Corte di cassazione
Sezione tributaria
Sentenza 14 maggio 2007, n. 10964
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dino M., titolare dell'omonima impresa di produzione di borse e pelletteria, e Gabriella C. proposero distinti ricorsi avverso tre avvisi di accertamento, con i quali l'Ufficio aveva rettificato i redditi d'impresa dichiarati per il 1991, per il 1992 e per il 1993, elevandoli, rispettivamente, da Lire 46.357.000 a Lire 725.620.000, da Lire 57.935.000 a Lire 541.255.000 e da Lire 16.240.000 a Lire 726.742.000.
Gli accertamenti erano scaturiti: a) da indagini bancarie condotte sui conti correnti del M., della C. nonché su quello di una loro dipendente (con delega, peraltro, in favore del M.), da cui erano risultate operazioni attive e passive non contabilizzate, che i contribuenti non erano riusciti a dimostrare non inerenti all'attività d'impresa del M.; b) dal riscontro di costi registrati, in violazione dell'art. 22 d.P.R. 600/1973, prima della vidimazione del libro giornale.
L'adita Commissione provinciale, riuniti i ricorsi, li accolse, annullando integralmente gli accertamenti e l'appello successivamente promosso dall'Ufficio fu respinto dalla Commissione regionale.
I giudici di appello, in particolare, ritennero l'illegittimità delle riprese basate sulle risultanze dei conti correnti, considerando che, in violazione dell'art. 32 d.P.R. 600/1973, l'Ufficio: 1) non aveva convocato il M. e gli altri intestatari dei conti oggetto di verifica, per dare loro la possibilità di giustificare le movimentazioni avvenute sui conti medesimi; 2) non aveva redatto verbale apposito; 3) non aveva consegnato copia di detto verbale agli interessati. Ritennero, inoltre, l'illegittimità dei recuperi relativi ai costi contabilizzati in ritardo, in quanto questi erano stati registrati nel libro giornale vidimato, seguivano l'ordine cronologico e il ritardo nell'annotazione non superava i dieci giorni sicché rientrava nel termine più ampio (60 giorni) consentito dalla legge.
Avverso la decisione di appello, l'Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
I contribuenti hanno resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due, connessi, motivi di ricorso, l'Amministrazione finanziaria deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 32, comma 1 n. 2, e 33 d.P.R. 600/1973, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Con gli indicati motivi, l'Amministrazione lamenta, in sostanza, che i giudici del gravame non hanno tenuto conto del fatto che, in ipotesi di accertamenti fondati sulle risultanze di conti correnti bancari, l'interpello degli interessati è una facoltà e non un obbligo dell'Amministrazione, per cui questa è tenuta agli adempimenti previsti nelle disposizioni richiamate solo se ed in quanto si proceda effettivamente all'interpello.
La doglianza è fondata.
Deve, invero, rilevarsi che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, che non vi è motivo di disattendere, l'utilizzazione da parte dell'Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, a fine di accertamento (tanto delle imposte di dirette quanto all'Iva), è legittima, anche in assenza di preventiva convocazione dell'interessato al fine di consentirgli di giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica, giacché nessuna norma impone detta convocazione (cfr. Cass. 16597/2003, 6335/2002, 10278/2000, 11094/1999). Deve, peraltro, considerarsi che gli artt. 32 d.P.R. 600/1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. 633/1972, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 18851/2003, 6232/2003, 8422/2002, 10662/2001, 9946/2000), pongono una presunzione legale, ancorché semplice, in forza della quale, i versamenti su conto corrente bancario - in assenza di prova contraria del contribuente, che attesti la loro inerenza all'imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili - si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa.
Con il terzo motivo di impugnazione, l'Amministrazione finanziaria deduce «violazione e falsa applicazione dell'art. 22 d.P.R. 600/1973 nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia», in relazione al capo della sentenza che ha ritenuto illegittima la ripresa dei costi reputati registrati in violazione dell'art. 22 d.P.R. 600/1973.
In proposito, l'Amministrazione finanziaria ha puntualizzato che la ripresa era fondata, non sulla tardiva registrazione delle operazioni (poiché esse risultavano eseguite nei prescritti sessanta giorni), bensì sull'avvenuta annotazione delle operazioni medesime sul libro giornale in epoca antecedente alla sua vidimazione, annotazione costituente violazione dell'art. 2215 c.c., pure richiamato dall'art. 22 d.P.R. 600/1973. Ha, quindi, sostenuto l'indeducibilità dei costi in rassegna, in quanto irregolarmente registrati su libri non ancora vidimati.
A tale motivo di ricorso, i contribuenti hanno opposto che l'art. 22 d.P.R. 600/1973 non prevede, quale sanzione, l'indeducibilità dei costi irregolarmente registrati, tanto più che, nella specie, si tratterebbe di irregolarità meramente formale.
Così puntualizzati i termini della contesa, il terzo motivo di ricorso dell'Amministrazione finanziaria deve ritenersi fondato nei termini di seguito precisati.
In proposito, occorre puntualizzare che la sanzione dell'indeducibilità dei costi irregolarmente registrati, pur non contemplata nella previsione dell'art. 22 d.P.R. 600/1973, era sancita dall'art. 75, comma 6, d.P.R. 917/1986, poi, tuttavia, retroattivamente abrogato dall'art. 5 d.P.R. 695/1999. Tale abrogazione, peraltro, non ha comportato l'automatica deducibilità dei costi registrati in violazione del combinato disposto degli artt. 22 d.P.R. 600/1973 e 2215 c.c. (una volta assolutamente indeducibili in forza della previsione di cui all'art. 75, comma 6, d.P.R. 917/1986), bensì - non incidendo sull'ordinario criterio della ripartizione dell'onere della prova - l'effetto, più limitato, di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dal quarto comma dell'art. 75 (Cass. 18000/2006, 4218/2006, 10090/2002).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, i primi due motivi di ricorso dell'Amministrazione vanno pienamente accolti ed il terzo va accolto nei limiti anzi precisati.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana. Questa procederà alla rivalutazione della fattispecie facendo applicazione del principio secondo cui "l'utilizzazione da parte dell'Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, a fine di accertamento, è legittima, anche in assenza di preventiva convocazione dell'interessato", e di quello per cui, "in tema di accertamento delle imposte sui redditi ed in merito alla deducibilità di costi di impresa non regolarmente registrati ai sensi dell'art. 2215 c.c., l'abrogazione del sesto comma dell'art. 75 del d.P.R. 695/1996, non comporta l'automatica deducibilità dei costi suddetti, ma, non incidendo sull'ordinario criterio di distribuzione dell'onere della prova, soltanto la possibilità, prima assolutamente preclusa al contribuente, di provarli anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché rispondenti ai requisiti di cui al quarto comma del citato art. 75".
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi motivi di ricorso e, per quanto di ragione, il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.