Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione III
Sentenza 25 gennaio 2007, n. 563

FATTO

Con atto ritualmente notificato e depositato le società ricorrenti premettono che a seguito del processo di privatizzazione che ha interessato la società Autostrade, concessionaria di costruzione e gestione delle autostrade individuate ai sensi dell'art. 16 della legge 24/7/1961, n. 729, ed in particolare del procedimento di dismissione disciplinato dall'atto di indirizzo di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri in data 16/5/97, la stessa è stata acquistata, in data 26/10/99, da una cordata di imprese composta da Edizione Holding S.p.a., Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Autopistas Concesionaria Espanola S.A., Brisa - Autostradas de Portugal S.A., I.N.A. S.p.a., Unicredit S.p.a., che hanno costituito una Newco denominata Schemaventotto S.p.a., controllata da Edizione Holding.

Specificano come nel 2003 le società parti del contratto di compravendita azionaria hanno intrapreso un processo di riorganizzazione societaria in attuazione del c.d. Progetto Mediterraneo, che ha comportato una modifica dell'assetto di controllo della società concessionaria.

In tale occasione Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a. ha conferito il ramo di azienda relativo all'esercizio della rete autostradale in regime di concessione ad una società interamente controllata, denominata Autostrade per l'Italia S.p.a. (ASPI), che ha poi stipulato con l'ANAS apposita convenzione in data 24/11/2003, approvata dal Ministero delle Infrastrutture il successivo 15/12/2003.

In data 23/4/06 il C.d'A. di ASPA ha avviato una nuova operazione di riorganizzazione societaria del gruppo, approvando le linee guida di un progetto di fusione per incorporazione di ASPA nella società spagnola Abertis S.A., dandone comunicazione all'ANAS il 28/4/06.

Con nota prot. n. 147 bis del 31/5/06 l'ANAS ha comunicato l'avvio di un procedimento ex art. 7 della legge 7/8/1990, n. 241, nell'assunto che l'operazione di fusione "determina una significativa alterazione del rapporto di concessione in essere con Autostrade per l'Italia S.p.a."; in particolare l'operazione determinerebbe l'avverarsi di una situazione di conflitto di interessi tra soci dell'azionariato di controllo della società e la concessionaria autostradale, ed inoltre modificherebbe significativamente la struttura del gruppo comprendente Autostrade per l'Italia S.p.a.; di qui anche la necessità di adeguate modifiche alla convenzione di concessione, a pena di caducazione della medesima.

Le società ricorrenti a questo punto hanno prodotto, in data 13/6/06, una memoria partecipativa, contestando la fondatezza dei rilievi sull'operazione di fusione, specificando, tra l'altro, con riguardo al contestato conflitto di interessi, che l'ACS Dragados, operante nel settore delle costruzioni, non è la società incorporante, ma semplicemente uno dei soci dell'attuale Abertis (detenendo una quota pari al 24,8% del capitale).

In data 30/6/06 l'assemblea degli azionisti di ASPA e l'assemblea di Abertis hanno approvato il progetto di fusione per incorporazione di ASPA in Abertis, condizionandone l'efficacia alla stipula dell'atto notarile di fusione ed alla relativa iscrizione nel Registro delle Società di Barcellona, nonché alla previa autorizzazione della Commissione europea.

Con nota del 5/7/2006 le deducenti, nel comunicare l'approvazione del progetto, hanno formulato all'ANAS la richiesta di autorizzazione della predetta operazione di fusione, ancora non efficace.

Il successivo 7/7/06 ASPA ed Abertis hanno introdotto la procedura di notificazione dell'autorizzazione alla concentrazione di rilievo comunitario.

Il Ministro delle Infrastrutture, cui la richiesta di autorizzazione è stata inoltrata per conoscenza, con nota dell'11/7/06 ha sollecitato l'ANAS alla predisposizione di uno schema di V atto aggiuntivo alla convenzione, con il quale procedere alle modificazioni occorrenti ai fini dell'autorizzazione dell'operazione.

Con nota dell'11/7/06 l'ANAS ha ribadito la necessità che l'efficacia dell'operazione di fusione sia condizionata all'autorizzazione ed approvazione da parte del Ministro delle Infrastrutture e del Ministro dell'Economia.

È dunque intervenuta l'impugnata nota del 5/8/2006 con cui l'ANAS, in conformità del precedente provvedimento congiunto del Ministro delle Infrastrutture e del Ministro dell'Economia in data 4/8/06, ha comunicato il diniego all'autorizzazione dell'operazione di fusione.

Il successivo 18/8/06 le società hanno notificato formalmente l'operazione di fusione alla Commissione europea, che l'ha ritenuta, con nota del 22/9/06, compatibile con le regole del mercato comune, ai sensi dell'art. 6, par. 1, lett. b), del regolamento CE n. 139/2004.

A seguito dell'entrata in vigore del d.l. 3/10/2006, n. 262, con lettera del 13/10/06, prot. n. 265, l'ANAS ha dato atto che deve ritenersi superato quanto manifestato dai Ministri con la nota congiunta del 4/8/06 in ordine alla sussistenza di un pregiudiziale fattore impeditivo dell'esame del mutato assetto concessorio, costituito dalla presenza di un operatore delle costruzioni in seno alla nuova compagine azionaria di controllo della concessionaria autostradale, sollecitando una nuova domanda di autorizzazione.

Avverso il diniego di autorizzazione dell'operazione di fusione per incorporazione di Autostrade S.p.a. nella nuova Abertis vengono dedotti i seguenti motivi di diritto:

1) Violazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 143/1994 e dell'art. 21 della legge n. 47/2004; dell'art. 35 della legge n. 109/1994 e dell'art. 116 del d.lgs. n. 163/2006; dell'art. 1 della direttiva 2004/18/CE; eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore nei presupposti, contraddittorietà e falsa rappresentazione della realtà.

Occorre preliminarmente contestare la sussistenza del potere autorizzatorio dell'Amministrazione nella vicenda in esame, riconosciuto nel parere n. 2719/2006 del Consiglio di Stato.

Detto parere, che rinvia in parte al precedente parere n. 1957/2003, ha ravvisato la configurabilità di un potere autorizzatorio ministeriale, fondato, oltre che sull'art. 3, V comma, del d.lgs. n. 143/94, istitutivo dell'Ente nazionale per le strade, sulla previsione dell'art. 21 del d.l. n. 335/2003, convertito nella legge n. 47/2004, ed inoltre sulla considerazione che la rete autostradale è bene demaniale, in relazione al quale possono attribuirsi diritti solo attraverso provvedimenti amministrativi di concessione (con la conseguenza dell'inadeguatezza del rimedio dell'art. 35 della legge n. 109/94).

Ora, a ben vedere, l'art. 3, V comma, del d.lgs. n. 143/94 attribuisce al Ministro dei Lavori Pubblici, di concerto con il Ministro del Tesoro, il potere di approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade, ma non anche il potere di autorizzazione preventiva di operazioni di trasformazione societaria di un soggetto (Autostrade S.p.a.) che, tra l'altro, a seguito della convenzione del 24/11/2003, non è più neppure titolare della concessione, trasferita a Autostrade per l'Italia S.p.a.

L'approvazione risulta dunque circoscritta ai contenuti della concessione da approvare (melius: del rapporto negoziale accessivo alla concessione), e non riguarda altri negozi giuridici posti in essere non tra il concedente ed il concessionario, bensì tra uno di essi ed altri soggetti terzi.

Occorre inoltre considerare che l'art. 3 del d.lgs. n. 143/94 riconosce un potere interministeriale tipico e specifico (di approvazione delle concessioni stipulate tra concedente e concessionario); rispetto alla concessione esso si configura dunque come condicio iuris, ovvero come condizione di efficacia della convenzione già perfezionata.

L'approvazione in questione non può dunque essere confusa con un atto di natura autorizzatoria, che precede l'atto cui si riferisce, operando come provvedimento ampliativo di status, idoneo a rimuovere un limite all'esercizio di un diritto.

Ne consegue che, anche ad ammettere che i due Ministri siano titolari di un potere di approvazione della fusione ai sensi del più volte richiamato art. 3, gli atti impugnati risultano comunque illegittimi, poiché l'approvazione dovrebbe seguire, e non già precedere il perfezionamento del contratto di fusione.

Egualmente non convincente risulta il parere n. 2719/2006 del Consiglio di Stato nella parte in cui desume la titolarità di un potere autorizzatorio ministeriale preventivo sulle operazioni di trasformazione societaria dall'art. 21, VII comma, del d.l. n. 335/2003, convertito nella legge n. 47/2004, norma che riconosce il potere di approvazione ministeriale solamente con riferimento al IV atto aggiuntivo alla vigente convenzione tra ANAS ed Autostrade per l'Italia S.p.a., stipulato il 23/12/2002.

