Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo
Sentenza 8 ottobre 2003, n. 839
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con ricorso notificato il 25/11/2002 (e depositato il 2/12 successivo) la Provincia di Teramo - (che con delibera consiliare 22/2/2002, n. 12 aveva preso, ai sensi degli artt. 73 dello Statuto regionale e 37 della l.r. 11/12/1987, n. 86 l'iniziativa di referendum consultivo sulla realizzazione della terza galleria del Gran Sasso, chiedendone l'indizione al Consiglio regionale, iniziativa condivisa anche dalla Provincia di Pescara, che si era espressa con delibere del proprio Consiglio del 23/2 e del 15/7/2002, nn. 17 e 80) - ha impugnato, chiedendone l'annullamento, la delibera consiliare sopra indicata, che ha disatteso la richiesta referendaria formulata dalle Province di Teramo e Pescara.
Premessa ampia esposizione in fatto della vicenda concernente la realizzazione prima del traforo autostradale di collegamento del versante aquilano con il versante teramano del Gran Sasso e dopo del laboratorio sotterraneo di fisica nucleare (dalla fine degli anni '60 all'inizio degli anni '90) e rammentate le ricadute che tale opera ha inevitabilmente comportato sulla montagna interessata dai lavori e sull'ambiente nel suo insieme e richiamata altresì la vicenda relativa alla costruzione della terza galleria, ricordandone e sottolineandone i momenti più significativi e dibattuti in diversi ambiti e sotto diversi aspetti, avverso la delibera consiliare che ha arrestato l'iniziativa referendaria, la Provincia ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 73 dello Statuto e dell'art. 37 della l.r. n. 86/1987. Eccesso di potere per contraddittorietà, errore nei presupposti o, comunque, per difetto di istruttoria.
Sostiene la ricorrente che né la previsione statutaria né la legge regionale che vi ha dato attuazione specificano quali materie o quali provvedimenti possono costituire oggetto di referendum consultivo, rimettendo al Consiglio regionale di apprezzare, di volta in volta, la sussistenza di "interesse della Regione" a che il referendum abbia luogo. Peraltro, l'apprezzamento rimesso al Consiglio non si risolve in atto squisitamente "politico", e cioè del tutto svincolato da criteri di valutazione giuridicamente predeterminati (caratterizzandosi l'atto politico, sotto il profilo contenutistico-funzionale per essere manifestazione di potere di direzione della cosa pubblica esercitato da organo di governo - statale o regionale - attraverso il compimento di scelte teologicamente libere, pur se nell'ambito dei confini tracciati dalla Costituzione). La delibera impugnata deve, per contro, ritenersi atto amministrativo, emesso da pubblica amministrazione (Consiglio regionale), nell'esercizio di potestà amministrativa, a fronte della quale si staglia la posizione dei consigli provinciali che hanno proposto l'iniziativa, posizione che assume la consistenza - al di là del carattere discrezionale o vincolato o di mero accertamento dell'attività amministrativa svolta dal Consiglio regionale - dell'interesse legittimo, e non del diritto soggettivo, trattandosi comunque di attività preordinata (non già al soddisfacimento delle aspettative dei singoli, bensì) al soddisfacimento immediato e diretto del pubblico interesse, che nel caso di specie si materializza nell'interesse della popolazione abruzzese ad esprimersi sulla realizzazione del c.d. terzo traforo del Gran Sasso.
