Cittadinanza europea e protezione diplomatica
dei cittadini UE all'estero (*)
Massimo Fragola (**)
1. Premessa
Se l'istituzione della cittadinanza dell'Unione europea (d'ora in avanti «cittadinanza europea») rappresenta un esempio rilevante della specificità dell'Unione, l'istituto della protezione diplomatica, a giusto motivo, ne esalta il carattere più propriamente esclusivo e ne evidenzia il ruolo internazionale, esterno quindi alla UE. Non può infatti negarsi che l'Unione pur non essendo uno Stato talvolta assume comportamenti ad esso riconducibili, allontanandosi sempre più dalla connotazione internazionalistica della organizzazione «classica» di Stati.Di sicuro la competenza esclusiva in materia di unione economica e monetaria (UEM) e gestione della moneta unica è un esempio emblematico, ma non da meno appaiono, nella ricerca delle norme fondamentali di riferimento della materia che ci occupa, le disposizioni contenute nella Parte Seconda del Trattato istitutivo della Comunità europea, così come modificato a Maastricht nel 1992, peraltro a ridosso della Parte Prima destinata ai "Principi" fondamentali della Comunità, ad essa collegata.Com'è noto il Trattato della Comunità europea che ci ha accompagnato per più di cinquant'anni nell'avventura comunitaria, è stato «assorbito» nella nuova strutturazione del Trattato di Riforma firmato a Lisbona dagli Stati membri nel dicembre 2007, scomparendo quindi dai testi fondamentali nonché dal lessico cui eravamo soliti riferire. Ricordo che questo trattato entrato in vigore il 1° dicembre 2009 dopo un travagliato iter di ratifiche nazionali, conferma ed amplia il ruolo dei cittadini UE.Nel nuovo articolo 9 TUE, infatti, contenuto nel Titolo II "Disposizioni relative ai principi democratici", si proclama che «L'Unione rispetta, in tutte le sue attività, il principio dell'uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce».I cittadini UE pertanto beneficiano di «uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi», disposizione quest'ultima che appare come una norma di carattere generale (principio di non discriminazione in base alla nazionalità), anche con riguardo al diritto di tutela diplomatica allorché si trovino all'«estero».Occorre spiegare che dopo circa sessant'anni di integrazione europea ed una gravida legislazione sulla libertà di circolazione, e dell'applicazione della medesima cittadinanza europea, i cittadini di altri Stati membri non possono essere considerati «stranieri» bensì cittadini di un altro Stato della medesima Unione. Viceversa, sono da considerare stranieri dal punto di vista politico-giuridico, con tutto quanto ne scaturisce nell'applicazione del trattamento dello straniero, i cittadini «non-UE», vale a dire extracomunitari nel senso più positivo dell'espressione.Nel nuovo Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) nella Parte Seconda "Non discriminazione e Cittadinanza" è riproposta la disposizione sulla protezione diplomatica dei cittadini UE. Vale la pena citare integralmente l'art. 23 TFUE (che ripropone il precedente articolo 20 del TCE): «Ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta tutela.Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare direttive che stabiliscono le misure di coordinamento e cooperazione necessarie per facilitare tale tutela».Come si vedrà più avanti la norma ripropone integralmente la prima parte, mentre aggiunge una innovativa previsione circa l'adozione di direttive da parte del Consiglio secondo la procedura legislativa speciale per modificare ed implementare le misure di tutela. Posto che per attuare (in parte) il disposto dell'art. 20 TCE è stata adottata una decisione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri in sede di Consiglio, che lo ricordo è un atto dei governi degli Stati membri che necessita di adattamento, la novella dell'utilizzo di un atto «tipico» dell'Unione quale è la direttiva, rappresenta una importante novità della disposizione, indicando così al Consiglio una sicura base giuridica per la regolamentazione futura della protezione diplomatica.
