Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 28 maggio 2003, n. 2970
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente notificato Gianlorenzo Z., ispettore superiore della Polizia di Stato, proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R. per il Veneto, prima sezione, n. 1207 del 13 luglio 1999 che aveva respinto le censure articolate nei confronti del decreto del Ministro dell'interno - n. 555\1434\PERS. DIA del 4 novembre 1997 - recante la revoca dell'assegnazione alla Direzione investigativa antimafia (in prosieguo D.I.A.) di Padova.
Si costituiva il Ministero dell'interno deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
La causa è passata in decisione all'udienza pubblica dell'8 aprile 2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L'appello è infondato e deve essere respinto.
2. Con d.m. 19 aprile 1993 l'ispettore della P.S. Gianlorenzo Z. era assegnato alla D.I.A. di Padova.
3. A seguito di due relazioni riservate trasmesse dal capo del centro operativo della D.I.A. di Padova al direttore nazionale della medesima struttura (in data 5 novembre 1996 e 1 luglio 1997) quest'ultimo, constatata la presenza di difficoltà gestionali all'interno del centro di Padova, invitava il capo dell'ufficio ispettivo a verificare lo stato dei rapporti intercorrenti tra il personale ed i riflessi sull'andamento generale del servizio, nonché lo stato dei rapporti con gli altri organi istituzionali (cfr. nota n. 125\GAB\2780\R\97 del 26 settembre 1997). Il direttore della D.I.A limitava l'ambito dell'inchiesta ispettiva, escludendo i fatti oggetto di indagine da parte dell'autorità giudiziaria e della Commissione parlamentare Antimafia.
4. La visita ispettiva si protraeva per una settimana circa (dal 29 settembre al 4 ottobre 1997), durante la quale venivano ascoltati numerosi funzionari, fra cui anche l'odierno appellante.
5. L'ispezione accertava lo stato di confusione, improduttività e discredito in cui versava il centro operativo, a cagione della situazione patologica delle relazioni interpersonali, sotto il profilo della correttezza dei rapporti, della mancanza di fiducia, lealtà e di rispetto per le gerarchie.
Si sollecitavano provvedimenti immediati per restituire credibilità ed incisività all'azione di contrasto alla criminalità organizzata (pagina 54 della relazione ispettiva).
Venivano, altresì, evidenziate talune emblematiche circostanze di fatto:
a) le numerose denuncie penali inoltrate dal personale della P.S. in servizio presso il centro, contro altri colleghi sempre della Polizia di Stato, ovvero contro giornalisti, denuncie oggetto di indagini penali recenti ed anche dell'intervento, nel settembre del 1997, della Commissione parlamentare antimafia, mirato ad accertare eventuali collusioni fra la c.d. "mala del Brenta" e la D.I.A. di Padova, intervento originato da una denuncia presentata dal dottor Miceli (funzionario addetto al medesimo centro operativo);
b) la difficoltà di instaurare un effettivo regime di lavoro interforze, in spregio dello spirito della legge istitutiva della D.I.A., che era stato proprio quello di accantonare le rivalità fra le forze dell'ordine in un settore tanto delicato come il contrasto alla criminalità organizzata;
c) il danneggiamento doloso, ad opera di ignoti, di una autovettura di proprietà di un funzionario della D.I.A. (dott. Campagnolo), custodita nel parcheggio riservato agli automezzi della D.I.A.
d) con specifico riferimento alla posizione dell'appellante si mettevano in rilievo: il suo legame affettivo con una donna che frequentava un esponente della c.d. "mala del Brenta" guidata dal boss Felice Maniero; l'essere stato indicato quale possibile bersaglio di un sequestro di persona da parte della banda Maniero onde scoprire il nome dell'informatore della polizia componente della stessa organizzazione.
6. In data 25 ottobre 1997, il direttore della D.I.A. - cfr. nota prot. n. 125\PERS class="ctr"3165 - a seguito di ampia ed analitica disamina dei fatti, proponeva al Capo del Dipartimento della P.S. l'assunzione urgente del provvedimento di revoca dell'assegnazione dell'appellante (unitamente ad altri funzionari di Polizia coinvolti).
7. Il successivo 3 novembre l'appellante riceveva l'avviso di inizio del procedimento di revoca dell'assegnazione alla D.I.A.
8. Il 4 novembre il direttore centrale del personale del Dipartimento della P.S. esprimeva parere favorevole sulla proposta di revoca (cfr. nota prot. n. 333\1674\97\R).
9. In pari data veniva adottato il d.m. oggetto del presente giudizio, che, richiamati espressamente il parere del direttore centrale del personale e la proposta del direttore della D.I.A., disponeva la revoca dell'assegnazione dell'appellante alla D.I.A.
