Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 1° ottobre 2003, n. 14629
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di comunicazione trasmessa dalla locale Procura della Repubblica, che aveva promosso azione penale nei confronti dell'avvocato Francesco Pantaleo C. per i reati di cui agli articoli 521, 542 n. 1 e 2 527 c.p., commessi nella qualità di docente presso un istituto tecnico commerciale, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Matera, con decisione del 5 novembre 1991, deliberava di sottoporre il professionista a procedimento disciplinare per gli stessi fatti contestati in sede penale e ritenuti idonei a ledere la reputazione, la dignità e il decoro dell'incolpato.
Dato inizio al procedimento, con decisione del 12 marzo 1992, notificata all'interessato il 17 marzo successivo, ne veniva deliberata la sospensione in attesa della definizione del processo penale.
Essendo stata emessa dal Tribunale di Matera sentenza ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., con la quale veniva applicata al C. la pena di anni uno e mesi sei di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale, con decisione del 28 dicembre 1998, notificata all'incolpato il 26 gennaio 1999, veniva disposta la prosecuzione del procedimento disciplinare, che si concludeva con decisione del 21 settembre 1999, con la quale al professionista, che veniva dichiarato responsabile degli addebiti contestatigli, veniva inflitta la sanzione della cancellazione dall'albo.
Il C. proponeva ricorso, che veniva rigettato dal Consiglio Nazionale Forense con decisione del 17 maggio 2000.
Il Cnf, nel disattendere l'eccezione di intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare - dedotta dall'incolpato sotto il profilo che dal giorno in cui gli era stata comunicata la delibera avente per oggetto la sospensione del procedimento (17 marzo 1992) a quello in cui gli era stata notificata la successiva delibera con la quale ne era stata disposta la prosecuzione (26 gennaio 1999) era ampiamente decorso il termine di cinque anni previsto dall'articolo 51 regio decreto legge 1578/33 - osservava che, ai sensi degli articoli 298 c.p.c. e 159 c.p., in relazione all'articolo 3 stesso codice (e anche a voler seguire la sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione 372/99), la disposta sospensione del procedimento aveva determinato, a sua volta, la sospensione del termine prescrizionale (previo congelamento della decorrenza), dato che, riguardo al tempo in cui era cessata la permanenza dei fatti addebitati (18 marzo 1991), l'interruzione con effetto istantanea si era verificata solamente con la comunicazione di inizio del procedimento (8 novembre 1991). Il Consiglio poi rilevava che nel procedimento svoltosi davanti al Consiglio dell'Ordine di Matera non era stato violato il diritto di difesa - per il fatto che il difensore di ufficio del C., che aveva rinunciato all'incarico per ragioni di salute, non era stato sostituito - dato che la legge professionale prevede che l'incolpato, dotato di capacità tecniche, possa difendersi da solo; e, nel merito, che i fatti addebitati erano stati provati dalle testimonianze assunte, mentre doveva ritenersi congrua la sanzione della cancellazione dall'albo, in luogo di quella della radiazione, proprio perché l'incolpazione atteneva all'attività extraprofessionale del professionista.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il C., che ha dedotto quattro distinti motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Con ordinanza del 20 ottobre 2000, in accoglimento dell'istanza dedotta dal ricorrente, da parte di queste Sezioni unite è stata disposta la sospensione della decisione resa dal Cnf.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo dell'impugnazione il ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 51 regio decreto legge 1578/33, in relazione all'articolo 360, primo comma n. 3, c.p.c. e deduce che il Cnf avrebbe errato nel rigettare la sua eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare, non avendo considerato che dal giorno in cui gli era stata notificata la decisione inerente alla sospensione del procedimento (17 marzo 1992) a quello in cui gli era stata notificata la citazione a comparire dopo la conclusione del processo penale (26 gennaio 1999) era ampiamente decorso il termine di cinque anni previsto dal suddetto articolo 51. Sostiene, al riguardo, il medesimo ricorrente che nella decisione impugnata non è stato tenuto conto del principio giurisprudenziale secondo cui gli atti interruttivi della prescrizione, previsti dall'articolo 2943 c.c., hanno efficacia istantanea e non permanente, mentre del tutto errato è il richiamo fatto dal Cnf agli articoli 298 c.p.c. e 159 c.p.p., non essendo tali norme attinenti al procedimento disciplinare.
Questo motivo è fondato.
