Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
Sezione II
Sentenza 8 febbraio 2007, n. 98

FATTO

Il sig. Eugenio Murgioni si candidava alle elezioni comunali alla carica di Sindaco del Comune di Castiadas, comune con meno di 5000 abitanti, sebbene già eletto per due mandati consecutivi, risultando vincitore della competizione elettorale tenutasi i giorni 28 e 29 maggio 2006.

Il giorno 16 giugno 2006 è stato convocato il Consiglio comunale per procedere alla convalida degli eletti, ai sensi dell'art. 41 t.u.e.l., ed in tale sede l'organo collegiale, del quale facevano parte tutti i proponenti il primo ricorso, dopo aver rilevato che, in effetti, a carico del sindaco, proponente il secondo ricorso, sussisteva la causa di ineleggibilità di cui all'art. 51, comma 2, del t.u.e.l., prendeva atto di non poter censurare il vizio, attestandosi sull'interpretazione letterale dell'art. 41 dello stesso testo unico.

Dopo un'ampia discussione, il Consiglio deliberava di rivolgere un invito al Prefetto ed alla Regione, affinché, nell'ambito delle rispettive competenze, attivassero la procedura prevista dall'art. 70 del Testo unico, per censurare il fatto dell'avvenuta elezione per la terza volta alla carica di sindaco del sig. Murgioni, ma contestualmente ne convalidava l'elezione.

Secondo quanto affermato dai ricorrenti, senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento, veniva loro notificato presso il comune, in data 3 luglio 2006, il decreto del presidente della Regione Sardegna oggetto di impugnazione, con il quale, previa deliberazione della G.R. n. 28/17 in data 27/6/2006, del pari impugnata, si disponeva lo scioglimento del Consiglio Comunale, ai sensi dell'art. 141, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 267/2000 e della legge regionale n. 13 del 7 ottobre 2005, come modificata dall'art. 3 della legge regionale n. 8 del 1° giugno 2006, con contestuale nomina a Commissario del dott. Carlo Maffei; quest'ultimo si insediava il 4 luglio 2006.

In entrambi i ricorsi è dedotta in primo luogo l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 2 della legge regionale n. 13 del 7 ottobre 2005, nella versione vigente dopo le modifiche introdotte dalla recente legge n. 8/2006, art. 3, nella parte in cui il potere di scioglimento dei consigli comunali, disciplinato dall'art. 141 del testo unico degli enti locali, è attribuito al Presidente della Regione.

Tale norma violerebbe in particolare gli artt. 3, 5, 51, 97, 114, 116, 117, comma 2, lett. p), 118, 119, 121, comma 4, e 123 della Costituzione, nonché i principi generali dell'ordinamento e della normativa statale di cui agli artt. 4 e 13 del d.lgs. 267/2000.

Si prospetta anche il vizio di eccesso di potere per incompetenza, travisamento dei fatti, difetto del presupposto, illogicità, irragionevolezza, vessatorietà, contraddittorietà, carente, assente e/o erronea motivazione, ingiustizia manifesta, sviamento.

Si afferma inoltre, sempre in entrambi i ricorsi, che sarebbero stati violati gli artt. 3, 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990, non essendo stata data ai ricorrenti, consiglieri e sindaco, alcuna comunicazione di avvio del procedimento, con preclusione della loro facoltà di intervenire. La diffida dell'Assessore degli Enti locali in data 5 giugno 2006 non potrebbe considerarsi equipollente, avendo la stessa l'unico scopo di intimare ai ricorrenti l'adozione di un atto, a loro avviso, esulante dalle proprie competenze.

Nel solo ricorso n. 697/2006, si afferma che la delibera regionale ed il provvedimento del presidente della Regione non dimostrerebbero l'esistenza delle gravi e reiterate violazioni di legge, non avrebbero preso in considerazione la reale situazione, né tutte le considerazioni giuridiche sottese alla determinazione del consiglio comunale; in particolare non avrebbero indicato le ragioni ostative all'avvio del diverso procedimento ex art. 70 t.u.e.l. nei confronti del Sindaco rieletto per la terza volta. Tali rilievi avrebbero comportato la violazione degli artt. 1, 2, 3, 48, 51, 97 e 118 della Costituzione e degli artt. 41, 51, 70, 141 del d.lgs. 267/2000, dell'art. 3 della legge n. 241/1990 e dell'art 2. l.r. n. 13/2005 nella versione vigente, nonché ancora eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, assenza del presupposto, vizio di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, vessatorietà, contraddittorietà, carente, assente e/o erronea motivazione, ingiustizia manifesta.