10. Avverso i sopra menzionati atti proponeva ricorso l'odierno appellante articolando i seguenti mezzi: a) violazione degli artt. 7 e seguenti della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di motivazione sui reali presupposti legittimanti la deroga dell'obbligo di comunicare tempestivamente l'inizio del procedimento e di acquisire le pertinenti osservazioni dell'interessato; b) eccesso di potere per sviamento, violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi e delle sanzioni disciplinari irrogabili al personale della Polizia di Stato, violazione degli artt. 1 e seguenti del d.P.R. n. 737 del 1981; c) eccesso di potere per erroneità, insufficienza ed inadeguatezza del presupposto, eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti valutazioni favorevoli che l'amministrazione ha riservato all'appellante.
11. L'impugnata sentenza ha respinto tutte le censure con dovizia di argomenti.
12. Prima di scendere all'esame dei singoli motivi di appello (riproduttivi di quelli articolati in prime cure), occorre individuare l'esatta natura giuridica del provvedimento oggetto del presente giudizio.
13. Il d.l. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito con modificazioni nella l. 30 dicembre 1991, n. 410, ha istituito nell'ambito della Pubblica Sicurezza la D.I.A., prevedendo, all'art. 3, comma 7, che tale Organismo si avvalga di personale dei ruoli della Polizia di Stato, dell'Arma dei C.C. e del Corpo della Guardia di finanza.
In sede di prima applicazione, ai sensi dell'art. 4 del citato decreto, si provvede alla copertura dei posti con concorso unico nazionale, nei contingenti e con le modalità determinati da apposito decreto del Ministro dell'interno, emanato di concerto coi Ministri della difesa e delle finanze (cfr. d.m. 29 dicembre 1992).
Come già ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2001, n. 332), la D.I.A. non costituisce un nuovo corpo di polizia con un proprio organico, sicchè il personale operante presso di essa viene assegnato su domanda o richiesta nominativa del responsabile dello stesso Organismo, continuando ad appartenere al proprio ruolo e ad essere sottoposto alla disciplina ordinaria.
In relazione a tali premesse, si è ritenuto che i trasferimenti di unità di personale da e per i centri operativi della D.I.A., abbiano natura di trasferimento d'autorità in quanto destinati a soddisfare prioritariamente un interesse vitale dell'amministrazione della pubblica sicurezza e dell'ordinamento in generale, al punto che la dichiarazione di gradimento del personale, ai sensi del menzionato d.m. 29 dicembre 1992, altro non sarebbe che una mera manifestazione di assenso o di disponibilità alla assegnazione ai suddetti centri (cfr. sez. IV, n. 332 del 2001 cit., relativa alla corresponsione dell'indennità prevista dall'art. 1, l. n. 100 del 1987).
La revoca dell'assegnazione di personale della Polizia di Stato alla D.I.A., per ripristinare una situazione di correttezza ed efficienza gestionale, integra, pertanto, i presupposti di un trasferimento d'autorità per incompatibilità ambientale.
13.1. La finalità del trasferimento di un dipendente pubblico per incompatibilità ambientale è quella di ripristinare il corretto e sereno funzionamento dell'ufficio restituendo allo stesso il prestigio, l'autorevolezza o l'immagine perduti (cfr. sez. I, 8 maggio 2002, n. 870).
Conseguentemente un provvedimento di tale natura non è in alcun rapporto col provvedimento disciplinare eventualmente irrogato a carico del medesimo soggetto, in quanto il trasferimento si basa su una situazione oggettiva di disagio nell'ambiente di lavoro, mentre la sanzione disciplinare postula un criterio di imputazione della condotta illecita (cfr. sez. IV, 29 agosto 2000, n. 4374\ord., resa in fattispecie di trasferimento per incompatibilità ambientale di appartenente alla Polizia di Stato).
Il trasferimento per incompatibilità, infatti, non ha carattere sanzionatorio né postula un comportamento contrario ai doveri di ufficio, non ha, quindi, natura disciplinare, essendo subordinato ad una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti, che possa far ritenere nociva per il prestigio, il decoro e la funzionalità dell'ufficio l'ulteriore permanenza del dipendente in una determinata sede (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 28 gennaio 2003, n. 34, concernente il trasferimento di agente della Polizia di Stato; sez. I, 15 maggio 2002, n. 1382; sez. VI, 16 maggio 1992, n. 387). In definitiva, non rileva tanto la responsabilità del soggetto i cui comportamenti hanno originato la situazione che incide negativamente sull'andamento complessivo dell'ufficio, quanto la sussistenza di uno o più episodi tali da compromettere il servizio stesso (cfr. sez. VI, 29 marzo 2002, n. 1782).
