Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 10 giugno 2003, n. 25080

OSSERVA

Con atto presentato a norma dell'art. 12 comma 4 l. 30 luglio 1990, n. 217, l'Avv. Stefano P., difensore di fiducia di Fabio D.P., imputato del delitto di evasione ed ammesso al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito del processo penale iscritto al n. 2340/98 del registro notizie di reato, proponeva impugnazione avverso il provvedimento in data 19 gennaio 2000 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Marsala gli aveva liquidato la somma complessiva di L. 269.500 a titolo di compensi spettantigli per l'attività professionale espletata nel corso del detto processo, deducendone il difetto di motivazione e la violazione del c.d. "parametro" rappresentato dai valori medi della tariffa professionale.

Il Tribunale di Marsala rigettava tale impugnazione con ordinanza del 18 marzo 2002, affermando e ritenendo:

che l'art. 12 l. 217/1990 rinvia ai "valori medi" non quale presunto criterio di riferimento per la determinazione della somma di denaro da liquidare, ma quale limite massimo di essa;

che il provvedimento di liquidazione, opposto, conteneva chiara indicazione dei criteri adottati, con particolare riferimento alla natura delle questioni trattate dal difensore, al numero limitato di esse ed alla loro scarsa importanza; evidenziava come l'unica significativa attività defensionale espletata fosse stata quella della partecipazione all'interrogatorio dell'imputato il quale, peraltro, si era avvalso della facoltà di non rispondere e specificava le singole voci oggetto della liquidazione ed il relativo importo determinato nel rispetto dei minimi non derogabili fissati dalla tariffa professionale, tenuto conto del moltiplicatore dello 0,75% applicato, trattandosi di procedimento per reato già di competenza pretoriale;

che le censure al provvedimento impugnato erano generiche e non puntuali.

Avverso detta ordinanza l'Avv. P., dopo averne sostenuto l'impugnabilità in sede di legittimità, ha proposto ricorso per Cassazione al fine di chiederne l'annullamento per violazione di legge, non essendo stata rispettata la norma secondo cui la liquidazione dei compensi spettanti per l'attività professionale espletata deve essere effettuata nel rispetto della tariffa professionale.

Deduce, in particolare, il ricorrente:

che la somma di L. 15.000, liquidatagli per quattro sessioni in studio con il cliente e suo incaricato e quattro informative telefoniche, violerebbe il punto 5 della detta tariffa la quale prevede onorari da L. 11.500 a L. 18.750 per ciascuna informativa anche telefonica e da L. 37.500 a L. 75.000 per ogni sessione con il cliente o incaricato dallo stesso;

che la somma di L. 20.000, liquidatagli per tre indennità di accesso in Cancelleria, violerebbe il punto tre della tariffa la quale prevede onorari da L. 18.750 a L. 30.000 per ogni ora o frazione di essa;

che la somma di L. 150.000, liquidatagli per la fase del giudizio, violerebbe il punto cinque della tariffa che prevede un onorario da L. 270.000 a L. 900.000.

La quarta sezione penale di questa Corte, cui il fascicolo era stato assegnato "ratione materiae", rilevata l'esistenza di un radicato contrasto, in sede di legittimità, sull'impugnabilità o meno, in Cassazione, del provvedimento emesso dal Giudice di merito a norma dell'art. 12 comma 4 l. 217/1990, ha - con ordinanza del 12 febbraio 2003 - rimesso gli atti, a norma dell'art. 618 c.p.p., alle Sezioni Unite penali il cui Presidente ha fissato l'odierna udienza camerale per la trattazione del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione giuridica controversa, sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite, riguarda la ammissibilità ed, in caso affermativo, i limiti del ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale o dalla Corte d'Appello, a norma dell'art. 12 comma 4 l. 30 luglio 1990, n. 217, in sede di opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti al difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, reso "de plano" dal Giudice procedente.

Al riguardo va, anzitutto, evidenziato il quadro normativo alla luce del quale la questione deve essere esaminata e risolta.