Le osservazioni che precedono inducono ad evidenziare la violazione del principio di legalità, atteso che né l'art. 3 del d.lgs. n. 143/94, né l'art. 21 della legge n. 47/2004 attribuiscono al Ministro delle Infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'Economia, il potere di autorizzare preventivamente un'operazione di fusione per incorporazione di un soggetto giuridico (Autostrade S.p.a.), neppure titolare della concessione di esecuzione e gestione della rete autostradale.

Ciò tanto più in considerazione del fatto che tale potere autorizzatorio viene ad incidere su rapporti tra soggetti di diritto privato e terzi rispetto alla convenzione che, a maggior ragione, nel rispetto dell'art. 41 della Costituzione, richiedevano un'espressa base legale.

Allo stesso modo, non appare convincente l'argomento, espresso sempre dal Consiglio di Stato nel parere del 2006, secondo cui la natura demaniale della rete autostradale, in ragione della quale l'attribuzione di diritti può avvenire solamente attraverso provvedimenti amministrativi, appare ostativa alla riconoscibilità, in favore del concedente, come strumento per opporsi al subentro di un nuovo soggetto, del solo rimedio dell'art. 35 della legge n. 109/94 (oggi dell'art. 116 del d.lgs. n. 163/2006).

Ed invero, in primo luogo, non è corretta la equiparazione della convenzione per la costruzione e gestione di autostrade alla figura della concessione (traslativa) di diritti su beni demaniali, atteso che l'art. 19, II comma, della legge n. 109/94 (come pure il nuovo art. 3, XI comma, del d.lgs. n. 163/2006) qualifica, in conformità della disciplina comunitaria, le concessioni di lavori pubblici alla stregua di contratti.

Dunque, deve ritenersi che solamente quella di cui all'art. 35 è la disciplina applicabile alle vicende di fusione dei soggetti esecutori di contratti pubblici.

Al fine poi di ammettere un potere autorizzatorio ministeriale su di un'operazione che non riguarda il soggetto concessionario (Autostrade per l'Italia S.p.a), ma Autostrade S.p.a., non più titolare della concessione sin dal 2003, il parere del 2006 osserva che la concessione viene ad essere attribuita ad un soggetto che risulta inserito in un ambito societario profondamente mutato; va però considerato, ancora una volta, che nessuna norma assoggetta ad approvazione (od autorizzazione) concertata l'operazione di fusione societaria della società controllante la concessionaria.

Con riguardo, poi, a quella parte del parere (dal punto 5°) ravvisante la necessità che l'operazione di fusione sia preceduta anche dall'autorizzazione della concedente ANAS S.p.a., va anzitutto osservato come l'atto consultivo sia illegittimo, in quanto incorso nel vizio dell'"ultrapetizione", poiché il quesito posto dal Ministero delle Infrastrutture non concerneva anche tale aspetto.

Ad ogni modo, l'interpretazione della convenzione intercedente tra ANAS ed Autostrade per l'Italia in data 24/11/2003, fornita dal Consiglio di Stato, che ha ravvisato nella stessa un ulteriore fondamento del potere autorizzatorio, appare erronea, in quanto dalla lettura completa delle premesse della convenzione emerge che le prescrizioni in essa contenute, ivi compresa l'autorizzazione all'ANAS relativa ad "atti di disposizione" concernenti gli assets non compresi nel compendio aziendale trasferito ad Autostrade per l'Italia, concernevano esclusivamente l'attuabilità del Progetto Mediterraneo, ossia la sola operazione di scissione societaria, senza estendersi a future operazioni di trasformazione societaria.

In particolare, la liberatoria da ogni altro obbligo contenuta a pag. 9 della convenzione del 2003 conferma che gli obblighi assunti da Autostrade concernevano esclusivamente l'operazione di scissione, e non qualunque altra (futura ed incerta) trasformazione societaria; di conseguenza esclude che ogni altro atto di disposizione degli assets diverso da quello dell'operazione di scissione sia soggetto al benché minimo obbligo di autorizzazione preventiva da parte dell'ANAS.

Per quanto concerne, poi, gli obblighi di comunicazione previsti dall'art. 5, II, III e IV comma, della convenzione del 4/8/1997, relativi alle variazioni superiori al 2% nell'ambito della composizione della compagine azionaria della controllante o della controllata, la comunicazione deve essere effettuata entro due mesi a decorrere dall'approvazione del bilancio relativo all'esercizio nel corso del quale si verificano le suddette variazioni, e dunque entro la fine di febbraio 2007.

Ma questo è un obbligo che grava sulla concessionaria, ossia su Autostrade per l'Italia, e non su Autostrade, che è invece il soggetto che partecipa alla fusione per incorporazione.

Gli unici obblighi gravanti su Autostrade sono quelli indicati all'art. 4 della convenzione ed alla lett. c) delle premesse (pag. 4), ossia gli obblighi "previsti e regolati dalla Convenzione 4/8/1997 rep. n. 230 e dalle successive convenzioni aggiuntive", ed in particolare quello di comunicare le variazioni superiori al 2% nell'ambito della composizione della compagine azionaria della controllante o della controllata; peraltro detto obbligo non è configurabile nel caso di specie, poiché, per effetto della fusione, la controllata non subisce alcuna variazione.

2) Illegittimità per mancanza del presupposto e travisamento dei fatti; difetto ed incoerenza e genericità della motivazione; insussistenza di previsioni relative al conflitto di interessi per i concessionari autostradali e per le società controllanti; insussistenza in fatto di condizioni di conflitto d'interesse nel caso di ASPI, ASPA e Abertis.

Il diniego gravato si basa sull'assunto per cui i soggetti che esercitano attività d'impresa nel settore delle costruzioni non potrebbero acquisire partecipazioni azionarie in Autostrade S.p.a., in quanto holding di una società titolare di una concessione autostradale (e cioè ASPI), venendosi altrimenti a configurare le condizioni di un conflitto di interessi, vietato dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 16/5/97, prescrittiva delle condizioni da rispettare nella procedura di alienazione della partecipazione di controllo che lo Stato, a quel tempo, deteneva nella società Autostrade.

Si tratta di una tesi giuridicamente infondata, perché attribuisce valenza di divieto generale ad una previsione di portata limitata alla procedura di alienazione.

Va aggiunto che, al di fuori della ricordata delibera del 16/5/97, non esiste nell'ordinamento italiano alcun riferimento alla possibile configurazione di un conflitto d'interesse fra la natura di impresa operante nel settore delle costruzioni e la natura di concessionaria, quale che sia l'oggetto della concessione.

Dunque, nessuna norma, primaria o secondaria, dell'ordinamento vieta ad un'impresa di costruzione di essere titolare di una concessione autostradale (sia configurandola come concessione di costruzione e gestione, sia configurandola come concessione di servizi).

Anzi, la delibera CIPE del 21/9/93, recante "direttive per la revisione degli strumenti convenzionali disciplinanti le concessioni autostradali per la revisione delle tariffe autostradali e per la concessione della garanzia dello Stato", laddove stabilisce i criteri sui quali devono essere basate le convenzioni, ha precisato espressamente "che non dovranno essere previste ... limitazioni nella composizione del capitale azionario del concessionario stesso".

Risulta pertanto destituita di fondamento la motivazione della lettera del 4/8/2006 a firma dei Ministri delle Infrastrutture e dell'Economia, e riportata nella lettera dell'ANAS del 5/8/2006.

Per quanto concerne l'invocata delibera del Consiglio dei Ministri del 16/5/1997, va precisato che la stessa non conteneva alcuna prescrizione relativamente a possibili situazioni di conflitto d'interesse riferite a possibili azionisti della società concessionaria Autostrade, ma conteneva un mero indirizzo all'Amministrazione che doveva procedere all'alienazione, affinché fossero introdotte le necessarie condizioni nelle procedure di dismissione, al fine di evitare la partecipazione all'azionariato stabile della società Autostrade di soggetti in conflitto di interesse, con particolare riferimento ai soggetti che operano in prevalenza nei settori della costruzione e della mobilità.

La delibera del 16/5/97, quindi, di per sé non contiene alcuna prescrizione direttamente applicabile alle ricorrenti.

Tale delibera è stata recepita peraltro dall'invito a manifestare interesse all'acquisto di azioni ordinarie di Autostrade del 22/6/99, contenente la clausola alla stregua della quale "saranno esclusi dalla procedura quei soggetti il cui fatturato derivi, per oltre la metà, dai settori delle costruzioni e dei trasporti di merci e/o persone, nonché quelli che appartengano o controllino un gruppo il cui fatturato consolidato derivi per oltre un quarto da detti settori".

Appare dunque evidente che la previsione sul conflitto di interessi si è tradotta in una clausola di esclusione dalla procedura, e quindi in una disposizione che esaurisce la propria efficacia all'interno della stessa procedura, finalizzata alla scelta di un contraente.

