Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 14 luglio 2003, n. 4167
FATTO
Con la sentenza appellata veniva dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso, proposto dalla Ariete Fattoria Latte Sano S.p.A. (d'ora innanzi Latte Sano) dinanzi al T.A.R. del Lazio, inteso a conseguire la declaratoria dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Roma in ordine all'atto di messa in mora notificato in data 18 luglio 2000 (e diretto ad ottenere la pronuncia da parte dell'Ente diffidato della risoluzione del contratto dallo stesso stipulato con la Cirio S.p.A. per la cessione di parte della proprietà della Centrale del Latte S.p.A.) e la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni, anche in forma specifica, patititi dalla società ricorrente in conseguenza dell'illegittima conclusione del predetto contratto (per come integrato dalla, altrettanto contestata, transazione).
Avverso tale pronuncia proponeva appello l'originaria ricorrente, contestando la correttezza del convincimento ivi espresso in merito all'appartenenza della giurisdizione sulla presente controversia al giudice ordinario, ribadendo le ragioni addotte a sostegno del ricorso in primo grado ed invocando coerentemente l'annullamento della sentenza impugnata.
Resisteva il Comune di Roma, difendendo la correttezza del proprio operato, eccependo, comunque, l'inammissibilità del ricorso in primo grado sotto profili diversi da quelli rilevati dai primi giudici, ribadendo l'estraneità della controversia alla sfera di giurisdizione riservata al giudice amministrativo e concludendo per la reiezione dell'appello.
Non si costituivano, invece, la Cirio, la Parmalat e la Granarolo Felsinea.
Le parti illustravano ulteriormente le loro tesi mediante memorie difensive.
Nella camera di consiglio del 10 giugno 2003 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Al fine di una compiuta comprensione delle questioni controverse (ivi compresa quella di giurisdizione) appare necessaria una preliminare, ancorché sintetica, ricognizione della complessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio (in mancanza della quale risulterebbe arduo avvertire gli esatti termini del dibattito processuale).
Dopo aver stabilito (con delibera di C.C. n. 132 in data 8 luglio 1996) di procedere alla trasformazione dell'Azienda Comunale che gestiva la Centrale del Latte in società per azioni ed alla successiva privatizzazione di quest'ultima ai sensi della legge 30 luglio 1994, n. 474, il Comune di Roma provvedeva ad indire, con avviso pubblicato il 2 ottobre 1996, la relativa procedura di dismissione, che contemplava, tra l'altro, la sottoscrizione da parte dell'offerente di uno schema di contratto comprensivo di taluni vincoli particolarmente incisivi per l'acquirente (quale, tra l'altro, il divieto di cedere le azioni della Centrale del Latte per un periodo di cinque anni).
Con successiva deliberazione consiliare n. 145 in data 28 luglio 1997, il Comune provvedeva, all'esito della procedura concorrenziale, ad approvare, tra l'altro, il nuovo Statuto della società, la cessione del 75% del capitale sociale alla società selezionata (la Cirio), il relativo contratto di vendita, poi stipulato il 26 gennaio 1998, ed i connessi patti parasociali.
Sennonché, la vicenda della privatizzazione si complicava allorché, dopo la stipulazione del contratto, la Cirio comunicava al Comune di avere conferito la sua divisione latte ad una società, da essa interamente controllata, denominata Eurolat S.p.A., al fine della cessione di quest'ultima alla Parmalat e, con atto del 7 aprile 1999, proponeva (insieme alla Parmalat) al Comune la conclusione di un accordo transattivo, relativo alla controversia insorta sulla violazione da parte dell'acquirente della clausola dell'art. 8 dei patti parasociali, che vietava l'alienazione della quota societaria per cinque anni dal suo acquisto.
Con delibera n.80 del 31 maggio 1999 il Consiglio Comunale, in esito ad un'articolata dialettica degli organi dell'Ente, approvava la transazione proposta dalle società interessate, che comprendeva, tra l'altro, il pagamento di una penale, ed autorizzava la sottoscrizione del relativo contratto.
