Consiglio di Stato
Adunanza plenaria
Sentenza 24 marzo 2004, n. 7

FATTO E DIRITTO

1. Il dottor Alessandro C., dipendente dell'Azienda Unità Sanitaria Locale (U.S.L.) di Teramo con la qualifica di dirigente medico di primo livello, in servizio presso il reparto di cardiologia dell'ospedale civile di Teramo, con ricorso al tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo, sede di L'Aquila - notificato il 7 dicembre 1995 alla detta Azienda, al dirigente di secondo livello (ex primario) del reparto di cardiologia dottor Fabrizio I. e a un altro medico del reparto dottor Cosimo N. - impugnava il provvedimento (pubblicato il 1 dicembre 1995) con il quale il primario, relativamente al personale medico del detto reparto, aveva stabilito l'orario di servizio per il mese di dicembre 1995 e per la prima settimana del gennaio 1986. Lo stesso deduceva l'illegittimità per violazione delle disposizioni normative relative all'orario di servizio dei dipendenti ospedalieri e dei dipendenti delle U.S.L., nonché per disparità di trattamento, illogicità e mancanza di motivazione.

Il ricorrente lamentava, tra l'altro, il superamento della durata massima dell'orario di lavoro, il maggior carico di turni festivi e prefestivi ai medici meno anziani rispetto ai più anziani, l'esenzione di alcuni medici dai turni pomeridiani e notturni, nonché la violazione del principio di rotazione delle mansioni in relazione al servizio di elettrofisiologia, di fatto riservato in via esclusiva al dottor Giancarlo S.

2. Il primo giudice, dopo avere ordinato l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri medici del reparto, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo infondata l'eccezione con la quale la detta Azienda aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva e fondate le censure denunciate. Ha poi condannato l'amministrazione al pagamento delle spese di giudizio.

3. La sentenza viene appellata dall'Azienda U.S.L. di Teramo per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 ed error in judicando, poiché il ricorso si sarebbe dovuto dichiarare radicalmente nullo per non essere stato originariamente notificato a nessun controinteressato, da identificare nei sanitari impegnati nel detto reparto. Il primo giudice, inoltre, avrebbe ordinato l'integrazione del contraddittorio dopo avere disposto, in sede cautelare, la sospensione del provvedimento impugnato; non consentendo così ai controinteressati di interferire e replicare nella sede cautelare;

2) violazione dei d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e 3 febbraio 1993, n. 29 ed eccesso di potere, omessa valutazione delle risultanze processuali, nonché error in judicando ed error in procedendo, in quanto:

2.1) l'Azienda appellante non avrebbe avuto la legittimazione passiva in primo grado, dato che la fissazione dell'orario di servizio compete al primario preposto al servizio, il quale ha emesso il provvedimento impugnato;

2.2) il primo giudice non avrebbe tenuto conto delle controdeduzioni svolte da alcuni dei controinteressati chiamati in causa;

2.3) il primo giudice non avrebbe valutato che la direzione sanitaria dell'ospedale civile di Teramo, per il reparto in questione ed a seguito dell'intervenuta pronuncia cautelare, avrebbe stabilito un nuovo orario di servizio mensile.

Il dottor C. si è costituito in giudizio, eccependo, preliminarmente, l'inammissibilità dell'appello siccome notificato solo a lui e non anche a tutti gli altri medici chiamati in giudizio in primo grado. Nel merito ha chiesto la reiezione del gravame a causa dell'infondatezza delle censure dedotte.

L'appellato ha prodotto memoria con la quale ha ulteriormente illustrato le proprie difese.

La sezione quinta, con ordinanza 9 ottobre 2003, n. 6048, ha rimesso la causa all'esame dell'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali sulla questione inerente l'ammissibilità dell'integrazione del contraddittorio in appello.

L'appellato ha depositato una seconda memoria, con la quale ha insistito per l'inammissibilità dell'appello e comunque per la sua reiezione nel merito.

4. Il ricorso di primo grado, diversamente di quanto afferma l'amministrazione appellante nel primo motivo di gravame, è stato notificato all'Azienda U.S.L., al dirigente di secondo livello (ex primario) dottor I. e a un altro medico del reparto, dottor N.; e poi, in seguito all'ordine di integrazione del contraddittorio, agli altri otto medici che figurano nell'epigrafe della sentenza impugnata.

Viceversa, l'appello è stato notificato solo al dottor C. e non anche alle altre parti del giudizio di primo grado. Così che il dottor C. ha eccepito l'inammissibilità del gravame, sostenendo, con richiamo all'ordinanza della sezione quinta 9 dicembre 1996, n. 1496, che in grado di appello non sarebbe applicabile l'istituto dell'integrazione del contraddittorio.

