Giurisdizione del giudice amministrativo
in pubblici concorsi riservati
a dipendenti interni, fuori ruolo e comandati

Mario Di Carlo (*)

La sentenza della Corte d'Appello di Roma, sezione lavoro, 26 gennaio-22 marzo 2005, n. 639, che si annota, stabilisce, pur in maniera non limpida, la giurisdizione del giudice amministrativo nei pubblici concorsi riservati oltre che ai dipendenti interni, anche ai fuori ruolo ed ai comandati.

La vicenda su cui si è pronunciato il Giudice romano riguarda l'ammissione ad un corso di riqualificazione per il personale di segreteria del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali, bandito con decreto 30 marzo 2001, in esecuzione dell'art. 11 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 287. In particolare tre dipendenti dell'amministrazione autonoma del Consiglio di Stato - Tribunali amministrativi regionali, ammessi al corso di riqualificazione, ma collocatisi in posizione non utile alla progressione nella graduatoria finale, avevano impugnato quest'ultima, adducendo l'illegittimità dell'ammissione al corso dei comandati, dal momento che l'assenza di questi nella graduatoria avrebbe consentito loro l'accesso. Sennonché proprio l'art. 11 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 287 prevedeva "La riqualificazione professionale del personale in servizio di ruolo, fuori ruolo, comandato, presso le amministrazioni interessate dai processi di riordino [...]".

Il primo problema da risolvere era evidentemente quello della giurisdizione. La fattispecie però non si inquadra facilmente nel sistema di riparto della giurisdizione utilizzando le regole prospettate dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite sull'interpretazione dell'art. 63, co. 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (A mente del quale: "Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi").

La sentenza della Corte d'Appello di Roma richiama la Cassazione, in particolare le ordd. 15403/03, 18886/03, 3948/04, 10183/04 (a cui si aggiungano Cass. SS. UU. 15472/03 e 22278/04). In base a questa giurisprudenza le controversie riguardanti la legittimità delle graduatorie delle selezioni dirette a permettere l'accesso del personale già assunto ad una fascia o area funzionale superiore sono devolute al giudice amministrativo. Ciò in considerazione del fatto che ogni qual volta la procedura concorsuale sia tale da poter determinare l'inserimento nella pianta organica di soggetti che non siano già dipendenti, si configura una procedura concorsuale per l'assunzione, soggetta alla giurisdizione amministrativa. Questo vale anche nel caso di passaggio di fascia o d'area funzionale, dal momento che l'accesso alla fascia o all'area superiore di personale interno (od esterno) implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica. Il termine "assunzione", di cui all'art. 63, va quindi inteso come correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all'ingresso iniziale nella pianta organica del personale (ord. 15403/03). Tale indirizzo della Cassazione è stato poi sistematizzato dall'ord. 3948/04 (ribadita in Cass. SS. UU. Ord. 22278/04), che ha individuato quattro ipotesi:

a) indubbia giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi per soli esterni;

b) identica giurisdizione su controversie relative a concorsi misti (restando irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, perché, in tal caso, la circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni, secondo il criterio di riparto originario);

c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area ad un'altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l'apertura all'esterno (salvo stabilire - ma il tema di indagine è estraneo ai limiti della presente controversia, sicché non ha la Corte motivo di addentrarvisi - se, pur nella prospettiva della lettura estensiva della nozione di procedura concorsuale ai fini dell'attribuzione delle controversie al G.A., la violazione del principio costituzionale in tema di concorso aperto all'esterno, risolvendosi in carenza di potere - ove perpetrato attraverso atti di autonomia contrattuale, il cui vizio sia, pertanto, riconducibile al modello nullità negoziale - fondi, per questo stesso fatto la giurisdizione ordinaria, una volta negata la natura esclusiva della giurisdizione amministrativa in materia);

d) residuale giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad altra, ma nell'ambito della medesima area.

La fattispecie in esame non si inquadrava facilmente nello schema delineato, poiché seppur la progressione non prevedeva passaggi di fascia o area funzionale, era ambiguo lo status dei comandati. Il dubbio consiste nel considerarli o meno dipendenti, più esattamente "interni" o "esterni". La sentenza che si annota ritiene che essi non vadano considerati come interni, laddove afferma che "nella specie erano ammessi non solo interni, ma anche fuori ruolo e comandati", ponendo in risalto, come elemento discriminante, "il conseguente loro (eventuale) ingresso in ruolo presso il Consiglio di Stato, e la modificazione del suo organico".

Possiamo quindi affermare che la definizione di "interni" non si riferisce a coloro che sono dipendenti di una qualsiasi Pubblica Amministrazione, neppure nel caso in cui prestino effettivamente il loro servizio presso l'amministrazione banditrice (leggasi comandati) e ciò venga in rilievo per la loro ammissione al concorso. Per "interni" devono intendersi i dipendenti nel ruolo dell'amministrazione banditrice, poiché solo per costoro si configura un semplice atto di gestione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. ord. 18886/03). Non altrettanto per i comandati ed i fuori ruolo, dal momento che la loro eventuale vittoria comporta: a) l'ingresso nel ruolo della nuova amministrazione e l'uscita dal precedente, b) l'ampliamento dell'organico dell'amministrazione banditrice, c) la stipulazione di un contratto diverso (elementi valorizzati già da Cass. ord. 15403/03).

Anche se né la Cassazione né la Corte d'Appello vi fanno alcun riferimento, sembra di poter cogliere nella valorizzazione della modificazione dell'organico e dell'ingresso nel ruolo una adesione all'indirizzo dato dalla sentenza 6 luglio 2004, n. 204 della Corte Costituzionale in materia di riparto delle giurisdizioni ove si dà rilievo alla "circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo". Mentre, infatti, la gestione del rapporto di lavoro avviene con strumenti privatistici, la modificazione dell'organico e l'ingresso in ruolo rendono necessario l'esplicarsi di potestà amministrative, che giustificano e radicano la giurisdizione amministrativa. In questa luce andrebbe letta anche l'ord. 4 gennaio 2001, n. 2 della Consulta.

Note

(*) Laureato in giurisprudenza nell'Università «La Sapienza» di Roma.
Data di pubblicazione: 20 giugno 2005.

A. Di Tullio D'Elisiis

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