Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 10 gennaio 2005, n. 29
FATTO
Con la sentenza nr. 7300/2003 il TAR Campania - Napoli ha accolto il ricorso iscritto al n. 12859/2002 R.G. proposto dai Sig.ri Antonio Frogiero (in veste di Sindaco), Silvio Antonio Iannotta, Giovanni De Masi, Antonio Della Ratta, Mario Maddaloni, Antonio Buffolino, Salvatore Augliese, Mario Meccariello e Valentino Carmine (in veste di consiglieri comunali non dimissionari) per l'annullamento del decreto del 5 novembre 2002 del Presidente della Repubblica, di scioglimento del Consiglio Comunale di Sant'Agata dei Goti per dimissioni della metà più uno dei relativi consiglieri e del decreto prefettizio prot. N. 1570/Gab. 13.69.1 in data 9.10.2002 con il quale il Prefetto di Benevento disponeva la sospensione dello stesso Consiglio Comunale.
La sentenza è stata appellata, con i ricorsi iscritti ai nr. 7197/2003 e 8136/2003 R.G. proposti, rispettivamente, dai Signori Domenico Della Ratta, Michele Pasquale Meccariello, Antonio Carmine Di Stasi, Michele Razzano, Alessandro Della Ratta e Stefano Di Donato e dai Signori Antonio Biscardi, Alfonso Ciervo, Pasquale Oropallo, Renato Lombardi, Giovanni Maddaloni che contrastano le argomentazioni del TAR Campania - Napoli.
Con la sentenza nr. 2583/2004 il medesimo Giudice di prime cure ha respinto il ricorso nr. 5128/2003 R. G., proposto dai Sig.ri Antonio Frogiero, Silvio Antonio Iannotta, Giovanni De Masi, Antonio Della Ratta, Mario Maddaloni, Antonio Buffolino, Salvatore Augliese, Mario Meccariello, Valentino Carmine, Mario Ascierto Della Ratta e Maria Razzano per l'annullamento quanto al ricorso introduttivo, del decreto prefettizio prot. n. 776/13/69/1 in data 4.4.2003 in pari data notificato, mediante il quale il Prefetto di Benevento ha sospeso il Consiglio comunale di Sant'Agata de' Goti ai sensi dell'art. 141, comma 1, lett. b), n. 3, del d.lgs. n. 267/2000 ed ha contestualmente nominato il dott. Vincenzo Lubrano commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell'ente; della nota prefettizia di pari protocollo e data "nuova proposta di scioglimento del consiglio comunale" destinata al Ministero dell'Interno, Gabinetto del Ministro e Dipartimento per gli affari interni e territoriali Direzione Centrale per le autonomie; dell'atto contenente le dimissioni a firma di Cervo Alfonso, Biscardi Antonio, Lombardi Renato, Oropallo Pasquale, Razzano Michele, Della Ratta Alessandro, Di Donato Stefano, Della Ratta Domenico, Maddaloni Giovanni, Di Stasi Carmine Antonio e Meccariello Michele Pasquale, assunta al protocollo del Comune di Sant'Agata de' Goti al n. 4802 del 3.4.2003; del fonogramma prefettizio n. 1500/gab odierno del 3.4.2003; ove occorra, della nota a firma del Segretario generale dell'ente prot. n. 4808 del 4.4.2003 di trasmissione al Prefetto dell'atto contenente le dimissioni; di ogni altro atto e/o provvedimento ai primi connesso e conseguente se ed in quanto lesivi della posizione giuridica dei ricorrenti; quanto al ricorso per motivi aggiunti, della nota Ministero dell'Interno prot. 15911/70 a firma Cicala del 27.6.2003 e dell'allegata copia del solo Decreto del Presidente della Repubblica di "Scioglimento del consiglio comunale di Sant'Agata de' Goti e nomina del Commissario Straordinario del 24.6.2003, notificato il 4.7.2003; del decreto del Presidente della Repubblica di "Scioglimento del consiglio comunale di Sant'Agata de' Goti e nomina del Commissario Straordinario" del 24.6.2003 e della relativa relazioni ministeriale a firma Pisanu in data 19.6.2003 pubblicati sulla G.U. n. 156 dell'8.7.2003; della nota a firma del Direttore centrale del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'Interno prot. 15911/70 in data 1.7.200 notificata in data 22.7.2003; della nota prefettizia prot. n. 1375/Gab 13.69.1 del 4.7.2003 successivamente comunicata; della nota in data 24.7.2003 a firma del Consigliere del Presidente della Repubblica Sechi; di ogni altro atto e/o provvedimento ai primi connesso e conseguente se ed in quanto lesivi della posizione giuridica dei ricorrenti nuovamente incluso il provvedimento di sospensione prefettizia in data 4.4.2003.
