Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 14 settembre 2004, n. 9100
FATTO
Con il primo dei ricorsi in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, il dott. Agostino Cordova, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli dal 1993, impugnava la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 24/9/2003 che aveva stabilito il suo trasferimento d'ufficio da tale sede per incompatibilità ambientale e funzionale ai sensi dell'art. 2 del r.d.l. n. 511 del 31/5/1946.
Il ricorrente, dopo avere premesso dei brevi cenni in punto di fatto in merito alle vicende che avevano condotto alla misura, ed essersi intrattenuto nell'illustrazione dell'immediata lesività della delibera, ne deduceva l'illegittimità a titolo di violazione di legge e di eccesso di potere sotto molteplici profili, articolando tredici motivi d'impugnazione ed una questione di legittimità costituzionale. Veniva altresì richiesta la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno cagionato all'interessato per una somma non inferiore a due milioni di euro.
Il Tribunale con ordinanza in data 22 ottobre 2003, che sarebbe stata confermata in grado di appello, accoglieva parzialmente la domanda cautelare annessa al ricorso, sospendendo l'efficacia del provvedimento impugnato nella parte in cui il trasferimento del ricorrente era stato fondato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale, e non semplicemente ambientale.
Nelle more il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo avere invitato l'interessato ad esprimere le proprie preferenze in ordine alla sua nuova sede, con deliberazione del 19/11/2003 stabiliva che il suo trasferimento d'ufficio sarebbe avvenuto presso la Suprema Corte di Cassazione in qualità di consigliere. Avverso tale atto veniva quindi proposto il secondo ricorso in epigrafe, con il quale veniva lamentata, in sintesi, la deminutio che un tale trasferimento comportava per il dott. Cordova, che veniva così privato di incarichi direttivi. E con successivi motivi aggiunti trovavano impugnazione le circolari n. 15098 del 30/11/1993 e n. 13531 del 28/9/1996, con le quali l'Organo di autogoverno aveva previsto l'applicazione nella procedura di trasferimento d'ufficio dei magistrati del concorso c.d. virtuale, e vietato il conferimento di incarichi direttivi attraverso la stessa tipologia di concorso.
Con d.m. 20/1/2004 (comunicato il successivo 23/2), infine, veniva decretato il trasferimento d'ufficio in questione, cosa che dava adito alla proposizione dell'ultima delle presenti impugnative, sostanzialmente riproduttiva delle censure già introdotte.
Le domande cautelari proposte unitamente agli ultimi due ricorsi venivano respinte con ordinanze del Tribunale del 10/12/2003, 14/1/2004 e 31/3/2004.
Resisteva ai gravami per le amministrazioni intimate l'Avvocatura Generale dello Stato, che con la sua memoria del 18/6/2004, specificamente riferita al ricorso n. 10079/2003, oltre ad eccepire il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica e del Ministero della Giustizia, nonché l'inammissibilità del ricorso siccome riguardante un atto non definitivo del procedimento, deduceva l'infondatezza delle censure avversarie e concludeva, comunque, per la reiezione dell'impugnativa.
Le doglianze di parte ricorrente venivano riprese con una successiva memoria, con la quale si insisteva per l'accoglimento delle domande complessivamente proposte.
Alla pubblica udienza del 7/7/2004 i tre ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. Rileva preliminarmente il Tribunale l'opportunità di riunire i ricorsi in epigrafe, atteso che gli stessi intercorrono tra le medesime parti e sono avvinti da una connessione anche obiettiva.
Sempre in via preliminare, deve essere respinta l'eccezione erariale di non impugnabilità ex se della deliberazione del Consiglio Superiore del 24/9/2003 siccome atto privo di efficacia giuridica esterna, dal momento che il relativo provvedimento (comunque poi sfociato nel conforme d.m. 20/1/2004 a sua volta impugnato con il terzo dei ricorsi in esame) incideva per la sua motivazione ed il suo dispositivo in forma diretta ed immediata sugli interessi morali del ricorrente, ed aveva quindi un'attitudine lesiva sua propria, oltre ad avere ricevuto almeno un principio di immediata attuazione con gli inviti immediatamente successivi rivolti al ricorrente per la scelta della nuova sede.
Deve essere invece accolta l'eccezione difensiva di difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica, evidentemente priva di titolo per essere chiamata in causa, e della quale va pertanto disposta l'estromissione dal giudizio; la stessa conclusione si impone per il Ministero della Giustizia limitatamente al contraddittorio inerente ai primi due dei ricorsi di cui si tratta.
2. Venendo dopo queste premesse in rito al merito di causa, conviene sin d'ora anticipare che le censure di parte ricorrente potranno trovare accoglimento solo rispetto alla parte in cui il trasferimento d'ufficio dell'interessato è stato fondato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale, e non meramente ambientale, con l'ufficio ricoperto.
2a. Il ricorrente nella parte introduttiva del suo primo gravame prospetta l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del r.d.l. n. 511/1946, nella parte in cui esso non prevede per il trasferimento d'ufficio per incompatibilità funzionale le stesse garanzie giurisdizionali offerte nel procedimento disciplinare, in relazione agli artt. 3, 24, 104 e 107 della Costituzione.
L'assunto centrale proposto è che l'art. 2 della legge sulle Guarentigie porrebbe irragionevolmente sullo stesso piano, accomunandole, la fattispecie dell'incompatibilità ambientale e quella, distinta e maggiormente lesiva, dell'incompatibilità funzionale. Si fa infatti notare che l'accertamento della seconda forma di incompatibilità rende il magistrato inidoneo a ricoprire, in qualsiasi altra sede, uffici analoghi a quello dal quale è stato allontanato, e può comportare così conseguenze addirittura più gravi di quelle del procedimento disciplinare. Per questo soltanto è riconosciuto, però, un pieno diritto di difesa (con la facoltà, in particolare, di farsi assistere da un avvocato del libero foro), laddove per l'incompatibilità funzionale, incorrendo in una disparità di trattamento tra ipotesi di analoga gravità, lo stesso corredo di garanzie viene negato.
Come si è appena anticipato, tuttavia, i provvedimenti impugnati, nella parte in cui hanno fondato il trasferimento d'ufficio dell'interessato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale con l'ufficio ricoperto, meritano annullamento: e ciò per motivi sostanziali (come sarà illustrato al n. 2h). Ne discende che la problematica di costituzionalità appena descritta, che attiene al versante solo estrinseco proprio delle garanzie procedimentali, risultando dal punto di vista degli interessi di parte ricorrente recessiva ed assorbibile, si presenta carente di rilevanza rispetto alle sorti del presente giudizio.