La sezione quinta, con l'ordinanza n. 1496/1996, aveva rimesso all'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato la questione dell'ammissibilità dell'integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello; ma l'adunanza plenaria, con decisione 3 luglio 1997, n. 11, aveva riconosciuto l'errore scusabile e rimesso in termini l'appellante per notificare nuovamente l'appello alle altre parti. Non venne esaminata, quindi, la questione, divenuta irrilevante, dell'integrazione del contraddittorio.

La sezione quinta, con l'ordinanza n. 6048/2003, ha rimesso nuovamente la questione all'adunanza plenaria.

La sezione premette che, ai sensi dell'art. 21, comma 1, della l. n. 1034/1971, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, il ricorrente ha l'onere di notificare il ricorso, nel termine, all'organo che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati, "salvo l'obbligo di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale".

La sezione aggiunge che il Consiglio di Stato, divenuto giudice amministrativo di appello contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali, ha continuato ad applicare l'integrazione del contraddittorio al giudizio di appello. Su tale applicabilità si è pronunciata l'adunanza plenaria con le decisioni 14 novembre 1980, n. 50 e 28 ottobre 1980, n. 39. Nelle quali, ad avviso della sezione quinta, la questione esaminata non è stata l'applicabilità, in sé considerata, dell'istituto dell'integrazione del contraddittorio al giudizio di appello, quanto invece se in tale giudizio possa farsi differenza, ai fini delle notifiche necessarie per incardinare il giudizio, tra amministrazione emanante e controinteressati; e si è concluso che nel giudizio di appello tutte le parti processuali sono in posizioni equivalenti, bastando che l'appello sia notificato ad una di esse, quale che fosse la sua posizione processuale in primo grado.

Ciò premesso, la sezione quinta dubita che l'integrazione del contraddittorio, prevista dalla legge per il giudizio amministrativo di primo grado, possa applicarsi al giudizio di appello. Osserva che la regola dell'integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati risponde all'esigenza di esonerare il ricorrente dall'individuazione, che potrebbe essere difficoltosa e opinabile, di tutti i soggetti che hanno tale qualifica, e che non è dubbio che le disposizioni processuali le quali prevedono tale integrazione si riferiscono al giudizio di primo (o unico) grado. Ma in appello, secondo la sezione, nessuna norma prevede l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati, e i soggetti, cui l'appello deve essere notificato, sono tutti e solo coloro che sono stati parti nel giudizio di primo grado; sicché la loro individuazione non pone alcuna difficoltà.

La sezione quinta ritiene che l'identità di posizione processuale delle parti del giudizio di appello, riconosciuta dalle citate decisioni dell'adunanza plenaria, impedisca che l'integrazione del contraddittorio in appello sia riconducibile all'integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati, di cui all'art. 21, comma 1, della l. n. 1034/1971. Osserva poi che non sembra che possa farsi riferimento, nel giudizio amministrativo, all'istituto dell'integrazione del contraddittorio in causa inscindibile, previsto, per il giudizio di impugnazione, dall'art. 331 del codice di procedura civile (c.p.c.), in quanto nel giudizio civile la causa è identificata, oltre che dall'oggetto, dal soggetto che propone la domanda o contro cui la domanda è proposta; sicché una pluralità di parti dà origine a una pluralità di cause, le quali possono, di regola, essere scisse in grado di impugnazione, quando la sentenza venga impugnata solo da taluna o nei confronti di taluna delle parti del giudizio di primo grado o dei giudizi riuniti in primo grado. Ma tali situazioni non si verificano nel giudizio amministrativo, nel quale la causa è identificata dall'atto amministrativo, e la pluralità di controinteressati non dà origine a nessuna pluralità di cause; e nel quale un giudizio di appello non è validamente instaurato se non contro tutti i soggetti che furono parti del giudizio di primo grado. Sicché non sembra esserci ragione per non esigere che l'atto di appello sia loro notificato nei termini.

La sezione quinta ha quindi rimesso la causa all'esame dell'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali sulla questione dell'ammissibilità dell'integrazione del contraddittorio in appello.

5.1. L'adunanza plenaria ritiene, in primo luogo, che la possibilità della successiva integrazione del contraddittorio, prevista nei confronti degli altri soggetti controinteressati dall'art. 21, comma 1, della l. n. 1034/1971 - come già disposto dagli artt. 7, 15 e 16 del regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, approvato con r.d. 17 agosto 1907, n. 642, e dall'art. 36, comma 2, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 - si applichi soltanto al giudizio di primo grado e non si riferisca a quello di appello; nel quale nessuna norma prevede la successiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati, limitandosi, l'art. 28, comma 2, della l. n. 1034/1971, a prevedere che, contro le sentenze dei tribunali amministrativi, "è ammesso, altresì, ricorso al Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, da proporre nel termine di giorni sessanta dalla ricevuta notificazione...".

