Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 4 maggio 2004, n. 8433

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su domanda proposta da Maria P., titolare di pensione di invalidità dal 1977, il Tribunale di Alessandria dichiarava il diritto della ricorrente alla trasformazione di tale trattamento in pensione di vecchiaia, e condannava l'Inps al pagamento delle differenze tra l'ammontare delle due diverse prestazioni con decorrenza dal novembre 1998.

Con la sentenza oggi denunciata la Corte d'appello di Torino confermava tale decisione, ritenendo operante nell'ordinamento previdenziale un principio di mutabilità del titolo della pensione, desumibile dalla previsione dell'art. 1, comma 10, della l. Inps del 1984.

Avverso tale sentenza Inps propone ricorso per cassazione affidato ad unico motivo. L'intimata non si è costituita.

La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite per l'esame della questione, su cui si sono registrati contrastanti orientamenti giurisprudenziali, della configurabilità o meno della facoltà del titolare di una prestazione pensionistica dell'assicurazione generale obbligatoria di conseguire la liquidazione di un diverso tipo di pensione, in presenza dei relativi requisiti di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso, denunciandosi ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 10, della l. Inps del 1984 e dell'art. 8 della l. 638/1983, la sentenza impugnata viene censurata con il richiamo alle disposizioni dell'art. 22 l. 153/1969 e dell'art. 10, comma 7, del d.lgs. 503/1992 in tema di equiparazione della pensione di anzianità a quella di vecchiaia, che avviene al compimento dell'età pensionabile di vecchiaia e agli effetti dell'operatività del divieto di cumulo con redditi di lavoro.

Si afferma così, con riferimento anche alla previsione dell'art. 8 della l. 638/1983, che «la trasformazione della pensione non è un principio di carattere generale, e che tale trasformazione è prevista soltanto per l'assegno di invalidità»; che il pensionato di invalidità può migliorare la propria posizione pensionistica, nelle more per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con l'applicazione della normativa in tema di supplementi di pensione. Ulteriore conferma della dedotta immutabilità del titolo della pensione viene tratta dai principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 205/1995 in tema di sostituzione della pensione di invalidità con la pensione di inabilità.

2.1. Il ricorso è infondato. Premesso che la disciplina in tema di pensione di anzianità, richiamata dalla difesa dell'Inps, non rileva ai fini della decisione oggi sottoposta all'esame di questa Corte, vanno richiamati i diversi orientamenti espressi dalla giurisprudenza in ordine all'esistenza o meno nell'ordinamento previdenziale di un principio generale cosiddetto di "preclusività alternativa" delle prestazioni previdenziali. La giurisprudenza meno recente ha affermato con numerose decisioni l'immutabilità del titolo della pensione, escludendo la possibilità della conversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità o in pensione di vecchiaia (Cassazione 1971/1972, 1402/1973, 1982/1973, 2451/1975, 4609/1976, 375/1977, 2303/1980, 3084/1981, 4459/1981, 1751/1983, 7563/1983, 3567/1991).

Le ragioni poste a sostegno di questo indirizzo possono così riassumersi:

- esiste un principio generale di divieto di mutamento del titolo della pensione, risultante soprattutto dall'art. 45 del r.d.l. 1827/1935 e dall'art. 9 del r.d.l. 636/1939 (modificato dalla l. 218/1952), i quali escludono chiaramente la possibilità di conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia «nell'ipotesi in cui nei confronti del pensionato per invalidità che abbia continuato a prestare attività lavorativa con diritto di accreditamento dei contributi previdenziali si siano perfezionati i requisiti per il conseguimento delle pensione di vecchiaia» (Cassazione 3567/1991, cit.);

- il principio in questione è soggetto ad alcune eccezioni, da interpretarsi restrittivamente e quindi non oltre i casi espressamente previsti dalla legge. Si tratta dell'art. 14, comma 4, del d.P.R. 488/1968, secondo cui il titolare della pensione di anzianità può far valere, date determinate condizioni, la contribuzione successiva per chiedere, al raggiungimento dell'età pensionabile, la riliquidazione della pensione con i nuovi criteri; dell'art. 13 della l. 153/1969, che riconosce ai titolari di pensione di vecchiaia liquidata o da liquidare in base a norme anteriori al decreto del 1968, e che avessero continuato nell'attività lavorativa, la facoltà di optare per la riliquidazione secondo il nuovo sistema retributivo; dell'analoga facoltà di opzione per la riliquidazione della pensione in godimento concessa dall'art. 4 del d.l. 267/1972, convertito, con modificazioni, nella l. 485/1972, ai titolari di pensioni di invalidità che abbiano continuato a lavorare successivamente alla data di decorrenza della pensione.