2. Alcune note sull'origine della protezione diplomatica UE con riferimento all'istituto di diritto internazionale
Come si è appena accennato, l'istituto della protezione diplomatica nell'ambito delle prerogative legate allo status di cittadino UE, esalta il carattere assolutamente esclusivo ed innovativo dell'intera Unione.La norma in commento si differenzia dalle regole solitamente accolte in materia di protezione diplomatica per vari motivi. In primo luogo la natura del soggetto attivo e gli strumenti per la realizzazione.L'istituto della protezione diplomatica, infatti, è sempre stato considerato comportamento appannaggio esclusivo degli Stati. Va però segnalato che la prassi delle organizzazioni internazionali ha evidenziato un'esigenza anche di questi enti di assicurare ai propri funzionari una protezione internazionalmente rilevante, qualora uno Stato abbia commesso un illecito degli interessi dell'organizzazione. La protezione diplomatica delle organizzazioni internazionali si configura con caratteri di specialità e con limitazioni funzionali.Con l'istituzione della protezione UE il diritto dell'Unione europea trascende entrambe le prospettive.Com'è noto, il diritto internazionale riconosce allo Stato il diritto di proteggere i propri cittadini (e in qualche caso anche non cittadini) qualora subiscano comportamenti (od omissioni) illeciti commessi da un altro Stato in violazione del diritto internazionale.La prassi ha accolto questa prospettiva sin dal 1924 allorché la Corte Permanente di giustizia nel noto caso Mavrommatis ne ha delineato i contenuti. Per riassumere, occorre che l'esercizio della protezione diplomatica da parte di uno Stato, o per meglio dire, da organi del potere esecutivo, è ammessa a seguito di una lesione degli interessi del cittadino conseguente ad un comportamento, ovvero una omissione, dello Stato nel quale il cittadino si trova, sempre che il comportamento risulti essere in violazione delle norme internazionali sul trattamento degli stranieri.In conformità del diritto internazionale è necessario, pertanto, una lesione degli interessi del cittadino. Non pare possibile un intervento su basi diverse ed in ogni caso generalizzato.Nell'ipotesi di protezione diplomatica delle organizzazioni internazionali la sfera di applicazione è limitata, come si diceva, alla protezione dei propri funzionari nell'esercizio delle loro funzioni, laddove abbiano subito un comportamento illecito da parte di uno Stato in violazione del diritto internazionale.In ogni caso si avrebbero due limitazioni: il vincolo della protezione funzionale che limita in modo decisivo la sfera di applicazione ai soli funzionari o agenti della o.i.; in secondo luogo, come pure è necessario per la protezione da parte dello Stato, deve rilevare un comportamento illecito ed una violazione del diritto internazionale da parte di uno Stato.In ogni caso, quale che sia il paradigma di riferimento, ovvero attingere ad elementi presenti in entrambi i modelli, trattando la protezione diplomatica, è la prospettiva del diritto internazionale che va analizzata non rilavando allo stato attuale il diritto interno degli Stati membri.Attesa la specificità dell'Unione, della sua ratio, dei suoi fini istituzionali, considerato altresì il grado generale di integrazione raggiunto, nessuno dei due modelli sopra descritti appare applicabile. Neanche la sintesi di entrambi appare sufficiente per descrivere un istituto eccezionale che non può essere ricondotto tout court ai modelli conosciuti.La protezione diplomatica UE mostra delle differenze «strutturali» che arricchiscono l'istituto e lo adattano alla specificità dell'Unione europea, alla luce della riconosciuta soggettività della persona nell'ordinamento giuridico, posizione sempre più rilevante sia nella fase ascendente del diritto UE sia nell'attribuzione di nuove prerogative soggettive sia nella protezione e tutela dei diritti.Non v'è dubbio che l'esperienza determinata dalla prassi nell'Unione europea comporterà una fase evolutiva anche nelle fattispecie precedenti con la progressiva affermazione di nuove norme in materia, andando così ad arricchire un istituto fondamentale del diritto internazionale quale è la protezione diplomatica.