13.2. Circa la misura e l'intensità della discrezionalità esercitabile in materia, deve osservarsi che, anche dopo la smilitarizzazione della Polizia di Stato di cui alla l. n. 121 del 1981, permangono margini di esercizio del potere dell'amministrazione più estesi di quelli presenti nei rapporti ordinari di impiego (cfr. Sez. IV, 24 marzo 1997, n. 289, in termini sul trasferimento di appartenente alla Polizia di Stato), discrezionalità che si avvicina a quella amplissima impiegata dai comandi nei confronti dei militari (cfr. ex plurimis sulla qualificazione del trasferimento per incompatibilità ambientale come ordine militare, sez. IV, 5 luglio 2002, nn. 3693 e 3694).
Ne discende, sotto tale angolazione, che le esigenze di servizio poste a base del trasferimento per incompatibilità sono sindacabili dal giudice amministrativo solo ab externo, sotto il profilo della logicità e completezza della motivazione quale si evince dal complesso dell'attività procedimentale posta in essere, rimanendo esclusa ogni indagine di merito sulla valutazione dell'amministrazione (cfr. ex plurimis, sez. IV, 11 marzo 2000, n. 1133; sez. VI, 23 ottobre 1999, n. 1551).
13.3. L'indagine fin qui svolta sulla ratio, i presupposti legali e la natura del provvedimento di revoca dell'assegnazione alla D.I.A. consentono di approdare a pertinenti (rispetto al caso di specie) conclusioni in ordine al contenuto minimo motivazionale dell'atto in questione.
In generale, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, deve ritenersi assolto l'obbligo della motivazione del provvedimento amministrativo, anche in presenza di una motivazione succinta purché capace di disvelare l'iter logico e procedimentale che consenta di inquadrare la fattispecie nell'ipotesi astratta considerata dalla legge (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 20 gennaio 2003, n. 31; sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874).
Anche la motivazione per relationem, è comunemente ammessa alla luce dei principi generali di cui alla l. n. 241 del 1990, purché: a) le ragioni dell'atto richiamato siano esaurienti - onde sia possibile desumere le ragioni in base alle quali la volontà dell'amministrazione si è determinata -; b) l'atto indicato al quale viene fatto riferimento, sia reso disponibile agli interessati; c) non vi siano pareri richiamati che siano in contrasto con altri pareri o determinazioni rese all'interno del medesimo procedimento (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 20 gennaio 2003, n. 31; sez. VI, 24 ottobre 1995, n. 1201; sez. IV, 7 marzo 1994, n. 204).
Come si è visto e come si dirà meglio in seguito, tutte e tre le condizioni si sono verificate nel caso di specie (cfr., sulla ostensione della proposta del direttore della D.I.A. e di altri numerosi provvedimenti connessi, il verbale di accesso agli atti del 3 dicembre 1997).
Con specifico riferimento al trasferimento per ragioni di servizio non si è mancato di affermare che queste ben possono essere disvelate anche dal procedimento, risultando così attenuato il dovere dell'amministrazione di esternarne le ragioni (cfr. sez. IV, 31 gennaio 2001, n. 550). La funzione della motivazione, infatti, non viene meno per il fatto che nel provvedimento finale non risultino chiaramente e compiutamente esplicitate le ragioni sottese alle scelte discrezionali, allorché le stesse (come nel caso di specie), possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento e ciò in forza di una considerazione non meramente formale dell'obbligo di motivazione, bensì coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall'art. 97 Cost. e dall'obbligo per l'amministrazione di improntare la propria azione a canoni di efficienza, economicità ed efficacia ex art. 1, l. n. 241 cit. (cfr. sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281).
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa appellante, la garanzia di adeguata tutela delle proprie ragioni, che l'ordinamento assicura ad ogni amministrato, non viene meno per il solo fatto che nel provvedimento finale non risultino chiaramente e compiutamente esplicitate in motivazione le ragioni sottese alle scelte, se le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle diverse fasi nelle quali si articola il procedimento e contestate (come nel caso di specie), attraverso appropriate censure di eccesso di potere per carenza di presupposti, travisamento dei fatti o ingiustizia manifesta, con un risultato (se reputate fondate), certamente più vantaggioso di quello che il singolo interessato potrebbe conseguire da un mero annullamento formale per violazione da parte dell'Amministrazione dell'obbligo del clare loqui (cfr., sez. IV, 22 dicembre 1998, n. 1866; sez. IV, 26 gennaio 1998, n. 66).
14. Il primo motivo di appello, alla luce della ricostruzione in fatto sopra illustrata, si rivela sicuramente infondato.
La situazione di estrema urgenza che l'amministrazione si è trovata a fronteggiare emerge dalla semplice disamina della scansione, cronologicamente sincopata, degli eventi, che, di per sé, rende edotti delle ragioni che hanno indotto l'Amministrazione ad inoltrare la comunicazione di avvio di procedimento solo a ridosso nel provvedimento impugnato.