2.2. Un diverso indirizzo è stato espresso da successive decisioni Cassazione 8820/1992 (con riferimento ad una particolare fattispecie di attribuzione del beneficio del prepensionamento e delle altre provvidenze previste per i dipendenti delle imprese del settore poligrafico dagli artt. 35 e 37 della l. 416/1981 al lavoratore già titolare di pensione di invalidità) ha rilevato che il principio di immutabilità del titolo del trattamento pensionistico non è più caratterizzato da quella illimitata valenza della quale in passato lo si accreditava, essendo mutato il quadro di riferimento normativo nel quale la giurisprudenza di questa Corte lo ha espresso e ribadito. Sotto questo profilo doveva essere considerata la previsione dell'art. 1, comma 10, della l. Inps del 1984, relativa alla trasformazione dell'assegno di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell'età per conseguire questa prestazione, in presenza dei relativi requisiti di assicurazione e contribuzione; questa norma, secondo la decisione citata, si ricollega ad un concetto di "posizione assicurativa", caratterizzata dalla sua unicità quale base fattuale che legittima tutti gli interventi di tutela economica possibili in favore del suo titolare e che è di continuo finalizzata a soddisfare quelle esigenze sociali che il legislatore ha tipizzato nelle diverse fattispecie pensionistiche.

In questa linea si collocano poi altri precedenti. A parte Cassazione 5299/1993, 3045/1996, 6418/1999 (che escludono l'operatività del divieto di mutamento del titolo della pensione, al fine di conseguire la prestazione più favorevole, in specifiche ipotesi di riconoscimento con effetto retroattivo del trattamento di invalidità in epoca successiva al conseguimento della pensione di vecchiaia), altre decisioni di questa Corte hanno riconosciuto il diritto alla conversione della pensione o dell'assegno di invalidità in pensione di anzianità (Cassazione 1821/1998) come in pensione di vecchiaia (Cassazione 6603/1998). Secondo queste pronunzie, la regola generale dell'alternatività preclusiva non può essere ricavata dalle norme dell'art. 45 del r.d.l. 1827/1935 e dell'art. 9 r.d.l. 636/1939, richiamate a sostegno del precedente indirizzo; d'altro canto, le stesse disposizioni indicate come eccezioni specifiche alla suddetta regola generale forniscono invece un argomento per sostenere l'esistenza di un diverso principio dell'ordinamento previdenziale, perché «l'alternatività fra i diversi tipi di pensione, atteso lo scopo di individuare e qualificare adeguatamente la situazione di bisogno in cui, in un dato istante, versa il soggetto protetto, è naturale conseguenza del carattere e della funzione giuridica dello stesso intervento previdenziale, volto com'è a garantire il reddito del soggetto entro limiti e secondo le modalità tecnico-operative fissati inderogabilmente dalla legge. La circostanza, poi, che lo stato di bisogno non possa che configurarsi come un unico fatto giuridico nell'ambito del regime generale (che pure ne stabilisce le varie ipotesi dalle quali esso può generarsi e secondo le quali resta, perciò, titolato il trattamento pensionistico), importa che la prestazione previdenziale sia unica anche nell'ipotesi di concorso di più fattispecie pensionistiche rispetto ad uno stesso interessato, nel senso, cioè, che, se si sono realizzati i requisiti richiesti per più tipi di pensione, al soggetto protetto è dovuto un trattamento pensionistico ed uno soltanto erogato esclusivamente nella misura di cui, a prescindere dal titolo della pensione accordata, è capace la sua posizione assicurativa» (Cassazione 1821/1998, cit.).

Più recentemente, si registrano ancora altre decisioni, con significative divergenze. Cassazione 5096/2003 ritiene consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia; la sentenza 5097/2003, con la stessa data, ritiene che ciò non si verifichi per la pensione di anzianità, operando, in mancanza di espressa previsione legislativa, il diverso generale principio del divieto di mutamento del titolo (la cui esistenza viene quindi ancora riconosciuta). Entrambe le decisioni riguardano casi particolari, perché nel primo la acquisizione dei requisiti per il trattamento di vecchiaia da parte del titolare di una pensione di invalidità era dedotta come elemento ostativo all'attribuzione del trattamento straordinario di integrazione salariale; nel secondo, veniva prospettato che la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia precludeva l'applicazione del divieto di cumulo con il trattamento di reversibilità connesso ad una rendita erogata dall'Inail.

Per contro, da ultimo, Cassazione 9462/2003 ha affermato invece il diritto alla conversione della pensione o assegno di invalidità in pensione di anzianità.

