Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 10 settembre 2003, n. 13282
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 luglio 2000, il Tribunale di Forlì ha rigettato l'appello proposto da David V. avverso la sentenza del Pretore di Cesena, in funzione di giudice del lavoro, che - in accoglimento dell'istanza della Technogym srl - aveva accertato la violazione, da parte del V., del patto di non concorrenza assunto nei confronti della predetta società e, dichiaratane la risoluzione, aveva condannato il V. a rimborsare alla società i compensi percepiti ed a pagare alla stessa lire 25.430.000, a titolo di penale ridotta rispetto all'originaria previsione contrattuale, oltre accessori nonché alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla Technogym.
Per quanto rileva in questa sede, i giudici d'appello hanno affermato che il patto di non concorrenza prevedeva che il V., assunto quale impiegato di settimo livello con qualifica di addetto marketing ufficio estero, si sarebbe astenuto in territorio italiano ed europeo, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto con la Technogym, verso il corrispettivo di lire 200.000 mensili, per tredici mensilità, dal prestare la propria opera, sia in qualità di lavoratore autonomo sia in qualità di lavoratore subordinato, in favore di aziende che producono e/o commercializzano articoli per il fitness, la preparazione atletica, la medicina dello sport, la riabilitazione, ecc. in concorrenza con la predetta società.
Ritenevano corretta la valutazione del giudice di primo grado circa la rispondenza del patto in questione ai requisiti previsti dall'articolo 2125 c.c. In particolare, previa puntuale considerazione della qualificazione professionale del V., desunta dalla sua esperienza, e delle mansioni da lui svolte in seno alla Technogym, il Tribunale affermava che il divieto imposto al predetto, quanto all'oggetto del patto di non concorrenza, non appariva idoneo a comprimere in maniera eccessivamente gravosa le future possibilità occupazionali del soggetto, potendo questi svolgere la propria attività a favore di aziende operanti in tutti i restanti settori merceologici; per altro la parte più rilevante dell'esperienza professionale del V. concerneva il settore dell'abbigliamento.
L'estensione territoriale del vincolo non poteva ritenersi eccessivamente ampia, se considerata in relazione all'oggetto, avendo le parti concordemente affermato che la Technogym è una delle aziende leader del settore a livello internazionale e non potendosi disconoscere che l'esigenza di reprimere atti di concorrenza sleale da parte delle aziende concorrenti italiane ed europee costituisca un interesse vitale per l'impresa soprattutto nell'epoca della globalizzazione dei mercati.
Quanto alla congruità del corrispettivo, il Tribunale riteneva che un compenso di lire 2.600.000 annuali non fosse caratterizzato da un'evidente iniquità, dato che la pattuizione non impediva al V. di esplicare le proprie attitudini professionali in qualsiasi settore economico ad eccezione di quello del fitness, e segnatamente nel campo dell'abbigliamento in cui aveva maturato le esperienze più significative. Il compenso non risultava sproporzionato neanche da un punto di vista oggettivo, se raffrontato alla retribuzione dell'appellante, pari a lire 2.000.000 per tredici mensilità.
Il Tribunale confermava anche la statuizione di primo grado circa la violazione in concreto del patto, risultando provata per tabulas, tramite la produzione dell'atto costitutivo dell'Actionfit srl, dal quale risulta la costituzione - in data 22 dicembre 1944 da parte del V., sottoscrittore di una quota di capitale sociale del valore di lire 19.800.000, e di Marco Boschi, sottoscrittore di una quota di lire 200.000 - di una società, denominata appunto Actionfit, avente ad oggetto "la produzione, la lavorazione, la commercializzazione in Italia e all'estero, anche previa importazione, il commercio al minuto anche porta a porta, a domicilio, per corrispondenza, a mezzo televisioni, il commercio all'ingrosso di prodotti ed accessori per la ginnastica, lo sport e il settore riabilitativo". Il V. aveva ammesso di essersi direttamente occupato del settore commerciale della società Actionfit almeno fino all'ottobre 1995 ed era priva di rilievo la sua affermazione (non compiutamente dimostrata) secondo cui da tale data avrebbe cessato di seguire tale settore, lasciando l'incombenza al fratello. Infatti, il divieto, mirando ad evitare il passaggio ai concorrenti di informazioni sul processo produttivo e sulla rete commerciale, intendeva impedire lo svolgimento di qualsiasi attività per conto delle imprese concorrenti e non poteva considerarsi limitato alle sole attività di commercializzazione dei prodotti. Non assumeva rilievo l'asserita differenza dimensionale tra le due imprese, che renderebbe impossibile un'effettiva situazione di concorrenza, trattandosi di affermazione, oltre che discutibile sotto il profilo teorico, assolutamente generica e priva di qualsivoglia riscontro probatorio.