Allora la società Latte Sano, che aveva partecipato alla procedura di selezione, senza conseguire alcun risultato utile, finalizzata alla cessione della suddetta quota azionaria della Centrale del Latte, avendo appreso le circostanze appena riferite, diffidava l'amministrazione comunale, con atto notificato il 18 luglio 2000, a provvedere alla risoluzione del contratto stipulato con la Cirio, nell'esercizio dei poteri espressamente previsti dall'art. 16 dell'accordo, e ad indire una nuova gara.
Nella persistente inerzia del Comune, Latte Sano adìva il T.A.R. del Lazio, denunciando l'illegittimità del silenzio serbato dall'Ente, assumendo l'illiceità dell'omessa risoluzione del contratto e della conseguente conclusione della transazione e domandando la declaratoria dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere sull'istanza rimasta inevasa e la sua condanna al risarcimento dei danni, anche in forma specifica, patiti da essa ricorrente in conseguenza della (asseritamente invalida) cessione alla Cirio del 75% delle azioni della Centrale del Latte.
Il Tribunale capitolino declinava la giurisdizione amministrativa, in favore di quella ordinaria, nella controversia così introdotta, ritenendo, in particolare estranee alla propria sfera di cognizione le questioni relative a vicende, di tipo privatistico e negoziale, successive alla stipulazione del contratto (ancorché in esito ad una pubblica gara) ed improponibile la pretesa risarcitoria nell'ambito del procedimento di cui all'art. 21-bis legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e dichiarava conseguentemente inammissibile il ricorso.
2. La società appellante critica la correttezza di tale giudizio, sostenendo, in particolare, che nelle controversie (quali la presente) relative alla dismissione di imprese o beni pubblici, di cui all'art. 23-bis lett. e) legge n. 1034/71, non è dato distinguere l'aggiudicazione del contratto dalla sua esecuzione (come, invece, nelle procedure relative a contratti d'appalto) ed assumendo, quindi, la riconducibilità delle questioni dedotte in giudizio entro l'ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa, ed invoca, di conseguenza, l'annullamento della sentenza impugnata.
Il Comune difende, di contro, la correttezza della valutazione compiuta dai primi giudici, afferma l'inidoneità della posizione soggettiva azionata da Latte Sano a fondare il valido esercizio dello strumento di tutela previsto dall'art. 21-bis legge n. 1034/71, ribadisce, comunque, nel merito, la validità della transazione con Cirio e Parmalat e conclude per la reiezione dell'appello.
3. Deve preliminarmente chiarirsi che l'oggetto dell'appello in esame è circoscritto alla disamina della sola questione di giurisdizione.
Ove, infatti, venga riconosciuta la sussistenza della giurisdizione negata con la decisione appellata, dovrà procedersi all'annullamento di quest'ultima con rinvio al T.A.R., in ossequio al disposto dell'art. 35 legge n. 1034/71, mentre, nel caso di conferma della statuizione gravata, l'esame delle residue questioni resta precluso dalla declaratoria dell'inammissibilità del ricorso originario.
In entrambi i casi, come si vede, resta impedito al giudice d'appello qualsiasi esame di tutte le questioni logicamente successive alla pregiudiziale di giurisdizione.
4. Così chiarito l'ambito cognitivo riservato a questo Giudice, si reputa opportuno, al fine di procedere ad uno scrutinio consapevole della questione controversa, procedere ad una preliminare qualificazione della domanda proposta da Latte Sano in primo grado, onde rilevare prospettazione e contenuto difensivi, sotto il duplice profilo dell'individuazione della causa pretendi e del petitum, dell'azione effettivamente esercitata (ed in relazione alla quale si deve compiere la verifica della sussistenza della potestà cognitiva del giudice adìto).
