Mercato mobiliare e obblighi informativi
negli orientamenti della giurisprudenza

Filippo Durante (*)

L'obbligo di acquisire informazioni da parte del cliente

L'art. 21 comma 1 del TUF, alla lett. a), impone all'intermediario di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati": in particolare, al primo punto della lett. b), prescrive di "acquisire le informazioni necessarie dai clienti". Tale disposizione, così come le altre regole di condotta introdotte dal TUF, risulta specificata dalle prescrizioni regolamentari della Consob, in virtù della delega normativa di cui all'art. 6 comma 2 lett. b) e c) del TUF. Infatti, l'art. 28 comma 1 lett. a) del Regolamento Intermediari qualifica come "necessarie" le "notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio": la richiesta di informazioni da parte dell'intermediario, così come la risposta positiva del cliente, non debbono risultare per iscritto, a differenza dell'eventuale rifiuto, da parte del cliente, di fornire le notizie richieste. Spetta all'intermediario, tuttavia, l'onere della prova afferente all'effettiva richiesta delle suddette informazioni, nonché alla sussistenza dei responsi forniti dall'investitore: naturalmente, le risultanze saranno, tuttavia, provate allorché gli investitori abbiano dato atto dello scrupoloso rispetto del prescritto iter nell'ambito della corrispondenza negoziale (Trib. Parma, 16 giugno 2005), ovvero abbiano compilato un modulo relativo alla propensione al rischio.

Si tratta della "know your customer rule", rilevante in quanto il profilo soggettivo del cliente è decisivo per l'individuazione degli investitori che sono altresì "operatori qualificati" ai sensi dell'art. 31 del TUF ed è prodromico sia alla selezione delle informazioni che vanno fornite all'investitore, sia alla valutazione di adeguatezza dell'operazione proposta: non è, infatti, sufficiente acquisire i dati inerenti al profilo soggettivo del cliente, ma occorre anche tenere in debita considerazione tali informazioni, di talché si manifesta evidentemente la propedeuticità degli obblighi di informazione alla cd. "suitability rule".

Orbene, la Consob ha stabilito che l'acquisizione delle informazioni sulla "storia finanziaria" del cliente non esaurisce i compiti dell'intermediario, dovendo quest'ultimo tener conto altresì di qualsivoglia altra informazione disponibile, anche in virtù del fatto che il profilo soggettivo del risparmiatore è dinamico e suscettibile di variazioni nel corso degli anni: addirittura allorché l'investitore si sia rifiutato di fornire le informazioni, l'intermediario è obbligato a valutare eventuali dati che sono altrimenti in suo possesso (risposta a quesito n. 98090595/1998 e Comunicazione n. 30396/2000), ed in particolare quelli riguardanti età, professione, pregressi investimenti, titolarità di conti correnti e capienza del patrimonio (Trib. Roma, n. 29207 dell'8 ottobre 2004; Trib. Genova, 15 marzo 2005).

Altra giurisprudenza, pur richiamando in maniera tralatizia il contenuto degli atti di persuasione morale della Commissione, ne ha sostanzialmente contraddetto il dictum, stabilendo che il rifiuto del cliente di fornire informazioni sul proprio profilo impone sempre all'intermediario di effettuare prudenzialmente il rilievo circa l'adeguatezza dell'operazione (Trib. Roma, n. 29207 dell'8 ottobre 2004; Trib. Palermo, 17 gennaio 2005), considerando bassa o minima la propensione al rischio del risparmiatore (Trib. Venezia, 22 ottobre 2004): aderendo alla tesi de quo, tuttavia, l'intermediario non dovrebbe compiere alcuna valutazione circa il profilo virtuale del cliente in quanto, finanche in presenza di informazioni diverse, sarebbe costretto a considerare sprovveduto il risparmiatore, atteso che dal suo riserbo andrebbe desunto un orientamento volto alla conservazione del capitale piuttosto che alla massimizzazione dei rendimenti (Trib. Trani, 7 giugno 2005). Addirittura, secondo quest'orientamento, l'obbligo di considerare il rifiuto scritto del cliente di fornire informazioni quale espressione della propensione ad un basso rischio non risulterebbe "superato" neanche se lo stesso risparmiatore sottoscrivesse un'irrituale attestazione che accerti la conformità degli investimenti prospettati ai propri indirizzi (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005). La normativa subirà rilevanti modifiche, nel senso della responsabilizzazione del cliente reticente, in sede di attuazione della direttiva cd. Mifid n. 2004/39/Ce, al cui art. 19 comma 5 - disposizione che riproduce le regole 66 e 69 del titolo III del documento consultivo elaborato dal Committe of European Securities Regulators in data 14 marzo 2002 - è stabilito che "qualora il cliente o potenziale cliente scelga di non fornire le informazioni... circa le sue conoscenze e esperienze, o qualora tali informazioni non siano sufficienti, l'impresa di investimento" lo "avverte... che tale decisione le impedirà di determinare se il servizio o prodotto sia adatto a lui".

