Corte di cassazione
Sezione tributaria
Sentenza 14 gennaio 2005, n. 653
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A.C. ha impugnato "l'avviso di pagamento" della TARSU per l'anno 2000, inviatole a mezzo posta dal concessionario della riscossione del Comune di Casalborgone.
La Commissione tributaria provinciale di Torino ha accolto il ricorso e la Commissione tributaria regionale del Piemonte, accogliendo l'appello dei Comune, lo ha invece dichiarato inammissibile perché proposto contro atto non impugnabile.
Avverso quest'ultima decisione la C. ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi.
Il Comune intimato ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Infondati sono i primi tre motivi di ricorso (violazione degli artt. 72 d.lgs. 507/1993, 11 e 12 d.P.R. 602/1973, 2 e 19 d.lgs. 546/1992, 32 d.lgs. 46/1999, 136 e 137 c.p.c., nonché omessa od insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia) tutti tesi all'affermazione, sotto profili diversi, ma tra loro intimamente connessi, della impugnabilità dell'atto, esclusa dalla C.T.R.
A parte che neanche il ruolo, in quanto atto interno dell'amministrazione, e salvo casi espressamente previsti dalla legge, si rende autonomamente impugnabile, potendo e dovendo essere l'impugnazione rivolta, a norma dell'art. 19, comma 1, lett. d), d.lgs. 546/1992, congiuntamente contro il ruolo e la cartella esattoriale, costituendo questa l'atto impositivo attraverso il quale il contribuente riceve ufficialmente notizia dell'iscrizione a ruolo (in tal senso Cassazione 139/2004), l'atto impugnato nella specie non è, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, né una "comunicazione di iscrizione a ruolo", da valere, esattamente come la cartella esattoriale, quale "notificazione del ruolo", né un qualsiasi altro atto che possa farsi rientrare, per scopo ed effetti, attraverso una valutazione su base concreta, tra quelli previsti dall'art. 19 d.lgs. 546/1992, ma, come correttamente ed esaurientemente ritenuto e argomentato dalla sentenza impugnata, un mero avviso di pagamento, una comunicazione-invito con cui si informa il contribuente della debenza del tributo e della possibilità di rivolgersi al Comune per eventuali richieste di chiarimenti e financo di sgravio; una mera comunicazione bonaria, volta unicamente a favorire lo svolgimento del rapporto tributario, non avente carattere impositivo, non rientrante nel novero tassativo degli atti impugnabili ai sensi dell'art. 19, recante peraltro sul retro l'espressa avvertenza dell'inammissibilità del ricorso giurisdizionale, potendo questo essere proposto contro la successiva cartella esattoriale, che sarebbe stata emessa, come pure indicato, in caso di mancato pagamento, previa iscrizione a ruolo del tributo.
Parimenti infondati, e pretestuosi, sono gli altri tre motivi di ricorso.
In tema di contenzioso tributario, le norme che prescrivono l'obbligo di assistenza tecnica in giudizio (quali l'art. 30, comma 1, lett. i), della l. 413/1991 e l'art. 12, comma 1, d.lgs. 546/1992, di cui è stata denunciata la violazione) non rendono illegittima la nomina a difensore, da parte dell'ente locale, di un professionista esterno iscritto all'albo (Cassazione 18541/2003 e 17936/2004).
La delibera di autorizzazione del sindaco a stare o a resistere in giudizio, presa "con voti unanimi e espressi nelle forme di legge", senza alcun riferimento allo "statuto" dell'ente, è legittima, indicando la formula tutte le disposizioni che regolano le modalità di votazione, comprese quelle locali, e non viola, pertanto, né l'art. 6, comma 1, del d.lgs. 267/2000, né l'art. 11, comma 3, del d.lgs. 546/1992.
L'accordo intervenuto tra ente locale e proprio difensore circa la misura dell'onorario da corrispondere per la rappresentanza e difesa in giudizio non condiziona il giudice, il quale può condannare la controparte soccombente al pagamento di onorari e spese in misura diversa, anche maggiore, senza incorrere nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., essendo egli tenuto a rispettare unicamente la tariffa.
Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del grado che liquida in euro 1.000,00, di cui euro 950,00 per onorari.