Nel ricorso viene adombrato, inoltre, che l'art. 2 cit. confliggerebbe con il principio costituzionale dell'inamovibilità dei magistrati codificato dall'art. 107 della Carta. Ma nello stesso gravame si finisce con il riconoscere che quest'ultimo, dove ammette la possibilità di un trasferimento senza il consenso del magistrato interessato, purché a seguito di decisione del C.S.M. adottata per i motivi e con le garanzie previste dall'ordinamento giudiziario, allude principalmente proprio alle ipotesi ex art. 2 della legge sulle Guarentigie (pag. 14), così sostanzialmente legittimandole. E del resto questo Tribunale con indirizzo consolidato ha più volte dichiarato manifestamente infondate analoghe prospettazioni di incostituzionalità, mediante argomenti che non richiederebbero qui che di essere riprodotti (cfr. le sentenze n. 508 del 1°/3/1999, n. 1431 del 3/10/1997 e n. 673 dell'11/6/1980).
Nel ricorso viene infine chiamato in causa l'art. 104 della Costituzione, senza peraltro individuare con la necessaria chiarezza i profili, i termini e le ragioni dell'ipotizzato conflitto con questo della norma della cui legittimità si dubita. Sicché anche da questa angolazione le deduzioni di parte devono essere disattese.
2b. Passando alla disamina degli ordinari motivi di doglianza che richiedono di essere affrontati, e seguendo un ordine logico di esposizione simile a quello cui si è attenuto lo stesso ricorrente, va data la precedenza alle censure di natura procedurale (tutte prive di pregio).
Con i primi due motivi viene dedotto il vizio di eccesso di potere per l'assunta illegittimità della riapertura del procedimento che sarebbe stata operata da parte della Prima Commissione del Consiglio Superiore in relazione a fatti che erano stati già giudicati irrilevanti agli effetti dell'art. 2 r.d.l. cit.
Si sostiene in ricorso che il procedimento relativo ai fatti oggetto del primo gruppo di segnalazioni pervenute alla Prima Commissione, iniziato il 16/12/2001, si era concluso in data 19/2/2002 con la votazione, in seno alla Commissione, di tre voti a favore e tre contrari alla chiusura della procedura stessa, risultato che comportava un giudizio di irrilevanza dei fatti che erano stati addebitati al dott. Cordova ai fini di un suo trasferimento d'ufficio. Abnorme andrebbe quindi considerato, in particolare, il successivo ritiro da parte del cons. Smirne della propria proposta di archiviazione (che ormai era stata già votata dalla Commissione) alla luce delle vicende sopravvenute.
Una conferma dell'assunto impugnatorio verrebbe dal fatto che l'apertura di procedimento deliberata il 13/5/2002 verteva solo sui nuovi fatti riflettenti le dichiarazioni che erano state appena rese dal Procuratore alla Commissione Parlamentare Antimafia. Illegittimamente, pertanto, il procedimento in contestazione, nei suoi successivi svolgimenti, aveva incluso tra le imputazioni mosse all'interessato anche i fatti in precedenza già valutati in termini a lui favorevoli.
Questa impostazione non può essere condivisa.
Il Tribunale deve in primo luogo osservare che al momento della decisione del ritiro della primitiva proposta di archiviazione la Prima Commissione non si era ancora spogliata del procedimento di cui si tratta, che pendeva ancora dinanzi ad essa (per il conclusivo esame dei rispettivi documenti di proposta in corso di deposito). Ne risulta che lo stesso procedimento, lungi dall'essere stato tecnicamente "riaperto", è puramente e semplicemente "proseguito", recependo nel suo alveo la dinamica dei fatti così come essa si andava contemporaneamente evolvendo.
Appare pertanto estensibile anche alla fattispecie la considerazione, fatta recentemente dalla Sezione in un procedimento dalla pur diversa natura, che "fintanto che la Commissione non abbia espresso la propria proposta su di un affare, e lo mantenga ancora in trattazione, la sua posizione al riguardo non può dirsi ancora formata, ma ricade sotto la sua immanente volontà senza che possano dirsi esistenti preclusioni di sorta" (sentenza n. 5625 dell'11/6/2004).
Già per questo la decisione della Prima Commissione dell'attuale consiliatura di estendere le c.d. contestazioni anche ai fatti oggetto della precedente proposta di archiviazione potrebbe dirsi perciò immune da vizi.
D'altra parte, l'effetto proprio di una decisione di archiviazione in un procedimento di natura prettamente amministrativa, come è quello in parola (cfr. da ultimo C. Cost., n. 457 del 2002), non potrebbe essere un effetto preclusivo assoluto, come anche in sede di ricorso si è in qualche modo colto tratteggiando la censura in esame in termini di semplice eccesso di potere, e non di violazione di legge. Di conseguenza, la legittimità di una ipotetica decisione di riapertura dello stesso procedimento (oltretutto, alla luce di fatti nuovi) non potrebbe essere automaticamente esclusa alla stregua, in pratica, di un bis in idem in violazione di un giudicato, secondo la tesi svolta di fatto in ricorso, ma dovrebbe essere attentamente vagliata alla luce degli usuali parametri della discrezionalità amministrativa (ragionevolezza, congruità in relazione agli interessi in conflitto e al momento temporale dato). Ed una disamina di questo tipo - condotta qui, peraltro, solo per scrupolo di completezza, data la mancanza di puntuali critiche di legittimità rettamente orientate - non potrebbe far emergere nella fattispecie vizi di sorta, avuto riguardo all'essenziale ragione che, anche a voler ipotizzare che una decisione di archiviazione fosse stata nella sostanza già presa, sarebbe in ogni caso mancato il tempo materiale perché intorno ad essa potesse formarsi una qualsivoglia aspettativa o principio di consolidamento.
Né si potrebbe pensare di ascrivere un vizio di perplessità all'azione della Commissione per il solo fatto che la sua posizione iniziale è stata in seguito superata ed abbandonata, la motivazione esternata valendo per contro ad attestare la sufficiente linearità del processo formativo delle valutazioni dell'Organo di autogoverno.
E neppure può tacersi, infine, l'obiezione che l'impostazione seguita in ricorso non fa nemmeno i conti con il ruolo puramente istruttorio ed endoprocedimentale della Commissione di cui si tratta, la quale non dispone di poteri decisionali propri, che la legge intesta invece al Plenum dell'Organo.
Donde l'infondatezza di questa prima coppia di mezzi.
2c. I motivi dal terzo al sesto sono suscettibili di trattazione congiunta, in quanto involgono una problematica comune.
Con essi viene dedotta la mancanza di imparzialità dell'Organo di autogoverno, facendola risalire alla posizione di incompatibilità in cui si sarebbero trovati alcuni dei suoi componenti.
2c1. Questo dovrebbe essere il caso, in primo luogo, del cons. Salvi, dalla cui relazione (che si sottolinea coincidere con il testo della proposta della Prima Commissione al Plenum: ma non è dato vedere come ciò possa integrare una causa di illegittimità) emergerebbe che nella fase ancora riservata agli accertamenti istruttori il medesimo muoveva gravi critiche nonché apprezzamenti anche personali fortemente negativi nei confronti del ricorrente, eccedenti i toni e gli scopi di una relazione serena tesa ad un'esposizione obiettiva dei fatti.
Diversamente da quanto viene così assunto, tuttavia, non è stato fatto affatto constare che il predetto componente abbia assunto iniziative anticipatorie del suo giudizio nella fase procedimentale ancora riservata agli accertamenti istruttori. Ciò di cui ci si duole in ricorso sono, in definitiva, soltanto i contenuti della sua relazione, che peraltro ha visto la luce solo ad istruttoria ormai conclusa.
