Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione III bis
Sentenza 27 gennaio 2005, n. 663

FATTO E DIRITTO

1. Dagli atti di causa risulta, con riferimento ai difensori della ricorrente:

a) che l'Avv. Giuseppe Guarino è stato cancellato dall'albo professionale su domanda, con deliberazione del Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Roma del 21 maggio 2002;

b) che l'Avv. Marco Siniscalco è deceduto in data 20 settembre 2003.

2. Il Collegio ritiene che nella specie debba farsi luogo all'interruzione del processo, considerato:

a) che il decesso dell'Avv. Siniscalco costituisce evento indiscutibilmente rilevante a tal fine, ai sensi dell'art. 24, primo comma, della l. n. 1034/1971 e dell'art. 301 c.p.c.;

b) che anche la cancellazione dall'albo su domanda dell'Avv. Guarino costituisce evento idoneo a integrare la fattispecie dell'interruzione, alla stregua delle considerazioni che seguono.

3. Secondo l'orientamento giurisprudenziale dominante, la cancellazione volontaria del difensore di una parte dall'albo professionale non è causa d'interruzione del processo, nel quale egli si sia costituito, in quanto tale ipotesi non è assimilabile a quelle previste dall'art. 301 c.p.c., che consistono in eventi indipendenti dalla volontà del procuratore (morte, radiazione, sospensione), ma a quelle previste dal terzo comma dell'articolo medesimo (revoca e rinuncia alla procura), che si ricollegano ad un comportamento volontario (cfr. ex plurimis Cass. civ., 27 novembre 1999, n. 13282; Cass. civ., 14 dicembre 1994, n. 10693; Cass. civ., 1993 n. 8793; Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 1994, n. 813; sez. IV, 20 gennaio 1998, n. 15).

4. Detto orientamento è stato tuttavia recentemente sottoposto ad un meditato ripensamento in una significativa pronuncia della Corte di cassazione (Cass. civ. 5 ottobre 2001, n. 12294), la quale è pervenuta alla conclusione del riconoscimento della rilevanza della cancellazione volontaria ai fini dell'interruzione del processo, valorizzando anche gli spunti forniti da alcuni precedenti difformi dall'impostazione dominante.

Dal complesso ordito di questa pronuncia è possibile enucleare una serie di argomentazioni riassumibili nei termini che seguono.

4.1. Sotto il profilo storico, si rileva che, nel vigore del codice di procedura civile del 1865, una consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale includeva le ipotesi di cessazione volontaria dall'esercizio della professione tra quelle rilevanti ai fini dell'interruzione del processo.

4.2. Il termine "radiazione" adoperato nell'art. 301 del c.p.c. vigente va inteso come riferito non solo alla radiazione in senso tecnico, ma a tutti i casi di cancellazione dall'albo, con la connessa perdita dello ius postulandi, avuto riguardo:

- ai lavori preparatori del codice, dai quali si evince che la sostituzione del termine "decadenza", e poi del termine "radiazione" alla originaria locuzione "cessazione dalle funzioni" non costituì espressione dell'intendimento di escludere dal novero delle cause di interruzione del processo la cessazione volontaria del procuratore dall'ufficio ;

- alla ratio della norma in esame, individuata nell'esigenza della garanzia di un effettivo contraddittorio, il quale sarebbe menomato se gli avvenimenti che incidono direttamente sulla possibilità fisica o giuridica che una parte si difenda in giudizio non spiegassero alcun effetto sul processo;

- al fatto che le norme che riguardano la perdita dello ius postulandi per effetto della cancellazione dall'albo sono di ordine pubblico e gli effetti di inesistenza degli atti posti in essere dal medesimo sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo e non sono sanabili per effetto della costituzione e della acquiescenza dell'altra parte;

- al fatto che la cancellazione, anche c.d. "volontaria", non incide esclusivamente sul rapporto privatistico, inerendo invece proprio al munus publicum, che consente il legittimo esercizio della professione forense.

4.3. In questa ottica si rileva la netta differenza tra le ipotesi riconducibili rispettivamente al primo ed al terzo comma dell'art. 301 c.p.c.: nei casi di cui al primo comma viene eliminata in radice la presenza di un difensore, mentre in quelli di cui al terzo comma è interrotto il rapporto professionale cliente - difensore, ma quest'ultimo mantiene in pieno la propria qualificazione ed attitudine defensionale.

In particolare, poi, solo nei casi di cui al terzo comma (revoca e la rinunzia), è ragionevolmente configurabile il rischio di una strumentalizzazione della vicenda a fini dilatori in danno delle controparti processuali.

4.4. Si osserva altresì, sulla scorta di alcune pronunce della Corte Costituzionale (cfr. sentenze 15 dicembre 1967, n. 139, e 6 luglio 1971, n. 159), che la parte costituita non può essere esposta a preclusioni o a decadenze per eventi quale la cancellazione dall'albo del proprio procuratore - da presumersi ignorati per l'insussistenza dell'onere di acquisirne conoscenza - che abbiano reso impossibile l'effettivo esercizio della difesa.