3. Analisi della disposizione del diritto dell'Unione europea: la collocazione della norma sulla protezione diplomatica da Maastricht a Lisbona
Come si è anticipato, l'istituto della protezione diplomatica fa il suo ingresso tra le norme primarie a seguito della revisione dei trattati prevista a Maastricht nel 1992. Collocata originariamente nell'articolo 8C del Trattato della Comunità europea, la norma è stata lievemente rettificata nella forma nella successiva modifica del Trattato di Amsterdam del 1997 che ha rinumerato l'art. 8C nell'art. 20 TCE, e nella cui base giuridica rimarrà fino all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.Come dato storico va segnalato che la formulazione definitiva accolta a Maastricht dai redattori del trattato, appare meno impegnativa (per gli Stati membri) delle varie proposte presentate in sede di negoziazione. In particolare, le proposte del governo spagnolo e della Commissione, ma anche del Consiglio europeo di Roma del dicembre 1990. Contrariamente alle iniziali ipotesi di reale «protezione dell'Unione» e, in subordine, di «protezione comune dei cittadini al di fuori delle frontiere comunitarie», è prevalsa la scelta di una più blanda protezione «reciproca», nel senso di mutua assistenza tra gli Stati membri a nome e per conto dell'Unione europea, da esercitarsi nel territorio di uno Stato terzo con il suo consenso.La scelta è caduta guardando al passato e non al futuro. Non si è trattato di un'innovazione giacché la norma dell'Unione richiama la protezione diplomatica «delegata» già prevista nelle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961) e consolari (1963). Essa prevede, acquisito il consenso dello Stato accreditatario, la possibilità di delegare ad un altro Stato la gestione e la protezione di taluni interessi nazionali. Vero è che nelle Convenzioni la delega ha un carattere eccezionale sollecitato da eventi particolari, quali ad esempio, la rottura o la sospensione delle relazioni diplomatiche, laddove nel Trattato sull'Unione europea la previsione si mostra come la regola e non l'eccezione.Occorre pertanto analizzare l'articolo 23 TFUE, primo comma, prima frase, che riprende testualmente l'art. 20 TCE e l'art. 46 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La norma sancisce che: «Ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato».La ratio della norma propone alcuni punti di rilievo: a) per ottenere la protezione occorre essere cittadino UE; b) trovarsi nel territorio di uno Stato non UE; c) nel quale non sono rappresentate le autorità diplomatiche o consolari del suo Stato di appartenenza; d) richiedere la «tutela» alle autorità diplomatiche e consolari ivi rappresentate; e) a condizione di reciprocità e senza discriminazioni.Emerge con chiarezza che per richiedere ed ottenere la protezione UE non occorre che lo Stato terzo abbia commesso una lesione degli interessi del cittadino conseguente ad un comportamento (ovvero una omissione) in violazione delle norme internazionali. È necessario trovarsi in una situazione di emergenza per poter chiedere, ed ottenere, la protezione diplomatica da parte di una qualsiasi autorità diplomatica o consolare di un altro Stato membro ivi rappresentata.La portata della norma, l'ambito di applicazione ed i suoi limiti, sono state precisate con un atto dei governi degli Stati membri che analizzeremo tra breve.Se appare consolidato il diritto del cittadino a reclamare la protezione (il cittadino UE «gode» della tutela) meno chiaro appare dalla formulazione della norma primaria il dovere dello Stato membro di accordarlo. Occorre riflettere inoltre sulla frase «tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari». Ciò perché tra la protezione diplomatica e l'assistenza consolare sussistono differenze strutturali che vanno necessariamente chiarite. Secondo il Relatore speciale John Dugard durante i lavori della 58a sessione della Commissione di diritto internazionale sulla protezione diplomatica delle Nazioni Unite, la norma sulla protezione diplomatica contenuta nell'art. 20 TCE (oggi 23 TFUE) e nell'art. 46 Carta UE, non è chiara e potrebbe comportare varie problematiche, salvo se interpretata in senso riduttivo alla sola assistenza consolare.In questa visione riduttiva, si muove la decisione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, n. 95/553/CE del 19 dicembre 1995, riguardante la tutela dei cittadini dell'Unione europea da parte delle rappresentanze diplomatiche e consolari, che nell'attuazione della norma sulla protezione diplomatica e consolare nell'intero testo menziona esclusivamente la «tutela consolare».