Quanto prescritto dall'art. 29, comma 1, della l. n. 1034/1971, secondo cui "al giudizio di appello si applicano le norme che regolano il processo innanzi al Consiglio di Stato", non consente l'estensione a quel giudizio delle citate disposizioni dei r.d. nn. 642/1907 e 1054/1924; dato che i soggetti controinteressati, essendo identificati sulla base del provvedimento impugnato, sono configurabili nel ricorso al Consiglio di Stato quale giudice di unica istanza ma non nel giudizio di appello, il quale ha ad oggetto la sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale.

L'adunanza plenaria, invece, non conviene con l'ulteriore assunto della sezione quinta, secondo cui il giudizio di appello non sarebbe validamente instaurato se non contro tutti i soggetti che furono parti del giudizio di primo grado e l'atto di appello dovrebbe essere loro notificato nei termini.

Il giudizio di appello, pur avendo lo stesso oggetto del giudizio di primo grado, ossia la legittimità del medesimo provvedimento amministrativo impugnato e la tutela dello stesso rapporto sostanziale, si svolge sulla valutazione che di esso ha effettuato la sentenza. L'appello ha ad oggetto la sentenza del primo giudice e comporta l'identica e paritaria posizione processuale di tutte le parti nei cui confronti essa è stata pronunciata.

L'atto introduttivo del giudizio di appello, quindi, non si trova più dinanzi a parti sostanziali differenziate nelle rispettive posizioni, bensì si pone nei riguardi di parti processuali in identiche posizioni; la cui evocazione viene effettuata, non per instaurare un nuovo contraddittorio, ma per riprendere, innanzi al giudice di appello, quello già instaurato nella precedente fase.

Come già statuito da questa adunanza plenaria con le citate decisioni nn. 50/1980 e 39/1980, è sufficiente la notificazione dell'appello ad una sola delle parti necessarie del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 331 del c.p.c.; il quale (inserito nel capo riguardante le norme sulle impugnazioni in generale), in caso di sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile (o in cause tra loro dipendenti) e non impugnata nei confronti di tutte, dispone, al comma 1, che il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta.

La disciplina di cui all'art. 331 del c.p.c., ispirata all'esigenza che il giudizio di impugnazione avverso la sentenza resa tra più parti si svolga e venga definito utilmente nei confronti di tutte le parti (Cass., sez. II, 11 febbraio 1987, n. 1487) e allo scopo di agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale, è espressione di un principio valevole per tutti i procedimenti di natura giurisdizionale in difetto di norme speciali contrastanti (Cass., sez. III, 19 luglio 2002, n. 10578). La norma, quindi, può applicarsi anche al processo amministrativo, indipendentemente dalle indubbie differenze di questo con il giudizio civile; in mancanza, tra l'altro, della previsione di una preclusione in tal senso, da parte di una disposizione espressa o di un principio enucleabile dal relativo sistema normativo.

È quindi sufficiente la notificazione nei termini dell'appello ad una sola delle parti necessarie del giudizio di primo grado, facendo salva la successiva integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti necessarie; secondo giurisprudenza costante, dalla quale non vi è motivo per discostarsi (Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1897; Cons. giust. amm. sic. 20 aprile 1998, n. 264; Cons. Stato: sez. IV, 25 marzo 1996, n. 365; sez. V, 8 giugno 1992, n. 527; sez. VI, 9 febbraio 1989, n. 90; sez. IV, 31 agosto 1988, n. 714; sez. IV, 1 agosto 1985, n. 327; Cons. giust. amm. sic. 21 settembre 1984, n. 133; Cons. Stato: sez. VI, 20 ottobre 1981, n. 502; sez. VI, 21 marzo 1980, n. 392).

Ne consegue l'ammissibilità dell'appello, notificato nei termini al ricorrente in primo grado.

5.2. Nella fattispecie per cui è causa l'appello è stato proposto dall'amministrazione, resistente in primo grado e soccombente, insieme ai controinteressati, in quel giudizio, nei confronti del ricorrente in primo grado, vincitore nel medesimo giudizio; quest'ultimo, unico soggetto al quale è stato notificato il gravame.

Al riguardo l'adunanza plenaria ritiene che, nell'ipotesi in cui uno dei soggetti soccombenti in primo grado impugna la sentenza, non tutti gli altri soccombenti siano parti necessarie nel giudizio di appello. Quando in primo grado il ricorrente è risultato vincitore ed uno dei soccombenti, sia esso l'amministrazione o uno dei controinteressati, proponga appello, gli altri soccombenti in primo grado non sono parti necessarie del giudizio di appello, in quanto essi non possono integrare il thema decidendum una volta decorsi i termini per proporre autonomo gravame.