Dall'esame del testo del ricorso in primo grado e dei motivi aggiunti nonché dall'analisi delle conclusioni ivi formulate può, in particolare, evincersi che la società ricorrente, nonostante la formale qualificazione dell'atto introduttivo come proposto ai sensi dell'art. 21-bis legge n. 1034/71, ha inteso non solo, o, meglio, non tanto, conseguire una pronuncia declaratoria dell'obbligo del Comune di provvedere sulla propria istanza rimasta inevasa, quanto denunciare l'illegittimità (o, meglio, l'illiceità) della condotta, non solo omissiva, dell'Ente nell'aver prestato il proprio consenso ad un'operazione fraudolenta e nell'essersi astenuto dall'esercitare i poteri-doveri assegnatigli dal contratto nell'ipotesi di violazione di una clausola essenziale dell'aggiudicazione; e ciò al fine di ottenere l'accertamento dell'antigiuridicità del complesso di atti e comportamenti ascrivibili al Comune nella vicenda controversa e la sua condanna al risarcimento dei danni, anche in forma specifica (mediante l'indizione di una nuova gara, previa risoluzione del contratto con la Cirio) ovvero, ove impossibile, per equivalente, sopportati dalla ricorrente in conseguenza dell'invalida cessione delle quote della Centrale del Latte.
La ricorrente aziona a, tale fine, la propria posizione giuridica soggettiva di concorrente nella procedura indetta dal Comune per l'alienazione del pacchetto azionario in questione e si duole della sua lesione, per effetto dell'alterazione delle regole che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità del confronto concorrenziale, a sua volta conseguìta alla transazione, consentita dall'Ente, di una controversia che avrebbe, invece, dovuto indurre l'amministrazione a risolvere il contratto e ad indire una nuova gara.
Se tale ricostruzione si rivela esatta (e non potrebbe dubitarsene se si considera la prospettazione ricavabile dall'esame del complesso degli atti difensivi di Latte Sano), si deve, allora, scrutinare la questione della sussistenza della giurisdizione amministrativa non tanto con riferimento alla verifica dell'azionabilità della posizione soggettiva di Latte Sano con il peculiare strumento di tutela del ricorso per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio-rifiuto (che assolve una funzione solo strumentale e marginale nell'economia dell'iniziativa giudiziaria in esame), quanto con specifico riguardo alla riconducibilità del rapporto controverso e dell'azione amministrativa denunciata dalla ricorrente (negoziabilità delle condizioni di vendita anche dopo la stipula del contratto di dismissione di un bene pubblico) al novero delle controversie riservate alla giurisdizione esclusiva amministrativa.
5. Come già rilevato, la ricorrente assume, in sostanza, l'illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa relativa alla contrattazione con un'impresa privata e deduce, a sostegno dell'intrapresa iniziativa giudiziaria, l'invalidità della modifica pattizia delle condizioni di cessione della proprietà azionaria, già cristallizzate negli atti di gara, siccome contraria alle regole della concorrenza e del rispetto della par condicio dei partecipanti ad un confronto concorrenziale nonché invalidamente deliberata nonostante la sottrazione della relativa potestà alla capacità d'agire dell'Ente e, quindi, nell'assoluta impossibilità di ricorrere ad un istituto di tipo privatistico quale la transazione.
La questione appena illustrata, riassumibile nel duplice problema della sussistenza della giurisdizione amministrativa nelle controversie relative alla rinegoziazione delle condizioni di contratti stipulati in esito ad una procedura di selezione pubblica ed alla legittimità di pattuizioni difformi da quelle prescritte dalla stessa amministrazione negli atti di gara, è stata già esaminata e definita da questo giudice (cfr. C.S., Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281; Comm. Spec., 12 ottobre 2001, n. 1084/00) nel senso della appartenenza di tale tipo di liti alla sfera cognitiva attribuita al giudice amministrativo, in quanto riferite alla verifica della correttezza dell'esercizio della funzione amministrativa relativa alla contrattazione con i privati, e dell'invalidità, per difetto di capacità d'agire dell'amministrazione, di accordi con il contraente privato che contemplino diritti od obblighi diversi da quelli sanciti con l'aggiudicazione e la conseguente stipula del contratto.