4. Segue. Dalla decisione attuativa ai documenti preparatori relativi ad una nuova normativa. Necessità di una disciplina più organica e dettagliata. Le proposte
Ai sensi dell'art. 20 TCE (art. 23 TFUE, primo comma, seconda frase), «gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta tutela». Con riguardo ai negoziati con gli Stati terzi al fine di ottenere il consenso, a quanto consta, non risultano perfezionati accordi ad hoc. Viceversa, per l'attuazione della necessaria (rectius: «obbligatoria») cooperazione tra Stati membri è stata adotta la decisione 95/553/CE del 19 dicembre 1995. Questa decisione che vincola gli Stati membri ad assicurare la protezione consolare ai cittadini UE, è entrata in vigore soltanto nel 2002 dopo le necessarie misure nazionali di adattamento. Non è riscontrabile pertanto, attesa la limitata applicazione, una prassi significativa.Taluni dubbi posti da parte della dottrina circa l'ambigua formulazione dell'art. 20 TCE (art. 23 TFUE), che non avrebbe contenuto un chiaro obbligo di tutela diplomatica e consolare in capo agli Stati membri, sono stati fugati dalla decisione 95/553/CE che già nel preambolo esprime le volontà dei governi che desiderano «assolvere l'obbligo previsto dal trattato», giacché il costituendo sistema comune di tutela rafforzerebbe la percezione dell'identità dell'Unione sul piano internazionale mentre, sul piano interno, aumenterebbe la solidarietà europea (Preambolo).L'intera impostazione della decisione è improntata essenzialmente sulla tutela consolare dei cittadini europei, sempre che nello Stato terzo non sia presente né rappresentanza permanente accessibile, né console onorario del loro Stato membro o di un altro Stato che lo rappresenti in modo permanente.L'ambito di applicazione della decisione pur essendo preciso nella elencazione delle fattispecie non appare esaustivo. L'articolo 5, infatti, descrive i settori di intervento: «a) l'assistenza in caso di decesso; b) l'assistenza in caso di incidente o malattia grave; c) l'assistenza in caso di arresto o di detenzione; d) l'assistenza alle vittime di atti di violenza; e) l'aiuto ed il rimpatrio dei cittadini dell'Unione in difficoltà». Si tratta di misure volte a risolvere siffatte problematiche al fine di permettere al cittadino UE di trattenersi all'interno dello Stato terzo, ovvero di rimpatriare, a seguito di un evento spiacevole ed eccezionale.Ovviamente, non essendo un elenco esaustivo e soprattutto tassativo, le autorità diplomatiche e consolari potranno estendere la loro tutela anche ad altri casi non previsti, al fine di garantire una completa protezione del cittadino UE.Ad integrare la decisione 95/553/CE, occorre segnalare anche la decisione 96/409/PESC, sempre dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del 25 giugno 1996, relativa all'istituzione di un documento di viaggio provvisorio (DVP) che, nell'ottica della protezione consolare, intende assicurare ai malcapitati cittadini UE il titolo di viaggio necessario al rimpatrio. La condizione prevista dall'art. 2 per la sua entrata in vigore, tuttavia, non è stata ancora raggiunta, sicché si attendono le notifiche di tutti gli Stati membri.In ogni caso la vigente decisione 95/553/CE, che vincola gli Stati membri, stabilisce i termini minimi di eventuale assistenza al cittadino anche pecuniaria. Se ipotizziamo, infatti, un borseggio del cittadino UE turista dello Stato terzo, con conseguente sottrazione di documenti, titoli di viaggio, valuta, carte di credito, ecc., appare evidente la impossibilità di poter restare in loco o di rimpatriare. Di qui l'esigenza del DVP, momentaneamente compensata da altro documento rilasciato dalle autorità diplomatiche e consolari dello Stato membro che assicura la protezione. Va pure segnalata l'importante previsione del rilascio di una somma pecuniaria a titolo di anticipo, previamente autorizzata dalle autorità competenti dello Stato membro del cittadino, che successivamente sarà rimborsata come previsto dai formulari predisposti a tal fine.In questo contesto va menzionato il sistema dello «Stato pilota» o «Stato guida». Si tratta di una proposta contenuta nella citata comunicazione della Commissione e ripresa, da ultimo, dal Consiglio nelle sue «Linee direttrici dell'Unione europea relative all'attuazione del concetto di Stato guida in materia consolare», che è volto a rafforzare la cooperazione consolare e a migliorare la tutela dei cittadini UE nei periodi di crisi in paesi terzi in cui sono rappresentati solo pochi Stati membri. Uno o più Stati membri sono designati come «Stato pilota» nel paese