3.1. La Corte condivide i rilievi critici formulati dalle sentenze richiamate sub 2.2. in ordine all'esistenza, nel vigente ordinamento, di un principio generale di immutabilità del titolo della prestazione pensionistica. In effetti, come ha osservato Cassazione 6603/1998 cit., una regola di questo tipo non può essere ricavata dalle norme dall'art. 45 del r.d.l. 1827/1935 e dall'art. 9 del r.d.l. 636/1939 (modificato dalla l. 218/1952). La prima disposizione, nel disporre che l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia ha per scopo principale l'assegnazione di una pensione nel caso di invalidità al lavoro o di vecchiaia non è assolutamente di ostacolo, nel suo contenuto letterale, al mutamento del titolo della pensione, ma solo alla attribuzione congiunta dell'una e dell'altra prestazione; e un contenuto sostanzialmente identico ha la previsione dell'art. 2, comma primo, parte prima, del r.d.l. 636/1939.

Analoghe considerazioni valgono per le previsioni dell'art. 9 del medesimo r.d.l. 636/1939, che, stabilendo i requisiti rispettivamente necessari per l'attribuzione della pensione di vecchiaia e della pensione di invalidità, configurano indubbiamente ipotesi alternative di tutela nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, ma non implicano di per sé l'esclusività, nel senso indicato, dell'una e dell'altra prestazione.

D'altro canto, le diverse norme, sopra ricordate sub 1.2., che per varie fattispecie consentono la riliquidazione della pensione in godimento in base a diversi criteri, e specialmente la regola di trasformazione dell'assegno di invalidità in pensione di vecchiaia introdotta dell'art. 1, comma l0, della l. Inps del 1984, sembrano difficilmente riconducibili ad ipotesi eccezionali di deroga ad un divieto generale; esse inducono invece ad escludere la possibilità di giungere, attraverso una ricostruzione sistematica della legislazione previdenziale, all'affermazione sia di un principio generale di divieto di mutamento del titolo della prestazione pensionistica, sia del principio inverso, di portata ugualmente generale, di mutabilità del suddetto titolo, come è stato prospettato da alcune delle pronunzie più recenti. Queste opzioni ricostruttive sono infatti destinate ad incontrare un insuperabile ostacolo nel carattere estremamente frammentario del complesso normativo, che nella sua evoluzione lascia trasparire - come è stato notato in dottrina - opzioni e politiche del diritto mutevoli, perché prevalentemente ispirate dal contingente.

Il problema può essere correttamente impostato e risolto, ad avviso di questa Corte, solo nell'ambito della disciplina dei singoli istituti, tenuto conto delle specifiche caratteristiche della tutela accordata con ciascuno di essi dall'ordinamento, anche alla luce dei principi costituzionali in materia.

3.2. Nel sistema previdenziale, il trattamento per l'invalidità e la pensione di vecchiaia risultano accomunati nella previsione dei citati artt. 45 r.d.l. 1827/1935, 2 e 9 r.d.l. 636/1939, e collegati, sul piano sistematico, dal rilievo della natura del rischio protetto, che per entrambe riguarda la perdita della capacità di lavoro (il «caso di invalidità al lavoro o di vecchiaia»); ad esso corrispondono - in relazione ad un'unica posizione assicurativa - le esigenze sociali di protezione dallo stato di bisogno tipizzate nelle diverse fattispecie pensionistiche, che in attuazione del medesimo precetto dell'art. 38 Cost. garantiscono il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per i casi di invalidità e vecchiaia. In relazione a questo rapporto tra le due forme previdenziali si deve anche ritenere, come affermato in particolare da Cassazione 8820/1992 e 6603/1998 cit., l'idoneità dell'unica posizione assicurativa a realizzare nel corso del tempo i presupposti per l'attribuzione dell'una o dell'altra prestazione.

Data questa premessa, va considerata la situazione del titolare di pensione di invalidità attribuita nel regime precedente all'entrata in vigore della l. Inps del 1984 (come nel caso di specie), che implica la possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa limitata, in relazione alla ridotta capacità di lavoro e di guadagno, e quindi di maturazione di ulteriori periodi di contribuzione.

Questa ipotesi trova la sua disciplina nelle disposizioni dell'art. 19 del d.P.R. 488/1968 e dell'art. 7 della l. 155/1981, secondo cui i contributi versati o accreditati nell'assicurazione generale obbligatoria successivamente alla data di decorrenza della pensione danno diritto a supplementi della pensione in atto.

Un collegamento con la tutela per la vecchiaia è stato stabilito dall'art. 8 del r.d.l. 463/1983, convertito con modifiche nella l. 638/1983, con il quale si disponeva, stabilendo i limiti reddituali per l'erogazione della pensione di invalidità, che in caso di sospensione per il superamento di tale soglia il trattamento era comunque erogato al raggiungimento dell'età prevista per il pensionamento di vecchiaia.