La sentenza è stata appellata con ricorso iscritto al nr. 2483/2004 R.G. dai Sig.ri Antonio Frogiero, Silvio Antonio Iannotta, Antonio Della Ratta, Mario Maddaloni, Antonio Buffolino, Salvatore Augliese e Mario Meccariello.
Con le ordinanze in data 28 Agosto 2003 e 20 aprile 2004 sono state respinte le istanze cautelari, proposte per la sospensione dell'efficacia delle sentenze gravate.
Alla pubblica udienza del 6 luglio 2004, i ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.
DIRITTO
1. I tre appelli in epigrafe possono essere riuniti e definiti con un'unica decisione stante la loro connessione.
2. I ricorsi pongono il problema, di frequente trattazione giurisprudenziale, concernente la fattispecie dissolutiva dei consigli comunali, per dimissione dei componenti, prevista dal d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).
3. Pare opportuno riassumere, per sommi capi, la vicenda per la quale è causa. Mediante atti depositati contemporaneamente il 9 ottobre 2002 (prot. nn. 12720, 12721, 12722, 12723 e 12724) i consiglieri del consesso civico del Comune di Sant'Agata de' Goti Domenico Della Ratta, Giovanni Maddaloni, Pasquale Michele Meccariello, Antonio Carmine Di Stasi, Michele Razzano, Alessandro Della Ratta, Stefano Di Donato, Alfonso Cervo, Antonio Biscardi, Pasquale Oropallo e Renato Lombardi rassegnarono le dimissioni dalla carica. Dalle dimissioni discesero i provvedimenti di sospensione, nomina di commissario e successivo scioglimento del consiglio comunale (con conferma della nomina del commissario). Tali atti furono gravati dai Sig.ri Antonio Frogiero (nella veste di Sindaco), Silvio Antonio Iannotta, Giovanni De Masi, Antonio Della Ratta, Mario Maddaloni, Antonio Buffolino, Salvatore Augliese, Mario Meccariello e Valentino Carmine (nella qualità di consiglieri non dimissionari) innanzi al TAR Campania - Napoli, che, con sentenza n. 7300/2003, in accoglimento del ricorso, li annullò con la motivazione della irritualità, rispetto allo schema prefigurato dall'articolo 141 t.u.e.l., dell'atto dimissorio così come presentato in quella occasione. Successivamente, dopo uno scambio di comunicazioni fra i Sig.ri Frogiero e Della Ratta ed il Prefetto di Benevento, in data 3 aprile 2003, con unico atto contestuale presentato al protocollo comunale (n. 4802) il 3 aprile 2003, gli undici consiglieri comunali (già dimissionari in data 9 ottobre 2002) hanno rassegnato nuovamente le proprie dimissioni. Da ciò l'adozione degli atti gravati in primo grado con ricorso n. 5128/2003 R.G. proposto dai signori Antonio Frogiero, Silvio Antonio Iannotta, Giovanni De Masi, Antonio Della Ratta, Mario Maddaloni, Antonio Buffolino, Salvatore Augliese, Mario Meccariello, Carmine Valentino, Mario Ascierto Della Ratta e Maria Razzano, respinto dal TAR Campania - Napoli con la sentenza n. 2583/2004.