Sempre nel solo primo ricorso (697/2006) si afferma che, in ogni modo, la situazione di incertezza normativa e la presenza di pronunzie giurisprudenziali favorevoli alla tesi scelta dal Consiglio, non avrebbe dovuto consentire di riconoscere nel comportamento dell'organo i presupposti delle consapevoli, gravi e ripetute violazioni della legge, né la volontà di disattendere il dettato normativo.

Nel secondo ricorso, proposto dal sindaco rieletto (n. 698/2006), si solleva inoltre eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 51, comma 2, del t.u.e.l., che prevede l'impossibilità per colui che abbia ricoperto la carica di sindaco per due mandati consecutivi, di essere immediatamente rieletto alla medesima carica allo scadere del secondo mandato, per violazione degli artt. 1 (limitazione della sovranità popolare), 2, 48 e 51 (ingiustificata limitazione del diritto all'elettorato attivo e passivo ed al diritto alla maggiore partecipazione alla competizione elettorale) 3 (disuguaglianza e disparità di trattamento rispetto: a sindaci che non siano uscenti per la seconda volta consecutiva; ad aspiranti alla carica nelle regioni a statuto speciale che hanno introdotto deroghe al limite- Friuli, Trentino, Valle d'Aosta; a soggetti rivestenti altre cariche dello Stato cui non si applicano analoghe limitazioni (presidente della Repubblica, del Consiglio dei Ministri, senatori, deputati, presidenti delle regioni, assessori comunali ed altri), 97 Cost. (lesione del principio di efficienza ed economicità) e 118 (compromissione dell'autonomia amministrativa garantita ai comuni). Sarebbero inoltre stati presentati in questa e nelle precedenti legislature numerosi disegni di legge di proposta di abrogazione del limite temporale, appelli da parte di cariche istituzionali e della questione sarebbe stata investita anche la Conferenza Stato, città ed autonomie locali.

I ricorsi si concludono con istanza cautelare e con la richiesta di risarcimento dei danni, quantificata per i consiglieri in 482 euro, per ciascun mese di illegittima rimozione dalla carica sino al ripristino del consiglio, oltre ad interessi legali e per il sindaco nella misura corrispondente all'indennità di funzione ex art. 82, secondo comma del t.u. (quantificata orientativamente in 1.446 euro mensili) Ad avviso degli interessati, infatti, nel comportamento della Regione sarebbe ravvisabile, se non il dolo, quanto meno la colpa grave anche per la mancata opportunità di partecipazione al procedimento.

Si è costituita, in entrambi i giudizi, la regione intimata, contestando con ampie argomentazioni le censure dedotte, anche di incostituzionalità, e precisando, in fatto che nella diffida era espressamente indicato il riferimento alle conseguenze di un inadempimento ed era quindi deducibile l'intenzione di procedere allo scioglimento del consiglio in caso di mancata esecuzione; che l'amministrazione dopo la diffida non solo avrebbe convalidato l'elezione diretta del sindaco e di tutti i consiglieri, ma avrebbe anche deliberato successivamente nella seduta del 23 giugno 2006 su diversi ordini del giorno. I termini, entro cui il procedimento si sarebbe attivato e concluso (notifica in data 8 giugno 2006, adozione della delibera regionale 27 giugno 2006, decreto del Presidente del 3 luglio 2006), sarebbero inoltre congrui ed avrebbero consentito ai consiglieri, ai quali l'atto è stato notificato, di presentare osservazioni. Sarebbe inoltre applicabile l'art. 21-octies l. 241/1990 trattandosi di atto vincolato.

Alla pubblica udienza del 29 novembre 2006 le due cause sono state assunte in decisione dal Tribunale, dopo ampia discussione orale.

DIRITTO

I due ricorsi possono essere riuniti e decisi congiuntamente avendo il medesimo oggetto ed essendo convergente l'interesse dei soggetti che li hanno proposti.