Per di più la clausola si riferiva soltanto al nucleo stabile dell'azionariato, e quindi ai soggetti che, al momento della conclusione della procedura di alienazione, avessero acquisito il 30% del pacchetto azionario ceduto dallo Stato ed accettato di assicurare la stabilità della compagine azionaria per un periodo determinato.

Di qui un ulteriore profilo di illegittimità dei provvedimenti impugnati, che pretendono di applicare una clausola regolante una procedura di alienazione delle azioni oltre la conclusione di quella stessa procedura, a tempo indeterminato, ed a tutti i soggetti che ipoteticamente possano succedersi nell'azionariato.

Giova ancora considerare come l'art. 10.9 del contratto di compravendita azionaria si limita a prevedere, al riguardo, che "per un periodo di 36 mesi dalla data del trasferimento, ciascuno dei componenti di Parte Acquirente si impegna a non venirsi a trovare in condizioni tali che, se fossero esistite al momento della manifestazione di interesse, ne avrebbero comportato, ai sensi dell'invito, l'esclusione per conflitto di interessi dalla procedura di alienazione mediante trattativa diretta".

Trova dunque conferma che la previsione sul conflitto di interessi è da configurare come clausola di esclusione dalla procedura di alienazione e che a tale clausola è stato assegnato un ulteriore periodo di vigenza di 36 mesi, di comune accordo tra le parti.

D'altro canto, un divieto di cessione a tempo indeterminato sarebbe risultato in contrasto anche con l'art. 1, III comma, del d.l. n. 332/94, che prevede soltanto un periodo di "lock up".

Che si tratti di un impegno per un periodo di tempo determinato, imposto all'acquirente, e non, invece, di un requisito strutturale, risulta chiaro anche dalla previsione di una clausola penale (art. 11 del contratto), in forza della quale parte acquirente si vincola a corrispondere "in caso di inadempimento dell'obbligo di cui all'art. 10.9, una somma pari all'importo massimo previsto nel contratto autonomo di garanzia di cui all'art. 6.3".

La norma, dunque, oltre che dettare un limite temporale, introduce un criterio di rilevanza della gravità dell'inadempimento, prevedendo non già una clausola risolutiva, ma solo una clausola penale, con esclusione di qualsiasi altra possibile conseguenza dell'eventuale inadempimento.

Il nucleo stabile, cui si riferisce la clausola relativa al conflitto di interessi, è identificabile con la società Schema 28.

Occorreva dunque che l'Amministrazione verificasse se il presupposto soggettivo per l'applicazione della clausola di preclusione, e cioè la permanenza dell'originario nucleo stabile, fosse ancora sussistente.

Ora, a tutto concedere, il patto disciplinante il nucleo stabile è scaduto il 31/1/05, determinandosi una soluzione di continuità tra il nucleo stabile originario e gli attuali azionisti di Autostrade.

Ove lo Stato avesse voluto mantenere un droit de régard permanente sull'assetto di Autostrade, avrebbe dovuto, nel 1997, ricorrere alla c.d. golden share e pretendere la previsione di poteri speciali nello statuto della società.

E comunque per l'operazione di fusione non ricorrono le condizioni in fatto idonee a configurare, secondo la deliberazione del Consiglio dei Ministri ed il successivo invito con il quale si è conformata la procedura di alienazione, una situazione di conflitto di interesse.

Ed invero Abertis, società incorporante, non è un soggetto "il cui fatturato derivi, per oltre la metà, dal settore delle costruzioni e dei trasporti di merci e/o persone"; né la clausola di preclusione può essere applicata ad uno dei soci di Abertis, quale risulta essere la società ACS Dragados (che non è controllata, né in posizione di controllo in Abertis).

I provvedimenti impugnati risultano inoltre illegittimi in quanto con gli stessi l'Amministrazione ha imposto un vincolo alla modificazione della compagine azionaria, e, più in generale, alla struttura del concessionario.

Un siffatto vincolo è senza fondamento normativo, e si pone in contrasto con la libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 della Costituzione.

La libertà di scegliere la veste giuridica e l'organizzazione di un soggetto economico vale anche per i soggetti concessionari, non potendo la titolarità di una concessione operare come limite intrinseco alla libertà del soggetto, se non nei termini stabiliti dalle norme primarie, o consensualmente apposti con disposizioni contrattuali e convenzionali.

E va ribadito ancora una volta che l'operazione di fusione non riguarda affatto la società concessionaria, trattandosi di una fusione fra l'holding alla quale essa fa capo e la società Abertis.

In ogni caso, anche con riferimento diretto al soggetto concessionario, la giurisprudenza è orientata a ritenere che le operazioni di fusione per incorporazione non producano alcuna modificazione rilevante nell'assetto dei rapporti tra concedente e concessionario, trovando applicazione l'art. 35 della legge Merloni, anche alla stregua di quanto previsto dall'art. 2504 bis del c.c.

3) Illegittimità per violazione dei principi del procedimento; eccesso di potere per disparità di trattamento; rilascio di concessioni autostradali a soggetti che operano nel settore delle costruzioni; violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

L'Amministrazione ha in altre occasioni rilasciato, senza curarsi del conflitto di interesse, concessioni autostradali a soggetti (italiani) che operano prevalentemente, ed anzi, a volte, esclusivamente nel settore delle costruzioni.

Sicché configurare un'ipotesi di conflitto d'interesse per la presenza di un costruttore spagnolo comporta una disparità di trattamento che si trasforma in un vero e proprio caso di discriminazione in base alla nazionalità, vietata dall'art. 12 del Trattato istitutivo della Unione europea.

Ad avviso dell'Amministrazione, l'operazione di fusione avrebbe provocato un'alterazione significativa del rapporto in relazione agli "aumentati rischi in ordine all'adempimento degli obblighi di convenzione da parte della concessionaria autostradale, con conseguente diminuzione reale del sistema di garanzie poste a presidio dell'interesse pubblico".

Si sono succeduti incontri tra le parti, al fine di pervenire ad un nuovo atto aggiuntivo alla convenzione; del tutto inopinatamente in data 11/7/06 l'Amministrazione ha comunicato alle società ricorrenti che non riteneva sufficienti le misure di garanzia prospettate nel corso degli incontri, minacciando nuovamente la caducazione della concessione allorché la fusione fosse divenuta efficace prima dell'autorizzazione dell'ANAS e dell'approvazione dei Ministri.

Già da quanto esposto appare evidente che la decisione finale viola il principio di proporzionalità, che trova realizzazione allorché è imposto al privato il minimo sacrificio a fronte della tutela dell'interesse pubblico.

Anche nella nota del 13/10/06 l'Amministrazione ha giustificato il diniego in considerazione di "ulteriori criticità", che peraltro neppure in questo caso vengono esplicitate né quanto al loro contenuto, né quanto alle possibili misure correttive da apportare.

I provvedimenti gravati risultano adottati a seguito di un iter procedimentale non certo lineare, nel quale si è avuta la sovrapposizione del procedimento avviato d'ufficio con la lettera del 31/5/06 al procedimento avviato ad istanza di parte dalle società, con il quale le stesse si sono risolte a chiedere l'autorizzazione all'operazione di fusione a seguito del parere n. 2719/06 del Consiglio di Stato.

La nota dell'11/7/06 inviata dall'ANAS alle società evidenzia tale confusione procedimentale; al contempo non può ritenersi indicativa delle ragioni ostative all'adozione di un provvedimento favorevole ai fini dell'art. 10 bis della legge 7/8/1990, n. 241, limitandosi ad affermare che "non ha trovato condivisione quanto prospettato da codeste spettabili società".

In assenza di una necessaria attività istruttoria, sorge il dubbio che l'Amministrazione avesse pregiudizialmente deciso di imporre unilateralmente una revisione della convenzione, servendosi a tale fine di poteri autoritativi, anziché dell'ordinario strumento consensuale, risultando così integrato il vizio di sviamento di potere, in quanto il diniego di autorizzazione è in realtà finalizzato al raggiungimento di un risultato diverso ed estraneo al procedimento autorizzatorio (e cioè alla rinegoziazione della convenzione).

Analoghe considerazioni possono essere svolte in relazione alla lettera dell'ANAS del 13/10/06, con cui l'Amministrazione reitera la richiesta di garanzie atte a superare "criticità" del rapporto concessorio, e ribadisce un giudizio di insufficienza, del tutto apodittico, sulle proposte fatte dalle ricorrenti con le note del 26/6/06.

4) Violazioni delle disposizioni comunitarie in materia di libertà di stabilimento di cui all'art. 43 del Trattato; violazione delle disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione dei capitali di cui all'art. 56 del Trattato; violazione dell'art. 21, par. 4, del regolamento CE n. 139/2004; illegittimità per incompetenza.

La pretesa dell'Amministrazione italiana di essere titolare di un potere di autorizzazione relativamente all'operazione di fusione, in assenza di una espressa base normativa, e desunta in via analogica, si pone in contrasto con la libertà di stabilimento, tutelata dagli artt. 43 e seguenti del Trattato.