4.5. Particolare rilievo riveste poi la consolidata giurisprudenza per la quale, nell'ipotesi di cancellazione dall'albo professionale, ancorché disposta a domanda dell'interessato, si determinano la decadenza dall'ufficio di avvocato e la cessazione dello ius postulandi, con le connesse conseguenze processuali in ordine:

- all'inesistenza dell'attività - anche di mera ricezione - compiuta dallo stesso;

- all'inapplicabilità del principio della perpetuatio dell'ufficio defensionale sancito nell'art. 85 c.p.c. e nell'art. 301, comma 3, in base al quale la revoca della procura e la rinuncia al mandato hanno effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore, al caso in cui il procuratore costituito sia privato del tutto dello ius postulandi, poiché le norme surriferite limitano la portata del principio alle sole ipotesi testè richiamate.

4.6. Viene altresì rilevata l'importanza del principio del contraddittorio, con la connessa necessità di evitare - mediante interruzione del processo - un pregiudizio alla parte rimasta priva di difesa per l'involontaria impossibilità del procuratore di esercitare lo ius postulandi.

4.7. Viene poi escluso l'asserito carattere eccezionale delle previsioni dell'art. 301 c.p.c., da cui verrebbe fatta discendere l'inammissibilità di un'interpretazione analogica in subiecta materia.

4.8. Inoltre, viene segnalata l'ipotesi che il procuratore, rinunciando all'iscrizione, anticipi gli effetti dei provvedimenti, anche di carattere disciplinare, del Consiglio dell'Ordine; ciò al fine di evidenziare l'irragionevolezza del trattamento differente del caso del procuratore radiato o sospeso rispetto a quello del procuratore che, prevenendo il provvedimento sanzionatorio, rinunci all'iscrizione.

5. Il Collegio condivide, nel complesso, questo percorso argomentativo e le conclusioni cui è conseguentemente pervenuta la Corte di cassazione nella richiamata pronuncia.

È importante soprattutto sottolineare che dette conclusioni, che trovano riscontro anche in una sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato (3 novembre 2000, n. 5899), risultano maggiormente conformi all'esigenza di garantire il rispetto del principio del contraddittorio.

Non va trascurata, a questo riguardo, la portata della disciplina del giusto processo introdotta con il nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione, da considerarsi alla luce del canone interpretativo che impone di preferire l'interpretazione costituzionalmente adeguata.

Si tratta di una disciplina che, lungi dal poter essere ridotta al rango di tautologica riaffermazione di principi già acquisiti, impone all'interprete la necessità di riconsiderare funditus gli istituti processuali, allo scopo di verificarne l'effettiva conformità ai criteri ivi enunciati (per un espresso riferimento al "giusto processo" nella giurisprudenza amministrativa cfr. TAR Lazio, sez. I, 3 ottobre 1998, n. 2775).

Per quanto attiene in particolare al principio del contraddittorio, espressamente richiamato nell'art. 111, comma 2, della Costituzione, è importante rilevare che esso appare dotato di una notevole forza espansiva nella recente evoluzione giurisprudenziale, anche sotto il profilo ermeneutico.

Si pensi alle questioni in tema di garanzia dell'effettivo contraddittorio delle parti nell'acquisizione delle prove nel giudizio civile (Cassazione civile, sez. III, 6 aprile 2001, n. 5154), di determinazione del danno nel giudizio di responsabilità amministrativa e dell'individuazione dei connessi limiti al cd. potere sindacatorio del giudice contabile (C. Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 2 ottobre 2001, n. 208/A), nonché - per quanto attiene in particolare al processo amministrativo - alla giurisprudenza in materia di trattazione in contraddittorio delle questioni rilevate d'ufficio (Cons. Stato, ad. plen., 24 gennaio 2000, n. 1), di integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati successivi (TAR Lazio, sez. I, 18 luglio 2003, n. 6359), di notificazione del ricorso in ottemperanza (Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2000, n. 1069; V, 22 febbraio 2000, n. 938), di rispetto del contraddittorio nel caso di decisione in forma semplificata (Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1907).

In questo contesto deve essere collocata anche la questione all'esame del Collegio. Essa va risolta nel senso sopra affermato, condiviso anche dalla I Sezione di questo TAR (sent. 26 marzo 2003, n. 5611), in conformità al menzionato principio costituzionale: ne consegue l'idoneità della cancellazione volontaria del procuratore costituito dall'albo professionale a determinare, al pari della morte, della sospensione e della radiazione del difensore, l'interruzione del processo.

6. Va conclusivamente dichiarata l'interruzione del presente giudizio.

7. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese è riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. III-bis, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dichiara l'interruzione del processo.

Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese è riservata alla decisione definitiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.