Nella decisione impugnata è stato affermato che il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Matera aveva disposto la sospensione del procedimento disciplinare istaurato a carico del C. «ritenendo opportuno attendere la definizione del procedimento penale» già promosso nei confronti del professionista. Con l'uso del termine opportuno il giudice del merito, come deve intendersi, ha mostrato di ritenere che la sospensione del procedimento disciplinare, a causa della pendenza del processo penale, fosse stata disposta dal Consiglio dell'Ordine territoriale in via facoltativa e non necessaria, che cioè alla fattispecie non fossero applicabili, quanto meno in via analogica - trattandosi di procedimento amministrativo disciplinare e non di un processo civile o penale - né l'articolo 295 c.p.c., il quale, come è noto, dispone che il giudice deve sospendere il processo civile qualora «egli stesso o un altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa», né l'articolo 159, primo comma, c.p., secondo cui la prescrizione del reato resta sospesa, fra l'altro, in caso di "questione deferita ad altro giudizio". Ciò nonostante, il Cnf ha poi sostenuto che dovevano trovare applicazione gli articoli 298 c.p.c. e 159, secondo comma, c.p., i quali dettano, rispettivamente per quello civile e per quello penale, la regola della sospensione del processo con effetti permanenti (fino alla cessazione della causa della sospensione); e, in tal modo, lo stesso Consiglio ha poi in sostanza fatto riferimento, a dire il vero contraddittoriamente, alla regola della sospensione necessaria del procedimento disciplinare, avendo evidentemente ritenuto, come deve pure intendersi, che sull'accertamento dei fatti disciplinarmente rilevanti dovesse fare stato la sentenza irrevocabile che sarebbe stata pronunciata nel giudizio penale.
Ora, non è dubbio che, se si afferma che il procedimento disciplinare deve essere necessariamente sospeso in attesa della definizione del processo penale promosso per gli stessi fatti nei confronti del professionista - non si può fare a meno dal considerare che la sospensione determina, sulla prescrizione dell'azione disciplinare, un effetto interruttivo permanente (fino al passaggio in giudicato della sentenza penale). Ma la stessa cosa non può dirsi se invece si sostiene che di sospensione obbligatoria non è il caso di parlare e che, tutt'al più, può farsi luogo alla sospensione facoltativa: in tale ipotesi verrebbe in rilievo il principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo cui nel procedimento disciplinare amministrativo promosso dal competente Consiglio dell'ordine nei confronti di un soggetto esercente la professione forense, in applicazione della regola della necessità di una pronta definizione del procedimento (Corte costituzionale 264/90 e 104/91), il termine quinquennale di prescrizione dell'azione disciplinare, di cui all'articolo 51 regio decreto legge 1578/33, è soggetto ad interruzione con effetti istantanei, al contrario di quanto avviene nella successiva fase giurisdizionale davanti al Cnf, nella quale opera l'opposto principio dell'effetto interruttivo permanente (v., fra le tante sentenze, da ultimo Cassazione Sezioni unite, 5072/03; cfr. pure, per una completa ricostruzione dell'istituto della prescrizione dell'azione disciplinare promossa nei confronti dei soggetti che esercitano la professione forense, Cassazione Sezioni unite, 372/99 nonché 2661/97). Ed allora la questione che deve essere risolta nel presente giudizio, ai fini della decisione che deve essere emessa su questo punto della controversia, è se, pendente il processo penale nei confronti del C., tale pendenza abbia determinato la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare istaurato a carico del professionista, per gli stessi fatti, per la necessità di attendere l'accertamento di tali fatti da parte del giudice penale; oppure se il Consiglio dell'Ordine di Matera, lungi dall'essere tenuto ad applicare l'istituto della sospensione necessaria, avesse il potere di procedere ad un autonomo accertamento dei fatti, a fini disciplinari, parallelamente all'accertamento compiuto in sede penale per fini diversi.
In passato, nella vigenza del c.p.p. abrogato - quando nell'ordinamento, ai sensi degli articoli 3 e 24 e segg. del medesimo codice e a norma del vecchio testo dell'articolo 295 c.p.c., valeva la regola della unitarietà della giurisdizione e, per conseguenza, veniva fatto sempre ricorso al principio della cosiddetta pregiudiziale penale, comportante la prevalenza del giudizio penale su quello civile e su quello amministrativo - da parte di queste Sezioni unite, nella materia in esame, era stata sposata la tesi della sospensione necessaria, essendo stato affermato che agli effetti della prescrizione dell'azione disciplinare di cui all'articolo 51 regio decreto legge 1578/33, qualora il procedimento disciplinare tragga origine da un fatto costituente anche reato e per il quale sia stata esercitata l'azione penale e, per questa ragione, venga sospeso, il termine di prescrizione quinquennale non può decorrere che dalla definizione del processo penale e cioè dal giorno in cui la sentenza penale diviene irrevocabile (Cassazione Sezioni unite, 811/62). E questa tesi è stata poi ripresa in una successiva sentenza, nella quale è stato affermato che la regola dell'efficacia interruttiva permanente della sospensione necessaria del procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati a causa della pendenza del processo penale non è venuta meno per effetto dell'entrata in vigore del nuovo c.p.p. (e, soprattutto, dell'articolo 653 di tale codice), perché non rileva che «il Consiglio dell'Ordine abbia avviato il procedimento disciplinare per poi sospenderlo di fronte all'avvenuto inizio dell'azione penale» (Cassazione Sezioni unite, 9893/93).