L'obbligo di acquisire informazioni sui prodotti

Ai sensi dell'art. 21 comma 1 lett. b), l'intermediario deve altresì "operare in modo che" i clienti siano "adeguatamente informati": propedeutico al corretto adempimento di tale regole di condotta è l'obbligo, imposto dall'art. 26 lett. e) del Regolamento Intermediari, di acquisire "una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi d'investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire".

È stato rilevato che - in virtù della particolare qualificazione della diligenza occorrente per la prestazione dei servizi d'investimento, anche alla luce dell'art. 1176 comma 2 c.c. (Trib. Parma, 16 giugno 2005) - tale obbligo, espressione della cd. "know you merchandise rule", si connota di profili diversi allorché i prodotti finanziari da fornire siano ontologicamente contraddistinti da minore intelligibilità: pertanto, è richiesto un quid pluris di rigore nell'acquisire informazioni circa prodotti non quotati o privi di rating (Trib. Genova, 15 marzo 2005) ovvero allorché l'operazione si svolga nel periodo di grey market (Trib. Roma, n. 29207 dell'8 ottobre 2004).

L'obbligo di acquisizione delle informazioni impone all'intermediario, in particolare, di assumere elementi di cognizione non solo riguardanti direttamente il prodotto finanziario, ma altresì concernenti l'emittente ovvero che in ogni caso interessino, anche indirettamente, il servizio da fornire e siano indispensabili per la prestazione dello stesso (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005).

Sennonché, occorre operare una distinzione tra le operazioni che determinano risultati infruttuosi in qualche modo prevedibili e investimenti dalle conseguenze negative prodotte da fulminei default delle società emittenti, spesso a loro volta causati da falsi in bilancio: in tal caso, stante la sussistenza di "problemi tecnici di speciale difficoltà", è opportuno verificare l'applicabilità all'intermediario del diverso requisito soggettivo di cui all'art. 2236 c.c. e, soprattutto, è necessaria una verifica circa l'effettiva possibilità da parte della banca di essere edotta preventivamente dello stato d'insolvenza dell'emittente, anche alla luce del suo indebitamento (Trib. Bologna, n. 1842 del 31.05.2005).

Appare, di contro, particolarmente punitiva per l'intermediario la diabolica probatio derivante dal principio secondo cui non costituirebbe difesa spendibile con successo quella relativa alla dimostrata imprevedibilità del dissesto finanziario dell'emittente, a meno che non venga fornita la prova specifica della diligenza nell'acquisizione delle cognizioni circa la sua solidità (Trib. Palermo. 17 gennaio 2005); più prudente è la giurisprudenza secondo cui generalmente l'intermediario non è in grado di disporre di informazioni ulteriori e contraddittorie rispetto ad un rating confortante, né di preconizzare un successivo declassamento della società emittente (Trib. Milano, 25 luglio 2005). Risulta evidente, tuttavia, come ciò non escluda casi patologici in cui - pure in presenza di dati ufficiali non allarmanti - la diffusione di rumors, l'analisi dell'indebitamento di una società o di un Paese emittente, la sussistenza di avvisaglie in prospetti informativi ed offering circular, l'infruttuosità di altre emissioni obbligazionarie emesse dal medesimo gruppo o Stato e, in generale, la sussistenza di circostanze di fatto agevolmente acquisibili da un esperto del settore costituiscano un parametro per valutare la diligenza dell'intermediario (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005).

L'obbligo di informare il cliente

L'art. 21 comma 1 lett. b) impone all'intermediario di "operare in modo che" i clienti siano "sempre adeguatamente informati".