Nella prospettiva indicata, precisa la ricorrente, il Consiglio regionale, sulla base delle norme di legge richiamate, doveva solo accertare: a) sotto il profilo soggettivo, la provenienza della richiesta da soggetto legittimato; b) sotto il profilo oggettivo, la sussistenza dell'interesse della Regione alla consultazione popolare: requisiti entrambi presenti nella fattispecie, dato che, da un lato, è incontrovertibile la legittimazione del Consiglio provinciale teramano all'iniziativa referendaria; dall'altro, è innegabile l'interesse della Regione alla consultazione dinanzi alla realizzazione di opera pubblica molto controversa in ambito regionale e nei cui confronti la stessa amministrazione regionale ha manifestato un orientamento contraddittorio, esprimendosi prima in senso favorevole (risoluzione del 19/1/93, verbale n. 60/40); poi contrario (risoluzione del 14/11/95, verbale n. 14/15; risoluzione del 10/2/99, verbale n. 114/14); e poi di nuovo favorevole (risoluzione dell'11/12/95). Il che del resto è stato chiaramente rappresentato dal parere reso al Consiglio regionale dalla Direzione Attività Legislativa - Servizio Legislativo dello stesso Consiglio, ma quest'ultimo ha trascurato tale parere, senza alcuna spiegazione, esprimendo una determinazione di inammissibilità viziata da eccesso di potere per contraddittorietà, errore nei presupposti, difetto di istruttoria;
2) Violazione di legge. Difetto di motivazione. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, essendo la delibera impugnata priva di motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di diritto che ne giustifichino l'adozione. E, d'altra parte, i motivi cha hanno condotto alla reiezione della richiesta di referendum consultivo non sono in alcun modo desumibili neppure dalla relazione della prima commissione permanente richiamata nelle sue premesse.
3) In via subordinata: illegittimità costituzionale della l.r. 11/12/1987, n. 86 per contrasto con gli artt. 2, 3, 5, 97 e 123 Costituzione.
Nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere che l'art. 37 l.r. n. 86/87 debba essere inteso nel senso che il giudizio di ammissibilità del referendum consultivo demandato al Consiglio regionale rivesta carattere politico e non sia perciò giustiziabile, tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 5, 97 e 123 della Costituzione; e la relativa questione dovrebbe essere rimessa al giudizio della Corte costituzionale.
Al ricorso ha resistito la Regione intimata, che nell'atto di costituzione e in successiva memoria ne ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità per assoluto difetto di giurisdizione; per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; per insussistenza dei presupposti, in quanto la delibera impugnata sarebbe atto di insindacabile scelta politica, pienamente discrezionale e sottratto agli oneri di motivazione di cui all'art. 3 della legge n. 241/90 e a forme di controllo di ogni genere, e ne ha chiesto comunque la reiezione, previa declaratoria di manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale.
In vista dell'udienza di trattazione la ricorrente ha depositato memoria, replicando alle difese avversarie e insistendo nella richiesta di annullamento dell'atto impugnato, previa rimessione, occorrendo, della questione di legittimità costituzionale alla valutazione del giudice delle leggi.
Chiamato all'odierna udienza pubblica e discusso dalle parti, che hanno insistito nelle rispettive posizioni, il ricorso è passato in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso pretende l'annullamento della deliberazione del Consiglio regionale (del 30/7/02 - verbale n. 73/2) che è intervenuta su una richiesta di referendum consultivo per la realizzazione della terza galleria del Gran Sasso avanzata dal Consiglio provinciale di Teramo (con deliberazione 22/2/02, n. 12) e condivisa dal Consiglio provinciale di Pescara (con deliberazioni 23/2 e 15/7/02, nn. 17 e 80).
L'iniziativa delle due Province trova la sua fonte nell'art. 73 dello Statuto regionale che, dopo avere ammesso (al comma 1) il "referendum consultivo per materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale", ne riserva l'iniziativa "ai Consigli provinciali e ai Consigli comunali della Regione"; e nell'art. 37 della l.r. n. 86/1987, che (al comma 1) conferma la legittimazione dei Consigli provinciali e comunali a richiedere il referendum consultivo e dispone (al comma 2) che "sull'ammissibilità del referendum decide il Consiglio regionale, valutando se sussista l'interesse della Regione, precisando il quesito da rivolgere agli elettori nonché l'ambito territoriale entro il quale è indetto il referendum".
2. Come accennato in fatto, la regione Abruzzo, costituendosi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità o improponibilità del ricorso sotto profili diversi.
