Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 30 ottobre 2000, n. 14297
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.B., dipendente della società [omissis], venne licenziato in data 9 settembre 1993 per giustificato motivo oggettivo consistente in un riassetto organizzativo dell'attività di impresa.
Il B., con ricorso al pretore di Atri, chiedeva l'annullamento del recesso con le conseguenze di cui all'articolo 8 della legge 604/1966.
Nel contraddittorio con la società datrice di lavoro, la quale eccepiva la inammissibilità della domanda, per intervenuta decadenza dal diritto ad impugnare il licenziamento, il pretore, con sentenza pronunciata all'udienza del 27 marzo 1996, dichiarava illegittimo il recesso, condannando la [omissis] a riassumere il dipendente o, in mancanza, a risarcirgli il danno quantificato in quattro mensilità dell'ultima retribuzione.
In riforma della decisione di primo grado, con sentenza in data 14 maggio 1999, il tribunale di Teramo ha dichiarato improponibile la domanda e ha condannato il B. a restituire al datore di lavoro le somme da questo corrispostegli in seguito a precetto. Il tribunale ha rilevato che il B. aveva prodotto copia di un telegramma dettato telefonicamente il 10 settembre 1993 e contenente la dichiarazione di voler impugnare il licenziamento, ma ha osservato che tale documento difettava del requisito essenziale proprio della scrittura privata, ossia della sottoscrizione del dichiarante. In assenza di firma, e stante la contestazione del destinatario, era onere del lavoratore dare la prova di essere l'autore del documento, rispettando le condizioni previste dall'articolo 2705 c.c.; onere cui, nel caso, il B. non aveva adempiuto, non essendo a tal fine utile la prodotta documentazione Telecom, dalla quale si evinceva solamente che la richiesta di inoltro del telegramma era avvenuta tramite l'utenza telefonica a lui intestata. Irrilevante, ai detti fini probatori, era, a giudizio del tribunale, anche la circostanza che il detto telegramma fosse di fatto pervenuto nella sfera di conoscenza del datore di lavoro e che questi avesse mostrato di averne reputato la provenienza dal lavoratore licenziato (come poteva desumersi dal telex in data 30 settembre 1993, trasmesso al B. su richiesta della utenza telefonica della [omissis]). Ha concluso, quindi, il giudice del gravame che il primo valido atto di impugnazione del licenziamento doveva considerarsi il ricorso giurisdizionale, il quale, peraltro, era stato depositato dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 della legge 604/1966.
Ricorre per la cassazione di questa sentenza il B. con un unico motivo illustrato con successiva memoria. La società datrice di lavoro propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, anch'esso fondato su un solo motivo, al quale resiste il lavoratore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti perché proposti contro la stessa sentenza (articolo 335 c.p.c.).
Con l'unico motivo, il ricorrente principale deduce violazione degli articoli 1334-1362 e ss. c.c., degli articoli 1375, 2705, 2730, 2966 c.c., dell'articolo 6 legge 604/1966 e vizio di motivazione carente e contraddittoria (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Assume che il tribunale ha considerato il contenuto del solo telegramma inviato dal lavoratore in data 10 settembre 1993, senza valutare in alcun modo la rilevanza significativa del comportamento delle parti, così come risultate dal successivo telegramma del 30 settembre 1993, inviato dal datore di lavoro al B., quando ancora non era decorso il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento; ha erroneamente interpretato, altresì, in modo "assurdamente" formalistico il disposto dell'articolo 2705 c.c.; non ha considerato, infine che, nel caso, la comunicazione telegrafica dell'avvenuta recezione dell'atto negoziale, integrava riconoscimento, da parte del datore di lavoro, della sua valenza impeditiva della decadenza. Ove avesse interpretato il contenuto dei due documenti, entrambi contenenti dichiarazioni contrattuali, non isolatamente, ma complessivamente, ricostruendo la reale intenzione dei contraenti, ne sarebbe emersa con certezza la prova che il B. era l'autore dell'atto del 10 settembre 1993 e che tale atto era stato dal datore di lavoro non solo ritenuto proveniente dal lavoratore ma anche idonea impugnativa del licenziamento.
Il ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
La questione portata all'esame del giudice di secondo grado era quella della idoneità di un telegramma, dettato per telefono e del quale il datore di lavoro aveva contestato la provenienza e la riferibilità al dipendente licenziato, a costituire valida impugnativa stragiudiziale del recesso e ad impedire la decadenza comminata dall'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Il tribunale l'ha risolta uniformandosi all'insegnamento costante di questa Corte (v. Cass. 10 luglio 1991, n. 7610; 11 novembre 1992, n. 12128; 23 gennaio 1995, n. 740; 26 luglio 1996, n. 6749), secondo cui l'atto scritto richiesto dall'articolo 6 della legge 604/1966, quale atto "idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore" deve intendersi come atto sottoscritto dal lavoratore e che al telegramma può essere attribuita, ai sensi dell'articolo 2705, comma 1, c.c., la medesima efficacia probatoria della scrittura privata, purché l'originale consegnato all'ufficio di partenza sia stato sottoscritto dal mittente, ovvero - in mancanza di sottoscrizione - qualora l'originale sia stato consegnato o fatto consegnare all'ufficio di partenza dal mittente medesimo anche senza sottoscriverlo; precisando, quindi, che, in caso di contestazione da parte del datore di lavoro destinatario, il mittente è tenuto, ove intenda avvalersi del telegramma come scrittura privata, a fornire la prova delle condizioni poste, in via alternativa, dal predetto articolo di legge e negando, infine, che l'invio di un telegramma mediante dettatura telefonica possa essere riportato nell'ambito della rilevanza giuridica del documento telegrafico, così come essa appare deducibile dall'articolo 2705 c.c. citato (v., in particolare, su questo ultimo aspetto, Cass. 10 luglio 1991, n. 7610).