Considerazioni analoghe possono essere svolte per quanto concerne la violazione delle disposizioni in materia di libertà di circolazione dei capitali.

Con i provvedimenti impugnati l'Amministrazione italiana impedisce un'operazione di fusione che risulta invece essere stata autorizzata dalla Commissione con la sua decisione del 22/9/06, violando così la competenza esclusiva della Commissione ad esaminare le concentrazioni di dimensione comunitaria.

Né può assumersi che l'autorizzazione riguardi non già l'operazione di fusione, ma il trasferimento della concessione, in quanto alcun trasferimento della concessione si realizza in base alla fusione: società concessionaria è e resta ASPI.

Al contempo, va evidenziato come nel caso di specie non ricorrano i presupposti che giustificano l'intervento dello Stato in materia di concentrazioni alla stregua dell'art. 21 del regolamento CE n. 139/2004; in particolare non vi è la necessità di tutelare interessi connessi con la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali.

L'ammissibilità della tutela, da parte dello Stato membro, di altri interessi legittimi dipende poi dall'attivazione di una specifica procedura, che prevede la previa notifica alla Commissione ex art. 21, IV comma, e che non risulta essere stata effettuata.

5) In subordine: illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 12 del d.l. 3/10/2006, n. 262.

I provvedimenti impugnati non possono ritenersi legittimati ex post dall'entrata in vigore del d.l. n. 262/2006.

L'art. 12 di tale testo normativo prevede, tra l'altro, una convenzione unica che si sostituisce alla convenzione originaria accessiva alle concessioni autostradali, da perfezionarsi entro un anno; le clausole della convenzione sono in ogni caso adeguate in modo tale da assicurare gli obiettivi indicati nel comma due, incidenti sul riallineamento delle tariffe, etc.

Inoltre le società titolari di concessioni autostradali sono tenute ad una serie di obblighi prima insussistenti, tra cui il mantenimento di "adeguati requisiti di solidità patrimoniale", l'azione "a tutti gli effetti come amministrazione aggiudicatrice negli affidamenti di lavori, forniture e servizi", etc.

Tale complesso di disposizioni determina una radicale alterazione delle condizioni normative concernenti le concessioni autostradali ed i rapporti convenzionali tra concedente e concessionari, nel senso di introdurre gravi e pregiudizievoli ingerenze nella gestione delle imprese concessionarie.

È chiaro peraltro che la legittimità di un provvedimento amministrativo va valutata con riferimento alle norme vigenti al momento della sua emanazione, con conseguente irrilevanza dello ius superveniens.

Ove ritenuto applicabile, tale ius superveniens appare comunque illegittimo per violazione del principio dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con particolare riferimento alla tutela dell'iniziativa economica privata (art. 41 della Costituzione) ed alla ragionevolezza della modificazione autoritativa dei rapporti di durata (art. 3 della Costituzione), oltre che dei limiti costituzionali delle leggi - provvedimento, del principio di sussidiarietà di cui all'art. 118, IV comma, della Costituzione, ed infine degli artt. 42 e 77 della Costituzione.

Si consideri peraltro che la fusione è stata progettata e negoziata secondo il principio di buona fede, sulla base dei valori di mercato delle società interessate all'operazione, che hanno determinato i rapporti di concambio; pertanto le società ricorrenti chiedono l'accertamento dei loro diritti imprenditoriali e propietari, nella consistenza determinata in ragione della normativa antecedente l'entrata in vigore del d.l. n. 262/2006.

Si sono costituite in giudizio l'ANAS e le Amministrazioni statali intimate, eccependo l'irricevibilità, l'inammissibilità (in parte per carenza di interesse, ed in parte per difetto di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo) e l'improcedibilità del ricorso, e comunque la sua infondatezza nel merito.

È altresì intervenuta ad opponendum l'ADUSBEF - Associazione di utenti bancari, finanziari, assicurativi e postali.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti le società deducenti hanno impugnato la lettera a firma congiunta del Ministro delle Infrastrutture e del Ministro dell'Economia del 26/10/2006, prot. n. 15894, avente ad oggetto "progetto di fusione Autostrade - Abertis", nonché la lettera dell'ANAS S.p.a. del 27/10/2006, prot. ris. n. 269, avente ad oggetto "operazione di fusione per incorporazione di Autostrade S.p.a. in Abertis Infraestructuras S.A.", con la quale è stato dichiarato l'integrale superamento e la conseguente inefficacia dei provvedimenti precedentemente emessi, ed oggetto del ricorso principale, ed al contempo sono state sollecitate le società a "riattivare la fase istruttoria conseguente alle domande di autorizzazione presentate in data 5/7/06".

Allegano le ricorrenti che dette note non consentono di comprendere se si verta al cospetto di una revoca o di un annullamento dei precedenti provvedimenti; deducono pertanto il seguente motivo: violazione del principio di legalità; violazione del diritto comunitario, ed in particolare dell'art. 21, IV comma, del regolamento concentrazioni e delle disposizioni del Trattato in materia di libertà di circolazione e libertà di stabilimento; eccesso di potere per contraddittorietà.

I provvedimenti impugnati si appalesano illegittimi, per le ragioni già poste a sostegno del ricorso principale, nella misura in cui con gli stessi (come sembra doversi desumere) si reiteri la pretesa dell'Amministrazione di sottoporre l'operazione di fusione per incorporazione di Autostrade in Abertis ad una previa autorizzazione.

Le parti intimate resistono anche ai motivi aggiunti, dei quali viene eccepita l'inammissibilità per carenza di interesse, avendo gli atti impugnati per tale via disposto l'integrale caducazione degli effetti giuridici della nota ministeriale del 4/8/06, oggetto del ricorso principale, nonché l'irricevibilità con riguardo alla contestazione della sussistenza del potere autorizzatorio, esternato fin dalla nota ANAS del 27/6/06.

All'udienza del 6/12/2006 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Per motivi di ordine processuale vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di irricevibilità, di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso principale, complementarmente svolte dalle Amministrazioni statali e dall'A.N.A.S.

Principiando dall'eccezione di irricevibilità, che, attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale, deve essere esaminata prioritariamente ad ogni altra questione sia processuale, che di merito, va dunque precisato che, ad avviso delle parti resistenti, è tardiva la contestazione del potere autorizzatorio sull'operazione di fusione, la cui sussistenza era stata esternata dall'Amministrazione già con la nota A.N.A.S. 31/5/2006, prot. n. 147, o, quanto meno, con la nota, sempre dell'A.N.A.S., 27/6/2006, prot. n. 193, risultando conseguentemente intempestiva la deduzione di siffatto motivo solo mediante l'impugnativa del diniego del 5/8/06 con il ricorso notificato in data 18/10/06.

L'eccezione non appare meritevole di positiva valutazione.

Ed invero, con riguardo alla nota A.N.A.S. prot. n. 147 del 31/5/06, anzitutto dall'esame della medesima non si evince un'esplicita affermazione dell'esistenza di una potestà autorizzatoria sull'operazione di fusione per incorporazione di Autostrade S.p.a. in Abertis S.A.: la nota in questione si limita a rappresentare le ragioni per cui la fusione altererebbe il rapporto concessorio, aggiungendo che il perfezionamento di quest'ultima, in assenza di idonee modifiche alla convenzione di concessione, schiuderebbe la strada a misure sanzionatorie.

Più esplicita è in tema di autorizzazione la nota A.N.A.S. prot. n. 193 del 27/6/06, che, nell'imminenza della deliberazione assembleare di Autostrade S.p.a. sull'operazione di fusione, rappresenta l'esigenza che venga formulata una richiesta di autorizzazione.

Ora, se, a tutto concedere, con riferimento alla prima nota, potrebbe parlarsi di atto recante una dichiarazione di intenti in ordine a futuri procedimenti (costantemente ritenuto non espressamente impugnabile in giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30/9/1983, n. 677), con riguardo alla lettera del 27/6/06 ritiene il Collegio che avverso la stessa ASPA ed ASPI non avessero l'onere di proporre un'immediata impugnazione.

Ed infatti si tratta di un atto non immediatamente lesivo non solo in ragione del proprio contenuto, tale da consentire comunque la deliberazione di fusione, seppure condizionandone l'efficacia all'adozione del provvedimento autorizzatorio, ma soprattutto perché si limita ad affermare il potere autorizzatorio dell'Amministrazione, non costituendo certamente estrinsecazione di detta potestà.

In conformità all'indirizzo giurisprudenziale, ribadito anche di recente da Cons. Stato, Ad. Plen., 29/1/2003, n. 1, secondo cui la lesione dell'interesse deve essere caratterizzata dall'immediatezza, dalla concretezza e dall'attualità, e dunque essere una conseguenza diretta ed immediata del provvedimento lesivo e dell'assetto di interessi con lo stesso introdotto, non può farsi derivare dalla conoscenza dell'intendimento di esercitare un potere autorizzatorio l'onere di impugnare l'atto che tale intenzione comunica, e soprattutto la conseguenza della preclusione all'impugnativa degli specifici provvedimenti esercizio di quel potere autorizzatorio.