4. In primo luogo, merita di essere disattesa l'eccezione di irricevibilità del ricorso iscritto al nr. 7197/2003 R.G. sollevata dalla difesa dei Sig.ri Frogiero e altri; invero, questo Consesso ha costantemente affermato l'inammissibilità dell'appello in materia elettorale qualora il deposito avvenga oltre il termine di quindici giorni dall'ultima notifica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15/10/1986, n. 555). Ebbene, nel caso che ci occupa, l'ultima notifica è intervenuta in data 16 luglio 2003, mentre il deposito è stato effettuato in data 30 luglio 2003; ne discende il pieno rispetto del termine perentorio dimezzato fissato dalla legge. Del pari priva di base è l'eccezione di inammissibilità del ricorso per l'inesistenza della notificazione agli appellati ed ai controinteressati Ciervo ed altri, per l'asserita inesistenza dell'Ufficio notifiche; invero, la relata di notificazione è atto pubblico che fa fede fino a querela di falso e che è dotato di presunzione di legittimità; pertanto, è a carico di chi eccepisce la falsità l'onere di proporre querela. Infine, la notifica eseguita presso l'Avvocatura distrettuale e non presso l'Avvocatura generale non implica l'inammissibilità dell'impugnativa, attesa l'integrità del contraddittorio da riferire ai tre ricorsi riuniti.
5. In ordine al giudizio introdotto dal ricorso iscritto al nr. 8136/2003 R.G., la difesa dei Sig.ri Frogiero e altri ha eccepito l'improponibilità del gravame (per consumazione del potere di impugnazione ex art. 358 c.p.c.) nonché la sua improcedibilità ed inammissibilità per violazione dell'art. 335 c.p.c. Tali eccezioni non meritano adesione; invero, ai sensi dell'art. 333 c.p.c., la parte che abbia ricevuto la notificazione dell'appello proposto contro una sentenza ha l'onere di impugnarla in via incidentale se vuole evitare di incorrere nella decadenza nell'ipotesi di mancata riunione dei giudizi, ma ciò non toglie alla parte stessa la facoltà di proporre un'impugnazione autonoma (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20/01/2003, n.200; Cons. Stato, sez. VI, 09/05/2002, n.2537; Cons. Stato, sez. V, 15/03/2001, n.1520; Cons. Stato, sez. V, 03/02/2000, n. 661; Cons. Stato, sez. VI, 03/06/1997, n. 835); in secondo luogo, dal combinato delle disposizioni contenute negli art. 348, comma 1, e 358 c.p.c., si ricava che la consumazione del potere di impugnazione presuppone necessariamente l'intervenuta dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del primo gravame (Cons. Stato, sez. IV, 25/07/2001, n. 4077; Cons. Stato, sez. IV, 07/05/2001, n. 2558: Cons. Stato, sez. V, 12/06/1993, n. 691): nella fattispecie difetta una simile declaratoria.
6. In ordine all'incidente di falso proposto dal Sig. Antonio Frogiero nell'ambito del ricorso iscritto al nr. 8136/2003 R.G va ricordato che secondo l'art. 41 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642 «chi deduce la falsità di un documento deve provare che sia stata già proposta la querela di falso, o domandare la prefissazione di un termine entro cui possa proporla innanzi al Tribunale competente». Nel caso in esame, tuttavia, l'integrità del contraddittorio (testimoniata dalla costituzione delle parti, private e pubblica, evocate in giudizio) rende priva di rilievo l'asserita falsità.
