Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 13 gennaio 2004, n. 40
FATTO
Con sentenza n. 95 del 12 marzo 1996 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Quinta, ha rigettato, previa riunione, i ricorsi con i quali M. Maria e F. Giuseppe, dipendenti del Comune di Caivano, impugnavano i provvedimenti che li inquadravano, rispettivamente, nella II e III qualifica funzionale, assumendo di dover essere inquadrati nella IV qualifica, ex d.P.R. n. 347/1995. Con la medesima decisione il T.A.R. negava altresì il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori perché la relativa domanda era stata introdotta non con il ricorso ma con memoria.
Avverso la predetta sentenza proponevano rituale appello M. Maria e F. Giuseppe.
Non si è costituito il Comune di Caivano.
Alla pubblica udienza del 28.10.2003 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
L'appello è infondato.
I ricorrenti lamentano l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, in relazione al riconoscimento del trattamento economico per le mansioni superiori espletate, ha statuito che "esula dal thema decidendum degli atti introduttivi dei presenti giudizi ogni domanda di differenze retributive, contrariamente a quanto la memoria di parte presuppone". Deducono, in particolare, gli odierni appellanti la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonché l'eccesso di potere per difetto di motivazione, falsità di presupposti, e carente istruttoria, asserendo che con la richiesta di inquadramento non può che indicarsi sia quello giuridico che quello economico, e che la domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale ma soprattutto nel suo contenuto sostanziale, alla luce di quanto può essere implicitamente desunto dalle deduzioni o dalle richieste delle parti.
La censura non merita accoglimento.
Nel ricorso introduttivo di primo grado le parti, infatti, si sono limitate a chiedere l'inquadramento nella IV qualifica funzionale. Solo successivamente, con memoria, hanno fatto riferimento alla pretesa ad ottenere il trattamento economico per le superiori mansioni espletate, esulando dal thema decidendum già individuato in base a quanto espressamente dedotto.
La giurisprudenza di questa Sezione ha già rilevato, in proposito, che gli artt. 183 e 184 c.p.c. pongono il principio, valido anche nel giudizio amministrativo, del divieto di mutare la domanda e di ampliare l'oggetto del giudizio. Al riguardo, si distingue, più specificamente, tra mutazione consentita della domanda, cosiddetta emendatio libelli, che ricorre ogni volta che non si prospettano nuovi elementi di mutazione del fatto costitutivo del diritto, non aggiungendosi o sostituendosi al diritto controverso, come specificato nella domanda introduttiva, un diverso petitum, e modificazione non consentita, cosiddetta mutatio libelli, con cui si introduce nel processo un nuovo e diverso fatto giuridico, considerato quale presupposto oggettivo cui l'ordinamento attribuisce determinati effetti, in guisa da mutare il thema decidendum originario. Ne deriva che la memoria con la quale si modifica la domanda principale, inserendovi una pretesa giuridica non coincidente con l'oggetto del giudizio originariamente delineato, configura una inammissibile mutatio libelli, conseguendo dalla stessa non un semplice mutamento della causa petendi, ma un non consentito ampliamento del thema decidendum, sul piano oggettivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 marzo 1992, n. 1186).
Pertanto, nessuna violazione del principio previsto dall'art. 112 c.p.c. si rinviene nella pronuncia di primo grado, giacché il T.A.R. ha, anzi, rispettato fedelmente tale disposizione, applicabile anche nel processo amministrativo, che implica il divieto per il giudice di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda introdotta con il ricorso originario.
In base alle superiori considerazioni non c'è spazio per ulteriore trattazione e il ricorso in appello va pertanto rigettato.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l'appello in epigrafe.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.