2. Deve essere disattesa anche l'eccezione di inammissibilità per intervenuta acquiescenza delle ricorrenti, argomentata nella considerazione che le stesse si sono conformate alle indicazioni dell'A.N.A.S. e dei Ministeri, formulando in data 5/7/2006 richiesta di autorizzazione.

Ed invero, anche a prescindere dal fatto che, richiamando le considerazioni precedenti, non è configurabile una rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell'interesse legittimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione della sfera giuridica soggettiva, lo strumento di tutela non è esperibile (in termini Cons. Stato, Sez. V, 14/11/2006, n. 6678), è agevole ricordare come, secondo giurisprudenza consolidata, l'acquiescenza presuppone un comportamento chiaro, univoco e concludente, imputabile al ricorrente, dal quale possa evincersi, senza un ragionevole dubbio, la sua volontà di accettare gli effetti delle determinazioni sfavorevoli (tra le tante, Cons. giust. sic., 26/9/1994, n. 309; Cons. Stato, Sez. V, 15/6/1988, n. 394).

In sintesi, per acquiescenza si intende l'effetto abdicativo della situazione sostanziale protetta, e, per riflesso, dell'interesse a ricorrere, proprio di un comportamento di accettazione spontanea e consapevole del medesimo provvedimento che si impugna; la stessa, pertanto, non può fondarsi su di un comportamento relativo ad un altro, precedente, atto, e per di più consistente in una semplice omissione di reazione (esattamente in termini Cons. Stato, Sez. VI, 30/9/2005, n. 5218).

Bene evidente è dunque come nel caso di specie non sia ravvisabile acquiescenza da parte delle società ricorrenti, anche in considerazione della circostanza per cui la richiesta di autorizzazione avanzata da Autostrade S.p.a. in data 5/7/06 è stata formulata in conformità del parere rilasciato dal Consiglio di Stato in data 21/6/06, ed apertis verbis "senza pregiudizio di qualsiasi diritto e/o ragione di questa Società", escludendosi dunque anche una tacita rinuncia al diritto di impugnativa di un atto lesivo.

3. Più problematica appare l'eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse con riguardo all'impugnativa delle note del 4 e 5 agosto 2006, rispettivamente dei Ministeri intimati e dell'A.N.A.S., argomentata nella considerazione che, a prescindere dalla loro natura preminentemente istruttoria, le stesse risultano dichiaratamente superate dai provvedimenti del successivo 9 - 13 ottobre, ed espressamente private di ogni effetto giuridico con la nota interministeriale del 26/10/06 e la successiva nota dell'A.N.A.S. in data 27/10/06, oggetto, a loro volta, queste ultime, dei motivi aggiunti.

Non può infatti trascurarsi che la nota ministeriale del 26/10/06 e quella dell'A.N.A.S. del 27/10/06 dichiarano che fin dalle precedenti note del 9 e 13 ottobre i provvedimenti del 4 e 5 agosto, recanti il diniego di autorizzazione, devono intendersi privati di ogni effetto giuridico; di qui l'eccezione di inammissibilità/improcedibilità, rafforzata dalla considerazione che il petitum di annullamento concernerebbe atti inefficaci.

Ritiene peraltro il Collegio che anche tale eccezione, nella sua assolutezza, debba essere respinta, non occorrendo neppure indugiare sul "superamento" solo parziale, ovvero integrale dei provvedimenti impugnati.

Anzitutto perché i provvedimenti del 26 e 27 ottobre non specificano (né successivamente l'Amministrazione ha inteso chiarire tale circostanza, benché formalmente sollecitata dalle ricorrenti) se la privazione degli effetti giuridici delle note impugnate con il ricorso principale sia ex tunc, ovvero ex nunc; e ciò di per sé rileva in quanto solo nel primo caso si determina un pieno effetto eliminatorio dell'atto impugnato.

Peraltro, in linea generale, deve ritenersi che la cessazione degli effetti degli atti impugnati con il ricorso introduttivo non è una circostanza idonea a far venire meno l'interesse alla decisione dello stesso nel merito, e ciò non soltanto per il persistere di un eventuale interesse morale all'accertamento dell'illegittimità degli atti, ma soprattutto in quanto la possibile statuizione giurisdizionale di annullamento può assumere rilievo nel giudizio risarcitorio (del quale è fatto nel caso di specie esplicita riserva) diretto a ristorare la parte ricorrente del pregiudizio ingiustamente subito a causa dell'eventuale illegittimità provvedimentale; in altri termini, l'ipotetica illegittimità degli atti, ancorché non più produttivi di effetti, rappresenta elemento costitutivo della possibile responsabilità civile dell'Amministrazione (in termini, da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, 16/6/2006, n. 4731).

4. Procedendo dunque alla disamina del merito del ricorso, con il primo mezzo viene affrontato il nucleo tematico del gravame, ruotante intorno alla contestazione della configurabilità, alla stregua del diritto interno e di quello comunitario, del potere autorizzatorio dell'Amministrazione nella vicenda controversa, originata dalla comunicazione all'A.N.A.S. del progetto di fusione per incorporazione di Autostrade S.p.a. in Abertis Infraestructuras S.A., e poi sviluppatasi nell'adozione di un atto di diniego all'autorizzazione.

L'allegazione difensiva delle ricorrenti prende le mosse da una serrata critica del parere 21/6/2006 n. 2719/2006 del Consiglio di Stato, Sez. II, e si dipana nella deduzione dell'erronea applicazione dell'art. 3, V comma, del d.lgs. n. 143/94, dell'art. 21 della legge n. 47/2004, oltre che della convenzione accessiva alla concessione, e nella negazione della rilevanza giuridica, ai fini della trasformazione societaria, del regime concessorio concernente la rete autostradale, per concludere nel senso dell'insussistenza di una base legale che legittimi l'esercizio della potestà autorizzatoria.

La censura, nonostante l'approfondita e pregevole elaborazione, non appare, nel suo complesso, meritevole di positiva valutazione.

Non può negare il Collegio che qualche incertezza ermeneutica possa effettivamente prospettarsi nel fondare il potere autorizzatorio sulla previsione dell'art. 3, V comma, del d.lgs. 26/2/1994, n. 143 e su quella dell'art. 21, VII comma, del d.l. 24/12/2003, n. 355 (convertito nella legge 27/2/2004, n. 47), imponendosi in questa prospettiva un'interpretazione estensiva, se non analogica, di tali norme, le quali stabiliscono, rispettivamente, che "l'approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade è riservata al Ministro dei lavori pubblici di concerto con il Ministro del Tesoro" e che "il IV atto aggiuntivo alla vigente convenzione tra A.N.A.S. e Autostrade S.p.a., ora Autostrade per l'Italia S.p.a., stipulato il 23/12/2002, è approvato a tutti gli effetti con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze...".

Purtuttavia non deve trascurarsi neppure la circostanza che si verte al cospetto di una concessione di costruzione e di gestione di autostrade, prevalentemente ricondotta nel genus della concessione di servizi pubblici (in termini, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 17/1/2002, n. 253; Cass., Sez. Un., 24/2/2003, n. 2817; da ultimo T.A.R. Lazio, Sez. III, 5/10/2006, n. 9917), tale dunque da essere connotata da un ineliminabile spessore pubblicistico, derivante dal fatto stesso di enucleare un'ipotesi di ufficio in concessione, ovvero, detto in altri termini, di impresa titolare di ufficio, cui viene trasferito il diritto di gestire un servizio rivolto al pubblico.

Il momento pubblicistico si traduce nel fatto che, quand'anche la concessione assuma strutturalmente la forma della concessione - contratto, riconducibile attualmente nell'alveo degli accordi amministrativi di cui all'art. 11 della legge generale sul procedimento, vede peraltro l'Amministrazione portatrice di una vera e propria posizione di potestà, e non già di autonomia privata.

Indice positivo di tale potestà pubblicistica è, ad esempio, in materia di concessioni di lavori pubblici, l'art. 19, comma 2 bis, della legge 11/2/1994, n. 109 (ora art. 143, comma 8 del d.lgs. 12/4/2006, n. 163) che, nel prevedere le conseguenze delle "variazioni apportate dall'Amministrazione aggiudicatrice" alle condizioni di base del rapporto, presuppone il potere di modificazione unilaterale dell'assetto "contrattuale".

Anche dunque laddove la norma, per un evidente imprinting comunitario, non coincidente con le categorie della tradizione giuridica italiana, qualifica le concessioni come contratti, rimane la peculiarità ontologica della fattispecie, che ammette la sussistenza di potestà pubblicistiche, d'altro canto da sempre caratterizzanti in termini di specialità il regime giuridico della concessione nella fase di svolgimento del rapporto.