Questo assetto normativo va ora raffrontato con quello risultante dalla l. Inps del 1984, con la quale, come è stato rilevato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze 116/1988, 205/1995), la pensione di invalidità è stata sostituita da due prestazioni differenziate (in funzione della distinzione tra invalidità parziale, invalidità totale o inabilità), restando peraltro concettualmente unitario il rischio tutelato.

Nella seconda è verificabile, come per l'ipotesi di parziale invalidità precedentemente regolata, una situazione di possibile svolgimento di attività lavorativa ridotta e di corrispondente contribuzione; ed infatti l'art. 1, comma 9, della l. Inps del 1984 richiama espressamente la disciplina dei supplementi di pensione sopra ricordata, prevedendo l'utilizzazione a tal fine dei periodi di contribuzione effettiva, volontaria e figurativa successivi alla decorrenza originaria dell'assegno ordinario di invalidità.

Secondo il disposto la previsione del già citato comma 10 dello stesso art., al compimento dell'età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia l'assegno ordinario di invalidità «si trasforma» in tale trattamento, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione. «A tal fine i periodi di godimento dell'assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa».

In tali disposizioni va dunque individuata la fonte normativa del coordinamento tra trattamenti di invalidità e pensione di vecchiaia, in relazione al quale con sentenza 436/1988 della Corte costituzionale è stata dichiarata la illegittimità dell'art. 3 della stessa legge, che precludeva il riconoscimento dei trattamenti di invalidità dopo il raggiungimento dell'età pensionabile. Ciò in quanto, data l'unicità del rischio protetto, la disposizione censurata comportava - in violazione dell'art. 38 Cost. - la privazione della tutela previdenziale per il lavoratore che al compimento dell'età pensionabile non avesse ancora raggiunto i requisiti contributivi per conseguire la pensione di vecchiaia.

È ora possibile rilevare che la situazione del lavoratore titolare di pensione di invalidità attribuita nel precedente regime in ragione di una parziale riduzione della capacità lavorativa e di guadagno non si differenzia, per questi profili di tutela, da quella del soggetto al quale sia attribuito l'assegno ordinario di invalidità, destinato a trasformarsi in pensione di vecchiaia al compimento dell'età stabilita.

Le considerazioni svolte portano ad affermare che tale regola, posta dall'art. 1, decimo comma, della l. Inps del 1984, trova applicazione anche per il trattamento della pensione di invalidità previsto dal precedente regime, in quanto espressivo di un principio generale, affermato con l'entrata in vigore della legge citata, di idoneità dell'unica posizione assicurativa a realizzare i presupposti delle varie forme previdenziali considerate, in funzione della protezione dalla stessa situazione generatrice di bisogno. La portata di questo principio non è ridotta dalla sua enunciazione per il solo assegno ordinario di inabilità (e non anche per la pensione di inabilità di cui all'art. 2 della legge in esame) tenuto conto del fatto che questa diversa prestazione è già costituita, sin dal momento della concessione, dall'importo dell'assegno di invalidità calcolato secondo le norme in vigore nell'assicurazione generale obbligatoria, con esclusione dell'eventuale integrazione al minimo, e maggiorato della differenza tra detto importo e l'ammontare della pensione che sarebbe spettata al raggiungimento dell'età pensionabile, e comunque per una anzianità contributiva non superiore ai 40 anni.

Con riferimento a questo assetto normativo, non assume poi rilievo decisivo la limitazione, nel precedente regime, del collegamento tra pensione di invalidità e pensione di vecchiaia all'ipotesi regolata dal citato art. 8 della l. 638/1983; né la tutela del soggetto parzialmente invalido in attività lavorativa può essere circoscritta alla erogazione dei supplementi di pensione, posto che la relativa disciplina è richiamata anche nel nuovo sistema in cui opera il suddetto principio di trasformazione.

Le conclusioni raggiunte non trovano del resto alcuna confutazione nella citata sentenza 205/1995 della Corte costituzionale, che ha disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 della l. Inps del 1984, escludendo la trasformazione della pensione di invalidità erogata nel precedente regime in pensione di inabilità. Le considerazioni poste a base di questa decisione (come già della precedente sentenza 1116/1988) attengono infatti alla estraneità della posizione del titolare della pensione di invalidità rispetto alle vicende proprie dei nuovi tipi di prestazione, e alla giustificazione di disparità di trattamento collegate alla successione temporale delle leggi. La Corte costituzionale ha invece confermato, in questa come nelle altre decisioni citate, la unitarietà del rischio tutelato.

La sentenza impugnata risulta quindi conforme a diritto. Non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendosi costituita la parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.