Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 17 novembre 2003, n. 17404
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 140/2000, il Tribunale di Brindisi ha respinto l'appello dell'Inps e confermato la sentenza del Pretore del lavoro della stessa città, che, accogliendo la domanda di M. Vittorio, aveva ritenuto irripetibile la somma di lire 13.827.801, erroneamente pagata a quest'ultimo dall'Istituto a titolo di trattamento straordinario di integrazione salariale, e dichiarato nullo il relativo provvedimento adottato dallo stesso Istituto per la restituzione.
I giudici di merito hanno osservato che la ripetibilità della somma indicata era esclusa, ai sensi dell'art. 2036 c.c., dalla inescusabilità dell'errore in cui era incorso l'Istituto, il quale, a fronte della incompleta comunicazione dell'azienda datrice di lavoro relativa ai nominativi dei beneficiari del trattamento predetto, tra i quali quello del M. era stato inserito senza indicazione della data di assunzione, avrebbe dovuto immediatamente richiedere all'azienda l'integrazione della comunicazione onde verificare l'antecedenza o meno dell'assunzione di tale lavoratore rispetto a quella rilevante ai fini della spettanza del beneficio.
Per la cassazione di tale sentenza l'Istituto ricorre con un unico motivo di impugnazione.
L'intimato resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, il Collegio rileva che la notificazione (in data 30 ottobre 2000) della sentenza impugnata, in quanto eseguita presso la parte personalmente e non presso il procuratore costituito, non è idonea a far decorrere il temine breve di cui all'art. 325 c.p.c., sicché il ricorso proposto dall'Inps (con notifica in data 13 agosto 2001) risulta tempestivo in relazione al termine di decadenza, prescritto dall'art. 327 c.p.c., di un anno dalla data di deposito della sentenza (7 settembre 2000).
Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2036 c.c., nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia, l'Istituto lamenta che i giudici di merito, pur qualificando il debito per integrazione salariale come autonomo dal rapporto lavorativo e quindi proprio dell'ente previdenziale, abbiano erroneamente - e malgrado le relative deduzioni contenute nell'atto di appello ‑ applicato la disciplina dell'indebito soggettivo, di cui all'art. 2036 c.c., che richiede per la ripetizione la scusabilità dell'errore; rileva, in via subordinata, che erroneamente gli stessi giudici hanno escluso la scusabilità dell'errore, senza tenere conto della complessità della procedura di liquidazione del trattamento in questione, che, nella specie, aveva interessato un consistente numero di lavoratori.
Il motivo è fondato, in relazione alla censura dedotta in via principale.
Deve premettersi che la questione della erronea qualificazione dell'indebito non può dirsi sollevata dall'Inps per la prima volta in questa sede, così come dedotto dal controricorrente, poiché il ricorso in appello dell'Istituto, il cui diretto esame è qui consentito a tali limitati fini, contiene espresse deduzioni, puntualmente riferite nel ricorso per cassazione in osservanza al principio di autosufficienza, circa la diretta riferibilità della prestazione all'ente previdenziale e non al datore di lavoro (il che vale ad escludere la "altruità" del debito) e circa l'obiettiva insussistenza del credito del M., incluso negli elenchi dei beneficiari della prestazione "pur non avendone diritto".
Nel merito della stessa questione, osserva la Corte che dall'accertamento compiuto nei precedenti gradi di giudizio è emerso pacificamente che il M. non poteva vantare alcun credito a titolo di integrazione salariale: tale situazione di fatto, non contestata fra le parti, configura evidentemente l'ipotesi della mancanza di una originaria causa giustificativa del pagamento, che è ascrivibile alla fattispecie legale dell'indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), non potendosi ravvisare, invece, gli elementi tipici dell'indebito soggettivo (art. 2036 c.c.), che ricorre nella diversa ipotesi in cui taluno paghi un debito altrui credendosi debitore in base ad errore scusabile; di conseguenza, il diritto dell'Inps alla ripetizione di quanto indebitamente pagato doveva prescindere, in base alla disciplina dettata dall'art. 2033 cit., dall'accertamento della scusabilità o meno dell'errore che aveva dato luogo all'erronea corresponsione della prestazione previdenziale.
I giudici di merito, pertanto, avendo applicato la disciplina dell'indebito soggettivo alla concreta fattispecie come sopra accertata, sono incorsi nel denunciato vizio di falsa applicazione di una norma di diritto, sotto il profilo della erronea sussunzione del fatto in uno schema legale improprio.
Il ricorso va dunque accolto in relazione alla principale censura proposta dall'Istituto ricorrente (mentre resta evidentemente assorbita la censura subordinata relativa alla scusabilità dell'errore), imponendosi perciò la cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, primo comma, c.p.c., con il rigetto della domanda proposta dal M. con l'atto introduttivo, intesa all'accertamento della non ripetibilità della somma erroneamente corrisposta e alla conseguente declaratoria di nullità del relativo provvedimento dell'Istituto.
Nulla per le spese dell'intero processo, in applicazione dell'art. 152 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di M. Vittorio. Nulla per le spese dell'intero processo.