Lo stesso art. 11 della legge 7/8/1990, n. 241, pur di fronte ad una figura pattizia (da una parte della dottrina ritenuta evocare la figura del contratto di diritto pubblico), evidenzia la disponibilità del rapporto ex latere dell'Amministrazione, ammettendo quella forma di autotutela legata che è il recesso per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.

Ne discende un assetto di sistema per cui sono ampiamente (e non solo, dunque, nei limiti dell'art. 35 della legge n. 109/94, ora art. 116 del d.lgs. n. 163/06) salvaguardate le esigenze di interesse pubblico, le quali non possono che tradursi, a fronte di una fattispecie complessa e di preminente rilievo anche economico, quale è la concessione della rete autostradale, anche nel potere di controllo (esprimentesi sub specie di autorizzazione in funzione, appunto, di controllo) del soggetto concessionario al verificarsi di vicende di trasformazione societaria che, quanto meno indirettamente, lo interessino, al fine di vigilare sul mantenimento delle condizioni di affidabilità nell'adempimento degli obblighi derivanti dalla concessione stessa (in termini ancora T.A.R. Lazio, Sez. III, 5/10/2006, n. 9917).

4.1. Né può condividersi la, pur raffinata, critica al potere implicito, sviluppata dalle ricorrenti specialmente con la memoria depositata in data 29/11/06.

Ed infatti sembra evincersi dalla letteratura che con maggiore attenzione si è occupata del problema degli "implied powers" come non contrastino con il principio di legalità quei poteri che, seppure non espressamente contemplati dalla legge, si muovono comunque nel solco della norma attributiva del potere (nel caso di specie connesso all'esistenza di un rapporto concessorio, caratterizzato dalle coordinate sistematiche in precedenza brevemente tratteggiate), come misura concreta di realizzazione dell'interesse pubblico messa a disposizione dell'Amministrazione.

Come, da sempre, si è riconosciuto un potere di autotutela (dell'Amministrazione), simmetrico rispetto all'attribuzione del potere provvedimentale, così può ammettersi la configurabilità di un potere di controllo dell'Autorità concedente sul soggetto concessionario, evidenziandosi un identico interesse pubblico, in armonia dunque con il fine legislativamente prefissato.

4.2. Occorre aggiungere peraltro che il potere autorizzatorio dell'Amministrazione trova nel caso di specie conferma anche nella disciplina delle convenzioni accessorie alla concessione succedutesi nel tempo.

Giova in proposito considerare che le "premesse" alla convenzione del 24/11/2003, intercedente tra A.N.A.S. ed Autostrade per l'Italia S.p.a., costituenti parte integrante e sostanziale della medesima convenzione ai sensi dell'art. 1, espongono, mediante richiamo dei contenuti delle precedenti convenzioni, nonché della nota A.N.A.S. del 17/12/02, accettata da Autostrade con la comunicazione del 27/3/03, gli impegni assunti da Autostrade ed ASPI in occasione del "Progetto Mediterraneo"; più specificamente, (sub b) l'impegno a mantenere "il medesimo grado di affidabilità nell'adempimento delle obbligazioni derivanti dalla concessione da parte della conferitaria del ramo di azienda (e particolarmente quella relativa agli investimenti programmati) rispetto a quello offerto da Autostrade anche mediante l'assunzione da parte di Autostrade, nella nuova funzione di holding, di una garanzia corrispondente al valore degli assets nella disponibilità di Autostrade e posti al di fuori del ramo di azienda oggetto di conferimento (qualora il loro valore avesse ecceduto il 10% del patrimonio netto di Autostrade così come risultante dall'ultimo bilancio d'esercizio approvato), preso atto della permanenza dell'equilibrio economico - finanziario di gestione della società conferitaria del ramo d'azienda all'esito della complessiva operazione di riassetto societario dichiarata da Autostrade"; (sub c) l'impegno ad estendere gli obblighi gravanti su Autostrade relativamente ai rapporti con le società del Gruppo anche a quelli che la società conferitaria del ramo di azienda avrà con le proprie "parti correlate", nonché, ancora (sempre sub c), l'assunzione, da parte di Autostrade, nella nuova funzione di holding, degli "obblighi di informazione ad A.N.A.S. relativamente a quegli assets di Autostrade che, successivamente all'operazione di riassetto societario, non avrebbero più fatto capo alla società conferitaria del ramo di azienda, dovendo altresì essere autorizzati dall'A.N.A.S. gli atti di disposizione di tali assets ove rilevanti sulla garanzia rilasciata da Autostrade nella nuova funzione di holding".

Occorre precisare, al fine di sgomberare il campo da ipotesi interpretative non fondate sul dato letterale, che, sempre a termini della convenzione (pag. 9), la circostanza successivamente dichiarata, secondo cui il valore degli assets di Autostrade non conferiti ad ASPI non eccede il 10% del patrimonio netto di Autostrade, serve ad escludere l'assunzione di nuovi obblighi della holding Autostrade in relazione a quanto previsto nella lettera sub b) delle premesse, ma non anche a far venire meno gli obblighi derivanti dalle condizioni imposte dall'A.N.A.S. con la nota prot. n. 566 del 17/12/02 (tra cui, appunto, sub c, gli obblighi di informazione teleologicamente indirizzati a consentire all'A.N.A.S. l'autorizzazione degli atti di disposizione degli assets di Autostrade incidenti sulla garanzia da quest'ultima resa).

4.3. Né può avere pregio l'assunto secondo cui l'operazione di fusione per incorporazione viene ad interessare Autostrade S.p.a., e cioè un soggetto non (più) titolare della concessione di esecuzione e gestione della rete autostradale, seppure controllante la società concessionaria (ASPI), con conseguente intangibilità del rapporto concessorio.

Ed invero vi è anzitutto la suesposta base convenzionale che giustifica il potere autorizzatorio con riguardo alla fusione della società controllante; in secondo luogo non può trascurarsi la rilevanza giuridica che assumerebbe l'inserimento di ASPI in un differente gruppo societario (id est: nel gruppo Abertis).

Con la riforma del codice civile del 2003 la nozione di gruppo di società, caratterizzato da una pluralità di società operanti sotto la direzione di una società capo - gruppo o holding, non ha più solo valenza organizzatoria o finanziaria, avendo assunto rilievo l'attività di direzione e coordinamento di società, ed il concetto di "interesse del gruppo" (da cui prende le mosse la teoria dei c.d. vantaggi compensativi), che militano sempre più nel senso di evidenziare l'unitarietà dell'impresa di gruppo.

Ciò comporta che non può ritenersi ininfluente ai fini del rapporto concessorio l'inserimento della società che ne è titolare in un differente gruppo (per effetto della fusione per incorporazione della società controllante), in quanto ciò giustificherebbe l'imposizione, da parte della capogruppo, di indirizzi gestionali pregiudizievoli per la controllata, purché a beneficio dell'interesse complessivo del gruppo.

Né, ovviamente, a mitigare tale rischio, può essere in questa sede considerata la previsione contenuta nell'art. 2, 85 comma, della legge 24/10/2006, n. 286, in ordine ai requisiti di indipendenza degli amministratori delle società concessionarie, non foss'altro perché norma successiva alla data di adozione dei provvedimenti gravati.

Ecco quindi come l'operazione di fusione di Autostrade in Abertis potrebbe astrattamente (ma lecitamente) tradursi anche nella compromissione del valore reddituale di ASPI, privando la stessa della capacità di sostenere gli impegni ed adempiere agli obblighi derivanti dalla concessione e dalla convenzione.

Va, del resto, considerato, a questo riguardo, come anche il parere del 30/5/2006 redatto dalla Commissione nominata dal Presidente dell'A.N.A.S., e composta dai professori Cappugi, Monorchio e Rossi, ha ritenuto che l'operazione di fusione (in relazione ai profili di interesse pubblico perseguiti dalla concessione) "è in grado di determinare una significativa alterazione del rapporto, anche nei suoi presupposti, con una riduzione reale delle garanzie a suo tempo poste a presidio dell'effettivo conseguimento degli interessi pubblici medesimi" (pag. 40, sub punto III, valutazioni finali), consigliando, in ragione di ciò, l'introduzione nella convenzione di adeguate misure idonee a salvaguardare l'originario complessivo sistema di garanzie.

5. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce poi l'illegittimità del gravato diniego di autorizzazione per mancanza del presupposto e travisamento dei fatti, oltre che per l'insussistenza di previsioni sul conflitto di interesse concernenti i concessionari autostradali, sostenendosi che le limitazioni all'acquisizione di partecipazioni azionarie in Autostrade per i soggetti esercenti attività di impresa nel settore delle costruzioni, previste dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 16/5/97, risultavano applicabili solamente alla procedura di alienazione della partecipazione indiretta dello Stato nella società, principiata con l'invito a manifestare interesse in data 22/6/99.