Il Tribunale rigettava anche il motivo di appello riguardante le spese, non essendo stata accolta in primo grado alcuna delle domande prospettate dall'appellante e risultando conseguentemente la condanna alle spese di lite corretta applicazione del principio della soccombenza.
Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione il V., con tre motivi; resiste la Technogym con controricorso, mentre l'intimata Actionfit srl, nei cui confronti non sono state assunte conclusioni, non si è costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo - denunziando nullità della sentenza per errata e illegittima interpretazione ed applicazione dell'articolo 2125 c.c., nonché per motivazione insufficiente e contraddittoria - il ricorrente, dopo aver premesso che le disposizioni dell'articolo 2125 c.c. dovrebbero essere interpretate alla luce della generale tutela del lavoratore subordinato rispetto al potere economico dell'impresa, lamenta che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto valido il patto di non concorrenza in questione, che, invece, doveva ritenersi nullo per mancanza di adeguato corrispettivo e per eccessiva estensione di oggetto di tempo e di luogo, assumendo tra l'altro che il limite territoriale dovrebbe essere verificato congiuntamente a quello di oggetto: una medesima estensione territoriale può essere illegittima o meno, secondo che si combini con una limitazione d'attività più o meno penetrante.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'accertamento del mancato rispetto, da parte sua, del patto di non concorrenza, in particolare essendosi sostanzialmente omesso di motivare circa il divario dimensionale tra le due imprese, dedotto nell'atto di impugnazione, e sulle circostanze che l'Actionfit operava oltreché nel fitness nel comparto sport e sanitari e che né il V. né la predetta società avevano mai intrattenuto rapporti con il mercato di lingua tedesca di cui il primo si occupava in Technogym.
Le prime due censure, che possono essere trattate congiuntamente, data la loro intima connessione, si rivelano prive di pregio.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, che in questa sede va ribadita, in quanto se ne condividono le argomentazioni, il patto di non concorrenza, previsto dall'articolo 2125 c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso è, perciò, nullo allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. Il giudice di merito deve, quindi, procedere a tale accertamento - da compiersi in relazione alla concreta personalità professionale dell'obbligato - e non può ritenere nullo il patto stesso per il solo fatto di non avere circoscritto l'obbligo di astensione del lavoratore alle attività esercitate presso il datore di lavoro (Cassazione 10062/94; 1027/66).
Siffatti principi sono stati applicati dalla impugnata sentenza, che ha, in primo luogo, proceduto alla ricognizione del patto di non concorrenza, stipulato il 5 aprile 1993, rilevando che con tale accordo il V. si era obbligato nei confronti della Technogym a non fornire la sua opera, sia in qualità di lavoratore subordinato, sia in veste di lavoratore autonomo, per tre anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, in favore di aziende che producono e/o commercializzano articoli per il fitness, la preparazione atletica, la medicina dello sport, la riabilitazione, ecc., in concorrenza con la Technogym e ciò in territorio italiano ed europeo, verso un corrispettivo di lire 200.000 mensili per tredici mensilità.
Quindi il Tribunale - ai fini dell'indagine diretta a verificare se, in concreto, era risultata compromessa la capacità professionale acquisita dal lavoratore attraverso le precedenti esperienze operative e la correlativa capacità di procurarsi un reddito adeguato - ha accertato, confermando sul punto la decisione pretorile, che, nel caso in esame, la capacità professionale specifica del V., acquisita mediante le esperienze lavorative, non doveva essere posta in relazione alla sola esperienza maturata nel settore operativo della società odierna resistente, ma andava individuata, in conformità alla formazione del soggetto, nell'esperienza accumulata quale addetto o responsabile degli uffici commerciali di diverse aziende, per lo più nel settore dell'abbigliamento, con mansioni di promozione e strategia delle vendite, analisi dei prodotti, sviluppo di nuovi mercati nazionali ed esteri. Rilevavano i giudici di appello che trattasi di un bagaglio professionale non collegato ad un particolare settore merceologico ed è tendenzialmente utilizzabile da qualsiasi azienda, come le esperienze del soggetto dimostravano, ad eccezione delle imprese produttrici di beni a contenuto tecnologico particolarmente complesso, che richiedono specifiche conoscenze anche nella fase di commercializzazione.