7. Venendo al merito della questione, va preliminarmente osservato che, in base al principio "tempus regit actum" non può farsi riferimento alle modifiche normative recate all'art. 38, comma 8 del Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recate dalla legge 28 maggio 2004, n. 140 di conversione del decreto legge 29 marzo 2004, n. 80 (disposizioni urgenti in materia di enti locali). Non avendo tale ultima normativa valore di interpretazione autentica, va riconosciuta, in base agli ordinari principi che regolano l'applicazione della legge nel tempo, che essa dispone per l'avvenire. La questione va pertanto valutata alla luce della normativa all'epoca vigente. Al riguardo, deve essere osservato che gli artt. 38, ottavo comma, e 141, primo comma, lett. b), n. 3, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, disciplinano due distinte ipotesi relativamente alle dimissioni dei consiglieri comunali (e provinciali). L'art. 38, comma ottavo, disciplina le dimissioni individuali che, secondo quanto emerge testualmente dalla norma in esame, danno luogo alla surrogazione dei dimissionari. In tale ipotesi, non si pone un problema di revocabilità delle dimissioni: infatti, secondo l'articolo citato, le dimissioni dalla carica di consigliere, indirizzate al rispettivo consiglio, devono essere assunte immediatamente al protocollo dell'ente nell'ordine temporale di presentazione e risultano irrevocabili, non necessitando di presa d'atto essendo immediatamente efficaci. Non vi è dubbio che la protocollazione delle dimissioni stesse fa sì che la dichiarazione di volontà del dimissionario esca dalla sua sfera di disponibilità, dal momento in cui viene registrata, assumendo una propria ed immodificabile rilevanza giuridica idonea - da quel momento - a produrre - tra l'altro - l'effetto della successiva surrogazione dei consiglieri dimissionari da parte dei rispettivi consigli (in presenza dei presupposti indicati nello stesso articolo 38, comma 8). Ciò comporta che l'immediata efficacia ope legis dell'atto delle dimissioni non consenta, neanche da parte del presentatore, alcuna possibilità di differimento delle stesse a data futura rispetto a quella della presentazione, garantendo la norma anche l'esercizio dello jus ad officium del consigliere subentrante (cfr. Cons. Stato, 10/10/2002, n. 3049). In altri termini, le dimissioni finché non sono assunte al protocollo comunale, e quindi acquisite al Consiglio comunale, al quale devono essere indirizzate, restano disponibili alla sfera soggettiva del singolo consigliere comunale. Con la presentazione dell'atto al protocollo del Comune, le dimissioni, secondo quanto testualmente stabilisce la disposizione in esame, "sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente efficaci". Una successiva contraria manifestazione di volontà diretta a rimuovere gli effetti delle dimissioni è dunque, per legge, priva di efficacia (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24.11.1997, n. 1371). Dalla data di presentazione delle dimissioni, del resto, scattano le procedure per la sostituzione del consigliere dimissionario, da concretizzarsi in tempi ristretti, volendosi dal legislatore ripristinare immediatamente la compiutezza del massimo organo deliberativo dell'ente. La data di presentazione delle dimissioni, infatti, costituisce il termine a quo per l'adozione da parte del Consiglio comunale della deliberazione per la surroga del consigliere dimissionario, che, secondo la disposizione in esame, deve essere effettuata "entro e non oltre dieci giorni". La registrazione al protocollo, infine, nel caso in cui i consiglieri dimissionari siano più di uno (senza peraltro raggiungere il numero previsto per lo scioglimento del Consiglio), vale anche a determinare, con l'ordine progressivo di iscrizione nel registro di protocollo dei vari atti di dimissioni, anche l'ordine delle deliberazioni di surroga, disponendo la norma in esame che il Consiglio comunale "entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, con separate deliberazioni, seguendo l'ordine delle dimissioni quale risulta dal protocollo".
8. L'art. 141 del d.lgs. n. 267 del 2000, contempla la diversa ipotesi della sospensione e dello scioglimento del consiglio comunale (o provinciale). Stabilisce, infatti, la norma in parola, al primo comma, lett. b), n. 3, che il consiglio viene sciolto "per cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell'ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia". Come è noto, tale disposizione, che ricalca l'art. 39 della legge 8.6.1990, n. 140, nel testo modificato dall'art. 5 della legge 15.5.1997, n. 127, è la versione più recente e perfezionata di una norma già vigente nell'ordinamento degli enti locali dovuta all'esigenza di codificare regole e criteri certi per la trattazione delle dimissioni dei consiglieri comunali, quando queste superino, nel loro insieme, il numero minimo che, secondo il legislatore, è necessario a mantenere la conformità dell'organo alla volontà espressa dal corpo elettorale nelle consultazioni elettorali. In precedenza, sia l'art. 8 del t.u. delle leggi elettorali amministrative approvato con il d.P.R. 16.5.1960, n. 570, che prevedeva lo scioglimento dei consigli comunali per "dimissioni della metà più uno dei consiglieri comunali", sia lo stesso art. 39 della legge n. 140 del 1990, che nella sua formulazione originaria stabiliva che i consigli comunali vengono sciolti "per decadenza o dimissioni di almeno la metà dei consiglieri", avevano dato luogo ad interpretazioni giurisprudenziali oscillanti, particolarmente controverse sul punto relativo alle dimissioni ultra dimidium rese in tempi diversi e con motivazioni diverse. Con il nuovo dato normativo il legislatore ha cercato di sopire i contrasti, ancorando, con maggior nisus definitorio, lo scioglimento del consiglio comunale per dimissioni ultra dimidium al dato oggettivo e reale della contestualità ovvero della contemporaneità della presentazione delle medesime, la quale denota la mutua implicazione delle singole dichiarazioni di volontà dimissoria - con vicendevole consapevolezza da parte dei singoli consiglieri dimissionari delle altrui dimissioni - ed il perseguimento dell'unico disegno di provocare la dissoluzione dell'organo consiliare. Sul punto merita di essere ricordato l'intervento interpretativo dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 24.7.1997, n. 15 secondo cui «le dimissioni dei consiglieri comunali sono da considerare "ultra dimidium", e danno luogo allo scioglimento del Consiglio comunale, se simultanee, cioè se presentate nello stesso giorno, mentre vanno considerate "infra dimidium" negli altri casi, a nulla rilevando che le dimissioni presentate in giorni diversi raggiungano successivamente la soglia di depauperamento della metà dei consiglieri».