Ritiene il Collegio che tale motivo debba ritenersi inammissibile per carenza di interesse, o comunque improcedibile.

Occorre invero considerare come con riguardo all'argomento del conflitto di interesse di soggetti operanti nei settori delle costruzioni e della mobilità, situazione ritenuta preclusiva alla partecipazione all'azionariato stabile di Autostrade, evidenziato nella nota ministeriale del 4/8/06, e ripreso nel provvedimento di diniego dell'A.N.A.S. del successivo 5/8/06, quest'ultima ha fatto chiarezza (e giustizia) già con la nota, antecedente alla proposizione del ricorso principale, in data 13/10/06.

Con detta nota l'A.N.A.S. ha rappresentato, in conformità delle indicazioni ministeriali, che "per effetto di quanto previsto dall'art. 12, comma 4, del decreto legge 3/10/2006, n. 262, a decorrere dallo stesso 3 ottobre 2006 deve ritenersi superato quanto manifestato con la nota congiunta del 4/8/2006 in ordine alla sussistenza di un pregiudiziale fattore impeditivo all'esame del mutato assetto concessorio, costituito dalla presenza di un operatore delle costruzioni in seno alla nuova compagine azionaria di controllo della concessionaria autostradale".

Mentre, dunque, non determinano, come si è esposto nel punto sub 3) della presente motivazione, una generalizzata improcedibilità del ricorso i provvedimenti del 26 - 27/10/06, che si limitano ad una declaratoria di intervenuta estinzione degli effetti giuridici delle note del 4 e 5 agosto 2006, al contrario, con riguardo alla causa del diniego di autorizzazione rappresentata dal conflitto di interesse, può ritenersi che l'interesse alla censura sia effettivamente venuto meno.

La certa esistenza di una situazione oggettiva che esclude l'interesse al ricorso (in parte qua) discende, del resto, a ben considerare, ancor più che dalla nota A.N.A.S. prot. n. 265 del 13/10/06, dalla norma introdotta dall'art. 12 del d.l. 3/10/2006, n. 262, che, intervenendo sull'art. 11 della legge 23/12/1992, n. 498, nel disciplinare gli obblighi cui sono soggette le società concessionarie autostradali, si limitava a prevedere, sub lett. e), che gli operatori del settore delle costruzioni non possono esercitare i propri diritti di voto per la nomina degli amministratori per una quota eccedente il limite del 5 per cento del capitale sociale, in tale modo escludendo peraltro inequivocabilmente la configurabilità del conflitto di interesse.

Tale previsione è stata ulteriormente modificata dalla legge (di conversione) 24/11/2006, n. 286, il cui art. 2, 85 comma, ha eliminato anche la suindicata limitazione, disponendo solamente che lo statuto debba prevedere "che l'assunzione della carica di amministratore sia subordinata al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, ai sensi dell'art. 2387 del codice civile e dell'art. 10 della direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003".

Occorre peraltro considerare che, ove anche voglia escludersi il venire meno dell'interesse a ricorrere, magari nella considerazione dell'efficacia normativa (e quindi innovativa dell'ordinamento giuridico) provvisoria delle disposizioni contenute in un decreto legge, non può trascurarsi che la fondatezza della censura, per tutte le ragioni condivisibilmente evidenziate da parte ricorrente, consistenti nell'inapplicabilità della deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 16/5/97 al di fuori della procedura di alienazione della partecipazione dello Stato in Autostrade S.p.a. (come indirettamente confermato anche dal tenore del punto 10.9 del contratto di compravendita azionaria del 26/10/99), e nell'allegazione dell'insussistenza di una previsione generale sul conflitto di interessi per i concessionari autostradali e per le società controllanti, non potrebbe comunque portare, di per sé, all'annullamento dei provvedimenti di diniego, i quali risultano sorretti da altri autonomi motivi.

Ciò risulta, del resto, ben rappresentato anche in tutte le comunicazioni provenienti dall'Amministrazione, a partire dalla già ricordata nota A.N.A.S. del 13/10/06, ove è affermato che "il superamento della posizione negativa già espressa è naturalmente da intendersi riferita unicamente alla pregiudiziale valutazione di legittimità del modificato rapporto concessorio, restando ferme le ulteriori criticità rappresentate dalla Scrivente...", con l'ulteriore indicazione che il superamento delle criticità è finalizzato a salvaguardare l'originario complesso sistema di tutele ritenuto idoneo al conseguimento dell'interesse pubblico.

6. Con il terzo motivo di gravame viene poi dedotta l'illegittimità del diniego per disparità di trattamento a detrimento di un'impresa di costruzioni spagnola, e per violazione dei principi che governano il procedimento amministrativo.

Anche tale doglianza deve essere disattesa.

Con riferimento, anzitutto, alla disparità di trattamento, che sarebbe poi tale da assurgere a caso di discriminazione in base alla nazionalità, vietato dall'art. 12 del Trattato C.E., la censura, a parte quanto precedentemente osservato sul conflitto di interesse, appare addirittura inammissibile in ragione della sua genericità, in conformità del consolidato indirizzo giurisprudenziale alla stregua del quale chi deduce il vizio in esame ha l'onere di indicare i casi nei quali l'Amministrazione avrebbe adoperato un diverso e più favorevole metro (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 5/5/1997, n. 476).

6.1. Quanto, poi, alla violazione del principio di proporzionalità ed al difetto di istruttoria, ravvisabile la prima nell'inadeguatezza del diniego assoluto di autorizzazione rispetto al fine perseguito, ed il difetto di istruttoria nella mancata valutazione delle possibili misure correttive atte a superare le "criticità" contestate al progetto di fusione in Abertis, ritiene il Collegio che la doglianza non sia meritevole di positiva valutazione.

Occorre invero considerare che il principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, è principio generale dell'ordinamento, ed implica che l'Amministrazione debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minore sacrificio possibile per gli interessi compresenti; si risolve dunque nell'affermazione per cui l'Autorità non può imporre, con atti normativi od amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, in misura superiore a quanto strettamente necessario nel pubblico interesse (tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 14/4/2006, n. 2087).

Il principio di proporzionalità implica dunque un'indagine trifasica, che passa attraverso l'accertamento della necessità della misura, della sua idoneità allo scopo da raggiungere, e della stretta adeguatezza della misura applicata allo scopo da raggiungere.

In questa prospettiva ritiene il Collegio che la documentazione versata in atti non consente di ravvisare una decisione sproporzionata od irragionevole, ove si consideri che lo scopo perseguito è stato quello di evitare l'alterazione del rapporto concessorio, con incremento dei profili di rischio in ordine all'adempimento degli obblighi nascenti dalla convenzione da parte del soggetto concessionario, che si troverebbe ad essere inserito in un nuovo gruppo, esponenziale di politiche unitarie, giustificanti anche il ricorso a vantaggi compensativi.

In definitiva, l'interesse pubblico perseguito, per come valutato dall'Amministrazione, è stato quello di evitare una diminuzione del sistema di garanzie (cfr. note A.N.A.S. del 31/5/06, del 7/6/06 e dell'11/7/06), rispetto al quale il diniego di autorizzazione si è posto come extrema ratio, conseguente alla non condivisione delle proposte delle società ricorrenti (prospettate, da ultimo, nell'incontro del 23/6/06).

6.2. Né migliore sorte merita la subcensura con cui si lamenta la violazione dell'art. 10 bis della legge generale sul procedimento amministrativo, in quanto può intendersi come funzionalmente idonea "comunicazione dei motivi ostativi" la nota dell'A.N.A.S. prot. n. 219 dell'11/7/06.

E, peraltro, considerando che l'istituto del "preavviso di rigetto", introdotto dalla legge 11/2/2005, n. 15, si caratterizza per una funzione di discovery delle valutazioni dell'Amministrazione, collocandosi in una fase predecisoria, deve anche ritenersi che possa mancare, allorché la parte interessata abbia già acquisito la conoscenza dei motivi ostativi, nel caso di specie, alla fusione (in termini T.A.R. Lazio, Sez. III, 2/8/2005, n. 6077).

Sotto questo profilo, non può essere revocato in dubbio che vi sia stato un costante rapporto di comunicazione tra l'Amministrazione e le società ricorrenti, improntato al sostanziale rispetto del principio del "clare loqui".

Giova precisare ancora, con riferimento specifico alla censura di sviamento di potere, che quanto in precedenza osservato circa la sussistenza del potere autorizzatorio vale anche ad escludere la ravvisabilità di tale vizio funzionale, essendo evidente che lo sviamento è configurabile allorché il provvedimento è utilizzato per uno scopo diverso da quello per cui il potere è preordinato.

E peraltro, guardando anche alla successione diacronica degli atti, non emergono elementi od indizi che rivelino in modo indubbio lo scopo dissimulato, che, ad avviso di parte ricorrente, l'Amministrazione avrebbe perseguito, e cioè unicamente quello di realizzare unilateralmente una revisione della convenzione.