Il patto di non concorrenza era stato quindi validamente stipulato poiché non avrebbe impedito al V. di svolgere, alla cessazione del rapporto di lavoro, un'attività di pari livello, utilizzando tutte le esperienze e la professionalità precedentemente maturate, non risultando compromessa in maniera eccessivamente gravosa la futura possibilità occupazionale del soggetto, che avrebbe potuto svolgere la sua attività in tutti i restanti settori merceologici non contemplati dal patto. Anche l'elemento territoriale del divieto, pur ampio, è stato correttamente rapportato dai giudici di merito alla concorde affermazione delle parti circa il livello della Technogym, azienda leader del settore a livello internazionale ed alla notoria esigenza, per un'impresa di tale livello, di evitare distorsioni nella concorrenza in un mercato internazionale sempre più globale.
Inoltre, l'elemento territoriale è stato ritenuto non eccessivamente ampio proprio se rapportato alle attività oggetto del patto, potendo, appunto, l'interessato dispiegare il proprio bagaglio professionale in Italia e in Europa in tutti i settori merceologici non coperti dal patto.
È, quindi, destituita di ogni fondamento la parte della prima censura con cui si lamenta che la valutazione del limite territoriale sarebbe stata compiuta non in rapporto al limite oggettivo. Allo stesso modo, si rivela priva di pregio la censura relativa all'elemento temporale, enunciata nel motivo di ricorso, ma sprovvista di qualsiasi argomentazione a supporto, e rispetto alla quale i giudici di merito avevano comunque osservato che la durata rientrava nei limiti di legge.
Il patto in oggetto aveva soddisfatto in definitiva gli interessi delle parti vincolando, da un lato, soltanto per un periodo di tempo limitato - corrispondente, comunque, al limite temporale massimo previsto dall'articolo 2125 c.c. - e sia pure su tutto il territorio europeo, l'opera del V. per impedirgli lo sconfinamento in un settore merceologico identico a quello di immediata provenienza con utilizzazione dolosa delle notizie acquisite sui clienti e rappresentanti, e, dall'altro, ben potendo l'ex dipendente spendere il suo patrimonio professionale alle dipendenze di terzi, in tutti gli altri settori merceologici non compresi nel divieto.
Il giudice d'appello ha infine ritenuto congruo, in esito al patto di non concorrenza, il compenso di lire 200.000 mensili, per 13 mensilità, tenuto conto della entità della retribuzione mensile pari a lire 2.000.000, della misura del sacrifico richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno (Cassazione 4891/98).
Inoltre, diversamente da quanto sostenuto nel secondo motivo e come si evince dalla premessa in fatto della presente sentenza, il Tribunale, nel ritenere provata in concreto la violazione del patto ha preso in considerazione gli aspetti indicati dal V., e in parte li ha ritenuti anche non pertinenti, come è avvenuto per il "discutibile", sotto il profilo teorico, rapporto dimensionale tra le due imprese.
Trattasi - come nel caso dei requisiti legali del patto in questione, sopra passati in rassegna - di valutazioni di fatto, congruamente motivate ed esenti da errori sotto il profilo logico-giuridico, come tali incensurabili in sede di legittimità, relativamente alle quali le censure proposte sollecitano un inammissibile riesame delle risultanze processuali.
Con il terzo motivo, denunziando nullità della sentenza per omessa e contraddittoria motivazione sull'integrale condanna del V. alle spese legali, il ricorrente lamenta che i giudici di merito non avrebbero correttamente applicato il principio della soccombenza pur richiamandolo, non avendo tenuto conto che, in primo grado, il Pretore aveva ridotto del 90% il risarcimento del danno da penale richiesto dalla Technogym.
La censura, impropriamente rubricata sotto il profilo della nullità della sentenza, si rivela, comunque, priva di pregio. Come noto, nelle ipotesi di soccombenza reciproca - tra le quali il ricorrente prospetta che avrebbe dovuto annoverarsi il caso di specie, posta la notevole riduzione in sede giudiziale dell'importo della penale contrattualmente stabilita - esula dal sindacato esercitabile da questa Corte e rientra, invece, nel potere del giudice del merito, la valutazione dell'opportunità di disporre o meno la compensazione, con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si contesti il provvedimento del giudice che abbia posto l'onere delle spese a carico totale della parte pur non totalmente soccombente (Cassazione 9840/96).
Il ricorso deve perciò essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate, tra il V. e la Technogym, le spese del presente giudizio. Nulla per le spese, invece, nei confronti della Actionfit, non essendosi questa società costituita nel presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio nei confronti della Technogym. Nulla per le spese nei confronti dell'Actionfit.