terzo per garantire la protezione dei cittadini dell'Unione non rappresentati a nome degli altri Stati membri. In caso di evacuazione, lo «Stato pilota» ha la responsabilità di trasferire in un luogo sicuro tutti i cittadini dell'Unione.Ancora in stato di gestazione, l'attuazione dello Stato pilota appare come una ipotesi interessante ma non risolutiva. Certo può contribuire positivamente nella distribuzione degli oneri e ad un'equa condivisione più efficace delle responsabilità nelle situazioni di crisi.In questo senso, è auspicabile l'istituzione di una «unità di crisi dell'Unione europea» nell'ambito del costituendo «servizio europeo per l'azione esterna», ex art. 27, n. 3 TUE (Lisbona) che, sotto la direzione dell'Alto rappresentante per gli affari esteri, possa intervenire tempestivamente nelle situazioni di necessità. La costituenda «unità di crisi UE» sarà necessariamente in contatto diretto con le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri e con le delegazioni dell'Unione presenti negli Stati terzi.Dalla cooperazione che le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri sapranno assicurare ed implementare con le delegazioni dell'Unione presenti negli Stati terzi, emergerà la consistenza della protezione diplomatica in futuro. Su questo piano si giocherà la partita.Un altro fronte necessario aprire è quello dell'informazione.Non sembra fuori luogo, infatti, rammentare che il grado di conoscenza delle questioni relative all'integrazione europea è abitualmente carente. In materia di cittadinanza europea la conoscenza dei propri diritti (e pochi doveri) da parte dei cittadini UE è pressoché pari a zero; la conoscenza dell'esistenza della protezione diplomatica e consolare UE appare una mera chimera.In questo contesto, è da considerare positivamente la raccomandazione della Commissione europea del 5 dicembre 2007 che ha come obiettivo la promozione in tutta l'Unione europea del diritto di protezione diplomatica e consolare. Fermo restando che il rilascio dei passaporti è di competenza degli Stati membri, la raccomandazione invita gli Stati membri a stampare nelle copertine dei passaporti nuovi (rilasciati dopo il 1° luglio 2009) la norma UE sulla protezione diplomatica e consolare; mentre negli altri passaporti rilasciati prima del 1° luglio 2009 sarebbe sufficiente un adesivo da apporre all'interno della copertina.
5. La necessità di una protezione diplomatica e consolare condivisa in attesa di una protezione dell'Unione tout court. Gli sviluppi delle disposizioni dei trattati
Per inquadrare la questione, occorre ricordare che le missioni diplomatiche (ambasciate) sono rinvenibili (di regola) nelle capitali degli Stati; mentre gli uffici consolari (consolati) oltre ad essere presenti nelle capitali (talvolta nelle stesse ambasciate), sono posizionate nel territorio nazionale in rapporto alle esigenze dello Stato accreditante, ma con il consenso dello Stato accreditatario, così come prescritto nell'accordo bilaterale che da vita alle relazioni diplomatiche e/o consolari.La problematica è che, talora, nella capitale non vi è ambasciata «accessibile», giacché i due Stati non mantengono relazioni diplomatiche (ovvero sono momentaneamente sospese), bensì soltanto relazioni consolari, e l'ufficio più «accessibile» si trova a molti chilometri di distanza.Quale è la problematica? A tutt'oggi, soltanto in tre Stati terzi sono rappresentati tutti e 27 Stati membri dell'Unione europea nei 166 paesi terzi annoverabili: più propriamente nella Repubblica popolare cinese, nella Federazione russa e negli Stati Uniti d'America. Questa mancanza di rappresentanza si è accentuata con l'allargamento dell'Unione europea. Vi sono 18 paesi in cui non è rappresentato nessuno Stato membro, 17 paesi in cui è rappresentato un solo Stato membro e 11 paesi in cui ne sono rappresentati due.Fra questi paesi vi sono una serie di popolari destinazioni turistiche per i cittadini dell'Unione (ad es. Bahamas, Barbados, Madagascar, Maldive e Seychelles). Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri sono particolarmente limitate in America centrale e Caraibi, in Asia centrale e in Africa centrale e occidentale.Si stima che l'8,7% dei cittadini dell'Unione europea che viaggiano al di fuori dell'UE si recano in paesi terzi in cui il loro Stato membro non ha una rappresentanza consolare o diplomatica.Dalla medesima comunicazione della Commissione si ricava la necessità di rafforzare la tutela dei cittadini europei nei paesi terzi, giacché i cittadini UE viaggiano sempre più in paesi terzi come turisti, lavoratori, studenti, ecc. A tal riguardo Eurostat ha stimato il numero di viaggi nel 2005 intorno agli 80 milioni. La metà dei cittadini dell'Unione prevede di viaggiare in un paese terzo nei prossimi 3 anni. Il Consiglio ha altresì stimato nel 2006 che i cittadini dell'Unione hanno effettuato circa 180 milioni di viaggi all'anno.Tutto ciò comporta che la decisione 95/553/CE non appare più sufficiente per gestire le problematiche che potrebbero verificarsi. Posto che l'articolo 7 della decisione stessa prevede una sua revisione, va rilevato che già da tempo le istituzioni UE stanno cooperando al fine di trovare lal necessaria posizione comune in materia. Al momento non vi sono atti tipici in itinere.In questa prospettiva il Trattato di Lisbona viene in aiuto, poiché la previsione contenuta nell'art. 23 TFUE, secondo comma, costituisce una chiara base giuridica a tal uopo. La norma prevede che «Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare direttive che stabiliscono le misure di coordinamento e cooperazione necessarie per facilitare tale tutela». Si passa da un atto espressione dei rappresentanti dei governi nazionali, che necessita di adattamento, ad un atto «tipico» dell'Unione, rispettando il metodo istituzionale (proposta della Commissione e parere del Parlamento europeo) nel rispetto della procedura legislativa speciale. La direttiva, ex art. 288 TFUE, terzo comma, è apparsa ai redattori del trattato lo strumento giuridico più flessibile per disciplinare i tratti fondamentali della materia, lasciando agli Stati membri il compito di completare l'attuazione dell'atto.Essendo una facoltà del Consiglio adottare direttive («il Consiglio (...) può adottare direttive»), non può escludersi anche l'adozione di un altro atto tipico dell'Unione ex art. 288 TFUE a discrezione del Consiglio stesso e nel rispetto della procedura legislativa speciale.In ogni caso, si può affermare che la materia confluisce nel metodo istituzionale attraendo la protezione diplomatica e consolare all'interno della dialettica istituzionale.Occorre in quest'ottica segnalare la disposizione contenuta nell'art. 25 TFUE che stabilisce le regole per incrementare (secondo la norma «completare») i diritto di cittadinanza previsti nell'art. 20 TFUE. Si tratta di una norma che mostra tutto lo scetticismo dei governi degli Stati membri ed i timori che l'incremento dei diritti di cittadinanza europea possano incidere sulle loro sovranità. Tale diffidenza emerge dalla procedura utilizzata: non si è indicato il metodo istituzionale che sarebbe stato più appropriato, bensì una proceduta intergovernativa che assegna al Consiglio, che delibera all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, la facoltà di adottare disposizioni intese a completare i diritti elencati all'articolo 20, paragrafo 2 TFUE. Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.Se da un lato l'esercizio dei diritti di cittadinanza UE, già individuati dai trattati, è appannaggio delle istituzioni dell'Unione nel rispetto delle procedure legislative previste, dall'altro per arricchire l'elenco si richiede una procedura intergovernativa, in verità imprecisa ed inopportuna. Peraltro siffatti diritti ex art. 20 TFUE devono necessariamente essere interpretati alla luce della Carta dei diritti fondamentali, soprattutto ora che il novellato art. 6 TUE conferisce valore giuridico di norma primaria.In ogni caso, alla luce delle disposizioni contenute nei trattati dopo la riforma di Lisbona, pare possibile ipotizzare uno scenario nuovo per la protezione diplomatica UE, soprattutto perchè la norma va letta tenendo conto delle altre norme primarie collegate, sia del TUE sia del TFUE.In primo luogo l'art. 23 TFUE va letto alla luce della generale prescrizione contenuta nell'art. 3, parag. 5 TUE, vale a dire, che «nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini». Inoltre, occorre necessariamente collocare la materia della protezione diplomatica e consolare non soltanto nei diritti di cittadinanza, bensì, a motivo delle sue caratteristiche intrinseche, anche all'interno del Titolo V "Disposizioni generali sull'azione esterna dell'Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune".Nel Titolo V, infatti, rinveniamo l'art. 35 TUE che afferma «Le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri e le delegazioni dell'Unione nei paesi terzi e nelle conferenze internazionali, nonché le loro rappresentanze presso le organizzazioni internazionali, cooperano al fine di garantire il rispetto e l'attuazione delle decisioni che definiscono posizioni e azioni dell'Unione adottate in virtù