Corte di cassazione
Sezione tributaria
Sentenza 7 giugno 2006, n. 13321
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con avviso di accertamento n. 5071014177, notificato l'11 maggio 1999, l'Ufficio delle imposte dirette di Salerno determinava, per l'anno d'imposta 1992, il "reddito sintetico" della Sig.ra S. in lire 68.662.000, con maggiore imposta Irpef dovuta di lire 11.123.000, maggiore contributo SSN di lire 3.204.000 e un totale di sanzioni irrogate ammontante a lire 30.106.000.
Per il 1992 la ricorrente, congiuntamente al marito, aveva prodotto un modello 740 in cui si dichiaravano esclusivamente redditi da terreni per lire 305.000, mentre l'anno successivo acquistava terreni e fabbricati per un valore complessivo di lire 511.960.000.
In data 25 settembre 1998 l'Ufficio notificava alla Sig.ra S. un questionario mod. 55 n. 4 a cui la contribuente rispondeva, a parere dell'Ufficio, in modo carente e allegava documentazione inadeguata a giustificare un tale investimento. Di conseguenza, l'Ufficio accertava sinteticamente un reddito di 68.662.000 tassabile sia ai fini IRPEF che ILOR.
L'adita Commissione tributaria provinciale di Salerno, il 22 febbraio 1999 respingeva il ricorso della S., dal momento che i prestiti concessi dal marito e dai parenti non costituivano prova sufficiente ad annullare l'accertamento dell'Ufficio.
La contribuente si appellava alla Commissione tributaria regionale di Napoli che con sentenza 284/11/01 pronunciata il 19 novembre 2001 e depositata il 29 gennaio 2002 confermava il giudizio di primo grado.
Avverso tale decisione, la Sig.ra S. proponeva ricorso per cassazione sorrEtto da quattro motivi e memoria ex art. 378 c.p.c.
L'intimata Amministrazione depositava atto di costituzione, rimasto privo di effetto dal momento che non ha partecipato alla discussione orale ex art. 370 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso non merita accoglimento.
Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 38 d.P.R. 600/1973 e 7 d.lgs. 546/1992); omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Difetto di istruttoria" atteso che i giudici avrebbero omesso di valutare attentamente la copiosa documentazione fornita e di esercitare il loro potere istruttorio. Altresì, avrebbero tralasciato di dare il giusto valore alle dichiarazioni giurate dagli altri soggetti prestatori.
Con il secondo motivo, la contribuente ha lamentato "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 17 d.P.R. 602/1973, 38 e 43 d.P.R. 600/1973, e 2 d.lgs. 462/1997); omessa, motivazione su un punto decisivo della controversia rilevabile d'ufficio (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Decadenza dell'avviso di accertamento": la pretesa tributaria per cui è causa sarebbe decaduta dal momento che le somme risultanti a seguito dei controlli automatici non sarebbero state iscritte nei ruoli a titolo definitivo entro il 31 dicembre 1995, vale a dire entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
Ha eccepito, inoltre, la rilevabilità d'ufficio di detta decadenza.
Con il terzo motivo, la Sig.ra S. ha denunciato "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 38 d.P.R. 600/1973, dd.mm. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992 in relazione all'art. 17 l. 400/1988); omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)"; i giudici di seconde cure avrebbero omesso ogni considerazione sul motivo di ricorso in appello inerente l'eccesso di potere, in un caso in cui non ci sarebbero stati i presupposti per un accertamento sintetico.
I primi tre motivi, articolandosi in censure logicamente interdipendenti, possono essere oggetto di trattazione congiunta.
È opportuno precisare, in relazione alla presunta violazione dell'art. 7, comma 3, del d.lgs. 546/1992, ora abrogato ex art. 3-bis, comma 5, del d.l. 203/2005, convertito, con modificazioni, nella l. 248/2005, addotta nel primo motivo, che, nel processo tributario, l'esercizio dei poteri di acquisizione d'ufficio costituisce una facoltà discrezionale del giudice, ma tali poteri istruttori, anche alla luce della riforma dell'art. 111 Cost., non hanno la funzione di sopperire al mancato assolvimento dell'onere probatorio delle parti, le quali, fra l'altro, non possono dolersi dell'uso che di essi il giudice abbia fatto, quanto quella di garantire la parte che si trovi nell'impossibilità di esibire documenti risolutivi in possesso dell'altra parte (Cass., 8439/2004).
Sempre con riguardo al primo motivo, si aggiunge che le censure si connotano come censure sulla valutazIone dei fatti e, come tali, non proponibili in questa sede.
Il secondo e il terzo motivo vengono proposti per la prima volta e, pertanto, devono ritenersi processualmente inammissibili.
È opportuno, comunque, ricordare che questa Corte ha precisato che in tema di accertamento delle imposte sUi redditi, il potere dell'Ufficio a determinare sinteticamente il reddito complessivo sulla scorta di indizi in base all'art. 38, comma 4, del d.P.R. 600/1973, implica l'utilizzo di coefficienti presuntivi e, pertanto, legittima il riferimento a redditometri anche se contenuti in decreti ministeriali successivi, vertendosi in materia non di applicazione retroattiva di disposizioni normative ma di valutazione di pertinenza, in mancanza di circostanze di segno contrario, di parametri e calcoli statistici di provenienza qualificata e di attitudine indiziaria indipendente dal tempo dell'elaborazione (ex plurimis, Cass., 116111/2001; Cass., 15045/2000).
Quanto poi alla rilevabilità d'ufficio della decadenza, si rileva che solo le decadenze stabilite dalle leggi fiscali in favore dell'amministrazione finanziaria sono rilevabili dal giudice anche d'ufficio, poiché attengono a diritti non disponibili dall'amministrazione medesima, ai sensi dell'art. 2969 c.c. (ex multis, Cass., 9940/2000).
La ratio giustificatrice della rilevabilità d'ufficio della decadenza a favore dell'Amministrazione non opera, pertanto, a favore del contribuente, poiché incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicché è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o meno della relativa eccezione, con la conseguenza che non trova applicazione in relazione ad esso la disciplina della rilevabilità d'ufficio prevista da tale norma per il caso di materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass., 8249/2006).
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 24 e 111 Cost., e 36 d.lgs. 546/1992; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)" atteso che la sentenza impugnata sarebbe assolutamente priva di motivazione su altri punti deciSivi della controversia.
Il motivo è inammissibile perché non autosufficiente.
È giurisprudenza di questa Corte che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, sia assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall'art. 366, comma 4, c.p.c., con la loro conseguente inammissibilità (ex plurimis, Cass., 10695/1995).
Consegue il rigetto del ricorso.
Non vi è luogo a provvedere alle spese, atteso che la parte vittoriosa non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.