La questione di diritto sottoposta al collegio consiste nello stabilire se la Regione Sardegna avesse il potere, e comunque lo abbia legittimamente esercitato, di disporre lo scioglimento del Consiglio Comunale di Castiadas, in applicazione della legge regionale n. 13 del 7 ottobre 2005, come modificata dall'art. 3 della legge regionale n. 8 del 1° giugno 2006.

Sancisce la norma che "Nei casi previsti dall'art. 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché in ogni altro caso previsto dalla legislazione statale vigente, fatta eccezione per le ipotesi di cui al comma 6, lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la nomina del commissario, ove prevista, sono disposti con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta Regionale, adottata su proposta dell'Assessore degli enti locali".

Nella specie si è verificato che all'esito delle elezioni comunali tenutesi il 28 e 29 maggio, gli elettori del comune di Castiadas abbiano scelto alla guida della propria comunità un candidato sindaco che aveva già ricoperto la carica per due mandati consecutivi .

È noto che ai sensi dell'art. 51 del testo unico 267/2000 il candidato sindaco che si trova in questa condizione "non è , allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche".

Dai documenti depositati in giudizio si è potuto accertare che, a seguito della sollecitazione ad intervenire da parte del capofila della lista "Forti Uniti per Castiadas" l'Assessore degli Enti locali , finanze ed urbanistica della Regione, prima che il consiglio si riunisse per procedere alla convalida degli eletti, ha richiamato, in data 5 giugno 2006, l'organo collegiale al suo potere-dovere di procedere all'esame delle condizioni di eleggibilità "con riguardo a tutte le cause ostative comunque previste da norme di legge, ivi compresa quindi quella di cui all'art. 51, comma 2, del d.lgs. 267/2000" e lo ha diffidato, entro e non oltre 20 giorni, a dichiarare la ineleggibilità del sig. Eugenio Murgioni "con avvertenza che, in mancanza, saranno avviate le procedure per lo scioglimento del Consiglio medesimo ai sensi dell'art. 141, comma 1, lettera a), del d.lgs. 267/2000". Con lo stesso atto si dava incarico al segretario del Comune di notificare il provvedimento al sindaco ed ai consiglieri e di comunicare, non oltre il giorno successivo alla scadenza del termine, "se sia stato provveduto in conformità".

Il Consiglio comunale di Castiadas, convocato per procedere alla convalida degli eletti, nella seduta del 16 giugno 2006, ha dato atto di aver ricevuto la diffida della regione, ha richiamato per esteso le motivazioni delle sentenze di due tribunali (Tar Piemonte n. 3278/2005, Tribunale di Campobasso n. 1/2005) - affermanti la assoluta prevalenza ed esclusività del criterio di interpretazione letterale dell'art. 41 del t.u., che regola gli adempimenti della prima seduta del consiglio da far precedere alle deliberazioni "su qualsiasi altro oggetto" - ha dato atto dell'esistenza di una non determinante decisione contraria della Suprema corte (Cass., sez. I, n. 11895/2006) e su queste basi ha deliberato di "convalidare... l'elezione diretta del sindaco e di tutti i consiglieri proclamati eletti nelle votazioni del 28 e 29 maggio 2006" dando atto che tutti, in particolare, avevano "i requisiti di eleggibilità stabiliti nel capo II titolo III del t.u.e.l.".

Contestualmente ha trasmesso la deliberazione al Prefetto di Cagliari ed alla Regione Sardegna, affinché assumessero "gli eventuali provvedimenti ritenuti di competenza" secondo quanto evidenziato nella motivazione del provvedimento (esclusiva competenza degli stessi a rilevare la causa di ineleggibilità prevista dall'art. 51, comma 2, del t.u.).

In sintesi, se si prescinde dai riferimenti testuali alle motivazioni delle due sentenze richiamate, il consiglio ha affermato che la sua competenza in materia di ineleggibilità del sindaco doveva intendersi limitata alle sole cause previste dal capo II titolo III del t.u. "non altre cause", ha rilevato che "l'eventuale, possibile, ma comunque incerta ... lacuna normativa, non rimediabile in via interpretativa" poteva essere colmata con lo strumento di tutela dell'azione popolare ex art. 70, promuovibile anche dal Prefetto ed ha infine ritenuto "in assenza di specifici strumenti normativi di propria competenza , di essere obbligato a rispettare e a prendere atto della volontà popolare, legittimamente espressa".