del presente capo. Esse intensificano la loro cooperazione procedendo a scambi di informazioni e a valutazioni comuni. Esse contribuiscono all'attuazione del diritto di tutela dei cittadini dell'Unione nel territorio dei paesi terzi di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera c) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e delle misure adottate in applicazione dell'articolo 23 di detto trattato».Si configura una importante e necessaria collaborazione tra le delegazioni dell'Unione (già delegazioni della Commissione) e le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri, non solo nella prospettiva di un'azione esterna ovvero nella realizzazione di una politica estera comune, ma anche nell'esercizio della tutela diplomatica e consolare. Il ruolo di coordinamento è affidato all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza il quale, nell'esecuzione delle sue funzioni, si avvale di un «servizio diplomatico» che collabora con i servizi diplomatici degli Stati membri e con la Commissione.Anche l'art. 32, quarto comma, TUE, richiama il dovere di collaborazione confermando che «le missioni diplomatiche degli Stati membri e le delegazioni dell'Unione nei paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali cooperano tra di loro e contribuiscono alla formulazione e all'attuazione dell'approccio comune».Appare fondamentale il ruolo delle delegazioni dell'Unione.In prospettiva futura sembrerebbe realizzarsi ciò che la giurisprudenza comunitaria, ancorché in modo non definitivo, aveva indicato. Così se nella sentenza Adams la Corte di giustizia non aveva negato il dovere della Commissione di «provvedere alla difesa del ricorrente» (peraltro non cittadino di uno Stato membro), nella successiva sentenza Odigitria del Tribunale di primo grado si afferma che la delegazione della Commissione nella Guinea-Bissau ha «adempiuto al suo dovere di tutela diplomatica», così confermando una competenza in materia di protezione diplomatica, ancorché circoscritta alle materie di competenza comunitaria.Si tenga conto che attualmente le delegazioni della Commissione (che diventeranno delegazioni «dell'Unione»), ammontano a 144 in tutto il mondo ed in tutti i continenti. Secondo la Commissione «la creazione di uffici comuni, a disposizione di tutti i cittadini dell'UE, compenserebbe la limitata presenza consolare nei paesi terzi, e questi uffici potrebbero essere collocati insieme alle delegazioni della Commissione. I costi sarebbero ripartiti proporzionalmente fra gli Stati membri in base ad accordi esistenti. Oltre ai vantaggi che potrebbero derivare dalla co-ubicazione (risparmio di costi e rafforzamento della cooperazione reciproca), gli uffici comuni funzionerebbero in base a un sistema chiaro e trasparente di mutua rappresentanza. Tale sistema costituirebbe un passo avanti verso un'accresciuta tutela dei cittadini UE in stato di necessità, poiché funzionerebbe in qualsiasi momento e non solo per eventi straordinari come conflitti e calamità naturali. In questo senso completerebbe il sistema dello "Stato pilota"».Peraltro l'Unione europea ha personalità giuridica ai sensi dell'art. 47 TUE riformato a Lisbona, sicché sono riscontrabili tutte le condizioni affinché la protezione diplomatica e consolare possa essere assicurata non soltanto dalla assistenza reciproca degli Stati membri, ma da misure e strutture proprie dell'Unione, ovvero, in collaborazione con le autorità diplomatiche e consolari degli Stati membri.Anche il recente "Programma di Stoccolma - Un Europa aperta e sicura al servizio dei cittadini" sembra riproporre la questione della protezione diplomatica e rivolgersi a questa prospettiva. Infine, occorre altresì richiamare l'"European Diplomatic Programme" al quale partecipano la Commissione (Relazioni esterne), il Segretariato del Consiglio e giovani diplomatici degli Stati membri, che ha come obiettivo precipuo creare una idea comune di diplomazia nell'Unione e nel "Programme Diplomatique Européenne: 9ème édition (2008-2009) sono stati già affrontati molti aspetti comuni per una diplomazia sempre più integrata. Una serie di iniziative congiunte che potrebbero sboccare, in un prossimo futuro, in una vera e propria diplomazia dell'Unione europea, quale aspetto tecnico-pratico di una politica estera comune.
Note
(*) Relazione presentata al Convegno "Diritti fondamentali, cittadinanza europea e tutele giuridiche sovranazionali" (Roma, 23 novembre 2009).
(**) Professore associato di diritto dell'Unione europea nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università della Calabria.