È stato, al riguardo, rilevato che le controversie aventi ad oggetto l'accertamento della legittimità della rinegoziazione delle condizioni contrattuali, anche dopo la stipula del contratto, appartengono senz'altro alla giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell'art. 33 comma 2, lett. d) decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (così come sostituito dall'art. 7 della legge n. 205/00) in quanto pertinenti alla verifica della regolarità dell'aggiudicazione dell'appalto (o di un'impresa pubblica, come nel caso di specie, posto che la mera differenza dell'oggetto del contratto non vale a giustificare un diverso riparto della giurisdizione).
Tale orientamento va senz'altro condiviso e confermato in quanto correttamente formatosi in esito ad un'analisi compiuta e coerente delle regole che presiedono alla selezione del contraente privato delle pubbliche amministrazioni ed ai vincoli legali dell'azione di queste ultime in ordine alla stipulazione del contratto ed alla ammissibilità di una successiva ridefinizione convenzionale dei suoi elementi essenziali.
6. L'analogia della presente fattispecie con quelle scrutinate dai precedenti citati ed il segnalato carattere uniforme del relativo orientamento assunto in materia dal Consiglio di Stato esimono il Collegio da una disamina diffusa dei problemi sottesi alla questione principale e degli argomenti addotti a sostegno della tesi contraria a quella preferita dalla Sezione e consentono di ribadire sinteticamente le ragioni assunte a fondamento del convincimento qui confermato.
6.1. Reputa il Collegio che sia, in particolare, condivisibile e decisivo il rilievo che con la cristallizzazione negli atti di gara delle condizioni del contratto (sia se imposte dalla legge, sia se discrezionalmente determinate dalla stessa amministrazione aggiudicatrice) alla cui stipulazione risulta preordinata una procedura selettiva e con la conseguente e coerente conclusione dell'accordo con l'impresa selezionata, l'Ente procedente perde la disponibilità del contenuto del rapporto contrattuale già instaurato (che resta inderogabilmente regolato dallo schema approvato con l'indizione della gara) e, quindi, la capacità di convenire con la controparte condizioni diverse da quelle conosciute dai partecipanti al confronto concorrenziale (con conseguente invalidità di accordi di tal fatta).
Tale conclusione, imposta dalla valenza correttamente riconosciuta alle esigenze di salvaguardia dell'interesse generale alla certezza ed alla stabilità dei rapporti giuridici in cui sono parti amministrazioni pubbliche e di quello (non solo) privato, speculare, all'affidabilità dei sistemi di gara ed al rispetto della concorrenza e della par condicio dei partecipanti, implica, inoltre, che ogni determinazione idonea ad incidere sulle condizioni di contratto, modulando assetti di interessi difformi da quelli consacrati negli atti di gara, va riferita alla medesima funzione amministrativa (la cui disponibilità è, tuttavia, nel frattempo venuta meno) nel cui esercizio si è proceduto alla selezione del contraente e non anche, come erroneamente ritenuto nella fattispecie dal Tribunale capitolino, a quella che presiede all'esecuzione del contratto.
Mentre, infatti, quest'ultima fase attiene all'esecuzione della prestazione dovuta dal contraente privato ed all'esercizio di tutti i diritti direttamente connessi all'adempimento dell'obbligazione principalmente dedotta nella convenzione, la revisione pattizia delle condizioni di contratto (che prescinda da qualsiasi difetto di funzionamento del sinallagma) si rivela estranea alla fase esecutiva del rapporto (in quanto ad essa logicamente antecedente) e, piuttosto, pertinente a quella dell'aggiudicazione e, in definitiva, della contrattazione (intesa come definizione unilaterale e pubblicistica del contenuto dell'accordo).