Successivamente il consiglio si è di nuovo riunito in data 23 giugno 2006 per deliberare su diversi punti all'ordine del giorno tra cui figurava l'approvazione dei verbali della seduta precedente.

È seguita l'adozione dei provvedimenti impugnati da parte dell'Amministrazione regionale.

Prima di affrontare il merito della questione devono essere esaminate le eccezioni pregiudiziali sollevate dai ricorrenti.

Nel corso della discussione orale si è avanzata la richiesta di estendere il contraddittorio a tutti i consiglieri.

È sufficiente rilevare che nella specie non è stato impugnato da alcuni candidati l'atto di proclamazione degli eletti e non si verte in materia di elezioni, ma oggetto del ricorso è il provvedimento con cui si è disposto lo scioglimento di tutto il consiglio, determinazione rispetto alla quale la situazione soggettiva dei vari componenti dell'organo collegiale è identica. Ove ne avessero ritenuta la illegittimità, tali soggetti avrebbero dovuto impugnare la deliberazione di scioglimento nei termini di decadenza, ovvero avrebbero potuto assumere la veste processuale di intervenienti. Di certo di fronte ad un provvedimento che priva i consiglieri della loro carica e li sostituisce con un commissario, coloro che hanno scelto di non ricorrere non assumono, per ciò stesso la veste di controinteressati, né conduce a diverse conclusioni la circostanza che, sul piano politico, alcuni consiglieri abbiano osteggiato la scelta di convalidare il sindaco eletto.

Di maggiore consistenza sono le questioni di costituzionalità sollevate nei due ricorsi, l'una avente ad oggetto la norma che tuttora, per scelta degli organi costituzionali cui è attribuita la potestà legislativa (nella specie Parlamento e Consigli delle regioni a statuto speciale), preclude l'eleggibilità consecutiva per tre mandati dello stesso sindaco, e che logicamente va esaminata per prima, essendo il presupposto diretto dei provvedimenti impugnati, l'altra intesa a travolgere la recente norma della legge regionale sarda che ha attribuito al presidente della regione il potere di sciogliere i consigli comunali nelle ipotesi disciplinate dall'art. 141, lett. a), del d.lgs. 267/2000.

Le questioni, entrambe rilevanti, sono tuttavia infondate.

In merito alla prima, è sufficiente richiamare le condivisibili motivazioni contenute nella recente sentenza della Cassazione (sez. I, n. 11895 del 20 maggio 2006), ma anche i principi sanciti dal giudice delle leggi in materia di riserva di legge, di limiti al diritto di accesso dei cittadini alle cariche politiche, con possibilità che discipline differenziate possano essere non costituzionalmente illegittime (Corte cost. 84/1994).

In particolare, la norma non interferisce col principio di cui all'art. 1, in quanto non risulta lesa la sovranità popolare.

Si tratta infatti di restrizione temporanea e non illogica, ove si rammentino le ragioni, da ritenere tuttora insuperate in assenza di emanazione di leggi modificative od abrogative, che a suo tempo hanno ispirato il legislatore; non si traduce inoltre in una illegittima violazione del diritti di elettorato attivo e passivo (artt. 2, 48 e 51), non comprimendo in misura priva di ragionevolezza e logicità la possibilità di partecipazione alla competizione elettorale, ma scongiurando al contrario, nel bilanciamento del controllo dei poteri tuttora vigente, l'instaurarsi di personalismi e forme clientelari e dando corretta applicazione al principio secondo cui l'esercizio di tali diritti si esplica secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

Né si ravvisa la violazione dell'art. 3 della costituzione, se si assumono a parametro le varie fattispecie delineate nel ricorso e richiamate in fatto, in quanto si tratta di ipotesi non comparabili con quella disciplinata dall'art. 51, inidonee ad evidenziare disparità, mentre non può concretare violazione del principio di uguaglianza il fatto che alcune Regioni a statuto speciale abbiano legiferato nel senso auspicato dai ricorrenti. Le diverse scelte politiche non condivise possono trovare sanzione in sede di rinnovo delle cariche elettive, mentre il mancato esercizio del potere legislativo nel senso auspicato non comporta violazione del principio di uguaglianza.