9. È stato affermato da questa Sezione (Consiglio di Stato, Sez. V, dec. 6 maggio 2003 n. 2382) che l'art. 5 della legge n. 127 del 1997, che ha introdotto all'art. 39 della legge n. 140 del 1990 il testo successivamente riprodotto dall'art. 141 del t.u. n. 267 del 2000, allo scopo di superare tali incertezze, ha previsto, come presupposto per il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, da adottarsi con decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro dell'Interno, che le dimissioni della metà più uno dei componenti il consiglio comunale (sindaco o presidente della provincia escluso) debbano essere presentate in un unico contesto temporale. La norma, pertanto, dispone che le dimissioni debbono essere rassegnate o con un unico atto (ipotesi nella quale la contestualità temporale è data dall'unicità del documento), ovvero, anche con più atti che, peraltro, siano presentati tutti insieme ("contemporaneamente", cioè in fascio), al protocollo comunale: «ciò vuol dire, in concreto, che detti atti devono essere registrati dal relativo Ufficio (tenuto ex art. 38 dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000 ad "assumerle immediatamente nell'ordine temporale di presentazione"), con protocolli in entrata relativi allo stesso giorno e alla medesima ora, in "stretta sequenza numerica"» (Cons. Stato, Sez. I, par. 10.10.2002, n. 3049). Nella prefata decisione si prosegue affermando che solo la contestualità delle dimissioni in un unico atto ovvero la sostanziale contestualità della protocollazione degli atti separati contenenti le dimissioni della metà più uno dei membri del consiglio risulta idonea a costituire la prova, sorretta da presunzione legale, della volontà concordata ed irrevocabile della maggioranza indicata dalla legge di provocare lo scioglimento del consiglio comunale. La contestualità vale anche a scongiurare lo scioglimento del consiglio comunale per una casuale sommatoria di dimissioni dovute a motivi diversi non certamente aventi finalità dissolutorie del consiglio comunale se non addirittura a manovre surrettizie delle minoranze dirette a determinare il risultato politico dello scioglimento dell'organo e un nuovo ricorso al corpo elettorale (come può accadere se consiglieri di minoranza, approfittando delle dimissioni di membri della maggioranza, ovviamente non motivate da intenti dissolutori, aggiungono a queste le proprie dimissioni, per raggiungere il numero di consiglieri dimissionari stabilito dall'art. 141 per lo scioglimento del consiglio). La norma è diretta, quindi, alla maggiore stabilità e alla conservazione, per quanto possibile, della amministrazione ordinaria del Comune, e a mantenere inalterata, nonostante le surrogazioni, la fisionomia che ad essa è stata democraticamente assegnata dal corpo elettorale (sulla contestualità, nel senso da ultimo descritto cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26/05/1998, n. 696; Cons. Stato Sez. V, 6 maggio 2003 n. 2382, cit.; contra, tuttavia, Cons. Stato, Sez. IV, 03/03/2000, n. 1131, secondo cui «le dimissioni di almeno metà dei consiglieri in carica determina lo scioglimento del Consiglio comunale solamente se simultanee, ovvero presentate nello stesso giorno»).