E a proposito dei contenuti di tale atto appare sufficiente dire, nella prospettiva propria di uno scrutinio di legittimità amministrativa, che lo stesso, rappresentando il punto di vista maturato nella Commissione proponente, si presentava in realtà rispondente alla funzione assegnatagli.
Il relatore, dunque, risulta non avere fatto altro che adempiere - nel modo ritenuto più opportuno - il proprio munus: e a ciò non possono essere ricollegate incompatibilità di sorta.
2c2. Una conclusione simile si impone a proposito della partecipazione ai lavori e alla deliberazione dei componenti conss. Lo Voi, Primicerio, Aghina e Riello (ai quali si riferisce il quinto motivo) e Favara (sesto motivo).
È già alla luce degli elementi esposti in sede di impugnazione che non risultano ascrivibili ai primi quattro le anticipazioni di giudizio supposte dalla parte ricorrente, sembrando evidente come non sia sufficiente ad integrare una fattispecie del genere una qualsivoglia minima espressione di pensiero in direzione critica (come quelle sulle quali viene fatta leva), ma occorra una precisa presa di posizione sugli specifici fatti destinati a formare materia del successivo apprezzamento imparziale.
Ed i fatti esposti alla pag. 26 del ricorso, analogamente, non erano neppure lontanamente suscettibili di integrare un obbligo di astensione a carico del componente dell'Organo menzionato per ultimo.
2c3. Una considerazione distinta merita, infine, la partecipazione del componente cons. Menditto. Gli elementi addotti nel quarto motivo di ricorso nel senso della configurabilità di una posizione di incompatibilità presentano nei suoi riguardi, infatti, una maggiore consistenza. Non occorre peraltro che il Tribunale approfondisca il delicato punto all'esame, stante la circostanza che, in forza dei noti principi sulla prova di resistenza, una eventuale inosservanza dell'obbligo di astensione di quest'ultimo componente (che non aveva veste di relatore, diversamente da quanto verificatosi nel caso di cui al precedente giurisprudenziale - C.d.S., IV, n. 5037 del 26/9/2001 - richiamato in gravame) sarebbe comunque insuscettibile di invalidare il provvedimento in contestazione.
2d. Il decimo motivo verte sulla presunta genericità delle contestazioni poste a base del procedimento di cui si tratta, e sul vulnus che sarebbe stato conseguentemente arrecato alle facoltà difensive del Procuratore.
Questa critica, peraltro, essendo stata già avanzata nel corso del procedimento, aveva formato oggetto di una ben articolata e diffusa confutazione già nel testo della deliberazione impugnata (pagg. 30-40), dove era stata data evidenza al fatto che i pochi elementi non specifici figuranti nelle contestazioni non avevano cagionato alcun reale pregiudizio per la difesa dell'interessato. Sicché la pura e semplice riproposizione della doglianza, non accompagnata da un adeguato tentativo di superare le approfondite e persuasive obiezioni mossele adducendo elementi nuovi, non può che condurre alla sua reiezione.
2e. La doglianza articolata con il successivo mezzo ha per oggetto il mancato rilascio all'interessato delle copie di bobine (contenenti le registrazioni di alcune sedute dell'Organo di autogoverno) e documenti da lui domandate, ed il riscontro parimenti negativo ricevuto dalle sue altre richieste procedimentali di ulteriori incombenti istruttori, elencati nelle pagg. 54-56 del ricorso n. 10079.
Come risulta dalla stessa esposizione del ricorso, tuttavia, la deliberazione impugnata chiarisce in realtà punto per punto (cfr. in particolare le sue pagg. 30, 81, 163, 164, 175 e 187) i motivi dell'avvenuto rigetto delle istanze medesime, illustrando motivatamente le ragioni della loro superfluità, senza che tali obiezioni siano state dal ricorrente adeguatamente contrastate facendo comprendere l'effettiva possibile utilità e rilevanza dei nuovi incombenti richiesti anche in relazione all'abbondante quadro delle risultanze già disponibili.
Di qui l'infondatezza anche di questa critica.
2f. Esaurita la trattazione delle censure di natura formale e procedurale, si può dare ora ingresso a quelle attinenti agli aspetti sostanziali della controversia, a partire dai rilievi contenuti nel settimo mezzo d'impugnativa.
Con tale motivo la parte ricorrente ascrive alle resistenti amministrazioni la violazione, innanzi tutto, del principio, recepito dall'art. 1, lett. b), della circolare in data 18/12/1991, secondo il quale una procedura di trasferimento d'ufficio non può essere iniziata o proseguita allorché la situazione di incompatibilità sia stata creata proprio allo scopo di provocare il trasferimento.
Si assume, invero, che la situazione di incompatibilità nella specie riscontrata sarebbe conseguenza esclusiva della strumentale ed impropria prospettazione in sedi diverse da quelle istituzionali (assemblee, interviste, ecc.) di presunti disagi interni alla Procura discendenti dall'assetto organizzativo datole dal suo responsabile.
La premessa da cui muove la censura è che la tutela dello status di autonomia e di indipendenza del magistrato dinanzi ai provvedimenti organizzativi del titolare dell'ufficio ritenuti lesivi deve essere effettuata, secondo gli insegnamenti dello stesso Consiglio Superiore, nelle forme e secondo le regole dettate dalla normativa vigente sul procedimento tabellare.
Ora, quando il contrasto di vedute in materia resti incanalato nelle sedi a ciò deputate, esso, si afferma, non potrebbe mai dare adito a problematiche di incompatibilità, attesa la sua fisiologicità. Quando invece, come nella specie, una "legittima diversità di opinioni su problematiche organizzative" venga impropriamente prospettata in sedi non istituzionali, la eventuale situazione di disagio che da ciò nasca ben potrebbe essere considerata come preordinata a determinare l'incompatibilità, e quindi come preclusiva - per quanto detto - della possibilità di avviare la procedura del trasferimento d'ufficio.
In ogni caso, poi, un eventuale problema di incompatibilità, nel contesto descritto, potrebbe porsi semmai a carico di coloro che si siano allontanati dalla fisiologia istituzionale, ma non in pregiudizio di chi tale deviazione abbia semplicemente subìto.
Nel ricorso, inoltre, dopo avere ribadito che gran parte delle contestazioni mosse all'interessato si riferisce all'organizzazione da questi data al proprio ufficio, si rammenta che gli atti che l'avevano via via modellato erano stati regolarmente approvati dallo stesso Consiglio Superiore, che mettendone in seguito in discussione la congruità di assetto era entrato perciò in contraddizione con se stesso.
Neppure queste critiche possono trovare adesione.
Rispetto alla tesi di parte circa la preordinazione ad arte delle manifestazioni critiche di cui l'interessato è stato fatto oggetto non è insignificante ricordare in premessa, come ha fatto la difesa erariale, che il revirement valutativo manifestatosi nella Prima Commissione del Consiglio Superiore è stato inequivocabilmente provocato dal tenore delle dichiarazioni rese dal medesimo in occasione della sua audizione del 7/5/2002 presso la Commissione Parlamentare Antimafia, e quindi da una sua iniziativa del tutto personale ed autonoma.