Anche gli artt. 97 e 118 della Costituzione non sono violati, poiché la prima norma si riferisce all'azione della pubblica amministrazione, che solo con affermazioni apodittiche può ritenersi influenzata in modo negativo da un cambio di vertice della guida politica dell'ente, mentre, quanto alla seconda, è priva di ogni consistenza l'affermazione che l'impossibilità di confermare una terza candidatura determini il subentro di soggetti meno competenti. Al contrario il principio ispiratore della legge fu a suo tempo proprio quello di garantire dopo un certo numero di anni un cambiamento al vertice, rimesso sempre alla valutazione obiettiva e libera degli elettori di un comune.

Privi di ogni rilevanza sono infine i riferimenti alle iniziative politiche di passate o presenti legislature dirette a promuovere un'abrogazione del divieto: le stesse sono solo indicative del progressivo maturarsi di un diverso orientamento, ma sono inidonee a giustificare il tentativo di disapplicazione di precetti tuttora in vigore da parte di soggetti che non ne condividano più i principi ispiratori.

Quanto alla seconda questione, che coinvolge la norma regionale attributiva del potere di scioglimento dei consigli comunali al Presidente della regione, i ricorrenti sostengono che la norma, sarebbe incostituzionale perché violerebbe la riserva di legge statale esclusiva nella materia elettorale . L'art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, anche a seguito della riforma del relativo titolo quinto, riserverebbe in via esclusiva allo Stato l'esercizio di ogni potere diretto ad alterare, anche in via temporanea ed eccezionale, la composizione degli organi di governo dell'ente locale, compreso il potere sanzionatorio disciplinato dall'art. 141 del t.u.

Ed ancora si sostiene che la funzione di controllo sostitutivo sugli organi di un ente territoriale, avendo natura politica, non potrebbe essere affidata ad un organo monocratico della regione, a pena di violare l'art. 97 della Cost.

Premesso che nella specie non si è in presenza di un potere sostitutivo, sicché non sono pertinenti tutti i rilievi - tra l'altro impropri, vista la modulazione della procedura (relazione dell'assessore, delibera dell'organo collegiale e provvedimento finale) - diretti a contestare la scelta del legislatore regionale di attribuire il potere ad un organo monocratico, la tesi dei ricorrenti è viziata da un errore di fondo, consistente nel non aver considerato che la Regione Sardegna è regione dotata di speciale autonomia.

In virtù del combinato disposto dell'art. 10 l.c. di riforma 18 ottobre 2001, n. 3 ed art. 11 della legge di attuazione 5 giugno 2003 n. 131, "per le regioni a statuto speciale ... resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione...".

L'art. 3, primo comma, lett. b), dello Statuto speciale della Regione Sardegna, attribuisce alla Regione, dopo la riforma del 1993, la potestà legislativa in materia di "ordinamento degli Enti locali e delle relative circoscrizioni".

Il significato della disposizione statutaria è stato definitivamente chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 48 del 13 febbraio 2003.

Nella relativa pronuncia si è ritenuta priva di fondamento la tesi secondo la quale la legislazione elettorale sarebbe estranea alla materia dell'ordinamento degli enti locali e si è espressamente affermato che sono aspetti di questa materia "la configurazione degli organi di governo degli enti locali, i rapporti tra gli stessi, le modalità di formazione degli organi e quindi anche le modalità di elezione degli organi rappresentativi, la loro durata in carica, i casi di scioglimento anticipato".

Certo la stessa Corte, nel riconoscere alla regione Sardegna tale potere, ha ribadito che il legislatore regionale è comunque tenuto a rispettare i principi costituzionali e dell'ordinamento giuridico nei casi in cui si decida di incidere "sui delicati meccanismi della democrazia locale", ed ha anche precisato che le interferenze sulla durata del mandato devono essere previamente stabilite in via generale dal legislatore, richiamando espressamente come esempio l'ipotesi delle gravi violazioni delle leggi.

Ora, con la norma regionale contestata ci si è limitati, nell'ambito delle attribuzioni riconosciute costituzionalmente compatibili, a regolare il procedimento diretto a determinare lo scioglimento anticipato, con puntuale attribuzione del relativo potere a specifici organi regionali, ma non vi è stata alcuna modificazione delle ipotesi di interferenza sulla durata del mandato. La norma, infatti, per questa parte, contiene un rinvio dinamico ai casi previsti dal Testo unico sugli enti locali e, nel contempo, riafferma espressamente la competenza degli organi statali in caso di scioglimento per motivi di ordine pubblico o conseguenti a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.