Ma il Collegio non condivide l'interpretazione restrittiva appena riferita, non ravvisando alcun giuridico ostacolo all'affermazione dell'equivalenza, sul piano dell'efficacia probatoria, del telegramma dettato per telefono all'operatore a quello spedito tramite un ufficio telegrafico e a una applicazione estensiva del dato normativo dell'articolo 2705 c.c., che consenta di ritenerlo proveniente dal soggetto che nel testo risulti l'autore della dichiarazione - nonostante la mancanza di sottoscrizione - sulla base del criterio di collegamento del "far consegnare" l'originale a mezzo di incaricato (o della "consegna" dello stesso) da parte del mittente.
Si tratterà, quindi, in questo, come nel caso del telegramma spedito a mezzo di un ufficio telegrafico, di fornire la prova dell'incarico a consegnare (o dell'avvenuta consegna): prova che potrà essere offerta con ogni mezzo, anche fornendo elementi indiziari, precisi e concordanti, intesi a delineare presunzioni a favore della situazione allegata.
In particolare, per la dettatura telefonica del telegramma, si possono individuare alcuni elementi peculiari, connessi alla particolare procedura interna al servizio postale relativa a tale mezzo di comunicazione. Così, possono diventare fortemente indiziarie circostanze come quella della provata coincidenza tra il soggetto cui nel testo sia attribuita la dichiarazione e quello che ne risulti il mittente dal punto di vista amministrativo, per essere il titolare dell'abbonamento relativo all'apparecchio telefonico da cui proviene la chiamata, come pure quella che l'abbonato-mittente risulti in possesso della copia del telegramma inviato (che gli viene, in base alle vigenti norme postali, trasmessa), o anche che risulti l'utilizzatore esclusivo dell'apparecchio dal quale proviene la richiesta di dettatura.
La sentenza impugnata non si è minimamente posta il problema di verificare se gli elementi di prova forniti dal lavoratore, o comunque pacifici in causa, fossero idonei a fornire - quanto meno come fonte di presunzione - la dimostrazione della provenienza dal lavoratore del testo nel quale, per certo, era contenuta dichiarazione di volontà di impugnare il licenziamento, pur avendo affermato che dalla prodotta documentazione Telecom risultava che la dettatura di esso era avvenuta tramite l'utenza telefonica intestata al B.
Ma neppure il giudice di secondo grado ha attribuito alcun rilievo alle circostanze - pure ritenute pacifiche e da valorizzare anch'esse nella formazione di un convincimento che, per quanto detto, doveva tener conto di tutti i possibili fondamenti indiziari - che l'atto negoziale di cui al telegramma in data 10 settembre 1993 era "di fatto pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario" e che il datore di lavoro, nonostante la successiva contestazione, aveva mostrato, nel telex in data 30 settembre 1993 (trasmesso al B. su richiesta della utenza telefonica della [omissis]), di averne reputato la provenienza dal dipendente licenziato.
La sentenza impugnata va, per tali ragioni, cassata e la causa va rinviata ad altro giudice di merito, dovendo rinnovarsi l'intero accertamento di fatto alla stregua degli esposti principi giuridici.
Con l'unico motivo del proprio ricorso incidentale, la società [omissis] prospetta la questione della violazione dell'articolo 3 della legge 604/1966, non esaminata tribunale, e denuncia vizio di carenza di motivazione e di esame di un punto decisivo, per avere il pretore ritenuto illegittimo il licenziamento nonostante il provato riassetto organizzativo e la dimostrata impossibilità di reimpiego del lavoratore licenziato.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di soccombenza - e quindi di interesse - della società ricorrente, in quanto la questione da essa prospettata non ha formato oggetto della decisione del tribunale, che ha ritenuto "superfluo" prendere in esame il merito della causa, in considerazione dell'affermata improponibilità della domanda per intervenuta decadenza dalla impugnazione del licenziamento.
Va, in proposito, richiamato il principio (v. Cass. 25 marzo 1997, n. 2625) secondo cui la soccombenza del convenuto ed il suo conseguente interesse ad impugnare la sentenza sono da escludere nel caso in cui l'absolutio ab instantia sia avvenuta per effetto di declaratoria di nullità o inammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, posto che l'interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza, connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di arrecare pregiudizio alla parte, la quale, proprio con il mezzo dell'impugnazione, tende a rimuovere il pregiudizio stesso, non può ipotizzarsi una situazione di pregiudizio per il convenuto nel fatto che il giudice a quo, ravvisando un ostacolo processuale all'esame della domanda, ne riconosca la soggezione a siffatta situazione ostativa, anziché esaminarla nel merito.
Ovviamente, l'accoglimento del ricorso principale comporta che, ove la impugnazione del licenziamento dovesse essere ritenuta tempestiva dal giudice di rinvio, con conseguente ammissibilità della proposta domanda, il controllo giurisdizionale dovrà estendersi alla verifica della sua fondatezza, nel merito, attraverso l'accertamento della ricorrenza, nel caso, dei requisiti che caratterizzano la fattispecie legale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Al giudice di rinvio, indicato nella Corte d'appello di L'Aquila, è demandato il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di L'Aquila.