Tanto premesso, merita di essere sottolineato che la doglianza in esame non è nuova, ma è stata già prospettata nel corso del procedimento e motivatamente disattesa con la deliberazione oggetto di scrutinio (pagg. 116-120). Ancora più a monte, l'argomento di fondo del carattere strumentale delle altrui critiche e della loro preordinazione a delegittimare il titolare dell'ufficio e a renderlo incompatibile con il contesto risulta avere contrassegnato sin dall'inizio, in effetti, le prese di posizione assunte dall'interessato (cfr. ad es. i passaggi ricordati alle pagg. 4 e 118 della deliberazione del C.S.M.), e contribuito non poco, in verità, alla graduale compromissione della necessaria armonia nei rapporti interni all'ufficio.
Ciò detto, il Tribunale non può naturalmente escludere in modo assoluto che da parte di taluno possa esserci stata sin dall'inizio degli eventi la percezione di quanto sarebbe potuto accadere, e magari un compiacimento nell'assecondare simili dinamiche. Alla base della pur insistita doglianza in esame, però, da parte del ricorrente non è mai stata data evidenza né sufficiente prova - e neppure, a ben vedere, adeguata concretezza alla semplice idea - che le varie manifestazioni a lui sfavorevoli fossero animate proprio dal fine di provocare l'insorgenza di una situazione di incompatibilità. Ed appare di contro evidente dagli atti, anche già alla luce del semplice grado di diffusione e radicamento nell'ufficio dello stato di disagio prima e di vera e propria conflittualità in un secondo tempo emersi, che gli elementi critici espressi a suo carico, lontano dall'essere meramente pretestuosi, possedevano una loro autentica consistenza. La nascita e l'inasprimento della conflittualità, lungi dal poter essere semplicisticamente ricondotti al proposto schema degli altrui attacchi strumentali dinanzi ai quali si imponeva la difesa dell'Istituzione e della persona del suo titolare, risultano avere trovato in realtà un rilevante contributo causale proprio nelle autonome condotte del capo dell'ufficio (e cioè, in sintesi, nei metodi ed iniziative improntati alla sfiducia e diffidenza verso i collaboratori, nel moltiplicarsi senza precedenti di addebiti e segnalazioni a loro carico, e nelle espressioni di insofferenza verso il dissenso), dal quale le polemiche appaiono essere state più volte alimentate e fatte salire di livello.
Tutto ciò posto, non può dimenticarsi - ed il discorso si allarga così alla trattazione anche degli altri profili del mezzo - che lo stato di conflittualità al quale il Consiglio Superiore ha inteso porre rimedio non era circoscritto ai rapporti interni all'ufficio (dove, peraltro, non si limitava alle relazioni con i sostituti, non risparmiando nemmeno quelle con i procuratori aggiunti: cfr. ad es. la pag. 186 del provvedimento), ma aveva investito, con molteplici episodi, anche altre istituzioni del distretto (segnatamente, il Consiglio giudiziario e i due Procuratori generali avvicendatisi da ultimo nella carica), come la deliberazione del 24/9/2003 ha messo in evidenza. Le prime segnalazioni critiche sul conto dell'interessato, risalenti alla fine del 2000, attenevano infatti proprio alle problematiche insorte nei rapporti con figure istituzionali esterne, e solo in una seconda fase a tali elementi si era aggiunto il progressivo montare della conflittualità interna (cui nel ricorso viene data, per contro, attenzione pressoché esclusiva).
Merita di essere evidenziato, inoltre, che le osservazioni critiche espresse dai c.d. sostituti dissenzienti nei documenti che sarebbero confluiti nel fascicolo del procedimento avevano una portata più ampia rispetto agli ambiti della materia propriamente tabellare e più in generale organizzativa, essendo dedicate, a quanto è dato desumere, ai più diversi aspetti dell'attività e collaborazione professionale interna all'ufficio.
Fatta, poi, la doverosa precisazione che solo una parte delle determinazioni organizzative soggiace alla procedura tabellare (e che non tutte le scelte del ricorrente avevano incontrato, in realtà, approvazione in quest'ultima, come è il caso dell'ufficio impugnazioni), si può pervenire alla decisiva conclusione che, come è stato rettamente affermato nel provvedimento in esame, "il nucleo del fatto rilevante qui in esame non è costituito dalle soluzioni organizzative adottate ma dall'avere accentuato, esasperandoli, i tratti burocratici dell'organizzazione, anteponendo ai bisogni di efficienza il rispetto di un apparato di regole e procedure ..." (pag. 62).
Nel mezzo in trattazione è stato dedotto, infine, che il procedimento di trasferimento in contestazione, avviato a seguito degli esposti dei sostituti c.d. dissenzienti, sarebbe stato istruito e definito avendo costantemente esclusivo riguardo agli asserti dei medesimi. Invece di stabilire nel rispetto delle regole, cioè, quali tra i magistrati coinvolti nella situazione conflittuale esistente all'interno dell'ufficio fossero da trasferire, il meccanismo del trasferimento d'ufficio sarebbe stato utilizzato aprioristicamente come uno strumento sanzionatorio nei riguardi di uno solo dei protagonisti.
La tesi di parte ricorrente circa l'asimmetria dell'istruttoria e delle valutazioni conclusive del Consiglio Superiore è stata peraltro sviluppata soprattutto nell'ambito dell'ottavo motivo di ricorso, alla cui illustrazione conviene quindi passare senza indugio.
2g. Con tale mezzo il ricorrente si duole, difatti, dell'incompletezza e parzialità dell'istruttoria sub judice, la quale denoterebbe una mancanza di attenzione da parte del Consiglio Superiore per tutto quanto potesse essere a lui favorevole.
Viene sottolineato come tra i componenti della Procura non siano stati sentiti se non magistrati comparenti tra i firmatari dei documenti di critica nei suoi confronti, e non siano stati considerati gli elementi desumibili a suo vantaggio dalle audizioni dei procuratori aggiunti (elementi riportati alle pagg. 34-44 del ricorso n. 10079/2003). Sarebbero state ignorate, inoltre, le sue controdeduzioni procedimentali, così come le anomalie, in numero di circa cento, da lui reiteratamente denunciate (talvolta a carico di soggetti le cui dichiarazioni sono state utilizzate per fondare il trasferimento in contestazione). L'analisi delle difficoltà insorte nell'ufficio avrebbe dovuto essere condotta, per contro, in tutte le direzioni possibili, anche valutando le altrui responsabilità.
Il Tribunale ritiene che anche queste deduzioni debbano essere disattese.
Si deve escludere, in primo luogo, che al provvedimento in contestazione possa essere ascritto il vizio della mancata considerazione di significative risultanze favorevoli al ricorrente.
