Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 30 maggio 2003, n. 8764
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. Con citazione del 24 novembre 1999, Biagio Alberto Angelo B. convenne Carmela Ba. dinanzi alla Corte d'appello di Messina, chiedendo che venisse dichiarata l'efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del Tribunale regionale ecclesiastico siculo del 17 luglio 1998 (ratificata dal Tribunale regionale ecclesiastico Campano con decreto del 19 gennaio 1999 e resa esecutiva del Supremo tribunale della segnatura apostolica con decreto dell'8 settembre 1999), con cui era stata dichiarata la nullità, per difetto di consenso (per esclusione del bonum matrimonii della indissolubilità del vincolo da parte dell'attore), del matrimonio concordatario celebrato in Montagnareale il 15 luglio 1993 tra la Ba. ed il B. e debitamente trascritto nel registro degli atti di matrimonio del predetto Comune.
In contumacia della convenuta ed in contraddittorio con il Procuratore Generale presso quella Corte - il quale instò per l'accoglimento della domanda - la Corte adita, con sentenza 278/00 del 7 giugno 2000, dichiarò l'efficacia nella Repubblica Italiana della predetta sentenza ecclesiastica.
In particolare, la corte - affermata la propria competenza ai sensi dell'articolo 796 comma 1 c.p.c. - ha partitamente riconosciuto sussistenti tutte le condizioni previste dall'articolo 797 comma 1 nn. 1-7 c.p.c.
1.2. Avverso tale sentenza Carmela Ba. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria.
1.3. Resiste, con controricorso, Biagio Alberto Angelo B.
1.4. All'esito dell'odierna udienza di discussione, il difensore della ricorrente ha depositato note d'udienza ai sensi dell'articolo 379 comma 4 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo (con cui deduce: «Violazione dell'articolo 132 comma 2, n. 5 c.p.c., ai sensi dell'articolo 360, comma 1 n. 4 c.p.c.»), la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per mancanza del dispositivo e/o per omessa pronuncia sulla domanda introduttiva proposta dall'intimato.
Con il secondo motivo (con cui deduce: «Violazione dell'articolo 64 legge 218/95, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.»), la ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione, sostenendo che il giudizio di delibazione avrebbe dovuto essere effettuato, non già secondo i parametri prefigurati dagli articoli 796 e 797 c.p.c. - abrogati, con effetto dal 31 dicembre 1996, dall'articolo 73 della legge 218/95 - bensì con riferimento alla disciplina dettata dall'articolo 64 di quest'ultima legge, applicabile alla specie ratione temporis; e che, comunque, dal testo della sentenza notificatale non risulterebbe alcuna motivazione in ordine alla sussistenza del requisito della non contrarietà all'ordine pubblico della sentenza ecclesiastica delibanda.
Infine, con il terzo motivo (con cui deduce: «Violazione e falsa applicazione della norma contenuta nell'articolo 64 lettera g) legge 218/95, ai sensi dell'articolo 360 comma 1, n. 3 c.p.c.»), la ricorrente critica, altresì, la sentenza impugnata, sostenendo che «la Corte d'appello avrebbe dovuto rigettare la domanda di delibazione della sentenza perché tale decisione è produttiva di effetti contrari all'ordine pubblico ed è pertanto sprovvista del requisito previsto dalla norma di cui alla lettera g) dell'articolo 64 citato»; che «le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, per esclusione di taluno dei bona matrimonii da parte di uno solo dei coniugi, producono tali effetti ogni qualvolta tale esclusione, presentandosi come riserva mentale, rimanga nella sfera psichica del suo autore, anche se sia stata estrinsecata a terzi»; e che, «in tali casi, nel rispetto dell'inderogabile principio della buona fede e dell'affidamento incolpevole, non possono essere attribuiti alla decisione effetti invalidanti nell'ambito dell'ordinamento italiano» (cfr. ricorso pagg. 4-5). Aggiunge che, nella specie, come risulterebbe dalla sentenza ecclesiastica di nullità, il matrimonio non sarebbe stato celebrato in condizioni di riserva (sulla indissolubilità del vincolo) del B. manifestata alla moglie; e che il B. avrebbe espresso riserve sulla indissolubilità del matrimonio precedentemente alla sua celebrazione soltanto ai suoi stretti congiunti e ad alcuni suoi intimi amici e, solo successivamente, alla moglie.
2.2. Il primo motivo del ricorso è privo di fondamento.
Dall'esame diretto degli atti del processo - consentito a questa Corte in ragione della natura processuale del vizio denunciato - emerge con certezza, in primo luogo, che la copia autentica della sentenza della Corte messinese - notificata dal B. alla Ba., rimasta contumace, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 285 c.p.c. - è mancante della pagina 3; e, in secondo luogo, che la Ba., nei provvedere al deposito del ricorso per cassazione, ha depositato, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 369 comma 2 n. 2 c.p.c., proprio la predetta copia.