Ne consegue che la controversia nella quale si discute della validità di una transazione con la quale sono state modificate talune (rilevanti) condizioni dell'aggiudicazione (prima che del contratto), della illiceità del presupposto, omesso esercizio da parte dell'amministrazione dei poteri assegnatile da una clausola risolutiva espressa e del conseguente pregiudizio patito da un'impresa concorrente (che ha formulato l'offerta confidando nella stabilità delle clausole del contratto ed impegnandosi al loro rispetto) va senz'altro ricondotta al novero delle liti attribuite in via esclusiva alla giurisdizione amministrativa, siccome relative alla procedura di affidamento nella sostanza contestata (nella riferita lettura del complesso fenomeno dell'aggiudicazione del contratto).
6.2. Né tale conclusione risulta inficiata dall'argomento con cui si obietta che nel caso di specie non si verte in tema di procedure di affidamento di appalti, ma sulla diversa questione della cessione di un'impresa pubblica, con la duplice conseguenza che non sarebbero applicabili sia i principi affermati dalla giurisprudenza citata (in quanto espressamente riferita ad ipotesi di aggiudicazione di appalti pubblici), sia, per le medesime ragioni, l'art. 33 comma 2 lett. d) decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80.
È sufficiente, al riguardo, rilevare che, se può escludersi l'applicabilità diretta (ma non in via analogica) alla fattispecie controversa della disposizione appena citata, non può, di contro, dubitarsi della riconducibilità del caso in discussione entro l'ambito applicativo dell'art. 23-bis lett. e) legge n. 1034/71 (come introdotto dall'art. 4 della legge n. 205/00).
Nonostante, infatti, tale norma si occupi precipuamente di prevedere e disciplinare un procedimento speciale in talune materie, senza dettare esplicitamente regole innovative in tema di giurisdizione, ed ancorché non risulti coordinata con la regolamentazione positiva della giurisdizione amministrativa esclusiva (e segnatamente con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), non può, invero, seriamente dubitarsi che l'espressa previsione dell'applicazione di un rito particolare ai giudizi aventi ad oggetto "i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende ed istituzioni ai sensi dell'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142" implichi necessariamente il riconoscimento implicito della giurisdizione amministrativa esclusiva sulle relative controversie.
Ogni diversa interpretazione andrebbe, in particolare, rifiutata, in quanto contraria al canone ermeneutico che impone di assegnare ad una norma un significato che le consenta di produrre effetti e che impedisce, al contempo, ogni lettura che precluda alla disposizione qualsiasi utilità e che la privi di senso.
Resterebbe, infatti, inammissibilmente sprovvista di alcun significato e dell'idoneità a produrre qualsiasi effetto una disposizione (quale quella in esame) che, regolando l'applicazione di un rito speciale ad un tipo di controversie, non venisse letta come contestualmente attributiva al giudice amministrativo della capacità e del potere di conoscere di quel giudizio, nella più ampia latitudine della possibile configurazione del suo contenuto.
6.3. Né varrebbe, ancora, obiettare che l'art. 23-bis legge n. 1034/71, siccome disposizione regolatrice del solo rito, riveste valore meramente ricognitivo della (già esistente) giurisdizione generale di legittimità in materia di privatizzazioni di imprese o beni pubblici, senza alcuna valenza costitutiva di nuove potestà giurisdizionali nelle controversie ivi elencate.
Quand'anche, infatti, si intendesse accedere a tale lettura della norma, si dovrebbe, comunque, confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa (ut supra riconosciuta in esito a diverso percorso ermeneutico), in quanto radicata dalla diretta pertinenza della lite all'esercizio di una funzione pubblicistica incidente sull'interesse legittimo (nella specie azionato) al rispetto delle regole poste a presidio della concorrenza ed alla correttezza nella contrattazione delle pubbliche amministrazioni (secondo l'accezione prima descritta); senza necessità, dunque, di ricorrere alla diversa ipotesi della giurisdizione esclusiva (pure, tuttavia, esistente).