I lunghi passaggi di audizioni trascritti nel ricorso contengono, indubbiamente, degli apprezzamenti per la correttezza, il rigore e l'impegno profuso dal Procuratore, e nello stesso tempo forniscono elementi per comprendere il grado di complessità dei problemi organizzativi posti dall'ufficio in discussione. Nessuno di tali aspetti è stato però minimamente messo in discussione dai provvedimenti in epigrafe.
Gli stessi passaggi (in realtà almeno in qualche caso richiamati, e quindi ponderati, nel contesto del provvedimento: cfr. la pag. 56) recano, inoltre, traccia di talune sue aperture al confronto con gli aggiunti e, talvolta, gli altri colleghi. Neppure questi elementi potrebbero però dirsi ignorati. Il punto è, infatti, che dal provvedimento in esame, che pure contiene il riconoscimento che "non appare riscontrato che il dr. Cordova abbia reso difficoltoso il contatto diretto dei magistrati dell'ufficio" (pag. 60), emerge chiaramente come ciò non fosse affatto bastato ad assicurare sereni rapporti di collaborazione nel tempo, non impedendo, anzi, il progressivo insorgere di una situazione di conflitto divenuta via via intollerabile (da ultimo, anche per la possibilità di una sua interpretazione - se non strumentalizzazione - in chiave "politica"). Ed è del tutto naturale e logico che il provvedimento, attesa la sua funzione, fosse orientato a descrivere ed approfondire, più che i meriti comunque acquisiti dal ricorrente nella gestione dell'ufficio, i gravi conflitti che vi si erano aperti.
Detto questo, va osservato che il peculiare procedimento di cui all'art. 2 della legge sulle Guarentigie non ha la funzione di attribuire, con riguardo a ciascuno dei singoli episodi che nel suo ambito vengano apprezzati, patenti di ragione o torto alla stregua dei parametri di giudizio, invero molteplici e non sempre convergenti, che potrebbero esservi potenzialmente applicati (legittimità formale, efficienza amministrativa, etica). La funzione del procedimento, infatti, non è quella di ricercare e penetrare la più intima ed assoluta verità di tali fatti nei loro snodi più particolari, fissando e poi soppesando il preciso grado di giustificabilità di ogni azione. Le stesse vicende vengono in rilievo, più modestamente, nel loro valore di indici di una situazione ambientale conflittuale o di un'incompatibilità con il tipo di funzione svolta. Sufficiente a legittimare la misura è, pertanto, che i fatti stessi (lungi dal consistere in mere illazioni, semplici sospetti o accuse indimostrate) esistano alla stregua di elementi sufficientemente certi, obiettivi e precisamente individuati cui la situazione di incompatibilità ambientale o funzionale possa essere ancorata (cfr. C.d.S., IV, n. 5418 del 12/10/2000 e n. 1942 del 12/12/1994), e, inoltre, che il magistrato abbia dato effettivamente causa con le proprie condotte alla condizione conflittuale emersa.
Alla luce di tanto deve dunque concludersi per la sufficienza dell'istruttoria compiuta dal Consiglio Superiore, e per la sua congruità alla funzione propria del procedimento.
Più breve disamina è quella richiesta dalla doglianza secondo la quale il trasferimento d'ufficio sarebbe stato impiegato unilateralmente come uno strumento sanzionatorio nei riguardi di uno solo dei protagonisti, laddove sarebbe stato necessario valutare anche le altrui responsabilità.
A questo proposito è agevole rilevare, in relazione ai fatti segnalati dal ricorrente che dagli organi competenti dovessero essere ritenuti suscettibili di assumere rilievo disciplinare, che la evidente doverosità del loro perseguimento non autorizzerebbe di per sé a ricollegare alle relative vicende delle cause di invalidità del provvedimento in discussione, il quale non potrebbe comunque rimanerne inficiato.
Quanto, poi, al fatto che la situazione di conflitto ambientale registrata dal Consiglio Superiore non potrebbe essere ascritta al solo operato del ricorrente, osserva il Tribunale che dinanzi al Procuratore si è andato progressivamente formando un vasto fronte di disagio diffuso, il quale, più che rivelare l'incidenza determinante di precisi atteggiamenti imputabili a singoli e determinati soggetti a lui avversi (nei cui confronti avrebbero potuto quindi rinvenirsi ictu oculi estremi tali da radicare ulteriori posizioni di incompatibilità), si profila e risulta complessivamente come un contesto, appunto, di reattività di tipo essenzialmente ambientale. Di conseguenza, pur non potendosi certo negare la possibilità che il Consiglio Superiore si adoperi approfondendo ad ogni effetto di legge la ricerca di tutte le cause della situazione conflittuale riscontrata, il Tribunale deve escludere che i provvedimenti impugnati si mostrino affetti dal dedotto vizio di violazione del canone dell'imparzialità.
Ne discende che anche questo mezzo deve essere respinto.
2h. Il successivo motivo, che merita invece accoglimento, attiene al giudizio di incompatibilità funzionale che il Consiglio Superiore ha ascritto, con l'incompatibilità ambientale, all'interessato.
Il ricorrente ha fatto giustamente notare come le censure mossegli su questo piano si pongano in contraddizione con le valutazioni estremamente favorevoli che lo stesso Organo di autogoverno gli aveva tributato, solo meno di tre anni prima (e cioè nel dicembre del 2000), nel valutare la sua candidatura alla guida della Procura Nazionale Antimafia (allorché gli erano state riconosciute, tra l'altro, capacità organizzative in massimo grado), e con le parimenti favorevoli risultanze acquisite nel 2002 dall'Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, che avevano messo in evidenza i risultati positivi ottenuti in termini di aumento di produttività da parte dei magistrati dell'Ufficio e di unità di indirizzo del medesimo.
A questa censura di contraddittorietà si collega strettamente, inoltre, la doglianza di difetto di motivazione svolta nel corpo del seguente decimo motivo (pag. 54 del ricorso), con la quale va congiuntamente trattata.
Obietta la difesa erariale che il contrasto tra valutazioni denunziato dal ricorrente troverebbe spiegazione nello sfalsamento cronologico nel quale le stesse valutazioni si sono andate formando, in relazione al progressivo emergere del quadro conflittuale illustrato dal provvedimento. Questa spiegazione, però, non è persuasiva, in quanto la brevità del lasso di tempo che contiene le valutazioni riferite sulle capacità direttive dell'interessato non è tale da giustificare quello che si presenta come un vero e proprio capovolgimento radicale di vedute.