Quando l'amministrazione impugna la sentenza che ha annullato un proprio atto, non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati soccombenti in primo grado, anch'essi legittimati a proporre appello siccome titolari di una posizione di cointeresse rispetto a quella dell'amministrazione appellante. Essi insieme, infatti, tendono alla conservazione del provvedimento impugnato e hanno come contraltare il ricorrente in primo grado che mira al suo annullamento. Altrimenti, la notificazione dell'appello, anche ai controinteressati soccombenti in primo grado, avrebbe il mero significato di una litis denuntiatio; sicché il giudice di appello non deve disporre l'integrazione del contraddittorio, che comporterebbe solo un differimento della soluzione della lite.

Così che, nel caso in cui l'amministrazione impugna la sentenza che ha annullato il provvedimento impugnato, è sufficiente la notificazione dell'appello al ricorrente in primo grado e non deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di altri soccombenti (nello stesso senso, Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 1996, n. 1141 e sez. IV, 16 novembre 1993, n. 1006).

Qualora, con riguardo alla fattispecie per cui è causa e al giudizio di primo grado, alcuni dei sanitari del reparto di cui trattasi, nei cui confronti è stata successivamente disposta l'integrazione del contraddittorio, si possano configurare come cointeressati anziché come controinteressati, la situazione non cambia. Essi, infatti, avrebbero potuto proporre autonomo ricorso in primo grado. Non avendolo fatto, il provvedimento impugnato è divenuto incontestabile nei loro confronti; così che essi non sono parti necessarie del giudizio di primo grado e tanto meno di quello di appello.

Ne consegue che non va disposta l'integrazione del contraddittorio in appello.

6. Il ricorso in appello è infondato.

Deve rilevarsi, innanzitutto, che l'amministrazione appellante non contesta in alcun modo la sentenza del primo giudice in ordine a quanto dallo stesso statuito sulle diverse illegittimità del provvedimento impugnato.

Relativamente al primo motivo di appello, come osservato al paragrafo 4., il ricorso di primo grado è stato notificato all'Azienda U.S.L di Teramo, al primario dottor I. e a un altro medico del reparto, dottor N.; e poi, in seguito all'ordine di integrazione del contraddittorio, agli altri otto medici che figurano nell'epigrafe della sentenza impugnata. Risulta, quindi, effettuata la notificazione del ricorso, nei termini di legge, ad almeno uno dei controinteressati.

Inoltre, la circostanza per la quale il primo giudice ha ordinato l'integrazione del contraddittorio dopo avere disposto, in sede cautelare, la sospensione del provvedimento impugnato, non ha alcuna influenza sulla sentenza impugnata, data l'integrità del contraddittorio nel momento in cui il giudice ha deciso il merito. L'eventuale difetto di contraddittorio nella fase cautelare non influisce, comunque, sulla decisione del merito.

Con riguardo al primo profilo del secondo motivo di appello, l'adunanza plenaria ritiene che il ricorso di primo grado sia stato correttamente notificato all'Azienda U.S.L. di Teramo, in quanto il primario - anch'esso evocato in giudizio e che ha emesso l'atto impugnato - a prescindere da ogni questione sulla sua effettiva competenza, non ha agito a titolo personale ma quale organo attraverso il quale l'Azienda medesima svolge la propria attività e manifesta la propria volontà. Alla quale, pertanto, si riferisce il provvedimento del primario e che costituisce così l'amministrazione legittimata passiva nel giudizio di primo grado. Anche perché il primario, con riguardo al provvedimento amministrativo emesso, non ha né soggettività giuridica né capacità processuale, che spettano invece all'amministrazione presso la quale presta servizio.

Relativamente al secondo profilo del secondo motivo di appello, l'adunanza plenaria ritiene che il primo giudice non dovesse tenere conto delle controdeduzioni svolte da alcuni dei controinteressati in un esposto inteso a contestare la fondatezza del ricorso. Questi non si erano costituiti in giudizio; così che il giudice non aveva alcun obbligo di pronunciare sull'esposto, non trattandosi di atto defensionale.

In merito, infine, al terzo profilo del secondo motivo di appello, è sufficiente rilevare che il primo giudice ha esattamente giudicato solo sul provvedimento impugnato, non dovendo valutare la legittimità degli atti successivi alla sua emanazione e, quindi, esaminare il nuovo orario di servizio mensile stabilito in esecuzione della pronuncia cautelare emessa dal medesimo giudice.

7. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio, liquidati come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria) respinge il ricorso in appello.

Condanna l'amministrazione appellante al pagamento, in favore dell'appellato, delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi euro tremila/00.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.