7. Con il quarto motivo viene dedotta l'incompatibilità dell'affermato potere amministrativo di autorizzazione alla fusione con gli artt. 43 e 56 del Trattato C.E. in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, oltre che con l'art. 21 del regolamento C.E. n. 139/2004, nella considerazione che detta operazione di fusione è già stata autorizzata dalla Commissione con decisione del 22/9/06.

La censura non appare meritevole di accoglimento.

Occorre considerare come la fusione rileva nella prospettiva dell'autorizzazione di una concentrazione transfrontaliera, di competenza della Commissione, ma anche nella prospettiva, di diritto interno, del rapporto concessorio.

Né vale assumere in senso contrario che non si realizza alcun trasferimento della concessione per effetto della fusione, in quanto, come si è cercato in precedenza di chiarire (in particolare al punto sub 4), l'inserimento di ASPI nel gruppo Abertis sarebbe potenzialmente idoneo ad incidere sugli obblighi concessori.

Ciò significa che l'autorizzazione dell'A.N.A.S. è finalizzata a verificare la permanenza della garanzia di un assetto funzionale alla realizzazione di tali obblighi, senza valutare affatto il profilo della concentrazione tra imprese di dimensione comunitaria, che l'art. 21 del regolamento C.E. n. 139/2004 del 20/1/04 rimette alla competenza esclusiva della Commissione.

Va del resto considerato come la norma da ultimo indicata, al par. 4, stabilisce che "gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal presente regolamento, e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario. Sono considerati interessi legittimi ... la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali".

Ritiene il Collegio, pur in assenza di un conforto giurisprudenziale, e di un approfondimento dottrinale, che la norma prudenziale evochi la nozione di norma che attiene alla vigilanza e fa applicazione di regole tecniche; può pertanto inferirsi che contenga in nuce anche la verifica dell'equilibrio economico - finanziario di gestione, che è il compito che l'Amministrazione nazionale ha inteso esercitare sulla concessionaria Autostrade per l'Italia, per quanto è dato desumere dagli atti gravati (ove, lo si ripete, viene fatto espresso riferimento alla salvaguardia del complesso sistema di tutele ritenuto idoneo al conseguimento dell'interesse pubblico), nonché dagli scritti difensivi versati in atti dai Ministeri e dall'A.N.A.S.

Al contempo, non è configurabile una violazione dell'art. 43 del Trattato C.E. sul diritto di stabilimento e dell'art. 56 in materia di libera circolazione dei capitali.

Ed invero il regime del diritto di stabilimento si incentra essenzialmente sul principio del trattamento nazionale (nel senso che intende garantire lo stesso trattamento riservato ai cittadini, vietando discriminazioni soggettive), ma, in questi termini, non esclude in assoluto che possano sussistere limitazioni (di diritto interno) connesse all'esistenza di un rapporto concessorio, o, meglio, giustificate da motivi di interesse pubblico, purché si tratti di misure strettamente necessarie ed adeguate per il raggiungimento dello scopo (in termini Corte di Giustizia C.E., Sez. I, 26/1/2006, n. 514; Corte di Giustizia C.E., Sez. V, 6/11/2003, n. 243; Corte di Giustizia C.E., Sez. V, 22/1/2002, n. 31; Corte di Giustizia C.E., 31/3/1993, n. 19; Cons. Stato, Sez. IV, 29/9/2005, n. 5203).

Considerazioni analoghe si impongono per la circolazione dei capitali, libertà, del resto, funzionale all'esercizio effettivo delle altre libertà, come è desumibile dalla previsione dell'art. 58, II comma, del Trattato, preclusivo di misure nazionali che pongano in essere un trattamento discriminatorio, ma non anche di restrizioni di interesse pubblico, corrispondenti a finalità di rilievo generale.

Si tratta, del resto, delle restrizioni valide anche per le altre libertà fondamentali, e che vengono ad assumere una particolare pregnanza anche nel caso di specie, incidendo l'operazione di fusione societaria sulla concessione della maggior parte del sistema autostradale italiano, ganglio vitale del Paese, con inevitabili riflessi anche di politica economica.

8. Con il quinto mezzo si deduce infine l'illegittimità dei provvedimenti impugnati in via derivata dall'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del d.l. 3/10/2006, n. 262.

La censura, invero prospettata in via subordinata, deve essere disattesa, non risultando applicata, né applicabile, in ossequio al principio del tempus regit actum, ai provvedimenti impugnati del luglio - agosto 2006 il suindicato art. 12, con la conseguenza che difetta il requisito della "rilevanza", presupposto per sollevare la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11/3/1953, n. 87 (a prescindere da ogni ulteriore valutazione sull'incidenza dello ius superveniens costituito dalla legge di conversione con modificazioni n. 286/06).

Residua lo scrutinio del provvedimento dell'A.N.A.S. prot. n. 265 del 13/10/2006, pure oggetto del presente gravame, ove, in applicazione della disciplina contenuta nell'art. 12 del d.l. n. 262/06, è stata dichiarata superata la questione del conflitto di interesse costituito dalla presenza di un operatore delle costruzioni in seno alla nuova compagine azionaria di controllo della concessionaria autostradale.

Si intende peraltro bene come in questa ristretta prospettiva la questione risulti, oltre che priva di interesse, manifestamente infondata proprio alla stregua dei parametri di costituzionalità segnalati dalle ricorrenti, ed in particolare con riguardo alla libertà di iniziativa economica privata, di cui all'art. 41 della Costituzione.

8.1. Le considerazioni che precedono non consentono peraltro di accogliere la ulteriore (rispetto all'azione impugnatoria) domanda di accertamento negativo del diritto delle ricorrenti alla non sottoposizione alla normativa sopravvenuta (d.l. n. 261/06 e legge n. 286/06).

Detta domanda è infatti inammissibile perché concerne interessi legittimi, e non già diritti soggettivi, una tale situazione giuridica sostanziale non essendo configurabile a fronte di una legittima potestà autorizzatoria dell'Amministrazione, che rinviene il proprio fondamento di razionalità nel rapporto concessorio.

L'inammissibilità della domanda di accertamento determina a sua volta l'irrilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale.

Occorre ad ogni modo considerare che il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, e ciò comporta che la legittimità di un provvedimento amministrativo va valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è stato adottato (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 30/10/1997, n. 1209).

Ne consegue che non può escludersi la rilevanza dello ius superveniens nell'assunto che ciò comporterebbe un "mutamento delle regole del gioco", da intendersi cristallizzate con riferimento all'epoca di proposizione della domanda di "autorizzazione alla fusione".

La giurisprudenza consolidata non riconosce valore alla diversa regola del "tempus regit actionem", elaborata da una parte della dottrina, e traducentesi in una perpetuatio delle regulae agendi, neppure, in linea di principio, nel caso di riedizione dell'attività amministrativa conseguente al giudicato di annullamento di un atto di diniego (in termini Cons. Stato, Sez. V, 8/6/2000, n. 3249; Cons. Stato, Sez. V, 18/9/1998, n. 1313).

Se dunque in pendenza del procedimento interviene una nuova normativa (come è accaduto nel caso di specie), l'atto che ne è l'epilogo, tanto più nel caso in cui lo ius superveniens riguardi i profili sostanziali dell'attività, deve a questo adeguarsi, salvo che incida su situazioni giuridiche già consolidatesi (evenienza, questa, non configurabile nella fattispecie in esame, caratterizzata solamente da un diniego di autorizzazione, di cui è stata dichiarata l'estinzione degli effetti giuridici, con conseguente necessità di nuovamente provvedere sull'istanza originaria, salva, ovviamente, diversa valutazione del soggetto titolare dell'interesse pretensivo) (in tale senso Cons. Stato, Sez. VI, 18/6/2004, n. 4163).

Né può ritenersi che non sia stato tutelato l'affidamento, in spregio alla fiducia ingenerata nel privato, in quanto la vicenda procedimentale in esame con chiarezza ha evidenziato fin dall'inizio una forte contrapposizione, incompatibile con l'adozione di provvedimenti e comportamenti ambigui, o tali comunque da avere nel destinatario in buona fede indotto un'aspettativa meritevole di tutela.

9. Gli argomenti esposti se inducono, da ultimo, a disattendere le eccezioni di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, ne comportano peraltro la reiezione.

Per brevità di esposizione, ed onde evitare inutili ripetizioni, sembra consentito rinviare specificamente alle considerazioni svolte nei punti sub 4) e seguenti della presente motivazione, costituendo il thema decidendum del motivo aggiunto proprio la legittimità, con riguardo sia al diritto interno che al diritto comunitario, del potere autorizzatorio dell'Amministrazione statale in ordine all'operazione di fusione per incorporazione di Autostrade S.p.a. in Abertis Infraestructuras S.A.

10. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

La complessità delle questioni giuridiche trattate giustifica comunque la compensazione tra tutte le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione III, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.