Si prescinde, in questa sede, da un'analisi delle implicazioni dell'avverbio "sempre", secondo il quale il dovere di informazione - che tende sempre più a divenire il crinale della lealtà contrattuale - esplica i propri effetti sia al momento della formazione del consenso, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto: la sussistenza di un orientamento che considera assorbente il collegamento negoziale tra il contratto-programma e le operazioni esecutive, così ampliando l'ambito di applicazione della responsabilità contrattuale anche a fattispecie che altrimenti sarebbero assorbite dalla responsabilità precontrattuale, rende nel concreto meno rilevante - ma pur sempre di sicuro interesse, non fosse altro per la distinzione tra interesse positivo ed interesse negativo di jheringhiana memoria - l'analisi dei rimedi ai difetti informativi verificatisi nelle differenti fasi negoziali. Si evidenzia esclusivamente che la giurisprudenza più recente ha tratto dalla presenza di tale avverbio un argomento per considerare suscettibile di ratifica un atto caratterizzato da un'originaria incompletezza informativa, tardivamente colmata: pertanto, l'aver fornito il codice ISIN di un investimento non già al momento della stipula del contratto, bensì solo successivamente, mediante l'invio dell'estratto conto titoli, e la mancata contestazione di tale estratto conto, costituirebbero fattispecie sanante dell'iniziale inadempimento (Trib. Parma, 16 giugno 2005).

Rilevante, invece, è il sinergico operare dell'obbligo informativo con la disposizione, precedentemente esaminata, che impone all'intermediario di acquisire notizie circa la storia finanziaria dell'investitore, al fine di valutare l'adeguatezza delle operazioni fornite: si tratta di un combinato disposto di disposizioni evidentemente funzionale a riequilibrare l'asimmetria informativa e che, audacemente, è stato da una giurisprudenza assimilato all'obbligo di informazione gravante sul professionista-medico al fine di ottenere il consenso informato del paziente (Trib. Taranto, n. 2273 del 27 ottobre 2004).

L'art. 28 comma 2 del Regolamento Intermediari, infatti, vieta di "effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento": tali informazioni possono essere fornite anche oralmente.

Occorre subito evidenziare come la disposizione faccia espresso riferimento alla specifica operazione da svolgere, di talché costituisce jus receptum il principio secondo cui la semplice consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, obbligatoria per l'art. 28 comma 1 lett. b) del Regolamento Intermediari, costituendo un'informazione generica inidonea a garantire una conoscenza specifica dell'operazione concreta, non è mai sufficiente a ritenere assolto il dovere di informazione gravante sull'intermediario (Trib. Roma, n. 29207 dell'8 ottobre 2004; Trib. Genova, 15 marzo 2005; Trib. Roma, 25 maggio 2005; Trib. Firenze, 30 maggio 2004).

In particolare, la circostanza secondo cui potrebbe esistere una proporzionalità diretta tra rendimenti prospettati e rischi, ben evidenziata nel documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, va ormai considerata di comune esperienza: da una parte, pertanto, la generica illustrazione di tale correlazione non costituisce adeguato adempimento all'obbligo di fornire concretamente notizie circa la peculiare operazione proposta (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005); dall'altra, tuttavia, il risparmiatore a cui sia stato consegnato il documento sui rischi non può farsi scudo della sua asserita sprovvedutezza per rendersi immune dalle conseguenze economiche derivanti dalla particolare alea degli investimenti contraddistinti da un rendimento prospettato cospicuo (Trib. Milano, 25 luglio 2005).

È stato, a riguardo, addirittura affermato che la produzione di un'attestazione, sottoscritta dal cliente, di conformità degli investimenti eseguiti ai suoi obiettivi di investimento e di consapevolezza dei rischi espressi nel documento generale non è di per sé idonea ad assolvere l'onere della prova, gravante sull'intermediario, circa la comunicazione di informazioni tali da assicurare la consapevolezza, da parte del risparmiatore, della natura dell'operazione e dei relativi rischi (Trib. Palermo, 17 gennaio 2005).

La giurisprudenza, tuttavia, si è soffermata sulla relazione intercorrente tra il profilo soggettivo del cliente ed il dovere di informazione dell'intermediario, ben espressa dall'art. 28 comma 2 del Regolamento Intermediari, secondo cui le notizie da fornire devono essere "adeguate" per acquisire la conoscenza "necessaria" ad effettuare operazioni "consapevoli".