La costituzionalità della previsione può ritenersi inoltre, seppure indirettamente, confermata dalla circostanza che il Governo ha sollevato di recente (G.U. n. 38 del 20 settembre 2006) questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 8/2006, che ha tra l'altro modificato, integrandone la disposizione, l'art. 2 l.r. n. 13/2005, senza estendere alla relativa previsione, che qui si sospetta di incostituzionalità, le censure di superamento dei limiti di competenza regionale nella materia statutariamente regolata (cfr., a conferma della costituzionalità del sistema, anche Corte cost. n. 175/2006).

Il problema non è allora quello della incostituzionalità della norma attributiva del potere, ma quello della verifica di una sua corretta applicazione, che sia rispettosa dei principi generali dell'ordinamento.

Nel merito, prima di affrontare il nucleo della questione, deve essere sgombrato il campo dalla censura di mancata osservanza del principio di partecipazione al procedimento.

Ad avviso dei ricorrenti il provvedimento di scioglimento non sarebbe stato preceduto da un'idonea comunicazione di avvio, non potendosi considerare equipollente ad uno specifico atto formale la diffida dell'Assessore agli enti locali, sia per il soggetto da cui proveniva l'atto, sia per il suo contenuto.

La censura è priva di pregio in tutte le sue articolazioni.

L'atto proviene, infatti, dall'organo che per legge è chiamato a dare avvio al procedimento con la redazione di una proposta da sottoporre alla Giunta sui fatti ritenuti rilevanti.

L'atto stesso, notificato ai diretti interessati, oltre a contenere la diffida a dichiarare l'ineleggibilità del sindaco e l'espressione delle molteplici ragioni che giustificavano l'adozione di una conforme deliberazione da parte del neoeletto consiglio, si conclude con l'espressa avvertenza che "in mancanza saranno avviate le procedure per lo scioglimento del Consiglio ai sensi dell'art. 141, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 267/2000".

Ora è sufficiente fare riferimento ai principi enucleati dalla ormai costante giurisprudenza formatasi in materia, per poter affermare che l'atto, sia in considerazione della qualificazione dei soggetti cui era diretto, sia per la sua chiara formulazione, sia per i tempi previsti, conteneva tutti gli elementi idonei a consentire agli interessati di partecipare al procedimento, il cui avvio dipendeva inoltre dall'avverarsi di un fatto addebitabile ai suoi diretti destinatari (inottemperanza alla diffida).

I consiglieri ed il sindaco ricorrenti avrebbero, quindi, avuto tutto il tempo, dopo l'adozione della delibera e dopo aver proceduto, in una successiva seduta, nei lavori consiliari, di interloquire con la regione.

Passando al punto di diritto della vicenda contenziosa, i ricorrenti sostengono, con gli altri motivi dei due ricorsi, che nella specie non vi sarebbero stati elementi tali da configurare, nell'avvenuta convalida del sindaco eletto per il terzo mandato, le gravi e persistenti violazioni di legge richieste dalla norma per giungere allo scioglimento.

Il processo logico seguito nelle difese, che replica le ragioni ispiratrici della deliberazione di convalida, si basa su questi assunti:

- il consiglio comunale doveva attenersi ad una interpretazione letterale dell'art. 41 del t.u.e.l., non lasciando spazio la norma, per la sua chiara formulazione ad altre interpretazioni;

- l'oggettiva esistenza di una causa di ineleggibilità del sindaco poteva essere eliminata con altri strumenti e l'intervento di altre autorità previsti dall'ordinamento (art. 70 t.u.);

- il consiglio sarebbe stato obbligato a rispettare e prendere atto della volontà popolare , in assenza di specifici strumenti normativi di propria competenza.

È proprio da quest'ultima considerazione che traspare la gravità della violazione di legge posta in essere dal consiglio.

Con la diffida l'assessore aveva, infatti, già indicato con sufficiente chiarezza al consiglio i criteri da seguire nel procedere alle operazioni di convalida, richiamandolo al rispetto di tutte le cause ostative "previste da norme di legge", norme tuttora in vigore che nessuna volontà popolare può rendere disapplicabili.