Il ricorso, si sostiene, è in primo luogo "improcedibile per assoluto difetto di giurisdizione". La delibera ivi impugnata è atto in assoluto sottratto a controllo giurisdizionale perché il referendum regionale consultivo (che diverse regioni non hanno neanche previsto), in disparte il caso di istituzione di nuovi comuni e di modifica delle relative circoscrizioni e denominazioni, ha carattere del tutto libero, eventuale e non obbligatorio; non riguarda "materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale", come prevede l'art. 73 dello Statuto, in quanto, nel caso di specie, ne è oggetto "un'opera pubblica statale costituente infrastruttura di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese e secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale"; non concerne "materie" e "provvedimenti" per i quali il referendum può essere ammesso, non ancora stabiliti da legge regionale delegata dal citato art. 73 dello Statuto; infine, non vi è stata "esplicitamente valutazione positiva dell'interesse della Regione al referendum".
Nella situazione sopra indicata, non sussistendo le condizioni previste dalla legge, salva l'iniziativa provinciale, la delibera impugnata, si conclude, costituisce "atto insindacabile di scelta politica, non soggetta ad alcun controllo né davanti al giudice amministrativo né davanti al giudice ordinario" (giudice quest'ultimo cui pure si è rivolta, si aggiunge, la Provincia di Pescara, dopo avere anch'essa adito il giudice amministrativo, contraddittoriamente qualificando la posizione tutelata davanti a due diversi giudici ora come interesse legittimo ora come di diritto soggettivo).
Se poi l'atto impugnato fosse, in ipotesi, sindacabile da un giudice, questo giudice sarebbe non quello amministrativo ma quello ordinario (già adito, del resto, dalla Provincia di Pescara), in quanto la posizione soggettiva incisa dal quell'atto deve essere inscritta nella categoria dei diritti soggettivi la cui tutela è normalmente riservata al giudice ordinario.
In linea subordinata, il ricorso "sarebbe per altro verso improponibile", perché la delibera impugnata, se non fosse, come invece è, atto politico, epperò sottratto a controllo giurisdizionale; o comunque riservato alla giurisdizione del giudice ordinario, sarebbe "insindacabile in quanto pienamente discrezionale" davanti al giudice amministrativo in giurisdizione generale di legittimità; e in ogni caso non rientrerebbe tra i provvedimenti amministrativi cui si riferisce l'art. 3 della legge n. 241/90 e sarebbe sottratto a oneri di motivazione.
3. Le eccezioni sopra riferite al Collegio non sembrano fondate e devono essere pertanto tutte disattese.
Al riguardo va in primo luogo rilevato che il vigente ordinamento giuridico in linea generale non conosce categoria di atti per definizione sottratta a controllo giurisdizionale, quale che sia la natura, si tratti cioè di atto legislativo (che è soggetto al controllo del giudice delle leggi, controllo anch'esso giurisdizionale) o di atto giudiziario (soggetto alle verifiche previste dall'ordinamento processuale) o di atti della pubblica amministrazione (contro i quali, per espresso precetto costituzionale - art. 113 della Costituzione, commi 1 e 2 - "è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa", tutela giurisdizionale che "non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti").
Per la verità lo stesso ordinamento conosce una norma (art. 31 T.U. leggi sul Consiglio di Stato approvato con R.D n. 1054/1924), in forza della quale il ricorso giurisdizionale amministrativo "non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico". Ma a parte i dubbi sulla attuale vigenza di questa norma e sulla sua compatibilità con il sistema di controllo giurisdizionale esteso a tutti gli atti (legislativi, giudiziari, amministrativi) delineato dalla Costituzione, è certo comunque che la categoria degli "atti politici" sussumibili nella previsione del richiamato art. 31 T.U. del 1924, alla stregua di indicazioni giurisprudenziali univoche e costanti, è stata sempre intesa in senso molto restrittivo sul piano sia soggettivo che oggettivo, considerando "atto politico" solo quello che, per un verso (profilo soggettivo), sia emanato da organo della pubblica amministrazione preposto in modo funzionale all'indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica; e che concerna, per l'altro (profilo oggettivo), "la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione" (Cons. di Stato, Sez. IV, 12/3/2001, n. 1397); atti che, in apparenza soggettivamente e formalmente "amministrativi", costituiscono tuttavia espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese (Cons. di Stato, Sez. IV, 29/2/96, n. 217; TAR Puglia, Sez. I, 19/12/98, n. 930) e "coinvolgono i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali", non essendo sufficiente (a qualificare un atto come "atto politico") che "vi intervenga una valutazione di ordine politico" (Cons. di Stato Sez. IV, 17/1/86, n. 30). In tali casi, ma solo in essi, che configurano ipotesi eccezionali, e di stretta interpretazione, l'atto considerato può sottrarsi a controllo giurisdizionale.