In primis, si è evidenziato, talvolta solo come petizione di principio, che tale regola impone l'obbligo di fornire solo ed esclusivamente le informazioni la cui cognizione risulti necessaria: infatti, tale dovere va comunque bilanciato con l'obbligo di eseguire con tempestività le disposizioni impartite, prescritto all'art. 26 lett. e) del Regolamento Intermediari, senza tralasciare che fornire eccessive notizie, sovrabbondanti rispetto allo scopo e talvolta superflue, rischia, paradossalmente, di mantenere immutato il gap informativo.

Sia la quantità, sia la qualità delle informazioni va inoltre parametrata all'expertise del cliente.

Per una giurisprudenza emergente, infatti, fornire solo talune notizie può risultare, paradossalmente, sufficiente per un risparmiatore non dotato di cognizioni tecniche tali da poterne considerare di diverse e, invece, insufficiente per un investitore che sia esperto, benché abbia una propensione al rischio più bassa, in quanto quest'ultimo sarebbe in grado di trarre elementi di valutazione ulteriori anche da dati più specialistici. Ne consegue che il non aver fornito informazioni che presuppongono nozioni di tecnica bancaria non esigibili dal comune investitore non costituisce violazione del dovere di cui all'art. 28 comma 2 del Regolamento Intermediari qualora il cliente non disponga di una cultura finanziaria tale da elaborarle (Tribunale Parma, 16 giugno 2005).

Viceversa, una giurisprudenza contrastante richiede un surplus di informazioni proprio per l'investitore meno dotato di cognizioni tecniche: mentre nei confronti dell'investitore esperto le notizie sul rating, così come altri dati specifici dell'operazione, potrebbero rivelarsi superflue, in quanto è possibile ritenere presunta la relativa conoscenza da parte del cliente, al risparmiatore impreparato dovrebbero in ogni caso essere forniti non solo i dati circa la capienza patrimoniale, le prospettive economiche dell'emittente e gli interessi che sarebbero garantiti, ma anche un prospetto di comparazione con i rendimenti di titoli emessi da società considerate patrimonialmente più solide, in modo tale da consentirgli di "dimensionare" il rischio specifico su parametri intellegibili (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005).

È stato, inoltre, affermato che l'obbligo informativo deve colorarsi di contenuti sostanziali ulteriori allorché, come sovente accade, l'intermediario non si limiti a costituire un semplice esecutore di volontà predeterminate dell'investitore, ma assolva la funzione di assistente, di suggeritore e di guida del risparmiatore, fornendo in via accessoria un servizio lato sensu consultivo ed ottenendo, de facto e sul campo, un margine di quella discrezionalità che giuridicamente gli compete solo nel servizio di gestione del portafoglio (Trib. Firenze, 30 maggio 2004).

Occorre sempre, invece, fornire informative specifiche circa i titoli oggetto dell'operazione, circa la società emittente e, nel caso, circa il gruppo, così come l'obbligo d'informativa deve ritenersi esteso non solo alle caratteristiche del titolo oggetto dell'operazione, ma anche a tutti quegli elementi che, quantunque non interessino direttamente il prodotto, debbano ritenersi indispensabili per la cognizione dell'operazione (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005); qualora dovesse ricorrere l'ipotesi, che in prosieguo sarà esaminata, di un'emissione che abbia quale destinatari nel mercato primario esclusivamente gli investitori istituzionali e sia pertanto priva del prospetto informativo e non soggetta alle regole sulla sollecitazione all'investimento, l'intermediario, quantunque facoltizzato a collocare i prodotti nel mercato secondario anche ad operatori non qualificati, dovrà fornire loro una specifica informazione sul punto e sulle implicazioni giuridiche ed economiche della fattispecie (Trib. Genova, 15 marzo 1005). Analogamente, è stato ritenuto contrattualmente responsabile per difetto d'informazione l'intermediario che si sia limitato ad una generica indicazione della rischiosità di un'operazione a causa dello Stato emittente, senza segnalare specificamente che tale pericolo risultava fondato sulla possibile prospettiva di insolvenza del detto Stato, resa ancor più plausibile dal declassamento operato dalle principali agenzie di rating (Trib. Mantova, 18 marzo 2004). Ancora, è stato statuito che l'intermediario deve comunicare in maniera intelligibile non soltanto la prospettiva di non ottenere interessi a causa delle precarie condizioni patrimoniali dell'emittente, ma - se ne ricorrono i presupposti - anche l'evenienza della difficile restituzione del capitale investito, non essendo tale ipotesi evincibile né dal generico richiamo al rapporto di tendenziale proporzionalità diretta tra interesse offerto e grado di rischiosità dell'investimento, né dall'indicazione della scarsa solidità dell'emittente (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005). Infine, è stata ritenuta insufficiente finanche l'informazione consistita sia nell'indicazione del rischio come alto, sia della qualificazione del titolo come illiquido (Trib. Firenze, 18 febbraio 2005).