Tanto premesso in fatto, le circostanze processuali dianzi accertate pongono due distinte questioni: la prima, di procedibilità del ricorso; la seconda - denunziata, appunto, con il motivo in esame - di validità della sentenza impugnata.
Quanto alla prima questione, è sufficiente ribadire il costante orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus, sentenze 949/66 e 5771/99), integralmente condiviso dal Collegio, secondo cui deve essere esclusa l'improcedibilità del ricorso per cassazione, per omesso deposito della copia autentica del provvedimento impugnato (ai sensi dell'articolo 369 comma 2 n. 2 del codice di rito civile), quando la copia autentica della sentenza prodotta manchi di alcune pagine e tuttavia sia possibile ricostruirne in maniera sufficiente il contenuto, ove altra sua copia autentica, riproducente il testo integrale della decisione, risulti contenuta nel fascicolo d'ufficio, ovvero sia stata prodotta dal resistente (cfr., in particolare, sentenze 5854/79 e 1957/80). Ciò posto, nella specie, come già accennato, la copia autentica della sentenza impugnata, depositata dalla ricorrente, manca effettivamente della pagina 3, ove sono contenute sia una parte della motivazione in diritto, sia una parte del dispositivo. Ma il fatto che il resistente B. abbia depositato, unitamente al controricorso, altra copia autentica della sentenza stessa nel suo testo integrale, mentre consente di conoscerne ed apprezzarne compiutamente il contenuto, esclude al tempo stesso che l'omissione della ricorrente integri un'ipotesi di improcedibilità del ricorso.
Le osservazioni che precedono conducono anche all'agevole soluzione della seconda questione, relativa alla validità della sentenza impugnata: infatti, se la copia autentica di essa, depositata dal controricorrente nel suo testo integrale, corrisponde per definizione all'originale, è del tutto evidente che la sentenza stessa non manca di alcun elemento essenziale per la sua validità ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 132 c.p.c.
2.3. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.
Le censure in esso formulate pongono la questione se - tenuto conto che il presente processo è stato instaurato con citazione del 24 novembre 1999 (cfr., supra, n. 1.1.) - al giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze di nullità di matrimonio "concordatario" pronunciate dai tribunali ecclesiastici, sia applicabile, ratione temporis, la disciplina contenuta nel Titolo Quarto ("Efficacia di sentenze ed atti stranieri") della legge 218/95 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), il cui articolo 73 ha disposto, tra l'altro, l'abrogazione degli articoli dal 796 all'805 c.p.c. a far data dal 31 dicembre 1996.
Per escludere, in limine, l'applicabilità alla materia de qua di tale legge di riforma non è del tutto corretto richiamare (soltanto) il suo articolo 2 comma 1, che, pure, con evidente riferimento al precedente articolo 1 - il quale, a sua volta, definisce l'"oggetto della legge" («La presente legge determina l'ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e disciplina l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri») - contiene il cosiddetto rinvio generale alle convenzioni internazionali («Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia»): ciò, in quanto la materia stessa è interamente "coperta" dal cosiddetto "principio concordatario", nei termini risultanti dai Patti lateranensi e, in particolare, per quanto in questa sede rileva, dall'articolo 8 dell'Accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, e dall'articolo 4 dell'annesso Protocollo addizionale, resi esecutivi in Italia con la legge 121/85; principio, questo, il quale, in quanto "accolto" dall'articolo 7 Costituzione, attribuisce alle norme pattizie una rilevanza costituzionale che, sotto il profilo della resistenza all'abrogazione, assimila tali fonti normative alle norme costituzionali, con la conseguenza che esse non possono essere modificate, in mancanza di accordo delle parti contraenti, se non attraverso leggi costituzionali (cfr., in tal senso, Corte costituzionale, sentenza 16/1978, nonché sentenza 421/93; cfr. anche, nel senso della inapplicabilità della Riforma del 1995 con riferimento al suo articolo 2 comma 1, Cassazione 7276 e 12671/99).