Nella stessa deliberazione impugnata non si è potuto non dare atto, inoltre, del "grande impegno" profuso dal ricorrente per ben organizzare la struttura, e del "lodevole impegno del Procuratore per fronteggiare la grave situazione venutasi a creare con l'unificazione degli uffici di Procura" (e non risponde al vero che i riconoscimenti ivi recati alle capacità e all'impegno del dott. Cordova si riferivano solo alla parte iniziale della sua gestione), né evitare di dare conto dell'eccezionale complessità della situazione determinatasi a seguito dell'unificazione dei predetti uffici, dove la situazione di quello circondariale è stata definita dallo stesso Consiglio Superiore, senza mezzi termini, come "disastrosa", e risulta difatti che le prassi operative di quell'ufficio avevano condotto, ad esempio, a lasciar via via stratificare sui pavimenti, in una situazione di almeno apparente indifferenza generale, due milioni e trecentomila seguiti di informativa che nessuno aveva mai visto e 140.000 notizie di reato non iscritte nei pertinenti registri, e il bassissimo numero delle impugnazioni proposte dall'ufficio in tutto l'anno 1999 era tanto sconcertante da esigere, di nuovo secondo il C.S.M., "radicali interventi". Dal provvedimento in esame risulta altresì il successivo e progressivo miglioramento degli indici numerici delle pendenze e, più in generale, dei dati statistici (anche rispetto alla più fisiologica soglia numerica raggiunta dalle impugnazioni: cfr. la pag. 76 della deliberazione).
Se il richiamo ai "limiti intrinseci del mandato ispettivo" spiega e giustifica a sufficienza, pertanto, la valutazione negativa data ora all'irrecuperabile logoramento raggiunto dai rapporti interni, lo stesso non può però dirsi per gli odierni apodittici addebiti di inefficienza che confliggono, invece, apertamente con le risultanze ispettive (cfr. ad es. la pag. 163 della relazione ispettiva prodotta dal ricorrente, dove, a conclusione di una disamina dei pertinenti indici numerici, si è concluso riconoscendo "un notevole recupero di efficienza alla Procura della Repubblica presso il Giudice Unico, rispetto alla somma degli uffici unificati"), e del resto non risultano essere stati mossi nemmeno alle precedenti gestioni che pure avevano condotto all'indicata situazione "disastrosa".
La difesa erariale ha abilmente sostenuto che l'esasperata conflittualità esistente all'interno dell'ufficio era strettamente connessa alle modalità stesse con le quali il dott. Cordova aveva interpretato il proprio ruolo di dirigente della Procura, di modo che l'incompatibilità riscontrata non possedeva una dimensione solo territoriale, per essersi manifestata nel modo stesso di interpretare ed esercitare da parte sua la funzione dirigenziale.
Non può stupire, tuttavia, che in una situazione disastrosa quale quella descritta sia stato fatto leva con energia, da parte di chi aveva la responsabilità del nuovo ufficio unificato, sui profili più spiccatamente autoritativo-gerarchici connessi alla posizione ricoperta, rafforzando l'accentramento della Procura. E se gli eccessi di un simile approccio ed altre condotte dell'interessato hanno sicuramente contribuito a dare causa alla situazione di incompatibilità ambientale della quale si è detto (e che, per le ragioni già viste, non può non essergli oggettivamente addebitata, con tutte le conseguenze del caso), tutto ciò non fornisce però elementi che permettano, senza cadere in contraddizione, di formulare addebiti di idoneità alle funzioni esercitate in capo ad un dirigente riuscito pur sempre a riscattare l'ufficio dalle condizioni pregresse della Procura circondariale e a ricondurlo a normali parametri di efficienza.
Per quanto si è detto, di conseguenza, le doglianze del ricorrente di contraddittorietà e di difetto di motivazione del giudizio di incompatibilità funzionale che lo ha colpito meritano senz'altro accoglimento.
2i. Resta da dire, a questo punto, degli ultimi due mezzi d'impugnativa.
Con il penultimo vengono lamentate le reiterate fughe di notizie in ordine ai lavori e alle decisioni della Prima Commissione del Consiglio Superiore e del suo Plenum, già censurate dall'interessato senza effetto nel corso del procedimento.
Osserva il Tribunale che il fatto lamentato, per sua natura, non possiede una propria autonoma e diretta capacità invalidante. Dal momento che le sedute dell'Organo di autogoverno risultano essere state tenute nella forma prescritta dalla normativa regolamentare, comportamenti personali di singoli devianti dalle esigenze della riservatezza non sono suscettibili ex se di inficiare la legittimità dell'iter seguito dall'Organo nella sua interezza.
Le denunciate fughe di notizie potrebbero valere, al più, come sintomo di un eventuale vizio di eccesso di potere, ove indicative di un contesto di influenze esterne che avrebbe potuto alterare lo spontaneo e fisiologico processo formativo della volontà dell'Istituzione, o anche soltanto minarne la serenità delle valutazioni. Ma non sono stati forniti elementi atti a dimostrare anche solo la verosimiglianza di un simile quadro patologico.
2l. Con l'ultimo mezzo viene dedotto che le dichiarazioni rese dall'interessato nel corso dell'audizione pubblica tenuta dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia in data 7/5/2002 sono state valutate dal C.S.M. trascurando la circostanza che il Procuratore era convinto di parlare in seduta segreta, e quindi senza tenere conto della sua personale buona fede.
Un rilievo simile, peraltro, era già stato avanzato in pendenza del procedimento, ed è stato superato dalla deliberazione in contestazione mediante argomenti immuni da vizi logici (pagg. 163-164), contro i quali non vengono portati in questa sede elementi nuovi.
Appare inoltre determinante osservare che, poiché ai fini della procedura di cui all'art. 2 della legge sulle Guarentigie quel che vale, in presenza di una situazione di incompatibilità, è che la stessa sia oggettivamente imputabile sul piano della causalità ad un magistrato, a prescindere da profili inerenti alla sua colpa (cfr. Cass., SS.UU. civili, n. 5542 del 12/12/1989; C.d.S., IV, n. 1133 del 3/3/2000), il tentativo di sostenere l'esistenza di un errore - asseritamente scusabile - come genesi delle suddette dichiarazioni non può comunque trovare successo. Ciò che essenzialmente rileva in questa sede, infatti, è, in sintesi, il decisivo punto per cui "le dichiarazioni rese alla Commissione antimafia, per il loro contenuto e per la sede in cui avvennero, contribuirono largamente a deteriorare i rapporti interni ed esterni all'ufficio" (pag. 184).
Il ricorrente contesta, infine, anche l'addebito di avere espresso le relative dichiarazioni in una sede impropria. La Commissione Antimafia, viene osservato, ha pure il compito di interessarsi dell'adeguatezza dell'organizzazione delle Procure impegnate nell'azione di contrasto al fenomeno mafioso. E ammesso che le dichiarazioni contestate siano state espresse in forma spontanea, viene sottolineato che i relativi temi sarebbero stati in ogni caso recepiti dalla Commissione parlamentare come appropriati e pertinenti ai suoi fini istituzionali, cosa che priverebbe di ogni rilievo la spontaneità delle dichiarazioni stesse.
Queste argomentazioni non risultano, però, convincenti.
Il fatto che la Commissione parlamentare non potesse di fatto disinteressarsi delle circostanze che il Procuratore andava esponendo non toglie, infatti, che fosse interamente ascrivibile alla sua libera volontà la decisione di affrontare determinati argomenti inerenti ai rapporti interni al suo ufficio (temi la cui trattazione non gli era stata richiesta), e di farlo con l'impostazione esasperatamente conflittuale in concreto seguita.
