Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 20 ottobre 2005, n. 20324

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La D.C. ed il suo coniuge C. convennero in giudizio il F., il C. e l'Assimoco Ass.ni (conducente, proprietario ed assicuratrice di una vettura che aveva investito la donna cagionandole gravi lesioni alla persona) per il risarcimento del danno. Il Tribunale di Verona condannò i convenuti al risarcimento in favore della D.C. dei danni biologico, morale e patrimoniale; respinse, invece, la domanda proposta dal C., ritenendo che questo non aveva provato la verificazione di un danno biologico a suo carico, né il nesso causale tra la sua decisione di porsi in pensione e l'incidente subito da sua moglie. L'appello proposto sia dalla D.C., sia dal C. fu respinto dalla Corte d'appello di Venezia.

Entrambi propongono ora ricorso per cassazione. Risponde con controricorso la Assimoco Ass.ni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso censura la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2056 e 2059 c.c., 2, 3, 4, 32, 37 Cost., r.d. 1043/1922, nonché i vizi della motivazione, ed è ripartito in un primo profilo riguardante la persona della D.C. ed un secondo profilo attinente alla persona del C.

I. Il profilo relativo alla D.C. è a sua volta suddiviso in una prima parte, che può essere subito dichiarata inammissibile, in quanto contenente una serie di conteggi e di considerazioni in fatto (già affrontati, peraltro, dal giudice dell'appello che ha in proposito fornito una logica ed esauriente motivazione), attraverso i quali si pretende che la Corte di legittimità desuma determinate circostanze attinenti al merito della causa ed, in definitiva, pervenga ad una diversa liquidazione del danno biologico.

Ammissibile e fondata è, invece, la censura relativa al mancato riconoscimento in favore della D.C. di un danno specifico derivante - nei sensi prospettati dalla ricorrente stessa - dal fatto di non potere ella più svolgere l'attività di casalinga. Sul punto la sentenza non fornisce alcuna risposta, limitandosi ad affermare che la D.C. pretende l'attribuzione "di un non meglio precisato danno specifico, non correlato ad alcun motivo d'impugnazione". È, invece, possibile riscontrare che il menzionato danno era stato specificamente richiesto nell'atto d'appello.

Riepilogando i progressi ai quali finora è giunta la giurisprudenza di legittimità, si deve allora affermare che chi svolge attività domestica (attività tradizionalmente attribuita alla "casalinga"), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un'attività suscettibile di valutazione economica; sicché quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante). Il fondamento di tale diritto - che compete a chi svolge lavori domestici sia nell'ambito di un nucleo familiare (legittimo o basato su una stabile convivenza), sia soltanto in favore di sé stesso - è difatti pur sempre di natura costituzionale, ma, a differenza dal danno biologico, che si fonda sul principio dalla tutela della salute (art. 32 Cost.), riposa sui principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 Cost. (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro ed i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice). Sul tema, cfr. Cassazione 15580/2000, nonché, più diffusamente, Cassazione 4657/2005, la quale ultima pone in evidenza: la configurabilità, in generale, di siffatto danno patrimoniale solo in relazione ai lavori domestici che il danneggiato svolge in suo stesso favore (fatte salve le eccezioni come quella ipotizzata nell'impresa familiare ex art. 230-bis c.c.), posto che, nel caso in cui detti lavori siano svolti gratuitamente in favore di altri, soggetti danneggiati possono essere considerati solo questi ultimi; la necessità che sia provata la sussistenza delle due componenti del danno patrimoniale; l'impossibilità, in via generale, di ravvisare un danno patrimoniale (salve le eventuali eccezioni) nel caso in cui il soggetto danneggiato già prima dell'incidente non svolgesse lavori domestici (espressione da intendersi in senso ampio e quindi comprensivo anche di quell'attività di coordinamento, in senso lato, della vita familiare - Cassazione 10923/1997) perché questi erano integralmente devoluti a collaboratori o per altre ragioni.

La sentenza in commento deve essere, dunque, cassata sul punto ed il giudice del rinvio, adeguandosi ai principi sopra enunciati, provvederà ad accertare l'eventuale perdita o riduzione, da parte della D.C., della capacità lavorativa domestica, liquidando, in caso di positivo accertamento, il corrispondente danno patrimoniale.

II. Passando alle doglianze del C., deve essere respinta quella che genericamente lamenta il vizio della motivazione nel punto in cui non gli è stato riconosciuto il danno per la contrazione degli introiti da anticipato pensionamento posto in rapporto di conseguenzialità diretta con il sinistro (il ricorrente neppure si cura di rappresentare da quali elementi sarebbe desumibile quel nesso che entrambi i giudici di merito hanno considerato come non provato). Deve essere, invece, accolta la censura relativa a quel punto della sentenza che ha escluso la possibilità di configurare il danno non patrimoniale a carico del coniuge della vittima di lesioni colpose.

In argomento la giurisprudenza di legittimità ha recentemente compiuto significativi progressi, i quali consentono di affermare che il riconoscimento dei "diritti della famiglia" (art. 29, comma 1, Cost.) va inteso non, restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo, alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, sia generando bisogni e doveri, sia dando luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto, provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del coniuge in relazione all'esigenza di provvedere agli straordinari bisogni dell'altro coniuge, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz'altro trovare ristoro nell'ambito della tutela apprestata dall'art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto. Tale danno, siccome privo della caratteristica della patrimonialità, non può essere liquidato che in via equitativa, fermo restando il dovere del giudice di dar conto delle circostanza di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e dell'iter logico che lo ha condotto a quel determinato risultato (Cassazione 8827/2003, con riferimento al danno non patrimoniale da sconvolgimento delle abitudini di vita subito dai genitori del minore sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti e bisognoso di continua assistenza).

Anche sul punto va, dunque, cassata la sentenza impugnata ed il giudice del rinvio, adeguandosi agli enunciati principi, provvederà ad accertare se effettivamente il C. abbia subito un danno non patrimoniale nei sensi sopra descritti ed a liquidare il relativo risarcimento.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, anche perché provveda sulle spese del giudizio di cassazione.