Esso è costituito:

- dall'art. 111 della Costituzione, secondo il quale contro le sentenze ed i provvedimenti sulla liberà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge;

- dall'art 12 l. 217/1990, secondo cui la liquidazione dei compensi in questione è effettuata, al termine di ciascuna fase o grado del procedimento o comunque all'atto della cessazione dell'incarico, con decreto motivato dell'Autorità giudiziaria che ha proceduto, avverso il quale gli interessati possono proporre "ricorso", entro venti giorni dalla comunicazione, davanti al Tribunale o alla Corte d'Appello cui appartiene il Giudice che ha emesso il provvedimento da impugnare ed il relativo procedimento è regolato dall'art. 29 l. 13 giugno 1942, n. 794;

- dall'art. 29 l. 794/1942, secondo cui il Collegio provvede alla liquidazione con ordinanza "non impugnabile", la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese del procedimento;

- dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 [Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia] che all'art. 82 prevede come l'onorario e le spese spettanti al difensore debbano essere liquidati dall'Autorità giudiziaria, nell'osservanza della tariffa professionale vigente, in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi di essa, con decreto di pagamento avverso il quale è ammessa la opposizione ai sensi dell'art. 170 dello stesso d.P.R., il quale prevede che l'Ufficio giudiziario competente proceda in composizione monocratica.

Dalla data (1° luglio 2002) di entrata in vigore del T.U. da ultimo riportato, la l. 30 luglio 1990, n. 217, come modificata dalla l. 28 marzo 2001, n. 134, è stata espressamente abrogata [v. art. 299] ed il procedimento di opposizione di che trattasi si svolge, secondo quanto previsto dal "processo speciale per gli onorari di Avvocato", a norma dell'art. 29 l. 794/1942, con l'unica variante costituita dalla composizione monocratica, non più collegiale, dell'organo giudiziario competente.

La questione specifica sottoposta all'odierno vaglio delle Sezioni Unite è stata affrontata dalla Corte costituzionale che, già con sentenza n. 22 del 14 febbraio 1973, ha non solo riconosciuto la natura propriamente contenziosa del procedimento speciale per la liquidazione delle spese ed onorari degli Avvocati, ma ha anche statuito che la qualifica di "ordinanza non impugnabile", di cui parla il citato art. 29 l. 794/1942, non è sufficiente per negare la natura decisoria del provvedimento di liquidazione, definitivo in sede di merito, natura derivante dal fatto che esso è "diretto a dirimere una lite in conformità della legge e a dare certezza ad un concreto regolamento degli interessi delle parti, con idoneità ad acquistare definitivamente autorità di cosa giudicata", sicché la detta non impugnabilità deve esser intesa nel senso di non appellabilità, ferma restandone la ricorribilità in Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione.

In sede di legittimità la giurisprudenza di gran lunga prevalente - sia civile, che penale - ha affermato la ricorribilità in Cassazione dell'ordinanza di liquidazione dei compensi spettanti al difensore, ponendone in evidenza i caratteri di decisorietà e definitività.

In particolare, le Sezioni Unite penali di questa Corte Suprema, con le sentenze 26 aprile 1989, Medea (rv 181794) e 24 novembre 1999, Di Doa (rv 214693), hanno qualificato come reclamo, ovvero opposizione, il "ricorso" previsto dalla legge avverso il decreto originario di liquidazione, del quale si parla, dal momento che la "cognitio causae" risulta attribuita non ad un Giudice di grado superiore, ma al medesimo organo collegiale di appartenenza del Giudice che lo ha emesso, ed hanno poi statuito che l'ordinanza con la quale il "reclamo" viene deciso, sebbene qualificata dalla legge come "non impugnabile", deve essere considerata ricorribile in Cassazione solo per violazione di legge, non anche per difetto di motivazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, essendo destinata a risolvere una vera e propria controversia relativa a posizioni soggettive giuridicamente tutelate e ad acquisire forza ed efficacia di giudicato.

A tale orientamento si sono uniformate molteplici decisioni delle sezioni singole della Corte Suprema (v. sez. III, 6 luglio 1999, Seminara, rv 214796, sez. IV, 26 maggio 2000, Di Piede, rv 217692, sez. VI, 18 ottobre 2000, Bracciani, rv 217804; sez. III, 29 novembre 2001, Barbagallo, rv 220989; sez. IV, 9 ottobre 2002, Clemente, rv 223093; sez. IV, 13 novembre 2002, D.P., rv 223102; sez. IV, 8 gennaio 2003, Pavone, rv 223670; sez. VI, 12 gennaio 1996, Somi, rv 204157; sez. IV, 11 dicembre 2002, Dacqui, rv 223450; sez. IV, 23 maggio 2001, Arvati, rv 220096).

