto meno, per valutarne la compatibilità col principio di legalità vigente nel nostro ordinamento). Qui è sufficiente limitarsi ad osservare che esso è dovuto, in buona sostanza, ad un progressivo mutamento del rapporto che intercorre fra legge e amministrazione, nel senso che è per l'appunto questa, e non quella, la sede in cui sempre più spesso si realizzano la selezione e il bilanciamento tra i diversi (e magari contrapposti) interessi. Ogniqualvolta il legislatore, non potendo o non volendo "scegliere", prefigura il pubblico interesse attraverso concetti elastici, generici o del tutto indefiniti, l'onere della scelta finisce inevitabilmente col ricadere sull'amministrazione, alla quale viene in tal modo riconosciuta una broad delegation - ma non di rado si tratta di una sorta di delega in bianco (Blankovollmacht) - che attiene, in ultima analisi, alla determinazione pratica degli stessi fini da perseguire.

Si comprende, allora, come la partecipazione procedimentale serva essenzialmente a limitare "dal basso" la discrezionalità amministrativa, dando voce a quanti siano toccati (in modo diretto o indiretto) dal provvedimento emanando. Il che, a ben vedere, soddisfa appieno anche un'ulteriore esigenza costituzionale: quella di eguaglianza sostanziale, la quale richiede l'"effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3, comma 2, Cost.).

Da questo punto di vista, la legge 241/1990, concretizzando sul piano legislativo ordinario principi e valori desumibili dalla Costituzione (ma per lungo tempo rimasti in gran parte inattuati), rappresenta senza dubbio una svolta radicale, tanto da porre le basi per la realizzazione - accanto alla democrazia politica - di una vera e propria "democrazia amministrativa". Essa sancisce normativamente il definitivo superamento del preesistente modello autoritativo, frutto della vecchia concezione che vedeva nella P.A. un corpo separato dalla società, il quale si autolegittima sulla base della presunta capacità di valutare in via unilaterale gli interessi e di commisurarli all'esecuzione delle scelte compiute dal legislatore.

Tale modello viene ora sostituito da nuovi e più moderni moduli partecipativo-consensualistici, i quali segnano il passaggio da una P.A. di tipo monologico ad una di tipo dialogico, che trova la sua legittimazione non soltanto nella legge, ma anche nella capacità di rispondere, attraverso il procedimento, ai bisogni sociali.

Come si è giustamente rilevato dalla Corte costituzionale, la l. 241/1990 "delinea principi generali dell'azione amministrativa, volti ad impostare in un contesto di lealtà e di reciproca fiducia e collaborazione i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione" (sent. 140/1998). È significativo che tale affermazione sia contenuta nella parte motiva di una pronuncia riguardante l'oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 c.p.), e cioè un delitto - solo di recente soppresso (art. 18, comma 1, l. 25 giugno 1999, n. 205) - che di quel modo ormai superato di intendere il rapporto tra cittadino e pubblica autorità costituiva una delle più evidenti manifestazioni residue (cfr. sent. 341/1994).

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Note

(*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale nell'Università degli studi di Ferrara.

Data di pubblicazione: 15 settembre 2003.