La correlazione intercorrente tra l'art. 21 del TUF, l'art. 28 secondo comma del Regolamento Intermediari e l'art. 1176 comma secondo c.c. è stata reputata decisiva, dalla giurisprudenza di merito, nel considerare non adeguata alla specificità dell'operazione, né esaustiva, l'informazione relativa semplicemente all'emissione all'estero dei titoli compravenduti, allorché si trattava di strumenti finanziari emessi in un mercato non italiano da una società veicolo con sede all'estero: è stato stabilito, infatti, che l'intermediario avrebbe dovuto rendere edotto l'investitore altresì dell'ubicazione della sede dell'emittente al di fuori dei confini nazionali, ben potendo anche una società italiana collocare titoli in altro Paese appartenente all'Unione Europea e risultando, pertanto, adiafora o comunque non soddisfacente la semplice comunicazione dell'emissione dei prodotti in un mercato differente da quello italiano (Trib. Parma, 16 giugno 2005).

La giurisprudenza, invece, non si è ancora soffermata in concreto su un profilo che appare, in vero, altrettanto delicato: la possibile responsabilità dell'intermediario nel caso in cui vengano fornite informazioni ultronee rispetto a quelle necessarie, tali da rendere meno percepibili e obnubilate le notizie davvero dirimenti. Risulta evidente, infatti, che qualora dovesse persistere un orientamento esigente con riguardo agli obblighi informativi, senza che a tale posizione faccia da contraltare la pretesa di non fornire informazioni sovrabbondanti, gli intermediari sarebbero comodamente indotti a sommergere di carte il cliente, senza operare alcuna selezione dei dati rilevanti.

Il conflitto d'interessi

L'art. 21 comma 1 lett. c) del TUF impone all'intermediario di "organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interessi e, in situazione di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento": il legislatore, pertanto, ha ritenuto endemico il conflitto di interessi in mercati finanziari fondati su un sistema bancocentrico, imponendo agli intermediari obblighi di prevenzione e, in subordine, un obbligo di trasparenza ed equo trattamento, e non stabilendo una sanzione nel caso in cui un contratto sia stipulato in presenza di interessi configgenti. A tale politica legislativa si è conformata la Consob, delegata dall'art. 6 comma 2 lett. b) a disciplinare "il comportamento" degli intermediari "anche tenuto conto dell'esigenza di ridurre al minimo i conflitti d'interesse". Infatti, l'art. 27 del Regolamento Intermediari - che, tra l'altro, impone ai soggetti abilitati di vigilare ex ante per l'individuazione dei conflitti d'interessi - vieta di effettuare operazioni in tale stato solo se non vi sia stata una previa informazione per iscritto sulla natura e sull'estensione dell'interesse ed una conseguente autorizzazione per iscritto da parte del cliente.

L'art. 27 comma 3 del Regolamento Intermediari stabilisce che, in caso di utilizzo di moduli o formulari prestampati, "ai fini dell'assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2", occorre "l'indicazione, graficamente evidenziata, che l'operazione è in conflitto d'interessi".