10. Nel richiamato parere della sezione I di questo Consesso (cfr., negli stessi termini, Ministero dell'Interno, nota prot. n. 15900 TU/00/38 DIU URAEL del 2/8/2002), si condivide la tesi patrocinata dall'Amministrazione dell'Interno secondo cui «la materiale e personale consegna del documento al protocollo da parte dell'interessato, con la connessa identificazione da parte del personale addetto, sia stata individuata dal legislatore (ancorché implicitamente) come "l'unica modalità ammissibile per dare giuridica rilevanza alla volontà di dismettere il mandato, con la conseguenza di dover ritenere le dimissioni eventualmente presentate per interposta persona o inoltrata per posta o con altri mezzi improcedibili e comunque prive di efficacia"». Tale ricostruzione viene ricondotta alla "ratio legis", la quale «impone di ritenere che la normativa di settore intenda rispettare l'esigenza (riferibile al principio costituzionale della salvaguardia della volontà dell'elettorato) di assicurare la massima garanzia alla certezza e veridicità dell'atto di dimissioni in questione, tenuto conto del suo irreversibile riflesso sull'esercizio delle pubbliche funzioni nonché la sua possibile incidenza sullo scioglimento della rappresentanza elettiva dell'ente e sul conseguente affidamento temporaneo della amministrazione ad un commissario straordinario. Diversamente opinando, infatti, l'incidenza di eventuali accertamenti giurisdizionali "a posteriori" in ordine ad una reale diversa volontà dell'agente (o alla presenza di pur possibili falsificazioni) non potrebbe non riflettersi negativamente sulla funzionalità dell'ente locale e - in definitiva - sul principio costituzionale del suo "buon andamento" - desumibile ex articolo 97 della Costituzione - con evidente danno per la collettività interessata».
11. La tesi interpretativa esposta, tuttavia, non è stata condivisa da questa Sezione. Invero, nelle decisioni Cons. Stato, Sez. V, 30/05/2003, n. 2975 e Cons. Stato, Sez. V, 17/07/2004, n. 5157, decisioni alle quali il Collegio intende aderire, si è ritenuto di non condividere la posizione assunta dalla prima Sezione del Consiglio di Stato nel parere n. 4269 dell'11 dicembre 2002. In esso, modificando un precedente orientamento espresso dalla medesima Sezione (cfr. il citato parere n. 3049 del 10 ottobre 2002), in cui addirittura si era ritenuta necessaria "la materiale e personale consegna del documento al protocollo da parte dell'interessato, con la connessa identificazione da parte del personale addetto" con la conseguenza di dover ritenere le dimissioni eventualmente presentate per interposta persona o inoltrata per posta o con altri mezzi improcedibili e comunque prive di efficacia", è stato affermato che, ferma restando la necessità in via generale della presenza fisica del consigliere al momento delle dimissioni, sono da ritenersi valide le dimissioni presentate dal consigliere impedito purché "previamente autenticate ed in data certa e con l'indicazione (contestuale o - a sua volta - separatamente autenticata) delle generalità di quest'ultimo". È stato, in particolare, escluso che in tale materia trovi applicazione il principio della libertà delle forme ritenuto "non idonea, evidentemente, a garantire la esigenza legale della "certezza" e della "veridicità" dell'atto di dimissioni" ed è stato ritenuto che "l'interpretazione della vigente normativa di settore non può certamente prescindere dalla considerazione della effettiva volontà degli interessati al riguardo, ove questa - anche in ragione della sua definitività e delle sue conseguenze - si manifesti comunque con un'adeguata e sufficiente garanzia della certezza e veridicità delle dimissioni pur in mancanza della materiale presentazione delle medesime da parte dei predetti". Tuttavia, a parere del Collegio, si è incluso tra i presupposti previsti dalla legge l'elemento alternativo della presenza fisica del consigliere dimissionario e dell'autenticazione della sua sottoscrizione che non è in alcun modo previsto dalla legge che, come si è visto, si limita a richiedere la contestualità delle dimissioni presentate dalla maggioranza dei consiglieri e il loro essere rivolte al Consiglio quali unici requisiti per il determinarsi dell'effetto dello scioglimento comunale. E, peraltro, anche l'onere formale dell'autentica della firma, individuato quale strumento necessario per