Non si può quindi condividere la tesi che la pertinenza delle tematiche toccate dal ricorrente rispetto ai fini della Commissione avrebbe eliso il rilievo della spontaneità delle sue dichiarazioni.
Ciò che merita adesione, piuttosto, è la conclusione in proposito del Consiglio Superiore circa l'improprio utilizzo della predetta sede istituzionale che si era in tal modo verificato, con il risultato oggettivo di alimentare il già grave clima di tensione esistente, rinfocolare le polemiche e creare ulteriore discredito.
Ne consegue che anche questo conclusivo mezzo deve essere respinto.
3. Una volta constatata, dunque, l'ineluttabilità del trasferimento d'ufficio del ricorrente - ancorché per un'incompatibilità solo territoriale, e non anche funzionale -, resta da occuparsi della tipologia del nuovo ufficio al quale il medesimo poteva essere assegnato ai fini dell'esecuzione della misura, tema che forma specifico oggetto del secondo dei ricorsi in epigrafe.
3a. In punto di fatto è avvenuto che all'interessato (che già aveva ricevuto in proposito dall'Organo di autogoverno una prima nota del 7/10/2003, fatta oggetto del ricorso n. 10079/2003) era pervenuta una nota con la quale, nel comunicargli che il precedente 20/10/2003 la Terza Commissione aveva individuato un certo ventaglio di sedi (Corte Suprema di Cassazione, Procura Generale presso la stessa Corte, nonché alcune Corti d'Appello e Procure generali) ritenute idonee a soddisfare le esigenze di servizio, tali sedi gli venivano appunto sottoposte con l'invito ad esprimere le sue preferenze.
Il ricorrente aveva replicato con atto di diffida, non esprimendo alcuna opzione e contestando le sedi così individuate. Egli faceva notare che queste rappresentavano una deminutio rispetto all'incarico di cui era stato fino ad allora titolare, e coglieva l'occasione per rammentare di avere una candidatura pendente nel procedimento in corso inteso all'assegnazione della titolarità della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Ma il C.S.M. con la delibera formante oggetto del ricorso n. 11677/2003 (recepita dal decreto ministeriale conclusivo del procedimento) disponeva all'esito di un concorso virtuale il suo trasferimento d'ufficio alla Corte di Cassazione con funzioni di consigliere, ufficio reputato il più adatto a contemperare la sua professionalità con l'interesse pubblico (precisando che non ostava alla definizione del procedimento la procedura pendente per il conferimento del predetto incarico nella Capitale, l'aspirazione del ricorrente al quale rimaneva impregiudicata).
3b. Ebbene, il ricorrente trae spunto dall'ordinanza cautelare con la quale il Tribunale, in data 22 ottobre 2003, in parziale accoglimento della domanda di sospensiva annessa al suo primo ricorso aveva sospeso l'efficacia della deliberazione del C.S.M. del 24/9/2003 nella parte in cui il suo trasferimento d'ufficio era stato fondato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale (oltre che ambientale). Viene detto che la pronuncia del T.A.R. relativa all'incompatibilità funzionale avrebbe dovuto indurre l'Organo di autogoverno a riaprire l'originario procedimento ai fini di una distinzione tra le incolpazioni, o quantomeno ad emettere una nuova deliberazione fondata esclusivamente sull'aspetto - non sospeso dal Tribunale - dell'incompatibilità ambientale. Sicché l'avere dato ulteriore corso al procedimento di trasferimento senza alcun correttivo integrerebbe una violazione della predetta ordinanza cautelare, cui del resto il nuovo provvedimento non fa alcun tipo di richiamo; e contrasterebbe anche con il principio del giusto procedimento ai sensi della legge n. 241/1990, che pure avrebbe comportato la necessità - oltre che l'opportunità - di una nuova istruttoria, nella quale un ruolo essenziale avrebbe dovuto avere una nuova audizione dell'interessato (chiamato a rispondere, questa volta, della sola incompatibilità ambientale).
Il Tribunale deve escludere, tuttavia, che la propria precedente ordinanza cautelare possa dirsi violata.
Tale provvedimento, invero, avendo portata solo parziale, lasciava inequivocabilmente integra la valutazione di incompatibilità ambientale (titolo ex se già sufficiente a giustificare un trasferimento d'ufficio ai sensi della legge sulle Guarentigie) cui era pervenuto il C.S.M. sulla base di risultanze legittimamente raccolte. Per tale ragione la misura cautelare non poneva alcun ostacolo alla prosecuzione del procedimento, ai cui fini non vi era, quindi, necessità di una nuova deliberazione - essendo stata sospesa solo in parte l'efficacia della precedente, della quale sopravviveva una componente autonoma ed autosufficiente -, né tanto meno esigenza di una riapertura dell'istruttoria, la quale neppure avrebbe potuto ritenersi imposta dal principio del c.d. giusto procedimento dal momento che all'interessato era già stato dato dinanzi alla prospettazione dell'incompatibilità ambientale modo di difendersi (non guasta poi ricordare che il dispositivo dell'invocata ordinanza del 22/10/2003 recitava con sufficiente chiarezza: "... per l'effetto sospende l'efficacia del provvedimento impugnato nella parte in cui ha fondato il trasferimento d'ufficio del ricorrente anche sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale").
3c. Il ricorrente rimarca, inoltre, il fatto che la nuova destinazione assegnatagli rifletta una posizione sottordinata rispetto a quella di provenienza, non integrando, diversamente da quella, un incarico direttivo. Si deduce che un simile demansionamento avrebbe avuto una qualche ragione d'essere unicamente sul presupposto dell'ipotizzata incompatibilità funzionale a suo carico: poiché, però, l'ordinanza cautelare ne aveva escluso la ricorrenza, anche sotto questo profilo tale pronunzia era stata ignorata e violata, unitamente all'aspettativa dell'interessato a vedersi destinato ad un incarico di pari rango.
Neppure queste deduzioni possono trovare consenso.
È indubbiamente vero che la sospensione cautelare della deliberazione del C.S.M. del 24/9/2003 sotto il profilo dell'incompatibilità funzionale erroneamente ascritta avrebbe permesso, in linea astratta, di confermare il dott. Cordova, in altra sede, in funzioni direttive analoghe a quelle fino ad allora ricoperte, essendo rimasta integra la sua corrispondente idoneità. Ed è altrettanto vero che la perdita delle funzioni direttive che invece concretamente discende dal trasferimento in contestazione si sostanzia in un tramutamento sicuramente pregiudizievole per l'interessato, in quanto ne tradisce e svilisce la solida professionalità direttiva, e per la stessa ragione si atteggia anche come controproducente dal punto di vista dell'interesse pubblico.
È però decisiva, sul punto, l'insuperabile considerazione della difesa erariale per cui, se per un verso, per quanto visto, il dott. Cordova non può permanere nella posizione fin qui occupata, tuttavia la normativa di settore, che prevede che la sua nuova collocazione debba essere stabilita a mezzo di un concorso virtuale, non consente di attribuire per il tramite di tale procedura incarichi di natura direttiva. Il sottodimensionamento del quale il ricorrente si duole trova quindi nella normativa del C.S.M. una base legittimante che impedisce di censurarlo.