La giurisprudenza di merito, a tale riguardo, ha reputato inadeguata, in un modulo bancario, l'apposizione di una croce sulla voce che indica la sussistenza del conflitto d'interessi, accompagnata sì dalla sottoscrizione del cliente, ma non dall'illustrazione dei motivi di conflitto né dalla specificazione delle dimensioni dello stesso (Trib. Venezia, 22 ottobre 2004; Trib. Firenze, 30 maggio 2005; Trib. Parma, 16 giugno 2005). Tali arresti, suscettibili di revirement, assumono una posizione netta su una vexata quaestio derivata da un'infelice formulazione delle disposizioni: infatti, il secondo comma dell'art. 27 del Regolamento Intermediari prescrive non solo la specificazione dell'an del conflitto di interessi, ma anche l'illustrazione dei motivi dello stesso e delle sue dimensioni; il terzo comma, viceversa, si limita a stabilire, per i moduli prestampati, la necessità dell'indicazione della sussistenza del conflitto d'interesse, e ciò ai fini dell'assolvimento degli obblighi del secondo comma. Tale richiamo, in particolare, è suscettibile di essere interpretato in due diversi modi: la Consob potrebbe aver inteso stabilire un obbligo dal contenuto minore nel caso di utilizzo di moduli standardizzati, ma in tal caso sarebbe difficile individuare una ratio della norma che prescinda dal diverso spazio materialmente utilizzabile dalle parti; la giurisprudenza, viceversa, ha inteso il richiamo del terzo comma come un rinvio recettizio al disposto del primo capoverso, di talché la norma afferente ai moduli prestampati si connoterebbe come una specificazione delle regole generali, cui aggiungerebbe inoltre l'obbligo di apporre un'indicazione "graficamente evidenziata".

Con riferimento a tale ultimo profilo, le corti di merito hanno evidenziato che non costituisce adempimento corretto dell'obbligo informativo la segnalazione del conflitto d'interessi, posta tuttavia sul retro del contratto, indicata con carattere minuto e di scarsa intelligibilità, risultatnte altresì dall'indicazione di un calcolo matematico da cui sarebbe scaturita la cognizione circa l'estensione degli interessi contrapposti (Trib. Firenze, 30 maggio 2005).

Appare temerario, invece, l'orientamento secondo cui la quantificazione dell'eventuale danno patito dal cliente non andrebbe risarcito con riferimento al pregiudizio patrimoniale verificatosi, bensì al grado di adeguatezza dell'informazione fornita dall'intermediario (Trib. Venezia, 22 ottobre 2004).

Sull'individuazione dei presupposti affinché possa insorgere un conflitto d'interessi - da valutare, ci si tiene a precisare, caso per caso - la giurisprudenza, tuttavia, risulta ben lungi dal raggiungere la concordia: addirittura, ad un orientamento consolidato che ritiene vada segnalato anche un conflitto d'interessi meramente potenziale, quantunque probabilmente suscettibile di degnenerare secondo una valutazione prognostica, si contrappone un filone che sostiene debba essere segnalato solo il conflitto che sia attuale ed effettivo (Trib. Parma, 16 giugno 2005). Pregevole, se la si è ben interpretata, è invece la posizione intermedia, secondo cui è doveroso segnalare ex ante anche un conflitto in fieri potenzialmente dannoso, ma - in caso di assenza di segnalazione - l'inadempimento all'obbligo informativo potrebbe non esplicare effetti giuridici in virtù della mancata verificazione ex post di alcun pregiudizio economico (Trib. Milano, 25 luglio 2005); diametralmente opposta, invece, è la teoria secondo cui la sola violazione del dovere di segnalare il conflitto arreca pregiudizio, non occorrendo procedere alla verifica in concreto di alcun danno (Trib. Venezia, 22 novembre 2004).

Una giurisprudenza ritiene immanente il conflitto d'interessi nel caso in cui l'intermediario agisca in contropartita diretta ed in conto proprio, di talché aspirerebbe ad un vantaggio nel "liberarsi" dei prodotti compravenduti o nell'ottenere uno spread rispetto al prezzo di acquisto originario (Trib. Milano, 25 luglio 2005), salva, per talune corti, la prova della spontaneità dell'ordine da parte dell'investitore (Trib. Ferrara, n. 217 del 25 febbraio 2005; Trib. Trani, 7 giugno 2005; Comunicazione Consob DAL 97006042 del 1997).