Diverso avviso è stato espresso in una pronuncia ancora successiva (emanata in relazione ad un procedimento posto in essere nei confronti di un soggetto esercente la professione sanitaria). In tale sentenza è stato sostenuto che la sospensione è necessaria solamente quando la previa definizione di un'altra controversia, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad un altro giudice, sia imposta da un'espressa disposizione di legge, ovvero quando la decisione dell'altra controversia, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile presupposto logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato (giacché, al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria, vale a dire obbligatoria per il giudice, perché è meramente facoltativa); con la conseguenza che, nella contemporanea pendenza, nei confronti del medesimo professionista e per gli stessi fatti, di un processo penale e di un procedimento disciplinare, quest'ultimo procedimento non deve essere necessariamente sospeso, sia perché la sospensione non è imposta da una specifica disposizione di legge, sia perché la definizione del processo penale non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione che deve essere resa in sede disciplinare, la quale si fonda sul diverso presupposto della violazione di regole deontologiche e non di norme penali (Cassazione Sezioni unite, 187/97).
A questo secondo indirizzo deve essere data adesione, perché lo stesso ha ricevuto indiretta conferma dalla pronuncia con la quale queste Sezioni unite hanno risolto il contrasto che si era manifestato all'interno della Corte sulla interpretazione dell'articolo 295 c.p.c. a seguito dell'entrata in vigore del nuovo c.p.p. (Cassazione Sezioni unite, ordinanza 13682/01).
In tale pronuncia - alla cui motivazione va fatto rinvio e nella quale, come occorre precisare, è stato esaminato, in particolare, il rapporto che intercorre fra il giudizio penale e quello civile per effetto delle nuove disposizioni introdotte nell'ordinamento non solo con il nuovo c.p.p. (articoli 651, 652 e 654 nonché 211 delle relative norme di attuazione), ma anche con la riformulazione del suddetto articolo 295 c.p.c. - è stato enunciato il principio secondo cui, fuori dall'ipotesi prevista dall'articolo 75 c.p.p. (giudizio di danno che prosegue davanti al giudice civile), in tutti gli altri casi "il processo diverso da quello penale" deve essere sospeso solamente se ricorra il rapporto di pregiudizialità indicato dall'articolo 295 c.p.c. o se la sospensione sia prevista da un'altra specifica disposizione di legge e sempre a condizione che la sentenza penale esplichi efficacia di giudicato nell'altro giudizio ai sensi degli articoli 651, 652 e 654 del nuovo c.p.c.
Poiché è questo il principio di diritto al quale si deve fare ricorso per decidere la presente controversia - essendo lo stesso adattabile anche alla fattispecie che attiene al (diverso) rapporto tra il processo penale e il procedimento disciplinare contemporaneamente promossi nei confronti del medesimo professionista e per lo stesso fatto - si deve preliminarmente stabilire se la sospensione necessaria del procedimento disciplinare sia prevista da una espressa disposizione di legge o, comunque, se la sentenza penale, di condanna o di assoluzione, faccia sempre stato nel procedimento disciplinare, in modo tale che questo procedimento debba essere necessariamente sospeso fino alla definizione del processo penale (in applicazione analogica dell'articolo 295 c.p.c.), oppure se non ricorra alcuna di queste due alternative: solamente se si dà risposta affermativa a questo primo quesito, si può dare una risposta ugualmente affermativa all'altra dipendente questione e sostenere che, a norma dell'articolo 298 c.p.c., la sospensione determina un effetto interruttivo non già istantaneo, ma permanente sulla prescrizione dell'azione disciplinare.
La risposta al preliminare quesito deve però essere negativa perché non esiste nell'ordinamento una disposizione di legge o che imponga la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale o che stabilisca un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica fra il processo penale e il procedimento disciplinare (nel senso della assoluta prevalenza della sentenza penale, sia di condanna che di assoluzione, sulla decisione disciplinare).