3d. Avendo il Tribunale fatto cenno a questa circostanza ostativa già in occasione della sua ordinanza cautelare del 10/12/2003, il ricorrente con motivi aggiunti ha impugnato le circolari dell'Organo di autogoverno n. 15098/1993 e n. 13531/1996 con le quali, appunto, è stato introdotto nelle procedure di mobilità dei magistrati il concorso virtuale, e vietato il conferimento mediante tale tipologia di concorso di incarichi direttivi.
3d1. La parte assume con i suoi motivi aggiunti che la previsione del meccanismo del concorso virtuale sarebbe in se stessa radicalmente priva di fondamento giuridico, in assenza di qualsivoglia norma di grado superiore che attribuisca al C.S.M. il potere di istituire una procedura siffatta (ignota alle norme positive dell'ordinamento giudiziario, cui fa rinvio l'art. 105 della Costituzione).
Questo Tribunale, però, proprio recentemente ha avuto modo di osservare, al contrario, che l'introduzione da parte dell'Organo di autogoverno della procedura del concorso virtuale non è priva di fondamento nel sistema, posto che "la riserva di legge dettata dall'art. 108 della Costituzione per la materia dell'ordinamento giudiziario, la quale comprende nei propri confini anche il momento dell'investitura nelle funzioni giudiziarie, ivi inclusa la nomina dei magistrati negli uffici direttivi (C. Cost. n. 72 dell'8/2/1991), non implica che tutta la disciplina riguardante i magistrati ordinari debba essere fissata direttamente dalla legge, dovendo riconoscersi in capo al C.S.M. un compito di integrazione del sistema normativo positivo (C. Cost. cit.; C.d.S., IV, nn. 2715 del 15/5/2000 e 4406 del 30/7/2003 ; viene talvolta detto, infatti, che la predetta riserva di legge nei confronti del C.S.M. presenterebbe carattere relativo, e non assoluto). Ebbene, le circolari della cui legittimità si dubita costituiscono proprio espressione di questa funzione" (sentenza n. 889 del 29/1/2004).
Tanto in via generale premesso, va puntualizzato poi che l'applicazione di tale procedura specificamente nei casi di trasferimento d'ufficio (circolare n. 15098 cit., paragr. XXIII) si presenta immune da vizi, apparendo il concorso virtuale, per la sua celerità e la sua officiosità, un complemento del tutto naturale dell'istituto del trasferimento per incompatibilità, il quale non potrebbe essere assoggettato ai tempi e alla logica del concorso ordinario (che presuppone una partecipazione volontaria e non potrebbe tollerare un esito precostituito, essendo guidato, all'opposto, dalla logica immanente della ricerca del concorrente più idoneo).
3d2. Negli stessi motivi aggiunti viene affermata, inoltre, l'illogicità manifesta della norma di circolare che fa divieto di conferire mediante concorso virtuale incarichi direttivi, facendo notare come tale preclusione, le quante volte la procedura virtuale trovi applicazione nei riguardi di magistrati in atto già titolari di funzioni direttive, finirebbe col consentire esclusivamente tramutamenti in pejus.
Anche questa previsione appare, però, immune da vizi di legittimità. Come è stato già notato in fase cautelare, infatti, nella comparazione tra tutti i valori chiamati da tale norma in causa, il primario spessore degli interessi pubblici da essa salvaguardati (che si riconducono, principalmente, oltre che al favor per la trasparenza, alla necessità - invero indefettibile - che il conferimento di ogni incarico direttivo abbia luogo a vantaggio dell'aspirante che sia risultato, all'esito del confronto con tutti gli altri, il più idoneo) è sicuramente suscettibile, per la sua pregnanza, di giustificare il limitato sacrificio insito in una solo temporanea privazione individuale delle funzioni direttive.
3d3. Viene altresì richiamato il disposto dell'art. 28 lett. f) della già citata circolare n. 15098/1993, che esclude la possibilità del concorso virtuale "nei casi in cui sia in atto un concorso ordinario per il posto, diverso da quello di provenienza, indicato dal magistrato da ricollocare in ruolo": ciò in relazione al fatto che nella fattispecie pendeva un procedimento ordinario per l'assegnazione della Procura della Repubblica di Roma. Appare peraltro manifesto che quanto la norma così richiamata impediva era semplicemente il conferimento a mezzo di concorso virtuale di quest'ultimo specifico ufficio, in dipendenza del fatto che per esso era già pendente, appunto, un concorso ordinario: rimaneva quindi possibile per il Consiglio Superiore ogni diversa applicazione del modulo del concorso virtuale.
3e. Nel ricorso n. 11677/2003 si assume, infine, che il C.S.M., che nonostante l'ordinanza cautelare del 22/10/2003 già menzionata aveva tenuto ferme le proprie iniziali determinazioni, come se nulla fosse mutato, avrebbe dovuto, di contro, evidenziare in modo puntuale le ragioni per le quali si era determinato nei termini in contestazione, disattendendo il dettato giurisdizionale. Ma si è già avuto modo di evidenziare poc'anzi (nn. 3b e 3c) l'impossibilità di ascrivere all'Amministrazione la colpa di avere trasgredito il pronunciamento cautelare della Sezione. Ed è sufficiente una lettura anche fugace della deliberazione di cui si tratta per avvedersi di come la scelta con essa compiuta sia stata congruamente motivata.
3f. In conclusione anche il secondo ricorso, con i suoi motivi aggiunti, deve essere respinto. Come si è già detto nella pregressa fase cautelare, l'interesse del ricorrente ad una collocazione funzionale adeguata alla propria professionalità direttiva non potrà trovare soddisfacimento se non attraverso le ordinarie procedure concorsuali.
4. Le considerazioni svolte fin qui denotano l'infondatezza anche dell'ultimo dei ricorsi in esame, con il quale sono state riproposte le doglianze che erano state già dedotte in occasione dei primi due gravami.
5. Risulta confermato, in definitiva, che le censure di parte possono trovare accoglimento solo nella parte in cui i provvedimenti impugnati hanno fondato il trasferimento d'ufficio dell'interessato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale (e non meramente ambientale) rispetto alla Procura della Repubblica di Napoli.
L'esito confermativo dell'impugnato trasferimento - pur con l'indicata più ristretta causale - che da ciò scaturisce giustifica il rigetto della dedotta pretesa risarcitoria.
Sussistono giuste ragioni, anche alla luce della reciprocità della soccombenza, per compensare le spese processuali tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I, riuniti i ricorsi, ed estromessa dal giudizio la Presidenza della Repubblica, nonché il Ministero della Giustizia limitatamente a quanto concerne i ricorsi nn. 10079/2003 e 11677/2003, accoglie le impugnative in epigrafe nei limiti di ragione, e per l'effetto annulla i provvedimenti impugnati nella parte in cui hanno fondato il trasferimento d'ufficio dell'interessato sull'affermazione della sua incompatibilità funzionale, e non meramente ambientale, con l'ufficio ricoperto; respinge i ricorsi sotto i rimanenti profili.
Spese compensate.