Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 11 dicembre 2003, n. 18980
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La signora Katryn B. convenne in giudizio l'Inail dinanzi al Pretore di Teramo per sentir dichiarare il proprio diritto alla costituzione di una rendita per inabilità permanente in relazione all'infortunio occorsole in data 4 marzo 1996, quando uscita dalla propria abitazione per recarsi, in automobile, alla filiale di Giulianova della Banca Popolare dell'Adriatico, dove attendeva alle mansioni di cassiera, con obbligo di custodia delle chiavi per l'apertura della cassaforte collegata allo sportello automatico Bancomat, essendosi accorta di aver dimenticato le chiavi di tale cassaforte, nel far ritorno alla propria abitazione per prenderle, era rimasta coinvolta in un incidente stradale riportando gravi lesioni personali.
Nella resistenza dell'Inail il Pretore ha rigettato la domanda, senza ammettere le prove richieste dalla ricorrente, con sentenza confermata in appello dal Tribunale di Teramo, il quale ha ritenuto che nella specie non fosse ravvisabile un infortunio in itinere, perché a tal fine sarebbe stato necessario che il rischio generico derivante dalla circolazione dei veicoli fosse stato aggravato da elementi particolari ed aggiuntivi, non essendo sufficiente l'assenza di rischio elettivo.
Kathryn B. chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di due motivi.
L'Inail resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 del d.P.R. 1124/65, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver inesattamente negato che ai fini della riconoscibilità della tutela assicurativa per il caso di infortunio "in itinere" non sia sufficiente l'assenza di rischio elettivo, ignorando del tutto l'attuale assetto della materia come delineato nella giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 421 c.p.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver erroneamente negato ingresso, in forza della inesatta interpretazione denunziata con il primo motivo, alle prove articolate e di non aver comunque considerato gli elementi indiziari emergenti riguardo alle modalità dell'infortunio, in sede di interrogatorio libero delle parti, alla luce dei poteri istruttori conferiti dall'art. 421 c.p.c., i quali consentono nel rito del lavoro di prescindere da una applicazione meccanica delle regole sull'onere della prova.
Il primo motivo è fondato.
L'assicurata, secondo quanto da essa allegato in fatto, quale dipendente di un istituto di credito con mansioni di cassiera, deteneva, per ragioni di lavoro, le chiavi della cassaforte Bancomat, ed aveva l'obbligo di portarle con sé nel luogo di lavoro, per provvedere all'apertura dello sportello automatico. Il giorno 4 marzo 1996, uscita da casa per raggiungere in automobile il luogo di lavoro ed accortasi di avere dimenticato le chiavi del Bancomat, ha invertito il senso di marcia della vettura per ritornare al proprio domicilio e prendere le chiavi, ed ha subito un incidente riportando gravi lesioni.
L'assicurata, secondo quanto si legge nella sentenza del Tribunale, ha chiesto, in primo grado, di provare che il ritorno fosse determinato dalla necessità di recuperare le chiavi ma la prova è stata ritenuta tardiva e irrilevante dal Pretore. Il Tribunale, a sua volta, ricostruite come sopra le modalità dell'incidente, ha affermato, come si è gia detto, che non ricorrevano le condizioni per configurare un infortunio "in itinere".
Secondo l'attuale giurisprudenza di questa Corte, con riferimento all'infortunio "in itinere" il requisito della "occasione di lavoro", implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso ed essendo il limite della copertura assicurativa costituito esclusivamente dal rischio elettivo, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento: quindi se l'utilizzo della pubblica strada è imposto dalla necessità di raggiungere il posto di lavoro, si configura un rapporto finalistico o strumentale all'attività di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione, luogo di lavoro, e viceversa) e l'attività di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per sé è sufficiente ad integrare quel "quid pluris" richiesto per la indennizzabilità dell'infortunio "in itinere" (Cassazione 7222/2002, la quale in base a tale principio ha cassato la sentenza che aveva escluso l'indennizzabilità dell'infortunio occorso ad una lavoratrice che, tornando alla propria abitazione al termine della giornata lavorativa, nell'attraversare la strada sull'apposito passaggio pedonale, era stata investita da un'automobile).