L'apprezzamento sull'opportunità delle misure da prendere e la loro collocazione temporale, afferendo al merito dell'azione amministrativa, sfugge al sindacato del giudice amministrativo.
È vera l'affermazione generale di diritto posta a sostegno della censura, secondo cui l'urgenza che caratterizza il procedimento, deve essere qualificata ed emergere dal provvedimento conclusivo dello stesso non promanando ex se dal normotipo astratto (cfr. sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6349; sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 248, specificamente richiamata nella memoria conclusionale dell'appellante a pagina 3; Ad. plen., 15 settembre 1999, n. 14). Ma, del pari, non và dimenticato che l'estensione della motivazione richiesta per dar conto della situazione di urgenza, rilevante a mente del primo comma dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, "... può essere estremamente sintetica, esaurendosi in un richiamo, anche ob relationem, alle esigenze di tutela immediata del prestigio o della funzionalità degli uffici in cui presta servizio il dipendente da allontanare, ovvero alla gravità dei fatti..." (cfr. sez. IV, n. 6349 del 2000 cit.).
Che è quanto accaduto nel caso in esame, dove l'impugnato provvedimento di trasferimento affonda le proprie radici esplicitamente, anche con riferimento alla immediatezza della decisione, nella proposta del direttore della D.I.A. e nella presupposta relazione ispettiva.
Come esattamente rilevato dal primo giudice, la mancanza di un esplicito riferimento all'urgenza del provvedere ridonda, a tutto concedere, sul piano della mera irregolarità.
Il collegio non ignora, infine, che in base ad un rigoroso indirizzo di questo Consiglio, viene addirittura meno la necessità della comunicazione di avvio di procedimento, allorquando venga in contestazione un trasferimento per incompatibilità ambientale, non sussistendo la possibilità, né sul piano della logica né sotto il profilo di esigenze garantistiche, di un coinvolgimento dell'interessato ai sensi dell'art. 7, l. n. 241 del 1990 nella determinazione che l'amministrazione deve assumere, atteso che in tale situazione le circostanze oggettive, pur riferibili al funzionario interessato, prescindono da ipotesi di responsabilità delle quali il medesimo debba essere ammesso a discolparsi, o che possa contribuire a rimuovere con la partecipazione al procedimento (cfr. sez. V, 28 giugno 2002, n. 3560). Questa affermazione si colloca all'interno di un più ampio indirizzo ermeneutico che valorizza gli aspetti sostanziali dell'obbligo di avviso di procedimento, in forza del quale la violazione dell'art. l. n. 241 del 1990 non dà luogo all'annullamento dell'atto conclusivo ove risulti che l'esito del procedimento non sarebbe stato differente anche se vi fosse stata la partecipazione dell'interessato, il che accade quando il quadro normativo non presenti margini di incertezze sufficientemente apprezzabili e l'eventuale annullamento del provvedimento finale non priva l'amministrazione del potere di riadottarlo (cfr. sez. V, 26 febbraio 2003, n. 1095; sez. VI, 5 marzo 2002, n. 1325).
15. Anche il secondo motivo di appello è destituito di fondamento.
Non è possibile configurare alcuno sviamento dell'azione amministrativa dalla causa tipica del potere esercitato.
Si sono già illustrati i presupposti di legittimità del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, tutti rinvenibili nella presente fattispecie.
È appena il caso di evidenziare che sia la proposta del direttore della D.I.A. (punto n. 4), che la relazione ispettiva (pagina 53), con estrema puntualità dichiarano di prescindere da qualsivoglia profilo di responsabilità disciplinare, di cui riservano ogni delibazione all'esito della conclusione delle indagini avviate dall'autorità giudiziaria e dalla Commissione parlamentare antimafia.
16. Miglior sorte non tocca al terzo ed ultimo motivo di gravame.
Non si ravvisa alcuna contraddittorietà fra il provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale ed i positivi giudizio ottenuti dall'appellante in sede di rapporti informativi.
Ciò per un duplice ordine di ragioni.
Da un lato deve ribadirsi l'autonomia logica e giuridica fra il procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale (che prescinde da profili di colpa o scarso rendimento dell'interessato) e le valutazioni positive ottenute nei rapporti informativi.
Dall'altro deve convenirsi con quanto statuito nell'impugnata sentenza, secondo cui almeno una parte degli episodi che hanno sollecitato le contestate misure organizzatorie urgenti (ad esempio l'indagine avviata dalla Commissione parlamentare antimafia), sono successivi alle valutazioni positive conseguite nei rapporti informativi.
17. Alla stregua delle su esposte considerazioni l'appello deve essere respinto.
Le spese del giudizio, regolamentate secondo l'ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunziando sul ricorso in appello, meglio indicato in epigrafe:
- respinge l'appello proposto, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe;
- condanna l'appellante, a rifondere in favore del Ministero dell'interno, le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro tremila\00.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.