Ora, scorgere le caratteristiche sopra indicate nella delibera consiliare impugnata non è agevole, ove si consideri che essa non proviene da organo di massimo livello della cosa pubblica, non riguarda la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri, non costituisce espressione della funzione di direzione e indirizzo politico, non coinvolge i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali.
Alla delibera stessa non si può perciò accreditare la natura di "atto politico " ai sensi e per gli affetti dell'art. 31 del T.U. n. 1054/1924 (di quest'ultimo dandone per scontata l'attuale vigenza).
In realtà, come sottolinea la difesa ricorrente, la scelta politica non sta nella delibera impugnata, ma sta invece a monte, e precisamente nello Statuto regionale (art. 73) nel quale la Regione Abruzzo, a differenza di altre regioni che tale scelta politica non hanno fatto, ha previsto il referendum consultivo, e nella legge regionale (n. 86/1987) che ne reca la disciplina.
La delibera impugnata non è dunque "atto politico"; e poiché non è atto legislativo (pur avendone parzialmente seguito l'iter formativo), in quanto non ne possiede le caratteristiche formali e sostanziali - (difetta la promulgazione e la pubblicazione nella forma della legge sul bollettino ufficiale; non contiene enunciati normativi che abrogano, modificano, confermano o innovano il previgente assetto normativo) - la delibera stessa non può che essere normale atto amministrativo, di cui, del resto, (in disparte la qualificazione come "atto politico", da escludere per le ragioni già dette) presenta i requisiti (ordinariamente richiesti all'atto amministrativo e puntualmente ricordati dalla difesa della ricorrente).
Che poi, come rileva l'Avvocatura dello Stato per la Regione resistente, il referendum consultivo non sia obbligatorio ma facoltativo (il che, peraltro, non sembra neanche esatto, perché non è tanto il referendum consultivo ad essere facoltativo e non obbligatorio quanto la scelta politica che ha preso corpo nella previsione statutaria, scelta che poteva anche non essere fatta, e alcune regioni non l'hanno fatta, come si è già accennato; ma una volta previsto il referendum consultivo nello Statuto, non ha più senso dire che il referendum non è obbligatorio ma facoltativo, perché non sarà obbligatorio ammettere il referendum sulla sola richiesta dell'ente legittimato, in quanto il Consiglio regionale deve valutare la sussistenza dell'interesse della Regione ex artt. 73 dello Statuto e 37 della l.r. n. 86/87; ma una volta avanzata la richiesta, è certamente obbligatorio, come si dirà infra, proseguire il procedimento e concluderlo mediante l'adozione di deliberazione espressa sulla sussistenza o insussistenza dell'interesse della Regione, e conseguente ammissibilità o inammissibilità della richiesta); che l'istituto sia previsto "limitatamente a materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale"; che la legge regionale attuativa della previsione statuaria non abbia stabilito "materie e provvedimenti per i quali il referendum è ammesso"; che il referendum riguardi opera pubblica statale di preminente interesse nazionale e non "materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale": sono tutti aspetti quelli sopra indicati e momenti irrilevanti ai fini della qualificazione dell'atto impugnato come atto politico e rilevanti invece al fine di scrutinarne la conformità a diritto; ciò vale, ad esempio, per il fatto che l'atto impugnato non enunci in modo espresso e inequivoco la valutazione dell'interesse regionale, fatto questo che, più che qualificare l'atto stesso come atto politico, ne disvela un profilo di illegittimità; o ancora il fatto che il referendum riguardi opera pubblica statale, fatto anche questo che non serve a qualificare l'atto politicamente, mentre potrebbe essere utile per valutare la sussistenza dell'interesse della Regione, come prescritto dalla norma di riferimento.
