Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 6 aprile 2007, n. 1563
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso proposto dall'odierna appellante per l'annullamento del decreto del Questore di Rimini 2 marzo 2000 (Cat. 11E/00), con cui è stata sospesa per trenta giorni la licenza di sala giochi alla predetta rilasciata per il locale denominato "Happy days".
Esponeva, in particolare, la ricorrente in primo grado di essere titolare della sala giochi denominata "Happy Days", per la quale era in possesso di regolare licenza rilasciata dal Sindaco di Morciano di Romagna il 9 marzo 1991; a causa dello scontro fra gruppi di giovani frequentatori della suddetta sala giochi, il Questore di Rimini, con decreto 2 marzo 2000 emanato ai sensi dell'art. 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, disponeva la sospensione della licenza per giorni 30 (trenta).
Tale provvedimento è stato impugnato, innanzi al TAR, dall'odierna deducente.
Il ricorso è stato respinto.
Al riguardo, i primi giudici hanno rilevato, anzitutto, che secondo quanto disposto dall'art. 100 del t.u.l.p.s., ricorrevano i presupposti per la sospensione di una licenza di un esercizio correlata al verificarsi di tumulti o gravi disordini, ovvero nel caso in cui il locale sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o costituisca, comunque, un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini; che dalla documentazione in atti risultava inequivocabilmente che i ragazzi coinvolti nella rissa si trovavano all'interno della sala giochi e che il diverbio ha avuto inizio all'interno del locale; che, anche se la rissa era proseguita e si era consumata all'esterno della sala giochi, era, peraltro, evidente che il locale era il luogo che aveva dato occasione al diverbio fra i ragazzi italiani e i ragazzi albanesi, abituali frequentatori della sala giochi; con la conseguenza che legittimamente il Questore aveva ritenuto che esso costituisse pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica e che dovesse essere adottato il provvedimento della sospensione della licenza al fine di scongiurare il ripetersi di altri gravi episodi; donde il rigetto del ricorso per infondatezza.
2. Per l'appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto la rissa si sarebbe verificata, in effetti, solo al di fuori del locale (anche se il diverbio tra i due gruppi era stato occasionato al suo interno); sicché disordine e tumulto si sono avuti solo al di fuori del locale stesso, dopo che i giovani albanesi si erano allontanati per poi tornare armati di corpi contundenti; il TAR, quindi, avrebbe errato nel ritenere sussistente il presupposto dell'abitualità della frequentazione della sala giochi da parte dei giovani coinvolti nella rissa, laddove non emergerebbe affatto, neppure dalle carte processuali, che i giovani stessi fossero abituali frequentatori del locale; era presente, poi, un solo pregiudicato, che si sarebbe unito agli amici italiani, però, solo quando questi sono stati aggrediti sulla pubblica via, sicché neppure potrebbe parlarsi di cattiva frequentazione del locale.
Aggiunge, poi, la deducente che non risulta che i giovani coinvolti avessero mai in precedenza creato fastidi o che fossero pericolosi, sicché l'episodio di cui si tratta sarebbe stato del tutto occasionale e la sanzione contestata implicherebbe, in effetti, un'ipotesi di inammissibile responsabilità oggettiva del gestore del locale.
Del tutto illogico sarebbe, infine, il provvedimento impugnato (e la sentenza del TAR che avrebbe erroneamente disatteso la relativa censura di primo grado) in quanto, una volta verificata la correttezza, nella specie, del comportamento del gestore, il Questore avrebbe potuto adottare provvedimenti nei confronti dei soggetti coinvolti nella rissa e non nei confronti del gestore stesso che vi è rimasto del tutto estraneo.
Conclude l'appellante per l'accoglimento del gravame, stante la sussistenza di un interesse attuale al suo accoglimento, dal momento che l'eventuale recidiva potrebbe determinare l'immediata chiusura del locale.