La tesi della non impugnabilità, in sede di legittimità, dell'ordinanza in questione è stata affermata da una parte, sicuramente minoritaria, della giurisprudenza di questa Corte Suprema sul duplice rilievo che la legge afferma espressamente trattasi di provvedimento "non impugnabile", il che - stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, vigente nel nostro ordinamento - escluderebbe l'esperibilità, nei confronti di esso, del ricorso per Cassazione, ed inoltre che la espressa previsione della ricorribilità in sede di legittimità dei provvedimenti in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato confermerebbe la chiara volontà del legislatore di devolvere alla Corte Suprema soltanto le decisioni relative all'ammissione, o meno, al patrocinio di che trattasi, onde assicurare ai cittadini non abbienti l'esercizio indifferibile del diritto, costituzionalmente garantito, di difendersi, non anche quelle, di carattere sostanzialmente amministrativo, attinenti alla mera liquidazione dei compensi ai difensori (v. Cass. Sez. I, 5 aprile 1997, Congiu, rv 207237-207238; Sez. III, 22 maggio 2001, Vaiata, rv 219867; sez. I, 17 ottobre 2000, P.M. in proc. Aleci, rv 218039; Sez. I, 21 marzo 2000, Pantaleo, rv 215939; Sez. III, 18 aprile 2002, Rea, rv 221625).

Risolvendo il contrasto sottopostole, questa Corte Suprema ritiene di dovere ribadire il principio della ricorribilità in Cassazione delle ordinanze emesse in sede di reclamo avverso il decreto originario di liquidazione dei compensi ai difensori.

Invero, l'art. 111 della Costituzione afferma essere ammissibile il ricorso in sede di legittimità contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale e per "sentenza" non deve intendersi solo il provvedimento giurisdizionale avente detta forma, ma anche ogni altro provvedimento che, pur diversamente nominato, abbia - da un canto - carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti e - dall'altro - non sia oggetto ad alcun altro mezzo di impugnazione (v. Cass. Sez. Un. Civ., 30 luglio 1953, n. 2593, rv 881234 e 6 novembre 1984, n. 5603, rv 437279).

L'ordinanza emessa in sede di opposizione o reclamo avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti ai difensori, anche di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato, pur non avendo la forma della sentenza, di questa ha i caratteri costitutivi in quanto decide, in maniera definitiva, su questioni di diritto soggettivo e non è impugnabile se non, a mente del richiamato art. 111 della Costituzione, con il ricorso in sede di legittimità, esperibile - secondo il dettato costituzionale - solo per violazione di legge, non anche per vizio di motivazione, a meno che questa sia mancante o meramente apparente, perché in tali casi si ha la violazione della norma che impone l'obbligo della motivazione di simili provvedimenti di che trattasi.

Ciò premesso e passando all'esame dell'impugnazione con la quale l'Avv. Stefano P. ha dedotto l'apparenza e, dunque, la sostanziale inesistenza della motivazione dell'ordinanza impugnata essendosi, il Tribunale di Marsala, a fronte di un'analitica opposizione avverso l'originario decreto di liquidazione, limitato ad affermare che esso conteneva chiara indicazione dei criteri adottati, con particolare riferimento alla natura delle questioni trattate dal difensore, al numero limitato di esse ed alla loro scarsa importanza, nonché ad evidenziare come l'unica significativa attività defensionale espletata fosse stata quella della partecipazione all'interrogatorio dell'imputato il quale, peraltro, si era avvalso del facoltà di non rispondere, rileva la Corte che la violazione di legge denunciata è sussistente.

L'odierno ricorrente, infatti, in sede di reclamo contro il decreto di liquidazione del Giudice per le indagini preliminari, aveva lamentato che gli onorari e le competenze spettatigli per l'attività defensionale espletata in favore di Fabio D.P., ammesso al patrocinio a spese dello Stato ed imputato del delitto di evasione, sarebbero stati liquidati in violazione della tariffa professionale e senza tenere conto del numero delle prestazioni indicate nella parcella.

A tali censure il Tribunale non ha dato risposta, essendosi limitato ad affermare genericamente che la liquidazione era stata effettuata nel rispetto dei minimi tabellari ed in considerazione dello scarso impegno professionale profuso, nonché del numero limitato e della scarsa importanza delle questioni giuridiche trattate, senza alcun riferimento al numero delle prestazioni professionali indicate dal richiedente, alle eventuali ragioni della loro decurtazione ed ai minimi tabellari previsti, per ogni singola voce, dalla tariffa professionale in vigore.

Alla luce delle esposte considerazioni l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio allo stesso Tribunale, per nuova valutazione del reclamo proposto dal ricorrente, che tenga conto dei rilievi specifici in esso contenuti.

P.Q.M.

La Corte suprema di Cassazione, Sezioni unite penali, annulla l'ordinanza emessa dal Tribunale di Marsala, in data 18 marzo 1992, nei confronti dello Avv. Stefano P. e rinvia allo stesso Tribunale per nuovo esame.