Al contrario, un diverso, preferibile e maggiormente copioso orientamento esclude che la previa titolarità dei prodotti da parte dell'intermediario possa in re ipsa determinare un conflitto d'interesse, se non si prova anche l'intenzione dell'intermediario di conseguire dalla vendita un fine ulteriore e diverso, atteso che la negoziazione in conto proprio non è disciplinata diversamente rispetto agli altri servizi d'investimento, ed il legislatore per tutti i casi prevede esclusivamente la possibilità che sussistano interessi concorrenti: la necessità di indicare la sussistenza di un conflitto ogni qualvolta vi sia negoziazione in conto proprio, d'altra parte, determinerebbe la perdita di effettività della relativa segnalazione. Finanche nel caso in cui il dealer ottenga un lucro, caratterizzato dalla differenza tra il prezzo di vendita al cliente ed il prezzo originario di acquisto, non dovrebbe ritenersi di per sé esistente un conflitto di interessi, come si evincerebbe dalla comunicazioni della Consob DI/99014081 DAL/970060142 del 1999, prima di tutto perché in tal caso l'intermediario non ottiene alcuna commissione di vendita, ed inoltre perché lo spread costituisce esclusivamente la misura del rischio di posizione assunto dal soggetto abilitato nel detenere il titolo nel proprio portafoglio per un determinato periodo (Trib. Roma, 25 maggio 2005; Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005). Un diverso filone, invece, subordina l'insussistenza del conflitto d'interessi, in caso di vendita in conto proprio, alla circostanza che successivamente l'intermediario abbia acquistato prodotti finanziari della stessa specie: si tratta di un parametro importante, da affiancare ad altri, ma insuscettibile di essere utilizzato ex ante ai fini della segnalazione del conflitto (Trib. Milano, 25 luglio 2005).

Viceversa, un'altra giurisprudenza sostiene che, nel caso di operazione condotta dal broker - vale a dire in caso di negoziazione in conto terzi, operata come tale dall'intermediario solo a seguito dell'ordine impartito dall'investitore - non vi possa mai essere conflitto d'interessi, pur in presenza di diverse "figure sintomatiche" (Trib. Genova, 15 marzo 2005; Trib. Venezia, 5 maggio 2005), mentre altre curie assegnano all'applicazione di eventuali commissioni di vendita quanto meno una valenza accessoria nell'individuazione della concorrenza degli interessi (Trib. Milano, 25 luglio 2005; contra, Trib. Mantova, 14 aprile 2005). Specularmene, la mera esistenza delle commissioni di movimentazione - pur foriere di incentivi distorsivi ogni qual volta venga prestato il servizio di gestione di portafogli di investimento su base individuale - non determina ex se la necessità di segnalare la concorrenza di interessi, ferma restando la sanzione successiva assicurata al fenomeno della moltiplicazione opportunistica delle operazioni (cd. churning).

Talune corti, seppure fieramente avversate, sostengono l'applicabilità dell'orientamento consolidato invalso nell'interpretazione degli artt. 1394 e 1395 c.c., in tema di conflitto d'interessi nella rappresentanza, anche alla luce della connessione del tema con il principio della best execution (Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005): in particolare, sarebbe sufficiente ad escludere la sussistenza di un conflitto la conformità del prezzo di vendita a quello praticato dagli altri intermediari, senza la previsione di oneri aggiuntivi (Trib. Mantova, 18 marzo 2004; Trib. Parma, 16 giugno 2005).

Mentre è da escludere che la presenza di un'esposizione debitoria dell'emittente nei confronti della banca-intermediario possa costituire conflitto d'interessi (Trib. Parma, 16 giugno 2005), va ritenuta adeguata spia di tale situazione la qualità, in capo allo stesso intermediario, di emittente o di collocatore a seguito di acquisto ed assunzione a fermo (Trib. Parma, 12 febbraio 2005; Trib. Parma, 16 giugno 2005; Trib. Trani, 7 giugno 2005; contra, Trib. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005). Nel caso di assunzione, da parte dell'intermediario, dell'incarico di gestire il collocamento, viceversa, un'altra giurisprudenza ritiene presenti i presupposti del conflitto solo allorché il soggetto abilitato abbia prestato la garanzia consistente nell'acquisto in proprio, in caso di mancata alienazione dell'intero paniere, dei prodotti finanziari rimanenti (Trib. Venezia, 22 ottobre 2004).

Note

(*) Praticante avvocato.

Data di pubblicazione: 13 marzo 2006.

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