È pacifico che nel testo unico vi fosse la norma che sanciva l'ineleggibilità del sindaco per il terzo mandato, norma che come è stato limpidamente affermato " contiene in sé la sanzione in caso di sua violazione".

Il consiglio ne era consapevole ed altrettanto consapevolmente ne ha ignorato la dovuta applicazione, trincerandosi dietro le argomentazioni di alcune pronunce giurisprudenziali, peraltro isolate e già all'epoca superate da una decisione della Cassazione inequivoca nello stabilire che fosse compito del consiglio procedere anche alla verifica dei requisiti di eleggibilità del sindaco legalmente previsti.

Correttamente non è stata considerata idoneo elemento giustificativo neanche l'iniziativa diretta a sollecitare l'intervento della regione o del prefetto ai sensi dell'art. 70 del t.u., poiché si tratta di strumenti di controllo autonomi ed indipendenti diretti a garantire, con procedimenti e forme diverse di intervento, l'affidamento del potere di rappresentanza in sede locale a soggetti in possesso dei requisiti prescritti dall'inizio alla fine del mandato.

Il rimedio generale della rimozione del sindaco rieletto contro la legge può dunque essere sollecitato anche con l'azione popolare, ma non solo con questo strumento, come ha affermato invece il consiglio nel convalidare l'elezione.

Di fatto la conseguenza della delibera di convalida, seguita da un avvio di funzionamento del consiglio, indicativo della volontà di persistere nella violazione - che sarebbe continuato se non fosse intervenuta la regione, fino alla conclusione del diverso procedimento ex art. 70, implicante i tempi lunghi di un giudizio - è stata quella di consentire ad un soggetto ineleggibile di guidare le sorti del comune in aperta violazione della legge, solo in virtù della volontà popolare che lo aveva rieletto.

Che tale fosse il criterio ispiratore del consiglio è deducibile dal contenuto degli interventi del sindaco e di alcuni consiglieri allegati alla delibera e depositati in giudizio.

Vi traspare la volontà chiara di non applicare la norma, considerata non più rispondente, nella sostanza, alla volontà dei cittadini, che avevano confermato la fiducia nel sindaco uscente candidatosi.

Ma questo atteggiamento, da parte di soggetti destinati a governare un ente locale in ossequio al sistema di norme vigenti, contiene in sé il nucleo della gravità della violazione, al di là delle giustificazioni formali date ad un certo comportamento.

Esclusa dunque la sussistenza dei molteplici profili sintomatici di eccesso di potere dedotti dai ricorrenti, neanche può sostenersi che il provvedimento impugnato fosse immotivato, poiché, oltre alle considerazioni che lo sorreggono autonomamente, è chiaro al suo interno il sufficiente riferimento agli argomenti contenuti nell'atto collegiale della giunta e nella proposta dell'assessore.

Dal complesso di tali considerazioni deriva che nel caso di specie l'organo regionale ha applicato la norma che è destinata ad incidere sulla durata del consiglio con la necessaria ponderazione e nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento, tra i quali spicca quello dell'obbligo di applicare le norme vigenti, anche se ritenute non più rispondenti alle aspettative della comunità dei cittadini, e quello di garantire l'osservanza delle regole disciplinanti il corretto svolgimento del procedimento di nomina degli organi di governo dell'ente locale.

L'esercizio del potere di scioglimento di un consiglio, che ha ritenuto di dover comunque convalidare la nomina del sindaco nonostante la prescrizione normativa cogente che ne precludeva l'eleggibilità, si giustifica inoltre con l'esigenza di evitare che tale organo potesse continuare ad agire e gestire la cosa pubblica sotto la giuda di un sindaco comunque destinato ad essere dichiarato decaduto, ma solo con effetto ex nunc, in sede giudiziaria ordinaria, con conseguente validità degli atti nel frattempo adottati.

Stante l'infondatezza delle censure dedotte il ricorso deve essere dunque respinto, ciò che rende superfluo l'esame della richiesta di risarcimento dedotta in entrambi i ricorsi dai consiglieri e dal sindaco.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo per la Sardegna, Sezione seconda, definitivamente pronunciando, riuniti i ricorsi in epigrafe li rigetta.

Condanna i consiglieri ricorrenti ed il sindaco, al pagamento delle spese giustizia, liquidate nel complesso in euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre ad IVA e CPA, a favore della Regione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.