Si è costituito il Ministero intimato che insiste per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
3. L'appello è infondato.
Come la giurisprudenza ha costantemente affermato (cfr., tra le altre, le decisioni della Sezione 14 dicembre 2005, n. 7094; n. 5647/2005), l'art. 100 del t.u.l.p.s. non ha riguardo alla possibilità più o meno effettiva per il titolare di un pubblico esercizio di conoscere la pericolosità dei clienti o i loro precedenti penali ovvero di impedire agli stessi di soffermarsi presso il proprio locale, bensì alla esigenza obiettiva di tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, indipendentemente da ogni responsabilità dell'esercente; ciò che rileva, infatti, nella ratio del legislatore, è l'effetto dissuasivo sui soggetti indesiderati, i quali, da un lato, sono privati, per qualche tempo, di un luogo di abituale aggregazione, dall'altro, sono resi avvertiti della circostanza che la loro presenza in detto luogo è oggetto di attenzione da parte delle Autorità preposte.
Ebbene, per ciò che attiene alla presente fattispecie, è pur vero che la rissa si è accesa a una certa distanza di tempo dall'uscita dei giovani dal locale e all'esterno dello stesso, in un luogo sottratto alla diretta vigilanza del gestore, ma non può condividersi l'assunto (svolto in primo grado e qui ribadito) secondo cui la circostanza che il litigio abbia avuto inizio all'interno del locale costituirebbe un elemento del tutto occasionale, non ricadente fra i requisiti prescritti dall'art. 100 del t.u.l.p.s.
Al contrario, il fatto che il dissidio tra gruppi di giovani di differente etnia abbia avuto inizio all'interno del locale (con reciproci insulti e minacce) è indice del fatto che all'interno dello stesso si è creata una situazione di tensione sostanzialmente adatta allo sviluppo della contesa, sfociato, poi, in forme di aggressione all'esterno del locale medesimo; ma proprio lo svolgersi dei fatti legittima l'intervento dell'autorità di P.S. che, attraverso l'adozione di misure quale quella qui contestata mira, correttamente, a dissuadere i soggetti indesiderati attraverso la chiusura, limitata nel tempo, del locale costituente occasione prima di aggregazione ed il segnale che la loro presenza in detto luogo è oggetto di quella specifica attenzione di cui si è detto.
4. Neppure può condividersi, poi, l'assunto di primo grado secondo cui non sarebbe stato sufficiente a legittimare il provvedimento l'aver definito i partecipanti alla rissa come abituali frequentatori del locale, atteso che l'art. 100 citato richiede che gli abituali frequentatori siano anche "pregiudicati o pericolosi".
La norma ora citata, infatti, prevede, non solo che "il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose", ma anche nel caso in cui l'operatività dell'esercizio stesso possa, comunque, costituire "un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini".
E ciò che ha indotto all'adozione del provvedimento di specie è stata proprio la cura dell'ordine e della sicurezza pubblica in quanto, precludendo, per un certo tempo, l'accesso al locale è stata anche eliminata la principale ragione di aggregazione in loco di soggetti animati da intenti violenti; con la possibilità, quindi, per tale via, anche di fare debitamente placare gli animi.
5. Né, infine, può ritenersi che il Questore, con palese sviamento di potere, avrebbe preferito chiudere il locale piuttosto che adottare provvedimenti a carico dei partecipanti alla rissa, così adottando una determinazione fondata su una sorta di inammissibile responsabilità oggettiva del gestore stesso; ciò in quanto altro sono i provvedimenti, di carattere personale, involgenti i singoli partecipanti alla rissa (per i quali, comunque, è stato, iniziato il procedimento penale), altro la misura di pubblica sicurezza atta a prevenire, nel breve periodo, il possibile riaccendersi, sul posto (e, quindi, anche nel locale e in ragione della frequentazione dello stesso) di ragioni di dissidio che il decorrere del tempo ben può concorrere ad attenuare.
6. Per tali motivi l'appello in epigrafe appare infondato e, per l'effetto, deve essere respinto.
Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, respinge l'appello in epigrafe.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.