Appartiene al medesimo ordine concettuale l'affermazione di questa Corte, secondo cui l'occasione di lavoro, la quale, a norma dell'art. 2 del d.P.R. 1124/1965, condiziona l'indennizzabilità dell'infortunio sul lavoro è ravvisabile, non solo delle ipotesi di rischio specifico proprio della prestazione di lavoro, ma anche quando si concretizza in un rischio cosiddetto improprio, che cioè, seppur non intrinsecamente connesso con lo svolgimento tipico del lavoro svolto dal dipendente, sia comunque insito in un'attività prodromica o strumentale allo svolgimento delle mansioni, attività alla quale va ricondotto il caso dell'infortunio in itinere (Cassazione 6894/2002; analogamente Cassazione 6511/2002).
Vale anche ricordare, infine, che nella occasione di lavoro, di cui al menzionato art. 2 del d.P.R. 1124/1965, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerente all'ambiente, le macchine e alle persone, sia dei colleghi sia dei terzi ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive storiche della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo (Cassazione 5841/2002)
Dalla ricostruzione in fatto compiuta in base alle allegazioni dell'assicurata emerge la sussistenza di un obbligo della B., connesso con le sue mansioni, per il cui assolvimento erano indispensabili le chiavi della cassaforte. L'interruzione del viaggio verso il luogo di lavoro per rientrare a casa e munirsi delle chiavi non è quindi stato determinato, sempre assumendo quale base la detta ricostruzione, da ragioni o impulsi personali della lavoratrice, ma al contrario da una necessità conseguente ad obblighi legati alla prestazione dovuta. D'altra parte, non ha alcun rilievo in senso contrario la circostanza che il viaggio di ritorno sia stato determinato da una dimenticanza della dipendente, essendo noto che la colpa esclusiva del lavoratore non osta all'operatività dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, neppure nel caso di infortunio "in itinere", salvo, in tale ipotesi, il limite del "rischio elettivo", inteso quale scelta di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario da parte del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività, secondo l'apprezzamento del fatto al riguardo compiuto dal giudice di merito.(Cassazione 15312/2001). È del resto da considerare che, se il viaggio nel corso del quale la lavoratrice ebbe a subire l'incidente fosse stato affrontato da essa dopo avere raggiunto la sede di lavoro dietro esplicita richiesta del datore di lavoro motivata dalla necessità di aprire lo sportello automatico, non si sarebbe potuto dubitare dello (stretto) nesso di occasionalità con la prestazione lavorativa. Ma di un tale intenso collegamento con quest'ultima non può dubitarsi neppure nel caso in esame, se solo si consideri che, tentando di rientrare nella propria abitazione, la lavoratrice ha posto in essere una condotta finalizzata alla puntuale esecuzione della prestazione dovuta, e del tutto analoga a quella che comunque avrebbe potuto esserle richiesta successivamente dal datore di lavoro e che essa, secondo correttezza (art. 1175 c.c.), non avrebbe potuto rifiutare.
Il secondo motivo deve considerarsi assorbito.
Per ciò che emerge dalla sentenza impugnata il giudice d'appello non ha preso posizione sul problema se le allegazioni in fatto della B. corrispondessero o no al vero, ma ha ragionato sul presupposto della loro irrilevanza, e quindi muovendo dalla idea che se anche veri quei fatti non fossero sussumibili nella fattispecie invocata dalla lavoratrice.
Ciò implica che gli accertamenti di fatto devono in realtà esser compiuti, ovviamente in base alle regole proprie del rito del lavoro, vale a dire tanto a quelle che impongono la tempestiva articolazione delle prove quanto a quelle che rendono doverosi gli accertamenti d'ufficio in presenza di significativi dati di indagine, prescindendo dalla stretta applicazione del principio dell'onere della prova.
In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza deve esser cassata, con rinvio ad altro giudice di appello, il quale, decidendo anche sulle spese, riesaminerà la causa alla luce dei principi in materia di infortunio in itinere, indicati in precedenza, e provvederà quindi, nei termini appena precisati, alla necessaria istruttoria.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello dell'Aquila.