Tale norma non può essere rinvenuta nell'articolo 44, primo comma, regio decreto legge 1578/33 (recante disposizioni sull'Ordinamento della professione di avvocato), perché la stessa dispone soltanto che il professionista, tranne il caso di già intervenuta sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, deve essere sempre sottoposto a procedimento disciplinare per lo stesso fatto che ha formato oggetto dell'imputazione elevata in sede penale, ma non impone la sospensione del procedimento disciplinare né prevede che l'accertamento dei fatti compiuto dal giudice penale debba essere utilizzato in sede disciplinare senza che possa essere più posto in discussione.
La regola della sospensione necessaria del procedimento disciplinare o dell'efficacia vincolante del giudicato penale di condanna o di assoluzione, inoltre, non può nemmeno ricavarsi dall'articolo 211 delle norme di attuazione del c.p.p. Questo articolo non detta alcuna norma in ordine alla sospensione, perché contiene un rinvio alle "disposizioni di legge che prevedono la sospensione necessaria" e, inoltre, non è applicabile al procedimento disciplinare davanti ai Consigli dell'Ordine territorialmente competenti, attesa la menzione del "processo" civile o amministrativo: l'uso del termine "processo" indica che la norma fa riferimento ad un giudizio che si svolge davanti ad un organo giurisdizionale (quale è, ad esempio, il Cnf) e non al procedimento posto in essere davanti ad un organo amministrativo (quale è ogni singolo Consiglio dell'Ordine). Rilievo, quest'ultimo, che vale anche per la disposizione contenuta nell'articolo 654 c.p.p., perché la stessa, quando assegna, ricorrendone le condizioni, alla sentenza penale irrevocabile piena efficacia di giudicato, dispone che tale efficacia debba esplicarsi "nel giudizio civile o amministrativo" (per l'interpretazione di tale articolo di legge v. la suddetta ordinanza 13682/01 delle Sezioni unite nonché Cassazione 314/03).
Alla medesima, negativa conclusione, infine, deve pervenirsi per quanto concerne l'articolo 653 c.p.p. (come modificato dall'articolo 1 legge 97/2001). Questa disposizione di legge, che si pone in parallelo e che, in definitiva, completa quella contenuta nel sopra indicato articolo 44, primo comma, del regio decreto legge 1578/33 (per quanto concerne i soggetti che esercitano la professione forense), stabilisce che nel giudizio per responsabilità disciplinare "davanti alle pubbliche autorità" la sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato "quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso". Poiché l'efficacia del giudicato è limitata alla sola sentenza di assoluzione, nel procedimento disciplinare nessun effetto può esplicare una pronuncia di condanna; con la conseguenza che, non ricorrendo alcun rapporto di pregiudizialità nel senso lato sopra indicato, deve escludersi che possa farsi luogo alla sospensione necessaria del procedimento disciplinare in caso di contemporanea pendenza del processo penale.
Da tutti questi rilievi risulta che, nel caso in esame, in mancanza delle condizioni di legge che imponessero la sospensione necessaria del procedimento disciplinare (e non certo quella facoltativa, dipendente dall'esercizio di un potere discrezionale dell'organo che l'ha pronunciata), non vi era materia per l'applicabilità dell'articolo 298 c.p.c. a torto invocato nella decisione impugnata (nonché, com'è ovvio, dell'articolo 159, secondo comma, c.p.). Ne deriva che l'atto, con il quale è stato notificato all'attuale ricorrente il provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare, ha determinato un effetto interruttivo istantaneo (e non già permanente) sul termine di prescrizione dell'azione disciplinare; e, poiché, come è pacifico in causa, dal giorno in cui l'atto in questione è stato portato a conoscenza dell'incolpato (17 marzo 1992) a quello in cui allo stesso incolpato è stato notificato l'atto di citazione per la prosecuzione del procedimento (26 gennaio 1999, dopo l'emanazione della sentenza penale di patteggiamento) è decorso un termine di gran lunga superiore a cinque anni, si deve affermare, al contrario di quanto ha ritenuto il Cnf, che riguardo all'azione disciplinare esercitata nei confronti del C. si era maturata, davanti al Consiglio dell'Ordine, la prescrizione prevista dall'articolo 51 regio decreto legge 1578/33.
Avuto riguardo a tutte le argomentazioni che precedono, deve essere accolto il primo motivo del ricorso, con assorbimento degli altri tre motivi (attinenti alle altre questioni decise nella fase di merito) e la decisione impugnata deve essere cassata senza rinvio, a norma dell'articolo 382, terzo comma ultimo periodo, c.p.c., dato che il processo non poteva proseguire.
Tenuto conto della peculiarità della questione trattata, giusti motivi ricorrono, ai sensi dell'articolo 92, secondo comma, c.p.c., per compensare per intero fra le parti le spese di questa fase del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa senza rinvio la sentenza Impugnata e compensa per intero fra le parti le spese del giudizio di cassazione.