Norma di riferimento (nel combinato disposto risultante dal collegamento tra la previsione statutaria e la disposizione regionale attuativa) che pone a sua volta - a fronte del potere di iniziativa della Provincia e del Consiglio provinciale in particolare, cui è riservata l'iniziativa del referendum consultivo (potere pubblico con i vincoli che connotano tale potere nel suo concreto esplicarsi, più che diritto soggettivo della stessa Provincia o del Consiglio provinciale) - il potere del Consiglio regionale (anche questo potere pubblico, più che dovere speculare a preteso e inconfigurabile diritto soggettivo) di proseguire il procedimento e di concluderlo previa valutazione della sussistenza dell'interesse della Regione.
Valutazione questa che potrà essere certamente di discrezionalità molto ampia, ma non però senza limiti, se deve, come deve, rapportarsi alle "materie" nelle quali il referendum è ammesso; alle "particolari categorie e settori della popolazione" coinvolte; ai "provvedimenti", che di volta in volta ne costituiscono oggetto. La discrezionalità del Consiglio regionale sarà massima, ma incontrerà comunque gli stessi vincoli di cui sopra da valutare da caso a caso, fino a quando la legge regionale non avrà stabilito "le modalità di svolgimento del referendum consultivo e le materie e i provvedimenti per i quali è ammesso" (art. 73, comma 4, dello Statuto). Ma la mancata individuazione (da parte del legislatore regionale ordinario) di "modalità", "materie" e "provvedimenti" non rende la delibera consiliare che interviene sulla richiesta di referendum "atto politico"; né impedisce al Consiglio regionale di proseguire e concludere il procedimento; e non lo affranca dall'onere che la l.r. n. 86/87 (art. 37) prevede di decidere sull'ammissibilità del referendum, "valutando se sussista l'interesse della Regione, precisando il quesito da rivolgere agli elettori nonché l'ambito territoriale entro il quale è indetto il referendum".
Nell'ordine di idee di cui sopra non appare condivisibile la configurazione della pretesa dedotta in giudizio come diritto soggettivo tutelabile davanti al giudice ordinario; al contrario, sembra plausibile, e questo è l'avviso del Collegio, configurare la pretesa stessa come interesse legittimo la cui tutela conseguentemente deve essere rimessa alla giurisdizione generale di legittimità, cui certamente non nuoce, è appena il caso di rilevarlo, l'indice di discrezionalità, per ampio che sia nei sensi già precisati, che caratterizza la delibera del Consiglio regionale che su quella pretesa interviene.
3. Seguendo un diverso ordine di considerazioni si può anche sostenere che la delibera regionale che decide sul referendum consultivo (e lo stesso referendum) sia atto neutro, atto cioè che non abbia natura propria; non sia perciò atto normativo o giudiziario o amministrativo o politico; e sia invece atto ontologicamente indefinito, se si prescinde dall'oggetto; e che sia quest'ultimo atto a comunicare al primo la propria natura. La delibera del Consiglio regionale che decide sull'ammissibilità del referendum consultivo mutua così natura e disciplina sostanziale e processuale dell'atto che di volta in volta che ne costituisce oggetto.
