Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 17 settembre 2003, n. 35656

FATTO

Con ordinanza in data 20 gennaio 2003, il Tribunale dell'Aquila, adito ex articolo 310 c.p.p., annullava la ordinanza in data 17 dicembre 2002 del Gip del Tribunale di Teramo, appellata da F. Felice, con la quale veniva applicata al medesimo la misura interdittiva del divieto per mesi due di esercizio della professione di avvocato in relazione al reato di cui all'articolo 378 c.p., addebitatogli per avere aiutato M. Luigi, nei cui confronti era stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere, a sottrarsi alle ricerche dell'autorità, comunicandogli telefonicamente notizie riservate circa lo sviluppo delle indagini e delle ricerche finalizzate alla sua cattura.

Osservava il Tribunale che gli unici elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare erano rappresentati dal contenuto di intercettazioni telefoniche disposte sulla utenza di D.M. Ersilia, convivente del latitante, anch'essa assistita dal F., risultanze che dovevano essere considerate inutilizzabili in quanto acquisite in violazione dell'articolo 103 c.p.p., trattandosi di intercettazioni concernenti l'esercizio della funzione difensiva.

Propone ricorso per cassazione il Pg presso il Tribunale di Teramo deducendo, in primo luogo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuta inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche. Osserva al riguardo il ricorrente che tali risultanze non concernevano l'esercizio della funzione difensiva ma fatti penalmente rilevanti, quali le informazioni date dal F. al M. per sottrarsi alle ricerche dell'autorità. Pur trattandosi di un colloquio tra un avvocato e il suo assistito, simili conversazioni non attenevano alla funzione defensionale ma a una attività criminosa, sicché esse non erano coperte dalle garanzie di inutilizzabilità prestate dall'articolo 103 c.p.p., come riconosciuto anche dalla Corte di cassazione in una fattispecie del tutto simile.

Con un secondo motivo, l'ufficio ricorrente deduce inoltre la violazione di legge e il difetto di motivazione in punto di omessa considerazione delle ulteriori risultanze derivanti dalle ammissioni fatte dall'indagato nel corso dell'interrogatorio di garanzia, per nulla considerate dal Tribunale, nonostante che esse fossero pienamente inutilizzabili, pur se in tale occasione il F. aveva risposto a domande circa il contenuto delle conversazioni confutandone solo l'interpretazione datane dall'accusa. Il ricorrente osserva al riguardo che, anche ammessa la inutilizzabilità delle intercettazioni, da questa non derivava anche quella dell'interrogatorio, perché l'ordinamento processuale prevede la nullità derivata ma non la inutilizzabilità derivata.

DIRITTO

Il ricorso è fondato.

Questa Suprema Corte, con la decisione citata dall'ufficio ricorrente (Cassazione, sezione sesta (up) 2 novembre 1998, Archesso), ha affermato che fuoriescono dall'esercizio della funzione difensiva i colloqui tra avvocato e assistito che costituiscono attività criminosa, come nel caso, del tutto simile a quello in esame, in cui il difensore fornisca all'assistito notizie utili per sottrarsi alle ricerche dell'autorità (o ad eludere le investigazioni), commettendo in tal modo il reato di favoreggiamento.

Nella specie il F., utilizzando la linea telefonica della convivente del M., aveva, secondo l'accusa, preavvertito l'assistito dei movimenti della forza di polizia che lo stavano ricercando, dandogli anche consigli finalizzati a evitare la cattura. Tali comunicazioni rientrano nel paradigma dell'articolo 378 c.p. e quindi, costituendo ex se attività criminosa, non possono dirsi in alcun modo essere espressione della funzione difensiva.

Al riguardo è appena il caso di rilevare che, secondo il codice deontologico dell'avvocatura, approvato dal Cnf in data 17 aprile 1997, è inibito all'avvocato di fornire al cliente elementi di conoscenza finalizzati alla realizzazione di una condotta illecita (articolo 36).

L'ordinanza impugnata va pertanto annullata, con rinvio al Tribunale dell'Aquila, il quale, nel prendere in esame il contenuto delle intercettazioni di cui si è detto ai fini della decisione circa la sussistenza dei presupposti della misura interdittiva, valuterà anche le altre risultanze in atti, quali quelle emergenti dall'interrogatorio di garanzia.

È il caso di sottolineare che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, questa ulteriore fonte indiziaria presuppone l'utilizzabilità del contenuto delle intercettazioni, essendosi l'interrogatorio basato proprio sulle emergenze scaturenti dalle conversazioni intercettate. E ciò non perché il nostro ordinamento processuale contempli il principio della inutilizzabilità derivata, ma perché la nozione di inutilizzabilità assoluta, quale quella che deriverebbe dall'articolo 103 comma 7 c.p.p., ove in ipotesi si fosse verificata, implica l'impedimento all'uso del contenuto delle conversazioni intercettate anche al solo limitato fine di farne oggetto di domande in sede di interrogatorio dell'indagato.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale dell'Aquila.