garantire la veridicità delle dichiarazioni di dimissioni risulta - in assenza di espressa richiesta normativa quale quella introdotta dall'art. 3 della richiamata legge 28 maggio 2004, n. 140 - al tempo stesso superfluo ed insufficiente. Superfluo tutte le volte in cui, come nel caso in questione, la veridicità della sottoscrizione non risulta disconosciuta dal consigliere dimissionario. Insufficiente, in generale, in quanto il pubblico ufficiale che autentica la firma non è affatto chiamato ad indagare sulla volontà del dichiarante ma solo ad attestare che la sottoscrizione è avvenuta in sua presenza. Né, infine, detta autenticazione è indicativa dell'attualità della volontà dal momento che, in assenza di una norma espressa che ne sancisca l'irrevocabilità per un certo tempo dalla data di autenticazione della sottoscrizione, ben potrebbe l'interessato modificare le sue determinazioni in relazione al mutato assetto politico nell'intervallo di tempo intercorrente tra l'autentica e la presentazione delle dimissioni al protocollo dell'ente. Nel silenzio della legge, dalla natura "politica" dell'atto di dimissioni, che è atto di esercizio, sia pure in negativo, di un diritto politico costituzionalmente garantito, non possono trarsi conseguenze sugli oneri formali da rispettare. In conclusione, non può l'interprete introdurre oneri formali che il legislatore non aveva, al momento dei fatti, previsto o che disposizioni sublegislative non avevano allo stesso momento fissato con certezza, ciò indipendentemente dalla verifica sulla legittimità di tali disposizioni. Per le esposte ragioni la sentenza appellata nr. 7300/2003 non può essere condivisa.
12. Infine, non possono trovare accoglimento i motivi proposti in primo grado dai Sig.ri Frogiero ed altri, dichiarati assorbiti in prime cure e riproposti in secondo grado. In particolare, risultano infondati i motivi di eccesso di potere per contraddittorietà in atti e illogicità manifesta e di violazione dell'art. 97 della Costituzione e violazione dei principi in tema di salvaguardia elettorale. Invero, merita di essere precisato, che la fattispecie che ci occupa è anteriore alla circolare del Ministero dell'interno n. 10/2002 acquisita al protocollo del Comune di Sant'Agata de' Goti solo in data 9 dicembre 2002 e, a differenza di quanto sostenuto dalla prefata difesa, il richiamato parere del Consiglio di Stato in sede consultiva non è vincolante: ne discende la non accoglibilità del motivo di illegittimità prospettato. Né risulta necessaria la contestazione del parere espresso dal Consiglio di Stato, come, al contrario, afferma la difesa dei Sig.ri Frogerio ed altri.
Infine, in ordine alle ulteriori censure assorbite in primo grado va precisato che il richiamo in un atto del giudizio di appello a tutte le censure e le argomentazioni di cui agli di primo grado, data la sua genericità, non può essere qualificato come rituale riproposizione dei motivi di gravame assorbiti in primo grado, il cui esame, in grado di appello, è intanto possibile solo se interviene un'apposita iniziativa della parte interessata (Cons. Stato, sez. VI, 22/01/2002, n. 379). L'onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti dalla decisione impugnata esige, invero, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi specificamente le censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, all'evidente fine di consentire a quest'ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse. Ne consegue che un indeterminato rinvio agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio d'appello i motivi in tal modo dedotti (Cons. Stato, sez. V, 18/09/2003, n. 5322).
Va altresì osservato che alcuni motivi assorbiti in primo grado, richiamati brevemente, appaiono generici e, dunque, parimenti inammissibili.
Per le ragioni esposte i ricorsi in appello iscritti ai nr. 7197/2003 e 8136/2003 R.G. vanno accolti. Deve essere, di conseguenza, dichiarata l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso in appello iscritto al nr. 2483/2004 R.G.
Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V:
- riunisce i ricorsi in epigrafe;
- accoglie i ricorsi in appello iscritti ai nr. 7197/2003 e 8136/2003 R.G. e per l'effetto riforma la sentenza gravata nr. 7300/2003;
- dichiara l'improcedibilità del ricorso in appello iscritto al n. 2483/2004 R.G.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.