Ma, in ogni caso, risulta difficilmente contestabile che la previsione del rito speciale di cui all'art. 23-bis legge n. 1034/71 postula una cognizione piena del giudice amministrativo di tutti i rapporti giuridici direttamente interessati dalle tipologie di attività amministrative ivi catalogate, sicché una lettura che limitasse, per la sola fattispecie di cui alla lett. e), la sfera cognitiva del giudice amministrativa alla sola legittimità degli atti e che negasse, al contempo, l'estensione della giurisdizione alla conoscenza di tutte le posizioni soggettive direttamente coinvolte nel complesso fenomeno della privatizzazione di beni o imprese pubblici (anche se diritti, ove configurabili) si rivelerebbe inammissibilmente contraria alla (palese) finalità di assegnare ad un unico giudice un sistema processuale di protezione rapida ed efficace di tutti gli interessi (perlopiù pubblici) a qualunque titolo coinvolti nelle materie sensibili lì contestualmente classificate e ritenuti dal Legislatore del 2000, per ciò solo, meritevoli di forme differenziate e più pregnanti di tutela e determinerebbe una vistosa disarmonia nel sistema di riparto della giurisdizione delineato (seppur imprecisamente e lacunosamente) dalla normativa di riferimento.
Può, quindi, concludersi che la controversia in esame risulta soggetta all'art. 23-bis legge n. 1034/71 (da valersi quale disposizione attributiva anche della giurisdizione esclusiva amministrativa) e che, quand'anche dovesse rifiutarsi tale ultima conclusione, la lite resterebbe validamente radicata davanti al giudice adìto in quanto riferita alla giurisdizione generale di legittimità agevolmente riconoscibile nell'esercizio della funzione della contrattazione della pubblica amministrazione con i privati (dalla quale esulano i soli atti o comportamenti relativi alla fase propriamente esecutiva del rapporto costituito dalla stipula del contratto).
6.4. Non solo, ma se possono formularsi rilievi critici (alle conclusioni sopra raggiunte) fondati sulla distinzione tra fase della contrattazione e fase dell'esecuzione del contratto nei procedimenti relativi all'affidamento di appalti pubblici, le medesime obiezioni non rivestono alcun pregio nella materia delle dismissioni di beni pubblici.
In quest'ultima fattispecie, infatti, a differenza che negli appalti, non è configurabile ontologicamente alcuna possibilità di distinguere una fase esecutiva, posto che il procedimento finalizzato alla cessione del bene o dell'impresa esaurisce i suoi effetti con la stipula del contratto di vendita (che produce i relativi e definitivi effetti traslativi della proprietà) e che, successivamente a tale momento, non è dato ravvisare alcun ulteriore segmento del rapporto da sottrarre alla cognizione del giudice amministrativo.
Il procedimento controverso, in definitiva, si perfeziona e si risolve con la cessione della proprietà, sicché, anche sotto tale peculiare profilo, deve ribadirsi che tutti gli atti ed i comportamenti direttamente riferibili all'atto traslativo (in quanto meramente riproduttivo delle condizioni dell'aggiudicazione) ed alla sua regolamentazione vanno ricondotti entro la sfera cognitiva della "privatizzazione o dismissione di imprese o beni pubblici" e deve, al contempo, escludersi la stessa astratta configurabilità in tali procedimenti di provvedimenti o condotte che si riferiscano all'esecuzione in senso stretto del contratto.
7. Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l'accertamento della sussistenza della giurisdizione amministrativa nel presente giudizio, l'annullamento della sentenza appellata ed il rinvio della controversia ad altra Sezione del T.A.R. del Lazio.
8. La statuizione sulle spese processuali va rinviata alla decisione definitiva del ricorso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, annulla la sentenza appellata con rinvio della controversia a diversa sezione del T.A.R. del Lazio.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.