Pertanto - tenuto specificamente conto che l'articolo 8 prf. 2 dell'Accordo subordina la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, unitamente agli altri accertamenti specifici demandati alla corte d'appello (lettera a) e b)), anche a quello «che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere» (lettera c)); e che l'articolo 4 lettera b) del Protocollo addizionale, con puntuale riferimento a tali disposizioni, contiene un esplicito richiamo alla «applicazione degli articoli 796 e 797 del codice italiano di procedura civile» da tutte le osservazioni che precedono discende necessariamente, in primo luogo, che l'abrogazione (anche) degli articoli 796 e 797 c.p.c., sancita dall'articolo 73 della legge 218/95, non è idonea, in ragione della fonte (legge formale ordinaria) da cui è disposta, a spiegare alcuna efficacia sulle disposizioni dell'Accordo e dell'annesso Protocollo addizionale; in secondo luogo, che il giudice italiano, al fine di decidere sulla domanda avente ad oggetto la predetta dichiarazione di efficacia, deve (continuare ad) applicare (anche) gli articoli 796 e 797 del codice di rito civile, i quali, perciò, risultano connotati, relativamente a tale specifica materia ed in forza del richiamato principio concordatario, da una vera e propria "ultrattività"; ed infine, che, sulla base dell'articolo 14 dell'Accordo («Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un'amichevole soluzione ad una commissione paritetica da loro nominata»), interpretato in connessione con il preambolo del Protocollo addizionale («Al momento della firma dell'Accordo... la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa...»), spetta esclusivamente - ed eventualmente - alle Parti contraenti convenire le modificazioni delle richiamate norme pattizie ritenute necessarie e/o opportune.
2.4. Il terzo motivo di ricorso merita, invece, accoglimento.
Costituisce consolidato orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus, sentenze 2330/94, 6308/00 e 10143/02), integralmente condiviso dal collegio, quello, secondo cui la dichiarazione di efficacia della sentenza del tribunale ecclesiastico, che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii (cioè, per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione) postula che siffatta divergenza sia stata manifestata all'altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso che, ove tali situazioni non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà nell'ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompresso il principio fondamentale della buona fede e del legittimo affidamento incolpevole; e, secondo cui, se, per un verso, il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l'oggettiva conoscibilità della predetta esclusione da parte dell'altro coniuge con piena autonomia di giudizio (trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico), senza limitarsi al controllo di legittimità della pronunzia ecclesiastica di nullità, per altro verso, la relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla sentenza delibanda ed agli atti del processo canonico eventualmente acquisiti ed opportunamente riesaminati e valutati, non essendo ammessa, in sede di delibazione, alcuna integrazione di attività istruttoria.
Questa Corte, poi - nel precisare che il principio della buona fede e del legittimo affidamento incolpevole, ancorché inderogabile, si ricollega ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilità del soggetto ed è, quindi, rivolto a tutelare detto valore contro ingiusti attacchi esterni, non contro la volontà del suo titolare, al quale deve essere riconosciuto il diritto di optare per la non conservazione di un rapporto viziato per fatto dell'altra parte - ha affermato che il suindicato ostacolo alla delibazione (contrarietà all'ordine pubblico) non può essere ravvisato, quando il coniuge (che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del consenso dell'altro coniuge) chieda la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte della corte d'appello, ovvero non vi si opponga; ed anche sottolineato che la non opposizione alla richiesta di delibazione, formulata dall'altro coniuge, deve risultare da un comportamento inequivocabilmente diretto a tale effetto, non potendo, all'uopo, ritenersi sufficiente il semplice silenzio dell'interessato, manifestatosi, come nella specie, attraverso la contumacia nel corso del giudizio di merito: contumacia, che non può assumere, di per se stessa, alcun significato probatorio in relazione alla domanda dell'attore, perché essa, al pari del silenzio sul piano negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà adesiva alla pretesa della controparte (cfr. Cassazione 4457/01).
Ciò posto - e ribadito che, nella specie, si tratta di delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità di matrimonio concordatario per esclusione, da parte del B., di uno dei bona matrimonii, e cioè dell'indissolubilità del vincolo - i Giudici della Corte d'Appello di Messina, sul punto della condizione per la dichiarazione di efficacia prevista dall'articolo 797 comma 1 n. 7 c.p.c. (accertamento che «la sentenza non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano»), hanno così, testualmente, motivato: «Ricorre infine anche l'ultimo requisito di legge (articolo 797 n. 7 c.p.c.), essendo ammessa in giurisprudenza la possibilità di delibazione della sentenza ecclesiastica deliberativa di nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso, nella specie per esclusione dell'indissolubilità del vincolo da parte del B.».
È del tutto evidente, a fronte di siffatta motivazione, la sussistenza dei vizi denunziati nel motivo in esame: infatti, alla luce dei principi dianzi ribaditi, appaiono chiaramente sia la violazione dei principi stessi da parte dei Giudici di merito, sia il carattere apodittico e meramente apparente della motivazione, adottata per affermare la sussistenza della condizione della non contrarietà all'ordine pubblico italiano della delibanda sentenza.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al motivo accolto e la relativa causa rinviata alla Corte d'Appello di Reggio Calabrìa, la quale, oltre ad uniformarsi ai principi di diritto in questa sede ribaditi e ad eliminare i rilevati vizi di motivazione, provvederà anche a regolare le spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Reggio Calabria.