Se questa riflessione fosse condivisa, anche per tale via il ricorso in esame dovrebbe ritenersi regolarmente proposto davanti al giudice amministrativo, perché l'atto che ne è oggetto - (realizzazione della terza galleria del Gran Sasso - e in questo momento non è rilevante che si tratti di opera pubblica statale qualificata infrastruttura di preminente interesse nazionale, come ricorda la difesa dell'amministrazione resistente; aspetto questo che in ipotesi può avere se mai ricadute sulla valutazione della sussistenza dell'interesse regionale a indire il referendum consultivo e l'ambito territoriale in cui lo stesso può svolgersi) - si deve innegabilmente annoverare tra gli atti amministrativi; e nell'ambito della categoria, tra quegli atti e quelle procedure che rientrano (in forza degli artt. 33, 34 e 35 del D.lgs. n. 80/1998 e degli artt. 4 e 7 della legge n. 205/2000) nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giurisdizione che per scelta normativa prescinde, ai fini della giurisdizione, dalla distinzione (diritto soggettivo-interesse legittimo) della posizione giuridica tutelata. E a questo punto intricate questioni sulla qualificazione della posizione giuridica tutelata dalla Provincia ricorrente sarebbero del tutto irrilevanti per individuare il giudice che ha giurisdizione.
Alla stregua delle annotazioni esposte il ricorso appare "procedibile", "proponibile" e ammissibile sotto ogni profilo.
4. E anche fondato a giudizio del Collegio.
I rilievi utilizzati per disattendere le preliminari eccezioni di sbarramento dell'esame di merito annoverano la delibera consiliare impugnata tra gli atti amministrativi, accreditandole la natura degli atti che sono oggetto del referendum consultivo su cui la delibera si è pronunciata. Conseguentemente è con tali atti, e con la loro disciplina, che deve perciò fare i conti. E i conti in realtà non tornano del tutto come si percepisce agevolmente percorrendone l'iter formativo e soffermandosi su alcuni significativi momenti di snodo.
A questo riguardo è utile ricordare ancora una volta che l'iniziativa del referendum consultivo parte dai Consigli provinciali di Teramo e di Pescara, da due cioè dei quattro Consigli provinciali della Regione.
A fronte di tale iniziativa il Consiglio regionale (verbale n. 73/2 del 30/7/2002), richiamati gli atti dei Consigli provinciali richiedenti e considerato "che la 1^ e la 2^ Commissione consiliare riunite congiuntamente nella seduta del 24/07/2002 hanno esaminato il provvedimento di iniziativa provinciale esprimendo parere sfavorevole in quanto il complessivo numero dei voti a favore non supera quello degli astenuti e dei contrari", ha deliberato (con 42 presenti, 42 votanti, 23 favorevoli, 16 contrari e 3 schede bianche) "di non approvare la richiesta di referendum consultivo per la realizzazione della terza galleria del Gran Sasso avanzata dal Consiglio Provinciale di Teramo ed alla quale si è uniformato il Consiglio Provinciale di Pescara".
Questo, e solo questo, si legge nella delibera consiliare impugnata. Molto poco oggettivamente e comunque ex se insufficiente a garantire la legittimità dell'atto almeno ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 della legge n. 241/90 (cui per le cose già dette essa deve ritenersi astretta). Si può però obiettare, e si è obiettato, che le ragioni (in fatto e in diritto) della delibera impugnata si trovano (più che nel testo che la identifica) nel parere e nel verbale, ivi richiamato, della 1^ e della 2^ commissione consiliare che, in riunione congiunta nella seduta del 24/7/2002, "hanno esaminato il provvedimento di iniziativa provinciale esprimendo parere sfavorevole in quanto il complessivo numero dei voti a favore non supera quello degli astenuti e dei contrari". E l'obiezione in astratto è condivisibile, non potendosi dubitare dell'ammissibilità della motivazione del provvedimento amministrativo con rinvio agli atti procedimentali e ad altri atti dell'amministrazione ivi richiamati, ammissibilità assistita non solo da giurisprudenza consolidata che è ius receptum ma anche (e da oltre un decennio) da espressa norma di legge (art. 3, comma 3, legge 241/90); ma in concreto, verificandone i contenuti, si constata (dalla relazione versata al processo) che nel parere richiamato, a prescindere dalla formula enigmatica adoperata (si esprime parere sfavorevole in quanto il complessivo numero dei voti a favore non supera quello degli astenuti e dei contrari), non vi è molto di più di quanto non sia già nella delibera consiliare. Ai fini del discorso in atto apparentemente, per la verità, altri elementi si possono trovare nel resoconto integrale (n. 17/2000) della seduta consiliare (VII legislatura, seduta n. 73 del 30 luglio 2002) in cui è stata adottata la delibera impugnata. Dal resoconto si apprende così che due rappresentanti delle forze politiche presenti in Consiglio (uno di minoranza e un altro di maggioranza) hanno esposto sulla questione in discussione le opinioni e gli orientamenti della parte politica rappresentata; e alla fine il Consiglio è stato chiamato a votare su una proposta di delibera presentata dalla Giunta (prima del dibattito consiliare). Risulta dal resoconto che poco prima del voto non era ancora del tutto chiara la valenza del voto stesso, tanto che si era avvertito il bisogno di precisare (dal rappresentante della minoranza) che nella fattispecie il "no equivale all'ammissibilità e sì alla non ammissibilità", giustificando la precisazione con la necessità di non creare confusione. Il Presidente dell'Assemblea infine mette ai voti il parere della commissione, ribadendo che "il sì è alla delibera di non approvare la richiesta di referendum ed il no va in senso contrario".
