Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 1° dicembre 2004, n. 22500

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza in data 31 dicembre 2001, la Corte di appello di Perugia - in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, che aveva adottato le statuizioni patrimoniali conseguenti al divorzio tra H.E.P. e G.V. di S. - ha dichiarato non più dovuto dal genitore, a decorrere dal 1° gennaio 2002, il contributo di mantenimento per le due figlie maggiorenni V. ed A., ormai di anni, rispettivamente, 34 e 32, ha confermato, ciò nonostante, l'assegnazione della casa coniugale (di proprietà del V.) in uso alla P., a titolo di "integrazione dell'assegno divorzile" a questa dovuto, mantenuto fermo all'importo, di lire 700.000 mensili, fissato dal primo giudice.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la P. per censurare, con tre motivi di cassazione, illustrati anche con memoria, le statuizioni, rispettivamente, relative: alla denegata ulteriore debenza del contributo di mantenimento per le figlie V. ed A., alla misura dell'assegno divorzile, al regolamento delle spese di lite.

Il V., con ricorso incidentale articolato in due motivi, esplicati anche con memoria, ha impugnato, a sua volta, in via principale, il capo della pronuncia relativo alla confermata assegnazione della casa coniugale all'ex moglie e (in via subordinata all'accoglimento dei primi due mezzi del ricorso avversario) alla mancata ammissione delle proprie istanze istruttorie, svolte nei precedenti gradi del giudizio, per i profili relativi sia all'effettivo luogo di abitazione ed alla condotta delle figlie maggiorenni, che alla verifica delle condizioni di salute di esso V. alla luce della documentazione da lui versata in atti.

3. I due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

4. Le prime due censure formulate nel ricorso principale risultano fondate, al pari di quelle articolate nel ricorso incidentale, mentre la terza doglianza della P. resta assorbita, in quanto le spese del giudizio di secondo grado andranno comunque riliquidate all'esito della fase di rinvio.

5. Ed infatti:

a) Relativamente alla debenza del contributo di mantenimento per le figlie maggiorenni, ha effettivamente errato la Corte perugina nell'escluderla esclusivamente in ragione di un "limite" (quale?) "che sulla base dell'età occorre apporre, al di là del quale il mantenimento si trasforma in parassitismo", senza valutare le circostanze addotte dalla P. e senza pronunziarsi sulla ammissione delle istanze istruttorie del V. tendenti, rispettivamente, ad escludere (le prime) ed a dimostrare (le seconde) la riconducibilità della perdurante condizione di dipendenza economica delle figlie a colpa delle medesime.

Dal che la fondatezza, appunto, del primo mezzo dal ricorso principale e del secondo subordinato motivo di quello incidentale.

b) Relativamente all'assegnazione della casa coniugale, hanno del pari errato quei giudici nel disporla in favore della moglie in funzione esclusivamente integrativa dell'assegno divorzile, prescindendo - come denunciato con il primo motivo del ricorso V. - dai parametri viceversa all'uopo fissati dall'art. 6 l. n. 898/1970.

c) Relativamente, infine, alla determinazione dell'importo dell'assegno divorzile, analogamente disattesi sono stati, dai giudici a quibus, i criteri fissati nell'art. 5 l. n. 898/1970, così come, sia pure a diversi fini, censurato con il secondo mezzo di entrambi i ricorsi.

6. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi, dei due ricorsi, accolti, che investono tutte le statuizioni patrimoniali connesse al divorzio dei coniugi ricorrenti.

Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa Corte di Perugia, in diversa composizione, nel riesaminare le questioni relative alla debenza o meno del contributo di mantenimento per le figlie maggiorenni, alla sussistenza o meno dei presupposti per l'assegnazione della casa coniugale alla P., ed alla determinazione dell'importo dell'assegno divorzile in favore di quest'ultima, si atterrà, rispettivamente, ai seguenti principi di diritto:

a) L'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, od oltre un dato limite dalla stessa, ma si protrae fino al momento in cui il figlio abbia raggiunto una propria indipendenza economica ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio e/o di procurarsi un reddito mediante l'esercizio di una idonea attività lavorativa o per avere detta attività ingiustificatamente rifiutato (cfr., ex plurimis, nn. 4616, 8868/1998, 4765/2002, 11863/2004).

Il genitore, il quale contesti la sussistenza del proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni che non svolgano attività lavorativa retribuita, è tenuto a fornire la prova che ciò dipenda da una condotta colpevole del figlio che persista in un atteggiamento di inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue attitudini, rifiuti le occasioni che gli vengano offerte o abbandoni senza valide giustificazioni il posto di lavoro da lui occupato (cfr. nn. 475/1990, 13126/1992, 8383/1996, 4765/2002).

b) Anche nel vigore della l. 6 marzo 1978, n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l'art. 6 della l. n. 989 del 1970, la disposizione del sesto comma di questa ultima norma consente il sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali (o personali) sull'immobile adibito ad abitazione coniugale, mediante l'assegnazione di questa, in sede di divorzio, all'altro coniuge, ma solo alla condizione della sua convivenza con figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti (cfr. nn. 6559, 11030/1997, 266/2000, 11696/2001, 9071/2001, 12309/2004).

Per cui, in difetto di tali condizioni, coerenti alla finalizzazione dell'istituto a tutela della prole, l'assegnazione non potrà essere disposta, in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole, in funzione integrativa (o sostitutiva) dell'assegno divorzile, dovendo per converso tenersi conto, ai fini della determinazione di detto assegno, dell'eventuale esborso economico che il coniuge è tenuto ad affrontare per far fronte alle proprie esigenze abitative.

c) Ai sensi dell'art. 5 l. 898/1970, rettamente interpretato, la determinazione dell'assegno divorzile richiede al giudice una valutazione ponderata e bilanciata che tenga conto, da un lato, delle esigenze economiche del coniuge richiedente - in dipendenza dell'inadeguatezza (da accertarsi previamente) dei mezzi di cui questi dispone, o che sia in grado di procurarsi rispetto all'obiettivo, tendenziale, di mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza del matrimonio - e, dall'altro, delle condizioni e della capacità economica dell'altro coniuge, nel quadro anche degli altri elementi (durata del matrimonio ecc.) indicati nella norma suddetta e che possono rilevare come fattori ulteriori di conformazione e moderazione, in concreto, della misura dell'assegno in questione (cfr. nn. 4040/2003, 6660/2001, 4809/1998, per tutte).

7. È rimessa al giudice di rinvio la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo e secondo mezzo del ricorso principale, con assorbimento del terzo, ed entrambi i motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.