Si ha ora la sensazione che i punti di vista espressi da minoranza e maggioranza attraverso gli interventi dei rispettivi rappresentanti (i soli cui sia stata data la parola nella seduta consiliare per decisione unanime della Conferenza dei capigruppo, come comunicato dal Presidente all'Assemblea all'inizio della discussione) siano rimasti tali, cioè posizioni diverse di diverse parti politiche senza confluire, amalgamandosi, in una collegiale delibera consiliare. In particolare dalla delibera finale non emerge con la dovuta chiarezza la valutazione dell'interesse della Regione al referendum consultivo - (valutazione per un verso espressamente imposta dalla legge regionale attuativa della previsione statutaria; per l'altro, e nella fattispecie, anche dal fatto che il referendum era stato chiesto da due dei quattro consigli provinciali esponenziali nel loro insieme di poco meno della metà dell'intera popolazione regionale: 582.892 abitanti delle Province di Teramo e Pescara, a fronte una popolazione complessiva della Regione di 1.262.392 e di 679.500 delle altre due Province dell'Aquila e di Chieti, secondo i risultati del censimento del 21/10/2001, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2/4/2003); e neanche emergono con la dovuta visibilità le vere o presunte ragioni concrete in forza delle quali il Consiglio regionale nella sua collegialità dichiarava inammissibile il referendum.
In altre parole nella delibera impugnata (direttamente o attraverso altri atti utilizzabili nei sensi sopra precisati) sembra difettare proprio quello che doveva costituire l'oggetto specifico di attenzione, vale a dire la valutazione della sussistenza o insussistenza dell'interesse della Regione con le relative ragioni giustificative (in fatto e in diritto).
Nel contesto sopra descritto fondatamente la Provincia ricorrente denuncia che il Consiglio regionale abbia omesso di fare o non abbia fatto del tutto quello che l'art. 73 dello Statuto e la legge regionale di attuazione gli imponeva di fare; accertare cioè che l'iniziativa provenisse dai soggetti a ciò normativamente legittimati; che si riferisse a materie di interesse di particolari categorie e settori della popolazione regionale; che avesse ad oggetto materie e provvedimenti per i quali il referendum poteva essere ammesso, e infine, e in particolare, tenuto conto di tutto ciò, e della consistenza dell'iniziativa condivisa da metà dei consigli provinciali della regione, se sussisteva l'interesse della Regione, avuto anche riguardo al fatto che l'opera coinvolta, come ha scritto successivamente la difesa regionale nella memoria difensiva, era "opera pubblica statale costituente infrastruttura di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese e secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale".
Nei sensi esposti il ricorso appare fondato e va accolto, annullandosi, per l'effetto, la delibera consiliare impugnata, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa.
Le spese del giudizio peraltro possono essere compensate tra le parti, ravvisandosene giusti motivi.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo - L'Aquila, definitivamente pronunciando sul ricorso sopra indicato, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'atto impugnato.
Compensa le spese del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.